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Monopoli FIAT


farewell

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La monocultura FIAT ha salvato il culo hai nostri padri!!!! Ma a noi no!!!!!!

TORINO - Dal tormento della secolare grandezza egemonica al tormento del declino annunciato. Torino, l'ex capitale italiana dell'auto da pochi giorni gemellata con Nagoya, cuore giapponese della Toyota, fatica a metabolizzare questa transizione. Il presidente dei suoi industriali, Alberto Tazzetti, che invita a "fare il tifo per la Fiat", di fatto interpreta questo passaggio nel quale si specchia una città che non si rassegna all'idea della crisi irreversibile di Mirafiori, ne teme il fall up che minaccia il suo sistema industriale anche lontano dall'auto, l'università, le banche, i centri culturali per dire la vita di una comunità cresciuta all'ombra di un impero di famiglia. Che non è più tale da qualche anno e forse non tornerà ad esserlo mai più.

Si deve salvare la Fiat per poter salvare Torino, ma è vero anche il contrario. Lo si sente ripetere qui come a Melfi, come, Pomigliano d'Arco, Termini Imerese. Ma nel posto dove la Fiat è nata centosei anni fa è diverso. Andrea Pininfarina, vicepresidente di Confindustria a capo dell'azienda di famiglia, prova a stemperare questa paura diffusa: "Non è un fenomeno di oggi e non è solo torinese. C'è la Cina che incombe, l'Europa che stenta a marciare come dovrebbe, l'Italia che stenta più dell'Europa. E dentro c'è questa Torino la cui caratteristica è stata sempre quella di avere un'industria di fornitura, legata alla grande impresa, non abituata a misurarsi con i mercati. Torino è stata sempre rappresentata".

Ora che si sente orfana di questa rappresentanza si accorge che non si tratta soltanto di un fatto economico. Perché quello che in gergo viene definito l'indotto dell'auto non è un mondo a sé popolato unicamente da produttori di maniglie, cruscotti e paraurti in centinaia di mini aziende (le boite in torinese) ma incrocia con i centri di ricerca, l'università e il Politecnico, le banche che hanno preso dalla Fiat e dato alla Fiat. Questa Torino così ibrida è un unicum. Non esiste in Europa e nel mondo una città paragonabile a questo modello monoculturale.

Fino agli anni Novanta su cento occupati nelle imprese manifatturiere oltre 60 lavoravano in Fiat e nelle industrie dell'indotto auto. Oggi la stessa categoria è stata ampiamente superata dai pensionati e dal Comune escono a fine mese più buste paga che da Fiat Auto. I metalmeccanici, per decenni aristocrazia del movimento operaio, sembrano una categoria in estinzione. Una loro manifestazione per le strade della città suscita la stessa attenzione di un corteo di studenti delle medie superiori. E il segretario della Fiom torinese, Giorgio Airaudo, non ha difficoltà ad ammettere che "convincere la città a uno sciopero generale sul caso Fiat è una scommessa difficile da vincere". Per molti anni il Piemonte ha contribuito con più del 10 per cento al Pil nazionale, oggi è all'8,5. E se nella caduta della produzione manifatturiera nazionale italiana il 3,4 per cento va messo sul conto del settore metalmeccanico, Torino sta pagando un prezzo altissimo in termini di impoverimento.

In cifre, questo impoverimento, vuol dire che su 106 aziende che negli ultimi dodici mesi hanno fatto ricorso alla cassa integrazione straordinaria, la metà lo ha fatto per chiusura o fallimento. Una su due è stata cancellata dalla mappa del sistema produttivo. Gli uffici studi dei sindacati e delle banche temono si tratti di dati sbagliati per difetto. In una riunione riservata presso l'Istituto Gramsci, il neoassessore regionale alla Ricerca, Andrea Bairati, ha spiegato infatti che sui circa 80 mila occupati nelle circa 1.500 aziende dell'indotto, la metà sono fortemente a rischio e dell'altra metà 20 sono tagliati fuori e soltanto uno su quattro dorme sonni tranquilli.

La Fiat non ha influenzato soltanto lo sviluppo industriale e questo spiega perché a quanti oggi dicono - o pensano ma non dicono - che tutto sommato il suo declino potrebbe essere un bene per il futuro di Torino si contrappongono, e sono più numerosi, coloro che temono questo declino. Che potrebbe cambiare - non è scontato - la mappa del potere, ma sicuramente provocherebbe contraccolpi anche lontano da Mirafiori. Il 60 per cento dei brevetti depositati a Torino nel 2004 è stato prodotto dall'industria metalmeccanica, il 12,5 dall'Information Communication Technology, e il 5 dalle biotecnologie.

Sui 13 miliardi destinati in Italia alla ricerca e sviluppo Fiat contribuisce con un 15 per cento pari a 1,8 miliardi che poi vuol dire 12 mila 400 addetti in 121 centri di ricerca. Il fatturato del Centro ricerche Fiat lo scorso anno è stato di 124 milioni di euro: 60 per cento da commesse interne, 30 da clienti esterni e il restante 10 dall'Unione Europea. E' comprensibile che le difficoltà della Fiat vengano guardate con apprensione da parte del mondo della ricerca, non solo torinese. A cominciare da quella parte che fa capo al Politecnico, anche se, come osserva il professor Maurizio Pandolfi, vicerettore, "il peso delle commesse Fiat non è così determinante come si potrebbe immaginare". Nelle casse del Politecnico affluiscono ogni anno 20 milioni di euro per contratti di ricerca di cui una metà da aziende private e l'altra dal settore pubblico. La quota di provenienza Fiat?

Complessivamente 74 commesse nel triennio 2002-2004 per un totale di 2,5 milioni di euro, pari al 10 per cento di tutte le commesse private, così distribuite: 43 da Fiat Auto, 23 dal Centro ricerche Fiat, 4 da Fiat Engineering e altrettante da Powertrain. E' tanto? E' Poco? "La verità - osserva Aldo Enrietti, docente di economia industriale presso la facoltà di Scienze politiche di Torino - è che Fiat, a differenza di quanto accade all'estero, per esempio in Francia con Renault e Peugeot, non ha mai girato quote consistenti all'esterno e la crisi ha accentuato questa tendenza".

Anche la roccaforte di Torino Wireless, uno dei santuari della ricerca impegnato nella creazione di un distretto hi-tech, guarda a Fiat provando a immaginare che cosa si sarebbe potuto fare senza la crisi. Rodolfo Zich, suo presidente ed ex rettore del Politecnico, sostiene che "una Fiat capace di esprimere compiutamente tutte le sue potenzialità sarebbe un fattore di traino, ma negli ultimi anni non è stato così".

"Il suo Centro ricerche - spiega - è stato molto importante per il distretto, ha dato una spinta notevole all'innovazione anche attraverso la collaborazione con la Ferrari". Dal 1999 Torino ospita un corso di laurea in ingegneria dell'automobile. Senza la Fiat sarebbe stato un lusso al quale nessuno avrebbe probabilmente pensato. Quando venne inaugurato c'era ancora l'Avvocato. E' un corso a numero chiuso con un tetto di 120 iscritti. Ma già al primo anno si presentarono in 311, saliti a 346 nel 2000 e a 420 nel 2001. La crisi Fiat? Ecco gli effetti. Nel 2002 le domande sono calate a 309 e l'anno successivo a 272, per poi tornare ad aumentare a 295 nel 2004. Effetto Montezemolo-Marchionne? Può darsi.

C'è poi un indotto di riflesso che porta alla Fiat come fattore di attrazione di nuovi investimenti anche stranieri. Ma era ed è un rapporto controverso. Una volta si tendeva ad escluderlo perché era opinione diffusa che nessuno volesse avventurarsi nella "tana del lupo". Oggi lo si esclude perché si pensa che nessuno abbia interesse a venire nel deserto della crisi. "E' vero che per anni in pochi sbarcavano qui e che noi non avvertivamo il bisogno di andare altrove" ammette Marco Boglione, presidente di ITP, Agenzia per gli investimenti a Torino, imprenditore e numero uno di Basic Net. Ma avverte: "Il fatto che non ci sia una Fiat dominante non vuol dire che si siano improvvisamente creati spazi nuovi. La crisi è sempre un deterrente e del resto oggi solo un 10-15 per cento degli investitori punta su Torino perché c'è la Fiat. Dive, però, ci sono grandi designer e una forte potenzialità nel campo dei prototipi".

Ogni due vetture nuove realizzate annualmente a Torino ci sono da 150 a 200 prototipi che vengono costruiti per testarne l'affidabilità, la tenuta di strada, per le prove di crash e altro ancora. E sempre a Torino e dintorni vengono realizzate una decina di concept car che sono dei prototipi finalizzati alla sperimentazione di soluzioni e tendenze nuove di tecnica e di stile. Pininfarina, Italdesign di Giugiaro, Bertone, Stola, Idea sono i nomi più noti e prestigiosi di questo mondo. "Certo che si può sperimentare anche senza Fiat" dice Stefano Jacoponi, ex responsabile della progettazione del Lingotto ed ex Ferrari, oggi consulente di alcune società. "Ma se manca una fonte di lavoro costante come la Fiat ciò crea difficoltà. Il lavoro spot espone al rischio di vuoti di attività che si pagano in termini di mancato aggiornamento sul piano dell'innovazione".

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