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LaPadania contro Fiat


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http://www.lapadania.com/PadaniaOnLine/Articolo.aspx?pDesc=40305,1,1

DALLA PANDA ALLE FELPE...

gianluigi paragone Con questo editoriale mi gioco la pubblicità della Fiat sulle pagine della Padania. Amen. Vorrà dire che sarò preso a calci nel sedere. Però siccome certe cose qualcuno le deve dire, consiglio subito il nostro ufficio commerciale a guardare verso altri lidi.

Di cosa farnetico? Di Fiat, fabbrica italiana automobili Torino. Un marchio bugiardo: di italiano la casa sabauda ha sempre meno; di torinese rischia di non avere più nulla. I dati che vi illustriamo all’interno del giornale proiettano la Fiat in Polonia, in Turchia, in Brasile e ora, grazie a un accordo con una società del posto, in Iran.

Che top manager a Torino... Con una mano prendono dallo Stato e con l’altra portano via, cioè delocalizzano all’estero. E gli operai, ad Arese come a Termini Imerese, vengono lasciati a casa. A spese del governo. Anzi dei governi, perché la manfrina è lunga mezzo secolo e passa.

...E poi ti vengono a dire che vorrebbero ringraziarci in italiano. Due considerazioni. La prima è che ci piacerebbe che producessero anche in italiano: oltre la metà della produzione è fatta all’estero; Mirafiori ormai fa bruscolini e la chiusura dello stabilimento sembra scritta nel cielo. Provate a pensare anche al danno provocato sull’indotto che il pianeta Fiat generava nella provincia torinese.

La seconda considerazione riguarda invece la qualità delle automobili. C’era un tempo quando a pronunciare Alfa Romeo, Lancia, Ferrari, Maserati mettevi in soggezione il mondo. L’Alfa... beh, la casa lombarda ti faceva innamorare a tal punto che persino mister Ford si toglieva il cappello al passaggio delle macchine marchiate con la croce rossa e con il biscione verde. Ferrari e Maserati... dobbiamo dire qualcosa? Direi che è inutile, parla il mito.

La Lancia aveva il suo segmento importante di mercato. E anche la Fiat aveva il suo bel perché: fu la casa sabauda a regalare il sogno a quattro ruote agli italiani. Dai suoi stabilimenti uscivano modelli a misura di tutte le tasche. La Fiat era l’azienda italiana, nel bene e nel male. Era la famiglia Agnelli, la dinastia con le sue luci e le sue ombre.

Che storia raccontiamo adesso? La storia di un’azienda guardata a vista dalle banche. Di casse integrazioni che pesano sul gobbone dei contribuenti. Di auto che faticano a scrollarsi di dosso critiche non infondate. Di una classe dirigente impegnata su troppi fronti fuorché il core business storico.

Per anni la fabbrica torinese ha perso terreno a svantaggio dei competitor stranieri su fasce di mercato che erano sue: la Fiat del tempo andato invase le strade con la 500, la Fiat del caos ha prodotto la Cinquecento, una replica a dir poco imbarazzante (tra l’altro a prezzi esagerati). Idem con la 600, divenuta Seicento... Nel frattempo i giapponesi, i francesi e tutti gli altri sfornavano macchine una più carina dell’altra, ben accessoriate e proposte al mercato a prezzi ragionevoli.

La Fiat aveva la Campagnola: si è fatta bagnare il naso da tutti con i Suv, linea di cui è sprovvista... meno male che c’è almeno la Panda 4x4 a presidiare quel settore, anche se con costi non misurati a quelli dei concorrenti.

Tutto questo lo diciamo, facendo finta che la Duna e le sue sorellastre non siano mai esistite. Ma sarebbe un errore non dire di quale strategia sono figli quegli obbrobri. Sono figli del disinteresse verso il design e le firme: a Torino si sono fatti scappare i grandi stilisti dell’auto, quali Pinin Farina, Giugiaro e Bertone. Qualcuno ci spiega come il gruppo Fiat può tornare competitivo senza curare la forma, cioè una delle prime regole di scelta?

In questi anni di crisi pesta, Fiat ha avuto un management che differenziava il business “a spanne”, con risultati quantomeno criticabili. Persino nel calcio, la Juve non è più la Juve purosangue: hanno fatto entrare i libici. In attesa dell’arrivo dei Cinesi con cui starebbero già trattando per un ingresso in Fiat dopo la vicenda General Motors.

L’industria automobilistica ha una storia padana. È scritto nei marchi di Fiat e di Alfa. La chiusura di ogni stabilimento è una ferita aperta per le professionalità che perdiamo a tutto vantaggio di operai sottopagati in terra straniera.

Oggi il debito di Fiat ammonta a 5 miliardi di euro: chissà se i fratelli Elkann e il presidente fighetta pensano davvero di ripianare il rosso vendendo felpe, cappellini e scarpette, profumi e balocchi. O limitandosi a tagliare la pubblicità sulla Padania.

Presto, cari lettori, vi dirò che prezzo ha la libertà di parola.

[Data pubblicazione: 10/05/2005]

____________________________________________________________

Commenterò dopo averlo letto bene, però sembra che ci siano andati belli pesanti..

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"Ai consideres des fleg of de Iunaite Steiz nos onli a fleg of e cantri, bus is a iuniversal messagg of fridom e democrassi"

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Nel punto dove parla dell' impegno della famiglia Agnelli su altri fronti, diversi dall' automobile, mi sembra sia già stato affrontato da altri giornali, anche Quattroruote.

Proverò a leggere meglio il resto.

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https://www.facebook.com/pages/CMW/159402987447431?fref=ts

Norbert Reithofer: "L' 80% dei nostri clienti è convinto che l' iDrive sia un prodotto Apple!"

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Guest DESMO16
DALLA PANDA ALLE FELPE...

gianluigi paragone Con questo editoriale mi gioco la pubblicità della Fiat sulle pagine della Padania. Amen. Vorrà dire che sarò preso a calci nel sedere. Però siccome certe cose qualcuno le deve dire, consiglio subito il nostro ufficio commerciale a guardare verso altri lidi.

Di cosa farnetico? Di Fiat, fabbrica italiana automobili Torino. Un marchio bugiardo: di italiano la casa sabauda ha sempre meno; di torinese rischia di non avere più nulla. I dati che vi illustriamo all’interno del giornale proiettano la Fiat in Polonia, in Turchia, in Brasile e ora, grazie a un accordo con una società del posto, in Iran.

Che top manager a Torino... Con una mano prendono dallo Stato e con l’altra portano via, cioè delocalizzano all’estero. E gli operai, ad Arese come a Termini Imerese, vengono lasciati a casa. A spese del governo. Anzi dei governi, perché la manfrina è lunga mezzo secolo e passa.

...E poi ti vengono a dire che vorrebbero ringraziarci in italiano. Due considerazioni. La prima è che ci piacerebbe che producessero anche in italiano: oltre la metà della produzione è fatta all’estero; Mirafiori ormai fa bruscolini e la chiusura dello stabilimento sembra scritta nel cielo. Provate a pensare anche al danno provocato sull’indotto che il pianeta Fiat generava nella provincia torinese.

La seconda considerazione riguarda invece la qualità delle automobili. C’era un tempo quando a pronunciare Alfa Romeo, Lancia, Ferrari, Maserati mettevi in soggezione il mondo. L’Alfa... beh, la casa lombarda ti faceva innamorare a tal punto che persino mister Ford si toglieva il cappello al passaggio delle macchine marchiate con la croce rossa e con il biscione verde. Ferrari e Maserati... dobbiamo dire qualcosa? Direi che è inutile, parla il mito.

La Lancia aveva il suo segmento importante di mercato. E anche la Fiat aveva il suo bel perché: fu la casa sabauda a regalare il sogno a quattro ruote agli italiani. Dai suoi stabilimenti uscivano modelli a misura di tutte le tasche. La Fiat era l’azienda italiana, nel bene e nel male. Era la famiglia Agnelli, la dinastia con le sue luci e le sue ombre.

Che storia raccontiamo adesso? La storia di un’azienda guardata a vista dalle banche. Di casse integrazioni che pesano sul gobbone dei contribuenti. Di auto che faticano a scrollarsi di dosso critiche non infondate. Di una classe dirigente impegnata su troppi fronti fuorché il core business storico.

Per anni la fabbrica torinese ha perso terreno a svantaggio dei competitor stranieri su fasce di mercato che erano sue: la Fiat del tempo andato invase le strade con la 500, la Fiat del caos ha prodotto la Cinquecento, una replica a dir poco imbarazzante (tra l’altro a prezzi esagerati). Idem con la 600, divenuta Seicento... Nel frattempo i giapponesi, i francesi e tutti gli altri sfornavano macchine una più carina dell’altra, ben accessoriate e proposte al mercato a prezzi ragionevoli.

La Fiat aveva la Campagnola: si è fatta bagnare il naso da tutti con i Suv, linea di cui è sprovvista... meno male che c’è almeno la Panda 4x4 a presidiare quel settore, anche se con costi non misurati a quelli dei concorrenti.

Tutto questo lo diciamo, facendo finta che la Duna e le sue sorellastre non siano mai esistite. Ma sarebbe un errore non dire di quale strategia sono figli quegli obbrobri. Sono figli del disinteresse verso il design e le firme: a Torino si sono fatti scappare i grandi stilisti dell’auto, quali Pinin Farina, Giugiaro e Bertone. Qualcuno ci spiega come il gruppo Fiat può tornare competitivo senza curare la forma, cioè una delle prime regole di scelta?

In questi anni di crisi pesta, Fiat ha avuto un management che differenziava il business “a spanne”, con risultati quantomeno criticabili. Persino nel calcio, la Juve non è più la Juve purosangue: hanno fatto entrare i libici. In attesa dell’arrivo dei Cinesi con cui starebbero già trattando per un ingresso in Fiat dopo la vicenda General Motors.

L’industria automobilistica ha una storia padana. È scritto nei marchi di Fiat e di Alfa. La chiusura di ogni stabilimento è una ferita aperta per le professionalità che perdiamo a tutto vantaggio di operai sottopagati in terra straniera.

Oggi il debito di Fiat ammonta a 5 miliardi di euro: chissà se i fratelli Elkann e il presidente fighetta pensano davvero di ripianare il rosso vendendo felpe, cappellini e scarpette, profumi e balocchi. O limitandosi a tagliare la pubblicità sulla Padania.

Presto, cari lettori, vi dirò che prezzo ha la libertà di parola.

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Guest DESMO16
ma quante minkiate....ma che guardino le altre aziende mondiali di auto che producono ovunque tranne che nei paesi di origine

io ho una fiat e assemblata a TORINO!!altro che iran...che si informino prima di scrivere 'sti ignoranti

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Diciamo pure che , stanti le affermazioni dell'articolo, se un giorno La Padania venisse a mancare dalle nordiche edicole , mi dispiacerebbe alquanto perchè a fare cabaret rimarrebbero solo Colorado cafè e Zelig

Mavacaghèr....

Certo di sollevare un vespaio...

Cordiali saluti

Nicoterù

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ma quante minkiate....ma che guardino le altre aziende mondiali di auto che producono ovunque tranne che nei paesi di origine

io ho una fiat e assemblata a TORINO!!altro che iran...che si informino prima di scrivere 'sti ignoranti

stiamo parlando di compromesso, momentaneamente, si farà, ci sarà........

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Si ma non capisco perchèda un lato spendono parole di gioia x la Moto Guzzi e Aprlia(cosa giustissima) e voglio solo infangare FIAT....

Perchè?alla fine fiat,lancia,alfa romeo,maserati e ferrari stanno in PADANIA....e avere stabilimenti altrove è una logica conseguenza dello sviluppo....i tempi della fabbrica unica e centrali sono finiti da un bel po di decenni.....forse dovrebbero capirlo

stiamo parlando di compromesso, momentaneamente, si farà, ci sarà........

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