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quando le Fiat innovative erano AUTOBIANCHI


nucarote

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Dire Autobianchi per molti equivale a dire "A112" oppure "Bianchina" (i più crudeli direbbero pure "Fantozzi", ma non ci riguarda...). In realtà tutti, quasi tutti, ricordiamo la ex casa automobilistica di Desio solo per gli unici tre "best seller" usciti dalle linee di montaggio ovvero le già citate Bianchina ed A112 e la Y10. Se dicessi di seguito "Primula, Stellina e A111" a pochissimi verrebbe in mente che stiamo parlando sempre e comunque di Autobianchi. E si, perché l'ex costruttore milanese è stato per Fiat una sorta di cavia da laboratorio, su cui sperimentare nuove soluzioni tecniche senza che, gli eventuali flop che ne sarebbero potuti derivare (e ce ne sono stati tre), intaccassero il prestigio del costruttore torinese stesso (erano gli anni '50 e Fiat era una grande azienda in espansione...). Ripercorriamo brevemente la storia della Autobianchi soffermandoci sui tre modelli meno conosciuti...

LA STORIA

Quando gli Alleati ed i Tedeschi si scocciarono di giocare ai soldatini sul nostro Patrio Suolo (perdonatemi il sarcasmo), lasciarono, come dire, "un po' di disordine": molte le città bombardate ed i monumenti storici distrutti. Ne cito uno che li vale tutti: l'Abbazia di Montecassino che era li quasi da mille anni... è bastato il carico di un aereo, decorato con stelle e strisce sulla carlinga, per distruggerla. Decine gli stabilimenti industriali, soprattutto metalmeccanici, ridotti a cumuli di macerie. Negli anni successivi, l'Abbazia di Montecassino fu ricostruita e tante aziende ripresero lentamente i ritmi di lavoro. Molte, nell'attesa della "ripresa" si riconvertirono (i più anziani ricorderanno i frigoriferi Fiat e le cucine Alfa Romeo), altre semplicemente non ce la fecero. La Bianchi, antica azienda milanese fondata nel 1885, fu una di queste.

Negli anni '50 Fiat prese "la palla al balzo" ed iniziò ad interessarsi del caso: l'undici gennaio del 1955, Fiat, Bianchi e Pirelli diedero vita alla "Società Autobianchi" che rilevò gli stabilimenti e le attrezzature della vecchia Bianchi ed avrebbe dovuto produrre modelli totalmente nuovi. Cosa ci guadagnava Fiat da tutto ciò? La disponibilità di un marchio, sostanzialmente nuovo e quindi ancora privo di identità, su cui sperimentare nuove soluzioni tecniche rischiando pochissimo.

Il primo concetto che balenava nella mente degli uomini Fiat era la produzione di una vetturetta di lusso dedicata alle donne (evidentemente si trattava di donne di una certa levatura, visti gli anni che correvano). Ovviamente proporre un'automobile sviluppata secondo simili concetti, con il marchio Fiat significava rischiare grosso, ed ecco che torna utile l'Autobianchi. La meccanica c'era già, quella della Nuova 500, impostare una nuova carrozzeria non fu difficilissimo e nel 1957 nacque la Bianchina. Inizialmente era una piccola vetturetta due porte con una graziosissima carrozzeria trasformabile (grazie al tetto in tela), poi divenne una molto meno graziosa berlinetta due porte e quattro posti (che conosciamo tutti grazie al personaggio di Paolo Villaggio nominato in apertura), poi un'elegante cabriolet ed una versatile giardinetta. La produssero fino al 1970 con motorizzazioni di 479 e 499 cc.

Domandina: "Cosa ci fu dopo la Bianchina?" "La A112!", risponderete in coro... sbagliando! Tra la Bianchina e la A112 ci sono stati tre modelli che ben pochi conoscono.

Nel 1963, esordì l'Autobianchi Stellina. Era una piccola spider costruita vestendo una scocca di base con una carrozzeria (udite, udite!) in vetroresina. Col senno di poi diremo che la scelta di produrre nel 1964 un'automobile con tali caratteristiche potrebbe essere derivata solo dallo spirito "avventuriero" (e, forse, anche un po' masochistico) di alcuni dirigenti. E' chiaro che, proporre ad un automobilista degli anni ‘60 una macchina con un'impostazione estetica eccessivamente lineare e rigorosa (che solo a fine decennio si sarebbe affermata), dotata di una capotina così esile da sembrare un ombrello, motorizzata con un motore di 762 cc derivato dal quattro cilindri della 600, dotata di carrozzeria in vetroresina che, nell'immaginario collettivo restava sempre e comunque fragilissima "plastica", e che costasse la non indifferente somma di 980.000 Lire; avrebbe potuto, nel migliore dei casi, suscitare nel soggetto di cui sopra grande ilarità, ovviamente dispregiativa, nei confronti di quella "macchinetta con la carrozzeria di plastica". Effettivamente così fu. A nulla valse l'impegno dei tecnici Fiat per rendere robusta la carrozzeria (a dire il vero gli irrobustimenti furono talmente "importanti" che il maggior pregio della vetroresina, ossia la leggerezza, andò a farsi benedire). A nulla valse la distribuzione di un kit per la "facile riparazione" della carrozzeria e l'inattaccabilità alla temutissima ruggine. A nulla valse l'adozione di un più generoso motore di 780 cc. In quattro anni, di Autobianchi Stellina, la prima auto italiana in vetroresina, ne produssero 502: ecco perché non ve la ricordavate!

Ma il 1964 fu anche l'anno della Primula. Qui le cose cambiano perché sicuramente qualcuno rammenta. Con la Primula, la Fiat sperimentò la trazione anteriore adattando al motore della 1100D, ossia un quattro cilindri di 1221 cc con 59 cv, un nuovo cambio trasversale. La Primula si presentava esteticamente come una pratica berlina due volumi due porte, con portellone (altra novità) per facilitare le operazioni di carico. Inizialmente il pubblico dimostrò di gradire la nuova media e ciò spinse la Fiat ad approntare nuove versioni a due porte (senza portellone), quattro porte ed una interessantissima coupè dotata del medesimo motore, ma potenziato a 65 cv. Con il restyling del 1968 la Primula berlina, che non riuscì più ad eguagliare i numeri dei primissimi anni, fu dotata del motore 1197cc e 65cv che equipaggiava la 124, mentre la Primula coupè ebbe l'onore di montare lo storico 1438 cc da 75 cv delle 124 Sport e Spider.

La Primula abbandonò i listini in sordina nel 1970 e dopo aver lasciato il segno in Francia, mercato da sempre attento ai prodotti innovativi e controcorrente, fu sostituita dalla A111. E qui torna il buio totale nella vostra mente: lo immagino...

Essa ricordava molto sia la 128 che alla 124 tant'è che la somiglianza è veramente imbarazzante e può trarre in inganno anche i più ferrati in materia. Il tutto è dovuto al design della vettura che nel profilo ricorda molto le 124/125 Fiat (tanto da indurre la supposizione che tra la 124 e la berlina di Desio ci sia una parentela stretta anche a livello telaistico), mentre nel frontale e nella coda fa il verso alla 128. La meccanica deriva da quella della Primula coupè, quindi motore 1438 cc della 124 e trazione anteriore. All'interno la A111 stupisce per la ricchezza degli arredi e l'accuratezza delle rifiniture. Delle qualità di questa berlina se ne accorse lo stesso numero di persone che, attualmente, se la ricorda... e ci siamo capiti. Così nel 1972 fu cancellata dai listini Autobianchi.

Intanto nel 1969 nacque la A112. Il motore era quello della Fiat 850 Sport, e la meccanica derivava dalla Fiat 128 (nata grazie alle esperienze condotte con la Primula). Le doti dinamiche della nuova utilitaria Autobianchi erano sorprendenti (e non mi riferisco alla gloriosa Abarth): soprattutto nella prima versione, la vettura aveva uno sprint degno di una sportiva e del tutto inaspettato da un piccolo motore di 900 cc. Anche la A112, nei primi anni di produzione, riuscì a scalfire il cuore dei clienti francesi e successivamente prestò la meccanica ad un analogo best seller Fiat: la 127. Nel 1986, dopo 17 anni, la A112 uscì di scena lasciando spazio alla Y10, presentata l'anno prima, che, però, di "Autobianchi" conservava solo il marchio (limitatamente all'Italia, all'estero era già una Lancia) essendo, la casa di Desio definitivamente morta nel 1969, anno in cui Fiat (divenuta proprietaria al 100% di Autobianchi) decise di incorporarla a se decretando la fine prematura della "Società Autobianchi". Il marchio, è storia recente, scomparirà alla fine del 1995.

Non sempre la fortuna aiuta gli audaci...

Fonte Omniauto.it

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