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Indotto Fiat


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Nel quadro della crisi del settore automobilistico di livello mondiale la situazione della Fiat appare particolarmente grave in quanto è l’unico produttore europeo con redditività negativa nel 2001 e nel 2002, avendo registrato nell’ultimo anno una riduzione del 6% del fatturato a livello di gruppo. Inoltre, anche in concomitanza con gli ecoincentivi adottati dal Governo la Fiat ha continuato a perdere quote di mercato. Le immatricolazioni della casa di Torino sono scese del 9,29% a settembre a 34.960 (-12,3% in agosto) e la quota di mercato detenuta è scesa al 21,16% a settembre dal 24,12% di un anno prima.

Le perdite della Fiat sono quindi da attribuire ad errori strategici con riguardo ai nuovi prodotti, all’attenzione per la qualità ed alla capacità della rete commerciale di operare specie sui mercati esteri. A tale riguardo si ricorda che Fiat Auto esternalizza circa il 75% della propria produzione, individuando i propri fornitori sulla base del prezzo piuttosto che della qualità contrariamente alle case automobilistiche tedesche che arrivano a sostenere i programmi di sviluppo delle aziende del proprio indotto.

A questo si aggiungono le scelte strategiche del gruppo del passato. Per comprendere i motivi di fondo che hanno determinato la parabola declinante della Fiat, sfociata ora nella crisi attuale, occorre risalire alla metà del 1998 quando Cesare Romiti lasciò la guida del gruppo. A quell’epoca era stata portata a termine la ristrutturazione dell’azienda attuata con il ridimensionamento delle maestranze e l’ulteriore automazione degli impianti, la sistemazione dell’Alfa Romeo acquisita nel 1986 ed il lancio di un programma di ridefinizione della cultura d’impresa all’insegna della qualità totale. Come si ricorda Vittorio Ghidella, padre della Fiat Auto, aveva lasciato nel 1988 la guida dell’azienda. Il programma di Ghidella era di aggregare sotto una unica insegna tutte le attività che avevano a che fare con i motori ed il trasporto su gomma, ossia l’80% del fatturato del gruppo, per dare vita ad una grande impresa che potesse scavalcare le rivali europee. L’azienda decise al contrario di seguire la strada della diversificazione, mettendo a frutto parte degli utili della produzione automobilistica ampliando la sfera delle attività e delle partecipazioni (nella chimica, nelle telecomunicazioni, negli armamenti, nelle assicurazioni, nei servizi finanziari e immobiliari, nel terziario avanzato). All’uscita di Ghidella seguì anche l’abbandono dell’azienda da parte di parte dello staff tecnico specializzato e negli anni successivi il mancato ricambio generazionale dei tecnici con personale di pari professionalità. L’effetto fu inevitabile: di fronte alla crisi dell’industria automobilistica degli anni ’90 le imprese costruttrici europee che avevano continuato a concentrarsi sul core business riuscirono a reggerne l’impatto mentre per la Fiat cominciò il declino. A questo si aggiunge l’acquisizione forzata dell’Alfa Romeo da parte dell’azienda che ha creato di fatto l’unico monopolio nazionale dell’auto sul mercato mondiale, azzerando la concorrenza a chiaro danno della competitività dei prodotti.

Le origini della crisi attuale sono dunque lontane, tant’è che lo stesso accordo tra Fiat e General Motors risale al 2000 ed entrerà in vigore nel 2004. Dopo un negoziato di un anno le due imprese hanno infatti firmato un accordo che istituisce il maggiore colosso mondiale dell’auto. L’accordo prevede uno scambio di azioni, con acquisto da parte degli americani del 20% della Fiat e del 5,15% del capitale General Motors da parte dell’azienda torinese. La casa automobilistica italiana potrà vendere alla General Motors il resto del suo pacchetto azionario: una opzione che partirà fra tre anni e mezzo e durerà fino al 2009. Le due società daranno vita ad una partnership in Europa e in America Latina, particolarmente in Brasile, su ricerca e sviluppo di progetti su nuovi combustibili, nuovi motori e tecnologie per il trasporto. Saranno costituite due nuove società nel settore della produzione motori e degli acquisti. Una sinergia che dovrebbe far risparmiare sui costi fino a 2 miliardi di dollari l’anno. Sono previste anche collaborazioni nei settori delle comunicazioni, tra Onstar (GM) e Viasat (Fiat). In base all’intesa le auto Alfa Romeo torneranno ad essere vendute negli Stati Uniti commercializzate da una struttura della General Motors. Fiat e General Motors resteranno autonome sul mercato mondiale delle auto e dall’accordo sono escluse la Ferrari e la Maserati. L’accordo non prevede interventi sull’occupazione.

Per arrivare al 2004 la Fiat deve dunque gestire due ordini di problemi: diminuire la propria capacità produttiva attraverso la chiusura degli stabilimenti ed interventi sull’occupazione (8.100 esuberi nei soli stabilimenti Fiat Auto e 24.000 esuberi ipotizzabili nell’indotto di primo e secondo livello, cifra ottenuta applicando il rapporto 1/3 della quota di produzione interna/esterna dell’azienda) e riacquistare liquidità sanando l’esposizione debitoria netta con le banche, attualmente pari a 6,6 miliardi euro.

L’ipotesi di intervento dello Stato sul capitale della Fiat in accordo con gli istituti di credito coinvolti è secondo Confapi condivisibile in ragione del peso economico e sociale del settore automobilistico in Italia ma va subordinato a precise condizioni. L’ingresso dello Stato nel capitale di Fiat Auto deve essere minoritario e temporaneo, condizionato ad un piano di rilancio strategico dell’industria automobilistica italiana con obiettivi almeno di mantenimento del livello produttivo attuale. La Fiat deve dunque presentare un nuovo piano industriale nel quale siano previsti oltre ai tagli anche nuovi investimenti soprattutto in ricerca industriale e sviluppo di nuovi modelli. Il Governo deve prevedere da subito tempi e modalità di svincolo della partecipazione dello Stato nel capitale, affinché l’aiuto non si trasformi di fatto in una partecipazione pubblica. Lo Stato deve inoltre esigere l’ingresso di propri rappresentanti nel CdA dell’azienda al fine di garantire il corretto utilizzo dell’aiuto pubblico concesso, agendo sul modello dei Lander tedeschi quando concessero aiuti pubblici al settore. .L’intervento pubblico non deve inoltre essere sostitutivo ma complementare ad un impegno finanziario della proprietà e degli azionisti e da parte degli istituti di credito attraverso una azione comune di tutte le forze economiche e sociali del Paese. L’intervento finanziario deve essere accompagnato da un impegno politico dell’Esecutivo affinché l’intervento nel capitale sia subordinato al mantenimento delle funzioni essenziali dell’industria automobilistica nel territorio nazionale sia per quanto riguarda la progettazione e la produzione che per quanto concerne la componentistica. Deve essere infine definito anche per l’indotto un piano di interventi che renda possibile una prospettiva di ripresa del settore sia pure a partire dal 2004.

La situazione dell’indotto Fiat

Considerata la genericità della definizione di indotto, Confapi ritiene di dover tracciare una linea di separazione considerando come indotto le aziende che dipendono dalla Fiat Auto o da aziende direttamente subfornitrici della stessa per una quota di fatturato pari almeno al 30%.

Da ricerche compiute a livello territoriale emergono i passi compiuti in questi anni dal settore della componentistica verso la diversificazione dei clienti e dei mercati. Ciò nonostante emergono forti criticità generali.

Già dal mese di maggio 2002 si erano registrati i primi segnali di sofferenza tra le imprese dell’indotto automobilistico, che si sono moltiplicati nei giorni scorsi. Tali segnali sono tanto più significativi e diffusi quanto maggiore è la dipendenza delle aziende dal settore e il rapporto con gli stabilimenti Fiat Auto che saranno oggetto di ridimensionamento.

1. La finanza

La maggior parte delle imprese denuncia problemi finanziari, ossia diminuzione della liquidità dovuti a due aspetti.

Per quanto riguarda i termini di pagamento si registra un generale mancato rispetto con l’allungamento dei ritardi di pagamento, spesso ad opera dei subfornitori di primo livello con effetti a cascata sulla filiera produttiva. I ritardi di pagamento nei confronti dei fornitori sono sempre stati utilizzati in passato come metodo di autofinanziamento a breve dell’azienda. Ciò a differenza delle case automobilistiche europee che non hanno mai usato la propria forza contrattuale per allungare i termini di pagamento verso le aziende dell’indotto. A titolo esemplificativo si citano i 60 giorni medi di pagamento in uso in Francia ed i 40-45 in Germania nel mercato automobilistico. A tale riguardo occorre ricordare la legge sulla subfornitura che sebbene abbia legittimato un principio fondamentale per le piccole e medie imprese è stata largamente disattesa nella sua applicazione.

Sul versante finanziario gli istituti di credito non concedono più anticipazioni sui crediti vantati nei confronti della Fiat Auto, non concedono nuovi fidi ad aziende collegate all’indotto Fiat, alle quali talvolta chiedono di rientrare con gli affidamenti

2. Gli ordini

Le aziende subfornitrici di primo livello in seguito al ridimensionamento degli ordini hanno iniziato a riportare all’interno parte della produzione delegata alle aziende subfornitrici di secondo livello, ritirando in alcuni casi le attrezzature date in uso.

Si registra inoltre un rallentamento o una sospensione degli iter procedurali per l’ottenimento della certificazione di qualità, chiaro segnale di previsione della riduzione delle commesse.

Gli effetti dell’intervento dello Stato nel settore auto sono prevedibili per il 2004 con dimensioni ipotizzabili inferiori a quelle registrate negli ultimi anni. Le aziende dell’indotto Fiat Auto devono quindi da una lato riuscire a tamponare la situazione di crisi fino al 2004, diversificare i clienti /mercati ed investire sui propri prodotti in termini di innovazione e sviluppo.

L’intervento dello Stato deve essere condotto anche attraverso il coordinamento con le autonomie regionali nell’ambito delle rispettive funzioni.

Gli interventi urgenti

Per quanto riguarda gli interventi immediati le due emergenze principali riguardano i problemi finanziari e di liquidità e la gestione delle difficoltà occupazionali.

· In ordine all’aspetto finanziario lo Stato deve intervenire a sostegno della liquidità e della capitalizzazione delle PMI. A tale riguardo si cita a titolo esemplificativo il caso della Regione Piemonte che a seguito di un tavolo di concertazione con le forze locali ha definito una ipotesi di sostegno attraverso la messa a disposizione di uno stanziamento pari a 50 milioni di euro che i consorzi di garanzia collettiva fidi utilizzino per garantire le operazioni di anticipo degli istituti di credito nei confronti delle piccole e medie imprese dell’indotto. A tal fine la Regione ha richiesto l’intervento aggiuntivo delle risorse pubbliche al Ministero delle Attività Produttive per una cifra di pari valore.

· Relativamente agli interventi sull’occupazione sono necessari strumenti temporanei (CIG, contratti di solidarietà) più ancora che mobilità o licenziamenti. Molte imprese non possono utilizzare alcun ammortizzatore sociale come strumento di sostegno temporaneo (le artigiane, i servizi). E’ necessario quindi permettere l’utilizzo di strumenti temporanei di sostegno all’occupazione nel settore:

1. estensione durata CIGO da 12 mesi su 24 a 24 su 36 poiché molte aziende hanno iniziato già a sentire gli effetti della crisi e dunque utilizzato il monte ammortizzatori previsto per il biennio

2. estensione CIGO a imprese artigiane e dei servizi con fatturato per Fiat o per fornitore Fiat maggiore del 30%

3. possibilità distacchi anche durante CIGO

4. rifinanziamento contratti di solidairietà

5. estensione indennità di mobilità ai lavoratori delle imprese industriali fino a 15 addetti, delle imprese artigiane, dei servizi (sotto i 50 addetti), collegata alla effettiva disponibilità al lavoro anche a termine e interinale

Gli interventi strutturali di medio periodo

Per quanto riguarda l’intervento strutturale di medio periodo esso deve consentire alle piccole e medie imprese dell’indotto automobilistico di ripartire con gli investimenti per nuove tecnologie e per nuovi mercati di sbocco. Si tratta di porre in atto politiche industriali che riconoscano e rafforzino gli sforzi ed i risultati già raggiunti in questo decennio in termini di export e di diversificazione.

Tale obiettivo può essere raggiunto attraverso la dichiarazione dello stato di crisi dell’indotto Fiat, il riconoscimento legislativo dei Distretti Industriali dell’Auto nelle Regioni ove sono presenti stabilimenti ed indotto dell’auto, nell’ambito dei quali rafforzare la cooperazione con università e centri di ricerca per lo sviluppo di nuove tecnologie produttive e di nuovi prodotti e stimolare la creazione di consorzi per l’esportazione.

1. Lo stato di crisi dell’indotto automobilistico

La base comunitaria in materia di aiuti di Stato è contenuta nell’articolo 87, paragrafo 1 del trattato CE, che stabilisce che gli aiuti di Stato sono in linea di principio incompatibili con il mercato comune. Tuttavia il principio di incompatibilità non equivale ad un divieto totale: i paragrafi 2 e 3 dello stesso articolo 87 specificano un certo numero di casi in cui gli aiuti di Stato possono essere considerati ammissibili (le cosiddette “deroghe”). L’articolo 88 conferisce alla Commissione europea il compito di controllare gli aiuti di Stato e dispone inoltre che gli Stati membri debbano informare preventivamente la Commissione di ogni progetto volto ad istituire aiuti (obbligo di notifica).

Le norme intersettoriali od orizzontali sono intese a stabilire la posizione della Commissione europea rispetto a determinate categorie di aiuti destinati a far fronte a difficoltà che possono sorgere in tutti i settori dell’attività economica e in ogni regione. La Commissione ha dunque adottato una serie di “orientamenti” che stabiliscono criteri applicati a determinate tipologie di aiuti, tra i quali gli aiuti per il salvataggio e la ristrutturazione delle imprese in difficoltà.

La Commissione europea solo a determinate condizioni considera legittimi gli aiuti destinati a salvare dal fallimento le imprese in difficoltà e ad incoraggiarne la ristrutturazione (Orientamenti comunitari 1999/C 288/02). Questo può avvenire ad esempio per ragioni di politica sociale o regionale o perché eccezionalmente può essere auspicabile conservare una struttura di mercato concorrenziale quando la scomparsa di imprese potrebbe determinare una situazione di monopolio o di oligopolio ristretto.

Secondo la Commissione una impresa è considerata in difficoltà in base al livello crescente delle perdite, alla diminuzione del fatturato, all’aumento delle scorte, all’eccesso di capacità produttiva, alla diminuzione del margine lordo di autofinanziamento, all’aumento dell’indebitamento e degli oneri da interessi e basso o inesistente valore del capitale netto. Gli aiuti al salvataggio e alla ristrutturazione rappresentano due aspetti pur chiaramente distinguibili di una medesima operazione. Un aiuto al salvataggio è transitorio per sua stessa natura. Esso deve consentire di mantenere in vita un’impresa il tempo necessario ad elaborare un piano di ristrutturazione. Una ristrutturazione è invece basata su un piano volto a ripristinare la redditività a lungo termine dell’impresa attraverso la riorganizzazione e la razionalizzazione delle attività aziendali o tramite la riconversione verso nuove attività redditizie.

Grazie a tale deroga al generale divieto di concedere Aiuti di Stato alle imprese in Italia è in vigore il decreto legislativo 270/99 (cosiddetta legge “Prodi-bis”), approvato in seguito all’apertura di una procedura di infrazione da parte della Commissione europea intesa ad ottenere la revisione della legge Prodi (decreto legge 2679 convertito con modificazioni dalla legge 95/79) per l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi.

Gli Orientamenti comunitari in oggetto prevedono però specifiche disposizioni per le piccole e medie imprese proprio in considerazione degli effetti economici positivi derivanti dalla loro attività. Secondo la Commissione europea infatti gli aiuti per il salvataggio e la ristrutturazione delle piccole e medie imprese in difficoltà alterano generalmente le condizioni degli scambi in misura minore rispetto agli aiuti concessi alle grandi imprese.

La Commissione europea dunque può autorizzare regimi di aiuto per il salvataggio e la ristrutturazione di PMI solo previa verifica della sua incapacità di riprendersi con le forze proprie e con fondi ottenuti dai suoi proprietari/azionisti o dai creditori, ed alle seguenti condizioni:

a) gli aiuti per il salvataggio devono consistere in aiuti di tesoreria sotto forma di garanzia di crediti o di erogazione di crediti, con un tasso di interesse almeno comparabile ai tassi applicati ai prestiti concessi ad imprese non in difficoltà e, in particolare, ai tassi di riferimento adottati dalla Commissione;

B) gli aiuti al salvataggio devono essere rimborsati entro dodici mesi dalla data dell’ultimo versamento all’impresa delle somme prestate;

c) gli aiuti al salvataggio devono essere motivati da gravi difficoltà sociali;

d) gli aiuti al salvataggio devono essere limitati nel loro ammontare a quanto è necessario per mantenere l’impresa in attività (ad esempio copertura delle spese salariali o dell’approvvigionamento corrente) nel periodo per il quale è stato autorizzato l’aiuto;

e) gli aiuti al salvataggio possono essere accordati soltanto per un periodo di sei mesi, durante il quale deve essere compiuta un’analisi della situazione della PMI;

f) gli aiuti alla ristrutturazione possono essere concessi alle seguenti condizioni:

Ø ripristino della redditività del soggetto beneficiario

Ø prevenzione di indebite distorsioni di concorrenza attraverso l’impegno da parte del beneficiario di astenersi da qualsiasi aumento di capacità produttiva per tutta la durata del piano

Ø aiuti limitati al minimo necessario ed “una tantum”

L’importo massimo degli aiuti complessivi per salvataggio e ristrutturazione di una PMI non possono superare i 10 milioni di Euro incluso il caso di cumulo con altre fonti o altri regimi.

2. La creazione del Distretto Industriale dell’Auto

I Distretti Industriali rappresentano un caso di “successo” dell’economia italiana. Dopo il loro riconoscimento giuridico, operato con la legge 317/91, l’articolo 6 della legge 140/99 ha stabilito che spetta alle Regioni la individuazione dei sistemi produttivi locali e quindi dei distretti industriali ai fini dell’attuazione delle politiche ad essi specificamente rivolte. Le normative attive per i distretti comprendono l’intera gamma di azioni che possono rafforzare la competitività delle imprese: aree attrezzate per le imprese, consorzi per la ricerca, collaborazione con le università, accordi sindacali, laboratori per la certificazione, campagne promozionali, sviluppo di applicazioni telematiche di filiera.

L’identificazione dei Distretti Industriali dell’Auto rappresenta dunque una opportunità imprescindibile per attivare maggiori risorse a sostegno dell’indotto.

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grazie Atomic.

Rileggendo, mi sono accorto che è un articolo della COnfapi di qualche anno fa.

Hai ragione, non mi sono neanche presentato, ma...ero iscritto da tempo al forum, pur scrivendo pochissimo, ma poi ho perso alcuni dati personali e mi sono ri-registrato.

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