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Lapo visto a NYC...


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Una giornalista di Vanity Fair lo ha incontrato a New York

a due mesi dal ricovero a Torino per overdose di cocaina

Lapo Elkann, la prima intervista

"Non mollo mai. E' dura, ce la farò"

Frequenta un centro di terapia di gruppo a Manhatthan

"Vorrei tornare in Italia e tornare al mio lavoro"

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Lapo Elkann

E' A NEW YORK, è lì che vive adesso, è lì che frequenta un centro di terapia di gruppo, in Arizona ci va solo qualche giorno al mese. E vuole tornare in Italia, al suo lavoro, anche se per il momento non ci pensa, "ora devo concentrarmi su di me, guardarmi allo specchio e capire perché sono arrivato a fare quello che ho fatto". Sono parole di Lapo Elkann, a due mesi dal malore per overdose di cocaina a causa del quale fu ricoverato d'urgenza. E su Vanity Fair, il numero in edicola, c'è la cronaca di una chiacchierata avuta con la giornalista Saira Fallaci che lo aveva conosciuto in passato e l'ha incontrato, del tutto casualmente, in un ristorante italiano nel Village di Manhatthan. Poche battute, sufficienti per capire quello che a un certo punto Lapo stesso afferma: "Non mollo mai".

Nelle foto pubblicate da Vanity Fair Lapo compare con camicia azzurra di cotone e un giaccone sportivo verde. Dice di non avere problemi a frequentare posti affollati: "Non ho niente da nascondere, non ho mica ucciso nessuno. Vengo spesso qui perché mi è comodo, qui all'angolo c'è la sala riunioni dove facciamo terapia di gruppo, io e altre persone con dipendenze". Curarsi, ammette, "è dura, ma sento di potercela fare, e senza prendere farmaci. E' una questione di forza di volontà, una sfida con me stesso".

Poi, mostra alla giornalista due ideogrammi orientali tatuati sul polso: "significa 'Non mollo mai'". Però si dice "incazzato": "Con me stesso, perché ho fatto un enorme sbaglio. Ma nessuno è perfetto - aggiunge - non si può vivere fingendo di esserlo. Io sono sempre stato una persona autentica, non mi piace nascondermi dietro una maschera, come fanno in tanti".

Racconta della terapia, "qui negli Stati Uniti giustamente le dipendenze sono trattate come malattie, una volta che ti sei curato torni a fare la tua vita di prima e nessuno ti nega un'altra possibilità". Diverso dall'Italia, dove "la dipendenza da stupefacenti viene considerata solo come un vizio: la conseguenza è che tutti si sentono in diritto di giudicarti e condannarti".

E proprio questo è l'aspetto che più gli ha fatto male di questa esperienza: "Le bugie che sono state scritte sul mio conto, e soprattutto sulle circostanze e sulle persone che mi hanno soccorso. Ma va bene così, la gente pensi quello che vuole, l'importante è che sappia io come sono andate veramente le cose".

E Martina Stella, che saputo del malore prese immediatamente le distanze ("C'eravamo già separati", disse), la liquida con poche parole: "Di donne, fuori, ce ne sono milioni. Meglio saperle prima, queste cose, almeno capisci che persona hai a fianco".

(15 dicembre 2005)

da laRepubblica.it

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