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Inquietante: calzature e Cina


Matteo B.

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Sollevo un problema:

1) noi che le compriamo

2) i sindacati (la Cina è un paese comunque comunista, ve lo ricordo cari no-global pronti alle crociate )

3) gli "imprenditori" che fanno affari in Cina (cioè si fan produrre la merce) e chiudono qua

http://www.repubblica.it/2005/e/sezioni/economia/nostrolusso/nostrolusso/nostrolusso.html

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Guest DESMO16
Sollevo un problema:

1) noi che le compriamo

2) i sindacati (la Cina è un paese comunque comunista, ve lo ricordo cari no-global pronti alle crociate )

3) gli "imprenditori" che fanno affari in Cina (cioè si fan produrre la merce) e chiudono qua

http://www.repubblica.it/2005/e/sezioni/economia/nostrolusso/nostrolusso/nostrolusso.html

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2) i sindacati (la Cina è un paese comunque comunista, ve lo ricordo cari no-global pronti alle crociate )

però è singolare che il nostro PdC apostrofa tutti quelli che non sono con lui come comunisti e poi stringe la mano al primo cinese che viene in italia a rappresentare un governo dittatoriale comunista dove i diritti umani non sanno neanche cosa sia.

quindi, evidenziato il fatto che i soldi non hanno ne colore ne puzza, sono d'accordo con te.

I consumatori hanno una forte arma in loro mano: boicottare i prodotti che vengono dall'oriente e che non danno garanzie sul rispetto elementare dei diritti dei lavoratori.

"Io non ce l'ho co' te, ma co' quello che te sta vicino e nun te butta de sotto!"

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tratto da un articolo di Altroconsumo:

Importare i giocattoli, esportare i diritti

Se i leader mondiali della fabbricazione dei giocattoli delocalizzano

(cioè spostano in altri paesi) una proporzione così grande

della loro produzione e la affi dano a subappaltanti cinesi, è in

primo luogo per risparmiare, sfuggendo alle legislazioni a tutela

dei lavoratori che impongono precise regole in materia di salario,

condizioni di lavoro e sicurezza. Le eccezioni sono rare.

Che cosa può fare un consumatore che non voglia sentirsi complice?

La soluzione pura e semplice di non acquistare prodotti

fabbricati in Cina non è una soluzione, perché il rischio è di peggiorare

le condizioni di povertà dei lavoratori. Piuttosto, privilegiare

le marche che hanno una politica di delocalizzazione del lavoro

maggiormente accettabile potrebbe portare a un livellamento

verso l’alto delle condizioni di lavoro nei siti di produzione. La

responsabilità principale è comunque delle multinazionali, che

devono redigere codici di condotta degni di questo nome e farli

rispettare in tutte le sedi di produzione. Alle organizzazioni internazionali,

come l’Oil, il compito di esercitare pressioni sui governi

locali perché le convenzioni internazionali siano rispettate.

"Io non ce l'ho co' te, ma co' quello che te sta vicino e nun te butta de sotto!"

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I consumatori hanno una forte arma in loro mano: boicottare i prodotti che vengono dall'oriente e che non danno garanzie sul rispetto elementare dei diritti dei lavoratori.

Il problema é che noi consumatori non siamo neanche in grado di sapere se un prodotto viene dalla cina o no, in molti casi.

E l'unione europea non riesce neanche a mettersi d'accordo per imporre l'indicazione del paese di origine su TUTTI i prodotti venduti al dettaglio.

t_giocaalcarquiz.gif

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sempre da Altroconsumo, riguardo i giocattoli prodotti in cina:

– solo due aziende dichiarano

di accettare il principio di un

audit sulle condizioni sociali

svolto da un ente indipendente:

Mattel e Lego.

E stiamo parlando degli impegni

presi dalla casa madre.

Alcune marche danno in

subappalto fi no al 95% della

loro produzione. In quali

condizioni si lavora in queste

fabbriche?

Parlano i lavoratori

Nella tabella a fi anco sono

riassunti i risultati di interviste

approfondite con i lavoratori,

realizzate all’esterno

delle fabbriche per evitare risposte

imposte dall’alto. Ne

emerge un quadro chiaro:

non c’è neanche un sito di

produzione che rispetti interamente

i diritti di chi lavora.

Ecco i principali problemi che

abbiamo trovato:

– nessuna libertà di associazione:

l’unico sindacato autorizzato

in Cina è statale, ma i

lavoratori interrogati non ne

avevano mai sentito parlare;

– discriminazioni nelle assunzioni:

in questo settore sono

privilegiate le donne, tranne

nei periodi di punta o per i

lavori più pesanti;

– contratti di lavoro: hanno

una periodicità molto variabile,

da tre mesi (Lego) a 2

anni (Mattel); in alcuni casi

il lavoratore non ne riceve

neanche una copia (Hasbro).

Perfi no lasciare il lavoro non è

facile: in generale il lavoratore

che si licenzia è punito con la

perdita dell’ultimo mese di

salario (fanno eccezione Lego

e MGA). Si arriva al punto

che in alcuni casi è chiesto al

lavoratore di depositare una

certa somma come garanzia,

in modo da garantirsi un

mezzo di pressione;

– sconosciute le ferie: nessun

lavoratore gode di un periodo

di ferie annuale, soltanto

Lego garantisce tre mesi di

maternità. Anche il giorno

di riposo settimanale salta

spesso, specie nei periodi di

punta;

– ore di straordinario: secondo

il codice del lavoro cinese dovrebbere

essere al massimo da

1 a 3 ore al giorno, al massimo

36 al mese; i lavoratori che

abbiamo intervistato parlano

di 55 ore di straordinario al

mese, ma con Disney si arriva

a 214. Le ore supplementari

sono talvolta pagate secondo

quanto prevede la legge (Lego,

Bandai, MGA), ma questo

non avviene in tutte le fabbriche.

Infi ne, gli straordinari

sono sempre obbligatori,

tranne che da Lego, dove sono

fatti su base volontaria;

– salario minimo: benché il livello

minimo degli stipendi

superi il minimo legale, che è

infi mo, non riesce comunque

a garantire il minimo vitale,

tranne che nei periodi di punta,

grazie alle ore di straordinario.

Gli stipendi sono pagati,

quando va bene, con due

settimane di ritardo, nei casi

peggiori dopo un mese.

Infi ne, una busta paga compilata

in maniera chiara e precisa

è un’eccezione (lo fa, per

esempio, Lego);

– sicurezza aleatoria: è frequente

che i lavoratori siano

sottoposti a un rumore eccessivo

e/o a un forte calore (che

raggiunge i 40°C); spesso

devono manipolare prodotti

chimici pericolosi e sono

esposti a rischi elettrici o

meccanici;

– niente bambini: non abbiamo

rilevato la presenza di lavoro

forzato né di bambini al

di sotto dei 16 anni.

In conclusione, nessuna azienda

di giocattoli tra quelle

considerate ha un comportamento

rispettoso dei diritti

dei lavoratori nelle fabbriche

cinesi. Lego si comporta meglio

(o meno peggio), seguita,

con distacco, da Mattel e

Bandai. Trio di coda: Hasbro,

MGA e Disney, ultima.

"Io non ce l'ho co' te, ma co' quello che te sta vicino e nun te butta de sotto!"

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