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Liberata Giuliana Sgrena


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Inviato

Come contributo alla discussione, riporto l'interessante articolo di Giuseppe D'Avanzo su "Repubblica" di oggi.

NULLA di nuovo. La ricostruzione di Gianfranco Fini conferma - naturalmente con dettagli più nitidi - quanto già era noto. Soprattutto in due punti essenziali. Esiste un'insanabile contraddizione tra la versione della pattuglia americana in perlustrazione lungo l'autostrada per l'aeroporto di Bagdad e il racconto del nostro agente segreto sopravvissuto alla sparatoria che ha ucciso Nicola Calipari. Gli americani dicono: l'auto arriva a gran velocità; non si ferma all'alt; continua la sua corsa anche dopo la raffica sparata in aria. Il nostro agente' date=' confortato dal ricordo di Giuliana Sgrena, corregge: viaggiamo a non più di 40 chilometri orari; non ci è intimato lo stop; ci accecano con un faro e, nello stesso istante, cominciano a sparare; dopo, ci chiedono scusa. La seconda conferma, che si ricava dalle parole di Fini, riguarda noi italiani, le nostre mosse. Trattiamo con i sequestratori, paghiamo un riscatto. (Chiedono al ministro: è stato pagato un riscatto? Fini non nega. Risponde, accorto: "Abbiamo seguito le vie diplomatiche, politiche, di intelligence").

All'aeroporto non informiamo gli americani che Calipari è a Bagdad per riportare in Italia l'ostaggio. (Dice Fini: "Si comunica la presenza per ottenere le agevolazioni del caso, non l'obiettivo della nostra presenza"). La ricostruzione del governo ha dunque due cardini. Gli americani mentono. Noi abbiamo nascosto agli americani la nostra attività. Nello sbrogliare questa doppia menzogna può esserci il senso dell'intervento di oggi al Senato del presidente del Consiglio. Che sarà più imbarazzato dall'affrontare la seconda (la nostra menzogna) che non la prima. Ecco perché.

Per il nervosismo dei soldati americani, i check point a Bagdad sono pericolosi quanto, per la minaccia dei kamikaze, le caserme della polizia irachena. Si muore per caso. Il Pentagono è da tempo sotto pressione per l'assoluta incapacità delle truppe, spesso inesperte, ad assolvere questo compito di controllo del territorio. Il New York Times di ieri, per fare un esempio, è molto severo con le regole di ingaggio. Il giornale osserva che l'assalto a Calipari "non è un caso isolato". Ricorda che in gennaio due genitori iracheni sono stati crivellati di colpi a un posto di blocco davanti agli occhi dei quattro bambini che viaggiavano con loro in auto.

Entrambi i casi, "e presumibilmente altre centinaia", dimostrano - conclude il Times - che i civili iracheni "non devono vivere solo nel terrore dei kamikaze e dei ribelli mascherati, ma devono aver paura anche di essere scambiati per ribelli da forze americane sul chi vive, a cui è stato detto di sparare prima e poi chiedersi perché lo hanno fatto".

Gli americani dunque sanno (perdonate la brutalità) di avere un problema anche prima di venerdì notte. La morte di Nicola Calipari è, per loro, soltanto l'ulteriore conferma che il problema va affrontato al più presto e finalmente. Però, gli italiani - proprio loro - non possono alzare più di tanto la voce perché si sono messi nei guai da soli. Si sono messi in una situazione di pericolo per le loro doppie intenzioni. Tacciono della missione. Non chiedono all'alleato alcun sostegno né logistico né tecnologico né militare. "Scelgono il basso profilo" (Fini). Mascherano la missione con un'azione di routine (il movimento di un funzionario d'ambasciata). Va detto che per Calipari è una scelta fottuta, ma obbligata. Gli alleati non devono sapere dell'ostaggio. Un paio di settimane fa, le forze della coalizione credono di aver individuato la prigione di Giuliana. Propongono a Roma l'intervento della Delta Force. Garantiscono "al 75 per cento" un esito non cruento per l'ostaggio. Gianni Letta non se la sente. La percentuale di un rischio mortale è troppo alta. Non se ne fa niente. Si imbocca la fase conclusiva della trattativa e del pagamento del riscatto.

La mossa determina tutti i passi successivi di Nicola Calipari. L'agente si impegna con i sequestratori ad arrivare da solo sul luogo di consegna. Con un'auto presa a nolo. Nessun rivelatore di posizione (Gps). Nessuna scorta. Nessun contatto con gli americani. Nessun allarme in ambasciata (dove pure il maggiore che l'accompagna ha amici fraterni nel Ros dei carabinieri di cui ha fatto parte). Di più. Subito dopo, Calipari corre verso l'aeroporto per superare altri due ostacoli. Se si fosse trattenuto in ambasciata, alla notizia della liberazione di Giuliana Sgrena, gli americani avrebbero voluto interrogarla per strapparle un'indicazione, una traccia, un indizio che potesse avvicinare le special forces agli uomini della banda. E, dopo gli americani, con le stesse domande, si sarebbero fatti sotto gli uomini del governo iracheno, titolari legittimi dell'inchiesta. Forse nel patto stretto con i sequestratori Nicola si è impegnato a evitare un interrogatorio dell'ostaggio. Forse crede che un de-briefing iracheno-americano di Giuliana minerebbe l'affidabilità della sua mediazione in trattative future. Così è costretto a tagliare la corda più rapidamente possibile. Fino a quell'improvvisato e assassino check-point predisposto per proteggere il passaggio dell'ambasciatore Negroponte.

In queste condizioni Berlusconi può davvero chiedere conto a Washington della morte di Calipari? O al contrario (come sembra anticipare il colonnello Barry Veneble, portavoce del Pentagono) sarà Washington a chiedere ragione a Berlusconi di un comportamento obliquo che aggira le regole della coalizione, accettate anche dal governo italiano o comunque mai contestate? La questione (ci si augura che il premier voglia affrontarla) interpella il metodo che abbiamo scelto per risolvere le crisi degli ostaggi. Trattiamo e paghiamo. La politica della trattativa, mai pubblicamente né discussa né confermata, costringe - da un lato - gli agenti come Nicola Calipari in un vicolo strettissimo dove devono muoversi senza alcuna rete di protezione; dall'altro, produce strappi e smagliature a un corretto e limpido processo decisorio. Pagare i sequestratori è illegale. Vietato dalla legge che punisce "chi si adopera con qualsiasi mezzo per far conseguire agli autori del delitto il prezzo della liberazione della vittima" (legge n.82, 15 marzo 1991, art. 1, comma 4). Per aggirare il divieto, Gianni Letta, il paziente solutore di problemi, coinvolge ufficiosamente nella decisione i possibili controllori delle scelte del governo. Informa i leader dell'opposizione (Fassino e Rutelli) dell'opzione scelta. Dà comunicazione, informale, al comitato di controllo parlamentare di Enzo Bianco. Convoca a Palazzo Chigi finanche il pubblico ministero Franco Ionta, coordinatore del pool antiterrorismo della procura di Roma. Tutti sono al corrente che una trattativa è in corso e presto sarà pagato un riscatto. Svaniscono ruoli, funzioni e compiti. Chi deve vigilare (dentro e fuori il Parlamento) su una decisione che spetta in autonomia al governo la condivide diventando il silente co-protagonista. Gli esiti, una volta risolta la crisi, sono ancor più nebbiosi. Gli ostaggi devono confermare la versione costruita dal governo. Così Maurizio Scelli, un privato cittadino, interpreta per il pubblico, e soprattutto dal salotto di Porta a Porta, il ruolo di "liberatore ufficiale". E' la sua parte in commedia. Simona Torretta conferma. Lo conferma anche a quei magistrati che hanno condiviso con Letta la decisione di pagare il riscatto. Poi uccidono Nicola e Simona ammette che è stato Calipari, l'agente segreto, a risolvere il sequestro. Scelli ammette.

L'assassinio di Nicola Calipari ha screditato il sistema. E' un discredito che può essere salutare. Finalmente possiamo discutere all'aria aperta delle nostre scelte strategiche. E' conveniente pagare i sequestratori? Questa pratica può renderci più esposti alle aggressioni? Crediamo di poter assumere la responsabilità di finanziare con il prezzo del ricatto (a quanto pare, finora, più o meno quindici milioni di dollari) bande di criminali o frange della resistenza o gruppi terroristici?

Si può decidere che non è più tempo di "fermezza", naturalmente. A quanto pare, un larghissimo fronte politico e d'opinione ritiene la trattativa e il riscatto una buona soluzione del problema. Bene, ma perché lasciar scivolare una decisione - in ipotesi, largamente condivisa - tra gli arcana imperii? Si modifichi la legge. Non lo si vuole fare. Troppo macchinoso. Si proteggano quelle operazioni con il segreto di Stato prevedendo più adeguate procedure di controllo da parte del comitato parlamentare. In ogni caso, si renda esplicita la nostra politica e chi deve governarla. Eviteremmo i "misteri italiani" (sempre forieri di altri guai), qualche vertigine istituzionale, le menzogne dei poveri ostaggi, le sconnesse rappresentazioni mediatiche. E forse potremmo anche guadagnare un maggiore rispetto di noi stessi e degli altri. La morte di Nicola Calipari impone che questi temi siano affrontati alla luce del sole. La speranza è che oggi cominci a farlo Silvio Berlusconi. [/quote']

Archepensevoli spanciasentire Socing.

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Inviato
queste sono le ragioni del mio incazzo ogni volta ....

siamo difronte a persone ,la SGRENA e LE DUE VISPE TERESE ,che invece di

mantenere il riserbo e parlare nei luoghi opportuni fanno dichiarazioni

dicono bugie.....

La SGrena ha detto che sono stati 300 colpi...ma dove l'avete vista l'auto

dove sono 300 colpi !!!!!!!

perchè ha mentito ?

antimericanismo ,lotta contro il governo berlusconi ...il tutto condito

da un cinismo bastardo ,utilizzare questa tragedia per fini politici .

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Inviato
queste sono le ragioni del mio incazzo ogni volta ....

siamo difronte a persone ,la SGRENA e LE DUE VISPE TERESE ,che invece di

mantenere il riserbo e parlare nei luoghi opportuni fanno dichiarazioni

dicono bugie.....

La SGrena ha detto che sono stati 300 colpi...ma dove l'avete vista l'auto

dove sono 300 colpi !!!!!!!

perchè ha mentito ?

"Io non ce l'ho co' te, ma co' quello che te sta vicino e nun te butta de sotto!"

Inviato
Ragazzi, i colpi in realtà erano 3, li ha sparati un irakeno e a bodro della macchina c'erano peter pan e la fata turchina.

Ora sentiamo cosa latro vogliono farmi credere...

Mi vergogno della mia nazione, del mio governo, incapace di dimostrare un minimo di identità nazionale, marionetta nelle mani americane... Siamo proprio caduti in basso. Nessuno che abbia un pò di cojoni, in questo governo (ovviamente IMHO)

Ci solleveremo dalle tenebre dell'ignoranza, ci accorgeremo di essere creature di grande intelligenza e abilità. Saremo liberi!Impareremo a volare! Richard Bach, 1973," Il gabbiano Jonathan Livingston"

Inviato

Detto tra le righe, a partire da Quattrocchi e finire a Calipari credo che gli italiani (non c'entra col governo) di cojoni ne stanno dimostrando fin troppi!

Anche i militari si stanno dimostrando meglio preparati di gran parte della, forse troppo allargata, truppa usa.

Ci solleveremo dalle tenebre dell'ignoranza, ci accorgeremo di essere creature di grande intelligenza e abilità. Saremo liberi!Impareremo a volare! Richard Bach, 1973," Il gabbiano Jonathan Livingston"

Inviato
Detto tra le righe' date=' a partire da Quattrocchi e finire a Calipari credo che gli italiani (non c'entra col governo) di cojoni ne stanno dimostrando fin troppi!

Anche i militari si stanno dimostrando meglio preparati di gran parte della, forse troppo allargata, truppa usa.[/quote']

QUOTO al 1000 X 1000

anzi aggiungerei ,che come nelle moderne e compiute democrazie ,i trabocchetti politici si fanno solo in campagna elettorale ...

l'atteggiamoento della sinistra nelle vicenda Irakena ,nei rapporti con gli USA ,,,e in europa ...in questo sistematico parlare del'italia come sottomessa agli USA ...e isolata in europa

è stato un atteggiamento antiitaliano.

i panni sporchi si lavano in casa.

Inviato

Un'altra testimonianza sempre da Repubblica, che ritengo opportuno presentare

La lotteria dei migranti

e quel funzionario efficiente

Era un mese fa. Quel che nel frattempo è successo, richiama il ricordo e, nello stesso tempo, rende difficile raccontarlo: questa storia può suonare come un melenso apologo. Ma è un rischio che val la pena di correre: ci sono malinconie che vale la pena di condividere.

Dunque si chiacchierava con Marcia, la tata di mio figlio, che è nata in Ecuador e vive in Italia da una decina d'anni. Come spesso accade, l'argomento era la condizione dei migranti. Su un giornale avevamo appena letto la notizia della singolare iniziativa di alcuni agenti di un commissariato di periferia assediato da stranieri in attesa del permesso di soggiorno. Questi agenti avevano dato a ognuna delle persone assiepate davanti al commissariato un biglietto con un numero. Quindi avevano proceduto all'estrazione dei quattro fortunati vincitori che, quel giorno, avrebbero avuto il privilegio d'essere ricevuti negli uffici e, chissà, d'ottenere finalmente l'indispensabile documento. Una lotteria.

I migranti, forse perché c'inciampano a ogni passo della loro vita italiana, hanno verso le follie burocratiche un elevatissimo grado di tolleranza. Tutto sommato, commentammo, almeno il problema dei quattro fortunati era stato risolto. Meglio così. Già, ma non era sorto il dubbio ai poliziotti che il sistema adottato per la selezione potesse offendere la sensibilità di quella gente? Cosa sarebbe successo se un'iniziativa analoga fosse stata assunta, nei confronti di cittadini italiani, dall'impiegato di uno sportello postale troppo affollato? Assurdo anche solo pensarci.

Marcia, tutte le volte che ha a che fare con qualche ufficio pubblico, aggiorna una sua personale graduatoria della gentilezza e della civiltà. Certo, anche l'efficienza è molto importante. Ed è alla fine preferibile un impiegato maleducato (che per esempio dà del tu a uomini e donne molto più anziani di lui solo perché hanno la pelle scura) di uno gentile ma incapace. Però esistono anche i funzionari pubblici che uniscono efficienza e umanità. Non sono rarissimi ma, quando le capita d'incontrarli, Marcia è sempre un po' sorpresa. Se li ricorda.

Come quella volta, circa tre anni fa, quando, in tarda primavera, il suo permesso di soggiorno ancora non era stato rinnovato. Un bel guaio perché, di lì a un mese, sarebbe dovuta partire per l'Ecuador. Era tutto organizzato: biglietto aereo, ferie, e, soprattutto, a Quito, un'interminabile serie di appuntamenti con avvocati, funzionari del consolato, giudici. Marcia, infatti, andava in Ecuador per prendere suo figlio, un bambino di dieci anni, e portarlo definitivamente in Italia. Se il permesso di soggiorno non fosse arrivato per tempo, l'intero programma, faticosamente costruito nei mesi precedenti, sarebbe saltato. Un disastro.

Chiesi consiglio ad amici esperti. Uno di loro mi suggerì di fare la cosa più semplice. Si trattava veramente di una situazione particolare, di reale urgenza. Non dovevo fare altro che scrivere una breve relazione e inviarla "all'attenzione del dirigente dell'ufficio stranieri". Sapevo dell'assedio di migranti davanti alle questure: in quel caos aveva senso segnalare un problema con un semplice fax? Qualcuno l'avrebbe letto? Comunque seguii il suggerimento. Dopo qualche giorno telefonai alla questura, chiesi della segreteria dell'Ufficio stranieri. Avevano letto la relazione e fissato un appuntamento per pochi giorni dopo.

Marcia, quando un mese fa ne parlammo, ricordava perfettamente quella giornata di fine primavera: entrammo in questura, raggiungemmo l'ufficio competente, fummo indirizzati a uno sportello dove ci consegnarono il documento. Un trattamento privilegiato? Non credo. Era davvero un caso urgente, e infatti anche altri furono risolti allo stesso modo. E poi, quando si tratta di un favore, chi l'ha fatto trova il modo di sottolineare il proprio ruolo. Lo fa pesare. Quella volta, invece, il dirigente che aveva predisposto tutto nemmeno lo vedemmo né, in seguito, ebbi modo di sentirlo. Ci chiedemmo come si chiamava. Ne avevo annotato il nome sull'agenda, era lui il destinatario della relazione. Per curiosità andai a controllare. Nella pagina del 7 giugno c'era scritto: "Dott. Nicola Calipari".

Adesso è chiaro il perché del timore che questa storia suoni come un apologo. E' il rischio che corre la realtà quando incrocia speciali combinazioni di coincidenze. Però è bello pensare che il nostro paese possa non aver bisogno di eroi. E che l'ultimo gesto di quelli che lo diventano sia stato coerente con altri gesti, piccoli, della loro vita.

Archepensevoli spanciasentire Socing.

Inviato

ragazzi secondo le rcorstruzioni l'auto andava a 40 km/h, nessun colpo è stato sparato al motore, ma tutti verso i finestrini

in pratica americani porci bastardi, hanno AMMAZZATO un italiano e non c'è politica da fare sopra, diciamolo chiaramente gli americani possono ammazzare qualunque italiano facendola franca e non è la prima volta che accade, vergogniamoci

io li sterminerei tutti

  • Ieri: Fiat Panda 900 Young (1998) - AB Y10 II Avenue (1993) - Fiat Panda 1.2 DynamicClass (2004) - Fiat Punto Evo 1.4 GPL (2010)
  • Oggi: Ford Focus SW 1.6 Tdci 90cv (2009) e Lancia Ypsilon 1.2 (2016)
  • Ieri: Aprilia Rally II L.C. 50cc (1996) - Piaggio Vespa PX 150 (2002) - Honda Hornet 600 II (2006)
  • Oggi: Honda Hornet 600 III (2007) e Piaggio Vespa PX 150 (2000)

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