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GP di Monaco - Una sfida unica per piloti e tecnici


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GP di Monaco - Una sfida unica per piloti e tecnici

Monte Carlo, 17 maggio – Il Gran Premio di Monaco è giustamente famoso non solo per la lunga tradizione o l’ambientazione unica che lo caratterizzano, ma anche per l’eccezionale sfida tecnica che rappresenta nei confronti di piloti e tecnici.

Per dirla tutta, se gli organizzatori della gara si candidassero oggi per ottenere l’autorizzazione a far disputare il Gran Premio, le autorità sportive non darebbero mai il nulla osta, considerata natura del circuito. Una sede stradale estremamente stretta, la superficie piena di avvallamenti, deturpata dalla segnaletica stradale orizzontale e dai tombini, sono infatti elementi che non si intonano affatto con la Formula 1 moderna e con le sue mega-strutture adatte ad ospitare VIP e visitatori di riguardo. Per adeguare Monte Carlo alle esigenze del Circus, lo scorso anno è stato realizzato un nuovo Paddock, più grande e confortevole. Nonostante tutte queste contraddizioni, il binomio Formula 1 – Gran Premio di Monaco rimane inscindibile, tanto quanto quello Formula 1 – Ferrari.

Fino a qualche anno fa la corsa di Monaco impegnava severamente i piloti nell’atto della cambiata, oggi i meccanismi dispositivi al volante hanno reso meno gravoso il compito dei corridori ma per il cambio in sé, considerato come elemento tecnico della monoposto, il carico di lavoro su questa pista rimane molto alto.

La scatola del cambio è senza dubbio uno dei componenti più delicati tra quelli presenti sulle vetture di Formula 1, in termini di progettazione, costruzione e sviluppo. Non è un elemento che contribuisce in modo essenziale alle prestazioni della vettura ma è piuttosto uno dei fattori che incide di più sull’affidabilità. “Il design della scatola cambio è strettamente connesso alle esigenze aerodinamiche della vettura – dice Diego Ioverno, specialista per quanto riguarda i cambi della Scuderia Ferrari Marlboro -. La sfida più grande che ci troviamo ad affrontare è riuscire a realizzare un cambio efficiente, alloggiandolo all’interno dello spazio fisico che ci viene concesso dagli aerodinamici”.

Le nuove regole tecniche varate in questa stagione hanno costretto i tecnici ad apportare importanti modifiche strutturali a questa componente della monoposto. Ciò si è reso necessario soprattutto in relazione alla nuova configurazione del fondo vettura che ora viene a trovarsi ancora più vicino alla scatola. “Quando ci siamo trovati a ragionare su come interpretare le nuove regole, l’obiettivo che ci siamo posti è stato di riuscire a ottenere dal nuovo pacchetto-vettura nel suo complesso gli stessi livelli di prestazione che avevamo in precedenza. Per ottenere questo risultato abbiamo dovuto sacrificare l’area del cambio – continua Ioverno -. Convivere con le limitazioni e fare sempre del nostro meglio fa parte del nostro lavoro, ma in questo caso possiamo davvero affermare che ci siamo dovuti confrontare con un situazione particolarmente scomoda: il cambio infatti può essere visto come una componente che dissipa l’energia, essendo collocato proprio fra il motore e le ruote!”.

In sintesi: più grande è il cambio, maggiore sarà la sua affidabilità, ma dimensioni e peso sono inversamente proporzionali alle prestazioni e i tecnici sono continuamente impegnati nel tentativo di rendere la vettura sempre più leggera, così da poter collocare il peso nelle parti più basse della macchina, usando la zavorra per abbassare il più possibile il baricentro.

Non è un segreto che il cambio della F2005 abbiamo sofferto di qualche problema di affidabilità, dovuti alla sua gioventù, e Ioverno rivela che questi inconvenienti sono la conseguenza della nuova filosofia progettuale e costruttiva con cui è stata realizzata la scatola: “Il grande cambiamento rispetto all’anno scorso è stato il tipo di materiale utilizzato per realizzare la scatola del cambio – spiega il tecnico di Maranello -. Due anni fa avevamo usato il titanio, lo scorso anno abbiamo optato per la soluzione carbonio – titanio e quest’anno l’uso del carbonio è preponderante, quest’ultimo però è un materiale piuttosto difficile da manipolare. Nel momento in cui ci si rivolge ad una nuova tecnologia si imparano molte cose ma al tempo stesso ci si scontra con nuovi problemi. La nostra sfida consiste proprio in questo, aggiungiamoci poi il fatto che i tempi di sviluppo sono estremamente ridotti”.

Può sembrare strano che la scatola del cambio, che ad un osservatore distratto può apparire come un semplice contenitore per gli ingranaggi stessi, possa causare dei problemi.”Gli ingranaggi del cambio e gli altri particolari si muovono in relazione a quanto ciò che li contiene lo permette, perché la scatola funge anche da supporto di questi elementi – spiega Ioverno -. Dal punto di vista ingegneristico, la difficoltà consiste nelle diverse condizioni termiche in cui operano gli elementi interni e la scatola, esterna, in carbonio. Questo significa che tutto ciò che sta all’interno è sottoposto ad un maggiore stress”.

In termini di numero e frequenza delle cambiate il circuito di Monte Carlo rappresenta il banco di prova più impegnativo della stagione: “Solo in gara il pilota effettua circa 3600 cambiate, più o meno il 20% in più di quello che accade a Monza, il circuito meno impegnativo per questo elemento della monoposto” – dice Ioverno.

La natura del circuito aggiunge poi ulteriori complicazioni: “Monaco è una pista strana, piuttosto…accidentata. I piloti non riescono a cambiare mai nello stesso punto, quindi preparare questa corsa è molto difficile. Quando la monoposto sobbalza sui tombini o sugli avvallamenti dell’asfalto, l’intera trasmissione comincia ad oscillare mettendo sotto stress il cambio stesso. Questo elemento è molto difficile da far funzionare al meglio su una Formula 1, i rapporti non sono sincronizzati come su una vettura stradale. Dobbiamo “pilotare” la cambiata attraverso il controllo dei giri motore, coordinandoli con l’attuatore che controlla il movimento degli ingranaggi. Per cambiare, dunque, è necessario che tutto sia in fase, ovvio che se tutto si mette ad oscillare la faccenda si complica e aumenta spropositatamente il rischio di danneggiare l’intero meccanismo”.

Pensare che l’uso dei cambi al volante e l ’alta tecnologia implichino che il pilota non rischi più di sbagliare il tempo della cambiata è dunque un luogo comune privo di fondamento: “Il processo in sé dura pochi millesimi di secondo – spiega Ioverno -, in un così breve periodo di tempo accadono però molte cose. Così, se si aziona il sistema proprio nel momento in cui il motore varia il proprio regime, magari a causa del sobbalzo su un cordolo, il cambio va fuori fase, si rischia anche di non riuscire ad inserire la marcia desiderata. E’ tutto al limite e i nostri attuatori non sono certo costruiti per far salire o scendere i rapporti di velocità di un camion! Se la coppia motrice è maggiore rispetto a quanto è stato programmato, non si riuscirà mai e poi mai a far funzionare il cambio.

Con la tecnologia attuale, quando si cambia marcia il controllo di trazione non deve essere in fuzione. Le due cose infatti non possono coesistere. Poniamo ad esempio che il pilota spinga la leva posta sul volante per effettuare un passaggio di marcia: in quel momento il sistema elettronico spegne tutti i dispositivi ad esclusione di quelli di sicurezza, iniziando il processo che porta a completare la cambiata. E’ un flusso molto veloce che varia di volta in volta, a seconda della marcia che si innesta. Varia anche il tempo impiegato ad effettuare i passaggi, in alcuni casi si parla di meno di 10 millesimi di secondo, ma la media è attorno ai 25-30”.

La progressione verso l’alto delle marce non è una fase molto critica, presenta il solo svantaggio di dissipare la potenza erogata dal motore, la scalata invece ha importanti conseguenze in termini di stabilità complessiva della monoposto. Basti immaginare cosa accadrebbe alle ruote di una vettura stradale se si passasse dalla quinta marcia alla prima nel giro di un secondo. Su una Formula 1 può essere necessario scalare dalla settima alla prima in meno di tre secondi. Se si tiene conto di tutte queste complessità, sommandole alle difficoltà poste dall’asfalto monegasco, ci si rende conto che il ben poco affascinante meccanismo del cambio gioca un ruolo vitale, nel fascinoso fine settimana del Principato.

"Bisogna vivere come si pensa, altrimenti si finirà per pensare come si è vissuto"

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