Vai al contenuto

Marco Paolini: il sergente


stev66

Messaggi Raccomandati:

Ieri sera sono andato a Teatro a vedere il "sergente" di Marco Paolini

paoliniSerg200x240.jpg

incipit700x552.jpg

Lo spettacolo mi ha impressionato favorevolmente e mi permetto di consigliare a tutti i forumisti, se ne hanno la possibilita', di andare a vederlo.

Allego la critica di "Repubblica" in cui mi rispecchio abbastanza

LONIGO - Non ci sono orizzonti di gloria nella guerra che Marco Paolini ci viene a raccontare col suo nuovo spettacolo Il sergente' date=' che sta mettendo a punto in una serie di prove aperte e che debutta il 16 al Piccolo Teatro Strehler di Milano (dodici repliche, già tutto esaurito). Il Paolini di Vajont, di Ustica, di Parlamento chimico sui morti di Marghera, questa volta accantona il teatro di inchiesta e di denuncia. Se c’è da parlare di guerra, ora che l’abbiamo così vicina e presente, sceglie di tornare indietro, andare giù in fondo dove i combattenti sono naufraghi, poveri uomini sperduti, contadini che sognano di "tornare a baita". Il sergente nella neve di Mario Rigoni Stern, testimonianza potente e indimenticabile, ma anche L’Anabasi di Senofonte: con questi due libri in tasca Paolini parte per "andare a vedere" che cos’è il Don della ritirata. Mescola, ripensa, riferisce, ed ecco la "sua" guerra.

Una scena spoglia, tre fondali a specchio che rimandano immagini deformate, una macchina da scrivere. Fedele al suo metodo artigiano, Paolini misura se stesso e la reazione del pubblico in questi giorni di prove. Aggiunge, toglie, corregge. E fatica a rispondere alle domande su che cosa sia questo spettacolo ancora da plasmare, e da dove venga. Soprattutto alla domanda più ovvia: perché raccontare la guerra? "No, in effetti non vorrei rispondere. Non vorrei, più che altro, rispondere dichiarando un’intenzione. Buttare lì un’opinione, dire d’aver capito tutto. Per Mario Rigoni scrivere è stato un anticorpo alla disumanità. Ecco, forse quello che sto cercando è un anticorpo alla disumanità della condizione di spettatore".

È un’illusione, dice Paolini, credere di esser spettatori di una guerra lontana: "Quando pensi di essere spettatore, sei vittima senza saperlo. Senza la coscienza che non puoi chiamarti fuori, che se rimuovi questa cosa dalla tua vita, stai già scivolando in una perdita". E si ritrova nella voglia di non arrendersi che era di Rigoni e dei suoi alpini: "Ma non come gesto di eroismo. Lui marciava nella neve portandosi in spalla il peso tremendo delle armi. [b']I volantini russi dicevano: italiani, siete a 4 mila chilometri da casa, arrendetevi. Chi si arrendeva all’evidenza della realtà, alla stanchezza, chi rinunciava alle armi che aveva, a oliarle, pulirle e tenerle in efficienza, era finito. Io penso che la democrazia sia la nostra arma, quella che ha bisogno di manutenzione, e la dobbiamo curare".Un teatro, questo del Sergente, che secondo Paolini certo non è denuncia e nemmeno medicamento dell’anima: "Io credo che il teatro non sia terapia, e nemmeno sia antidoto. Penso alla possibilità di attingere all’esperienza, e che questo serva alla memoria, serva a prepararsi meglio ad affrontare le cose. Un teatro forse come addestramento, come istruzione". E il suo racconto è quello di Rigoni: una guerra di poveri cristi, di disgraziati, di contadini alle prese con altri contadini. Ma è anche, a riprova che nulla cambia davvero, quello di Senofonte. Era stato Elio Vittorini - 1953, per la prima edizione - a chiamare il libro di Rigoni "una piccola Anabasi dialettale".

E nello spettacolo tornano pagine impressionanti dell’Anabasi di Senofonte, per analogia: "Venivano abbandonati quei soldati a cui la neve aveva rovinato gli occhi, e quelli a cui per il freddo eran andate in cancrena le dita dei piedi. Un modo di proteggere gli occhi dalla neve era marciare tenendo davanti agli occhi qualcosa di nero. Mentre un rimedio per i piedi era muoverli, muoverli, sciogliere i calzari perché quelli che dormivano coi calzari legati avevano le cinghie che gli penetravano nei piedi e gli si gelavano le suole. E quindi molti dei soldati restavano indietro. E altri si mettevano seduti, e altri si rifiutavano di cominciare a camminare".

Alpino-Oplita: quasi un anagramma. "Mi ha toccato l’epica di un’impresa disgraziata, non eroica. Mi fa scattare un orgoglio di identità. Niente di guerrescamente nobile, ma un disastro, un naufragio". Un naufragio, quello degli alpini di Rigoni, che è da invasori, "una condizione disonorevole, fonte di vergogna". "Sapevo bene - scrive Rigoni - che cosa eravamo noi per loro". Loro, quei contadini che Paolini è andato a cercare sul Don. Un viaggio appena concluso, che forse diventerà un cortometraggio, e che lui racconta nello spettacolo. "Ho trovato dei vecchi che, allora, hanno vinto la guerra. Ma hanno facce da vinti. Quando dicevo di essere italiano e gli chiedevo della guerra, si scioglievano. Pensavano di aver di fronte qualcuno più disgraziato di loro. Come se ci avessero visto naufragare e ci avessero tirato su".

Ed è nella immensa pietà contadina russa che anche Rigoni trova un appiglio per la speranza. Quando entra nell’isba e trova soldati russi intorno a una povera zuppa di latte e miglio. Chiede da mangiare, ne danno anche a lui. "Era una cosa molto semplice, anche i russi erano come me, lo sentivo. In quell’isba si era creata tra me e i soldati russi, e le donne e i bambini, un’armonia che non era un armistizio. Era qualcosa di molto più del rispetto che gli animali della foresta hanno l’uno per l’altro. Una volta tanto le circostanze avevano portato degli uomini a saper restare uomini". Se questo è successo una volta, scrive il sergente, "potrà tornare a succedere". Sì, tutto torna a succedere. La guerra, la pietà. E non è consolatorio questo Sergente di Paolini, non voleva esserlo. Una discesa sul fondo, "dalla quale forse torni su". In una scena porta la sola, vera divisa della ritirata di Russia: una coperta sulla testa, la divisa di tutti i profughi. Gliel’ha regalata una vecchia, sul Don, "perché non si può fare un viaggio senza coperta".

Archepensevoli spanciasentire Socing.

Link al commento
Condividi su altri Social

Aggiungo le recensione del "Sole 24 ore"

Mario Rigoni Stern ha portato a termine il suo capolavoro quand’era appena ventenne e riuscì a tornare vivo dalla Russia. Io' date=' nel mio piccolo, il capolavoro l’ho fatto a quarant’anni, quando ho portato in scena il Vajont. Entrambi – Rigoni e io - cerchiamo di sopravvivere ai nostri capolavori”: così dice Marco Paolini. E sembra molto convinto, anche se dopo l’ultima parola sorride, come se non volesse prendersi troppo sul serio. O non volesse che gli altri lo prendessero troppo sul serio. In realtà il Vajont, lo spettacolo che ha fatto conoscere Marco Paolini al grande pubblico - quello dei teatri delle grandi città ma anche della televisione - è uno dei tanti capolavori dell’attore-regista. Forse neanche il primo e sicuramente non l’ultimo.

Paolini è in scena in questi giorni a Milano con il nuovo spettacolo Il sergente, tratto dal libro di Mario Rigoni Stern Il sergente nella neve (pubblicato da Einaudi nel 1953 e da allora ristampato innumerevoli volte) e al teatro Strehler è difficile trovare posto, grazie soprattutto al passaparola tra spettatori e appassionanti (alcune critiche apparse sui giornalisono state molto severe, ma non hanno sortito alcun effetto. Per fortuna, aggiungiamo).

Due ore (che in certe serate - “quando mi lascio andare”, confessa Marco Paolini - diventano anche due ore e quaranta minuti) di spettacolo in cui l’attore-regista ci introduce nel racconto autobiografico dell’allora sergente Rigoni, impegnato nella sanguinosa campagna di Russia durante il secondo conflitto mondiale.

Ambientato nell’inverno 1942-43, il testo affronta uno degli episodi più drammatici della storia del nostro esercito: la ritirata dei soldati attraverso la taiga russa. E Paolini “racconta” quel testo, prestandogli la voce, le sue emozioni, a tratti anche la sua interpretazione, ma con un profondo, palpabile rispetto, come a ricordare, dal primo all’ultimo minuto di spettacolo, che il punto di riferimento è il sergente di Mario Rigoni Stern, non Marco Paolini.

Ormai allo sbando e circondati dall’Armata Rossa, i personaggi del racconto, reali e non di fantasia, cercano di sopravvivere durante la ritirata, passando da un villaggio all’altro con alterne fortune. Li guida un giovane sergente, che diventerà poi lo scrittore del romanzo. E a quel sergente Paolini dà voce, a modo suo. Il modo che abbiamo conosciuto da Vajont in poi e che offre agli spettatori momenti di profonda commozione. In sala, specie, verso la fine dello spettacolo, in molti, giovani e meno giovani, donne e uomini, hanno tirato fuori dalle tasche e dalle borsette i fazzoletti. Lacrime sincere, liberatorie, come se tutti volessero rendere un piccolo omaggio ai tanti morti della ritirata di Russia.

Grazie alla sensibilità dell’autore e dell’attore, leggendo o ascoltando il Sergente, si fa la conoscenza di esseri umani profondamente sconvolti dal conflitto, ma che mantengono fino in fondo la propria dignità: così il tenente Cenci, molto amico di Rigoni e generoso in battaglia; il caporalmaggiore Moreschi, sempre di buonumore nonostante tutto; Tourn, alpino piemontese che nasconde con allegria la paura; Lombardi, cupo e taciturno; il caporale Pintossi, calmo e flemmatico… piccoli grandi uomini che affrontano un’avventura spesso senza via d’uscita.

“Non c’è niente di più forte contro la guerra – ha detto in più di un’occasione Paolini - come invettiva antimilitarista, di qualcosa scritto da un ex soldato”.

In sala ci sono molti giovani. Forse è proprio a questi che Rigoni Stern (seduto nelle prime file accanto al suo amico tenente Cenci durante una delle serate milanesi) e Paolini si rivolgono con maggior “forza”: testi come Il sergente nella neve e spettacoli come Il Sergente regalano emozioni ma servono anche, specie in questo nostro smemorato Paese, a ricordare. Nessuno vuole “dare lezioni”. La lezione, in realtà, la dà la storia stessa. L’unica cosa che dobbiamo fare è impararla, o ricordarla.[/quote']

Archepensevoli spanciasentire Socing.

Link al commento
Condividi su altri Social

Crea un account o accedi per lasciare un commento

Devi essere iscritto per commentare e visualizzare le sezioni protette!

Crea un account

Iscriviti nella nostra community. È facile!

Registra un nuovo account

Accedi

Sei già registrato? Accedi qui.

Accedi Ora
×
×
  • Crea Nuovo...

 

Stiamo sperimentando dei banner pubblicitari a minima invasività: fai una prova e poi facci sapere come va!

Per accedere al forum, disabilita l'AdBlock per questo sito e poi clicca su accetta: ci sarai di grande aiuto! Grazie!

Se non sai come si fa, puoi pensarci più avanti, cliccando su "ci penso" per continuare temporaneamente a navigare. Periodicamente ricomparità questo avviso come promemoria.