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Fascismo e fascismi vs Comunismo e comunismi


duetto80

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Franco non ha mai ceduto ed non è mai caduto in questo errori macroscopici.....ed è morto nel suo letto.

,

Franco non ha mai ceduto ,perchè la guerra civile aveva causato milioni di morti

ne è stato lontano perciò per non infierire su un popolo che aveva tanto sofferto.

En la valle de los caidos....

http://www.ctv.es/USERS/fnff/valle.htm

terribile una lotta fra fratelli.

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I più attivi nella discussione

I più attivi nella discussione

In Cina regna un Partito-Regime.

In Arabia Saudita regna una Famiglia-padrona.

Già questo mi basta per differenziare uno Stato dispotico comunista da uno stato dispotico di altro tipo.

L'unico regime Comunista in cui lo stato non è proprietà del partito ma "quasi" di una famiglia è la Corea del Nord, ove il fondatore Kim il Sung e suo figlio Kim il Yong gestiscono lo stato quasi come una proprietà privata.

Il partito è in secondo piano.

A questo proposito all'inizio degli anni 80 fu organizzato un convegno da esponenti della destra Rautina, sulla vera etichetta del regime coreano.

Comunque (anche se continuimo a essere OT, forse sarebbe da modificare il titolo in Fascismi e Comunismi) a mio avviso la differenza principale tra un regime comunista ed un altro è la centralità del partito e la sua superiorità su tutto.

Ed in Cina questo esiste...

Udire e' ubbidire...titolo cambiato.

E' vero che la centralita' del partito e' un assioma leninista, ma e' anche vero, che fu poi assorbito e fatto proprio dai vari fascismi.

In Europa, sia l'Italia con il PNF, sia in Germania con NSDAP, sia in Spagna con la Falange, il partito fu posto come avanguardia e custode della Rivoluzione.

Ne' era possibile altra espressione politica.

Quindi anche la centralita' del partito e' un fatto poco distintivo, almeno secondo me.

Io userei sempre come discrimen tra un fascismo ed un comunismo l'applicazione dell'ideologia, piu' che la struttura portante.

Ed in Cina il Partito/Stato fa una politica conservatrice e dispotica, ma liberale e capitalistica ( addirittura vetero-capitilistica ) in economia.

Archepensevoli spanciasentire Socing.

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......Ed in Cina il Partito/Stato fa una politica conservatrice e dispotica, ma liberale e capitalistica ( addirittura vetero-capitilistica ) in economia.

A mio avviso ci sono 2 modi per riformare un regime comunista (che a metà degli anni 80 è innegabilemte andato in crisi come sistema)

1) Il sistema Gorbaciov: Cominciare a riformare la politica (il partito stato) , tenere fissa l'economia.

2) Il sistema Cinese: riformare l'economia, tenere fisso il partito stato.

Il primo volenti o nolenti ha fallito in URSS ed ha portato alla disgregazione dell'impero (si va beh i motivi erano molteplici) e degli stati (Cecoslovacchia ecc.)

Il secondo ha portato ai massacri di piazza Tien a men di chi voleva la libertà politica, ma parallelamente ha dato la libertà (quasi anarchia) economica.

Ad oggi sembra che per l'ennesima volta la furbizia cinese abbia la meglio.

Da quello che mi dicono (non conosco la realtà) a Cuba si sta tentando una riforma di tipo che io chiamo "titina".

Pugno di ferro con i dissidenti, ma dare la possibilità al popolo di affittare stanze-case ecc.

Il popolo costiero della Yugoslavia negli anni 70 ha raggiuto un certo benessere (che gli ha tenuti chieti) grazie ai ricavi del turismo (versando però il 66% di tasse allo stato)

Il popolo cubano potrebbe essere tenuto chieto nella stessa maniera.

Ma su Cuba ripeto non ho molti elementi per giudicare.

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INTERESSANTE !!!

STev ..hai corretto tu il titolo ?

sei geniale ,hai inventato ,primo nei forum ,il titolo che si evolve con l'evoluzione della discussione ----

Grande !!!!:D

Non è la prima volta, ma questa è stata una bella applicazione :D

Nientemeno che un condono, a ben vedere ;)

Ma non vado OT oltre :)

There's no replacement for displacement.

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Anche tu ti ecciti palpeggiando pezzi di plastica? Perché stare qui a discutere con chi non ti può capire? Esprimi la tua vera passione passando a questo sito!

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Io credo che in Cina abbia prevalso il consevatorismo innato e la tradizione ad essere amministrati da una casta superiore ( prima i mandarini e la burocrazia imperiale , ora il Partito Comunista ) e la possibilita' di arricchirsi prima piuttosto che contare politicamente ( fatto che viene in maniera automatica al crescere delle possibilita' economiche )

Piuttosto il vero problema che la casta governante dovra' affrontare e' lo squilibrio zone ricche/zone povere e gli sconvolgenti cambiamenti sociali, con i loro corrolari economici, ecologici, etc. degli ultimi anni, che porteranno inevitabilmente a cambiamenti politici.

Non e' un caso che proprio per l'incapacita' di gestirli completamente, la dirigenza rivolga l'attenzione dell'opinione pubblica verso l'esterno ( crisi ricorrente di Taiwan, etc )

Su Cuba l'impressione e' che il regime agonizzi lentamente insieme al suo fondatore.

Archepensevoli spanciasentire Socing.

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Non è la prima volta, ma questa è stata una bella applicazione

Nientemeno che un condono, a ben vedere

Ma non vado OT oltre

Come disse un famoso dirigente comunista: "Il bello dei piani quinquennali e' che possono essere cambiati, se i risultati non corrispondono"

Ed in un topic dedicato al comunismo/fascismo, un po' di dirigismo vecchia maniera non guasta. :D:D:D

Archepensevoli spanciasentire Socing.

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Per essere 1984 fino in fondo dovremmo cambiare il titolo ai primi post che tengono traccia di come era prima :D

Meglio che fermiamo l'OT, la discussione è molto interessante ;)

There's no replacement for displacement.

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Anche tu ti ecciti palpeggiando pezzi di plastica? Perché stare qui a discutere con chi non ti può capire? Esprimi la tua vera passione passando a questo sito!

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Franco non ha mai ceduto ,perchè la guerra civile aveva causato milioni di morti

ne è stato lontano perciò per non infierire su un popolo che aveva tanto sofferto.

In parte si è vero.

Alcune considerazioni (viste da DX) su Franco, persona e politico:

(se avete voglia di leggerlo pigliatevi una giornata di ferie :? )

Il giornalista Leon Degrelle

- Degrelle Léon Articolo titolato: Franco capo di stato - Tratto da :"La Pensée Nationale", N.10 - Febbraio marzo 1976, pagina 7 (titolo del fascicolo "Omaggio ad un grande di Spagna, Franco").

Franco era la calma e l'efficacia. Era un genio? Franco un genio? Onestamente no. Non almeno nel senso che implica, nella sua proiezione, un settore che sconfini nell'eccesso. Caso tipico di Napoleone. Caso d'Hitler, nella sua carica irruente e senza mezzi sufficienti attraverso un impero sovietico inafferrabile, o nel suo piano d'eliminazione dell'anticorpo giudeo, irrealizzabile universalmente, dunque da rigettarsi politicamente. Franco, al contrario, era un uomo assolutamente normale. Fisicamente normale: abbastanza tozzo, dopo la quarantina piuttosto grassoccio, mangiava moderatamente, beveva appena, non soffriva di nulla, neppure della terribile ferita al ventre che aveva incassato nell'assalto di un monte marocchino da cui era ridisceso contenendo i suoi intestini con l'elmetto. Era un infaticabile divoratore di chilometri, un infaticabile cacciatore, un infaticabile pescatore. La sua macchina corporea era ben fatta, rude, senza fioriture. Presiedeva il Consiglio dei Ministri per otto ore, dieci ore, mai stanco, non alzandosi mai, mentre i suoi ministri, più giovani, occhieggiavano, nervosi, verso la solenne porta aldilà della quale avrebbero potuto - al fine - sia ristorarsi, sia fumare. Franco era di silicio (era una roccia). La salute per un capo di Stato è una forza capitale. Richelieu, che ne era sprovvisto, condusse una terribile lotta contro le sue malattie, sempre sfibrato da esse. Napoleone fu vinto a Waterloo tanto dal suo cancro, che già da allora lo intorpidiva, quanto dall'impassibilità di Wellington. Mussolini era paralizzato, sovente, dal suo stomaco rovinato e Hitler passava a volte delle ore, in pigiama, a guardare la sua potenza flagellata all'estremità d'un braccio che tremava senza fine. Qualche mese prima di morire Franco pescava ancora lo storione. Sempre fisicamente, salvo alla fine, fu tanto normale e possente quanto un boscaiolo delle Galizia che accumula metri cubi di pino. Normale lo fu anche intellettualmente. Era un sgobbone accanito. alla Scuola di Guerra alla testa dei suoi primi soldati, all'Accademia militare di Saragoza, all'Alto Stato Maggiore, non lanciando mai scintille straordinarie ma avendo la meglio a forza di lucidità, di costanza, di caparbietà. Era stato il più giovane generale del suo tempo. Fu sempre il più giovane in tutto. Ma senza particolari fuochi d'artificio. Mi ricordo del mio stupore quando ebbi il privilegio di osservarlo da vicinissimo, al suo G.Q.G., in un a modesta piccola casa di campagna presso Saragoza, durante le guerra Spagnola del 1936 - 1939. Con noi si trovava suo cognato Ramon Serrano Suner, all'epoca ministro dell'interno, poi ministro degli esteri. Ramon, brillante, lo spirito affilato come una spada toledana, appassionato per tutto ciò che era cultura e bellezza, proiettato politicamente verso il nuovo e l'audace, agganciato al suo tempo, mi aveva fatto una notevole impressione. _ "E' lui il vero capo di Stato spagnolo", mi ero detto. Cinque anni dopo, ministerialmente, Ramon non esisteva più. Ma trentanove anni dopo, il Caudillo, sempre d'eccellente umore, alzava ancora con le sua tozze braccia, le vecchie terre iberiche completamente rigenerate dalla sua immensa azione. Ramon Serrano Suner, certamente più geniale, avrebbe, forse, ghermito dalle correnti dell'epoca, imbarcato la Spagna nel gigantesco scontro guerriero dei Fascismi. Forse il mondo si sarebbe trovato cambiato. Con Franco, equilibrato come una tartaruga, deciso a mantenere a qualsiasi prezzo il suo paese fuori da ogni rischio, il mondo non cambiò affatto, ritrovò le sue care vecchie rotaie democratiche. E la Spagna non conobbe per nulla quei soprassalti che avrebbero potuto forse alzarla a livelli internazionali, ma, con altrettanta probabilità, romperle per sempre le reni. Franco era prima di tutto un calcolatore. Non avanzava d'una pedina che dopo aver tutto soppesato e giudicato interminabilmente. Un giorno, durante l'ultimo inverno della sua "Crociata", mi ero permesso di dirgli: "Dura da molto tempo la vostra guerra!" Ed era vero. Gettando più rapidamente, con minori tergiversazioni, le sue truppe nella fornace, Franco avrebbe potuto terminare la sua guerra un anno prima. Ma non era per nulla il suo stile. Ogni iniziativa non nasceva da lui che dopo un lunghissimo parto. Franco il prudente. Preferiva gli inconvenienti dell'attesa all'approssimazione della precipitazione. Mi aveva dunque guardato, l'occhio divertito, al di sopra del suo grande biliardo verde: "Si, Leone, mi aveva risposto. E' giusto ciò che dite. Ma non dimenticate questo, noi abbiamo impiegato sette secoli per cacciare i Mori, ciò non impedisce che li abbiamo comunque cacciati." Visibilmente era disposto, se la prudenza lo avesse richiesto, di metterci anche lui sette secoli per scacciare i repubblicani. Questa tecnica, non solo gli fece vincere la sua guerra con il minimo di danni, ma lo salvò nel 1945, quando l'universo degli Alleati s'era giurato di fargli la pelle. Il capitombolo fu evitato solo perché per tre anni egli seppe incassare pazientemente la testa nelle spalle. Questa pazienza applicata gli permise, solo allora, di trasformare il suo paese da cima a fondo. Ancora lentamente?...Si! Ma in trenta anni egli feci più di tutti i suoi predecessori in trecento anni. Allora!... Imperturbabile, quali che fossero le circostanze, non agiva che lentamente, non eccitandosi mai. Attendeva davanti al guado tutto il tempo che era necessario, finche l'attraversamento era pericoloso, ma per altro lo attraversava ogni volta, senza allungare il passo, ne senza mostrare vanità una volta attraversato il guado. Come trattava coloro che lo circondavano? Il suo metodo era invariabile: tempo, calcolo, prudenza. Amava scegliere come collaboratori persone che conosceva da molto tempo. Specialmente dei militari che poteva tenere meglio in pugno, legati a lui dalla disciplina castrense, che rimandava nei ranghi, senza impiccio, il giorno in cui la loro collaborazione personale non lo interessava più particolarmente. Una decorazione, un saluto, il Generale o il Colonnello riprendeva il suo basco, la sua spada e partiva, la bocca chiusa, verso il suo nuovo acquartieramento, a Ceuta, a Lerida o alla Corugna. Gli spiriti super eminenti non lo interessavano affatto, dato che se posso avere delle idee sensazionali, complicano sovente le operazioni e sono presto turbati dall'autonarcisismo. Egli di gran lunga preferiva, come Luigi XIV, dei Grandi Burocrati impegnati, che non gli avrebbero mai fatto ombra. Quanto a lui, non dovette mai liquidare, con grave perdita, un Talleyrand o un Fouché. In democrazia, ove l'uomo politico, tallonato dalla concorrenza, deve sciorinare in pochissimo tempo tutte le sue possibilità, questa scelta metodica di ministri senza luce rischierebbe di trascinare lo Stato in un mediocre ristagno. L'uomo mediamente dotato dagli dei ha bisogno di disporre di molto tempo se vuol dare tutta la misura delle sue capacità. Con Franco si aveva del tempo. Lui, in trentacinque anni, nominò in tutto e per tutto cento differenti ministri. La Repubblica Francese, fra il 1919 e il 1939, ne consumò più di mille! L'Italia, in trent'anni di dopo guerra, e, trentatré successivi ministeri, ne svendette ancora di più! Senza che peraltro i geni vi si accalcassero particolarmente. Di quanti ministri francesi nominati fra le due guerre il pubblico si ricorda ancora? Franco, lui, studiava i suoi futuri destrieri ministeriali con l'applicazione di uno scommettitore di concorsi ippici. Non cercava mai, neppure, di pescare uno storione multicolore. Sceglieva dopo lunghe riflessioni un uomo sensato che conosceva il suo mestiere, o in cui aveva scoperto un dono speciale molto preciso. Lo conservava nei suoi Consigli per cinque anni, otto anni, dieci anni. Almeno una volta, ogni settimana, lo faceva comparire personalmente nel suo ufficio al Palazzo del Parodo. Testa a testa temibile e temuto! Nulla gli sfuggiva. Il grande Burocrate non poteva permettersi una mancanza nella sua documentazione, un errore nelle sue statistiche. Aveva appena salutato che Franco, chino su una scheda, annotava subito le sue impressioni! Ogni venerdì tutta l'équipe passava, nel Consiglio dei Ministri, un esame generale. Così ciascuno di questi uomini medi, obbligatoriamente applicato nel sua settore nettamente delimitato, strettamente sorvegliato, dava una resa massima durante anni di sforzi costanti e a senso unico. Quando uno di loro cominciava a credersi un essere eccezionale e sembrava voler azzannare un poco la gloria e il prestigio del solo Capo, oppure, più semplicemente il tempo, la stanchezza, le abitudini diminuivano le sue possibilità creatrici, un cambio discreto d'équipe liquidava il collaboratore divenuto senza interesse. Franco non era brutale nei suoi modi. Ma neppure sentimentale. Un motociclista scoppiettante portava al defenestrato un plico sigillato contenente degli amabili ringraziamenti del Capo dello Stato. A volte i motociclista arrivava anche un Po tardi. L'antico Ministro del Movimiento, poi della giustizia, Raimondo Fernanda Questa, uno dei grandi Baroni della Falange, mi raccontò lui stesso come apprese della sua eliminazione. Una mattinata sua vettura ufficiale tardava a venirlo a prendere al suo domicilio. Impaziente finì per chiamare, al telefono del Ministero, il suo autista che non poté che rispondergli, assai confuso: "Ma, Signor Ministro non sa che il Signor Ministro non è più Ministro!" Il plico del motociclista per altro gli giunse un quarto d'ora dopo. Come a tutti i licenziati gli fu concesso cerimoniosamente due giorni più tardi un Gran Cordone. Ma era finito, per sempre. Quasi mai, sotto Franco, un ex ministro ridivenne ministro. Un ministro di choc come José-Antonio Giron, che fu il creatore della Spagna sociale e che godeva di una vera popolarità (può anche darsi che questa avesse portato ombra...), attese invano per diciassette anni d'essere richiamato. Il suo ritorno avrebbe potuto piacere alle masse. Giron, peraltro, non fu mai reinvestito. Si, in ciò Franco era implacabile. Ma un Capo di Stato deve essere implacabile. Nulla deve commuovere il suo cuore, dettare le sue scelte, far oscillare la sua volontà se non l'interesse rigoroso dello Stato di cui ha preso la responsabilità, secondo le norme che egli ha giudicato le più adeguate. In effetti Franco era un uomo di cuore ed era di grande fedeltà verso i suoi amici. Ma per tutto ciò che riguardava la sua carica e la sua missione, contavano solo lo scopo ed i risultati. Gli uomini erano degli strumenti, dei mezzi di azione, delle pedine sulla sua scacchiera. Egli si serviva di questi collaboratori passeggeri, inflessibile e taciturno, non usava l'opinione di nessuno, non comunicava a nessuna la sua opinione. Era divenuto Capo di Stato per vocazione? Dubito molto che Franco, giovane, abbia sognato d'essere un uomo politico. Sognò dapprima, semplicemente, d'essere un marinaio. Si, è così. Non potendo esserlo si rifece con la vocazione di soldato. E lo fu per due terzi di secolo in modo esemplare. Divenuto, a trent'anni, un grande capo militare, fu naturalmente messo in contatto con i grandi problemi che interessavano quello Stato che egli intendeva servire con tutte le sue forze e che, ineluttabilmente sconfinavano con la politica. Le circostanze erano complicate: Alfonso XIII attraversava i più disparati soprassalti: monarchia liberale e confusione di partiti, dittatura dichiarata dal generale Primo de Rivera, spazzata a favore della breve fiacca dittatura di un successore indeciso il generale Beranguer, elezioni repubblicane nelle grandi città. Come conseguenza delle quali il Re, rinunciando a farvi fronte, filava in piena notte con una vettura da corsa fino alla costa mediterranea, si imbarcava su un battello poi svaniva nell'esilio. Successivamente i grandi borghesi liberali della Repubblica del 1931 erano stati, come generalmente succede, defenestrati dagli estremisti. Si bruciavano i conventi, il popolo si compiaceva nel fracasso degli strepiti; l'anarchia decomponeva le forze dello Stato. Franco, giovane patrono dell'Accademia Militare di Saragoza, aveva visti quest'opera prediletta annientata, essendo la Repubblica poco preoccupata di formare delle elites al servizio dello Stato e non dei partiti. Ma anche allora, Franco non si era permesso che una imprudenza limitata e peraltro esattamente calcolata : nel momento dei saluti aveva lanciato alla Spagna, sopra la testa dei suoi cadetti rigettati, un appello al patriottismo. Era il suo primo intervento nella politica. Conteneva in germoglio il programma che fu alla base del sollevamento nazionale del 1936. L'attenzione del paese fu attirata su questo giovane capo di cui tutti conoscevano le azioni leggendarie in Africa, di cui si sapeva in quale considerazione venisse tenuto da spiriti chiaroveggenti all'estero (a trent'anni era stato nominato Commendatore della Legione d'Onore). Questo discorso calmo, netto, che difendeva chiaramente i valori nazionali in pericolo, fu il colpo di gong preliminare della sua azione. Nondimeno, durante i cinque anni della Repubblica, Franco restò al servizio dello Stato senza mai ribellarsi. Quando la Repubblica in pericolo dovette far fronte alla ribellione feroce delle Asturie ( a Ovvierò ultra sinistrorsi in armi esponevano attaccati a ganci da macellaio dei mezzi curati nudi, tagliati impeccabilmente in due come maiali usciti dal macello comunale) e nessuna sapeva a Madrid come domare i rivoltosi, fu Franco, Franco in persona, che fu incaricato dal regime democratico di reprimere questo sollevamento che sconquassava i basamenti della Repubblica. Egli non complottava. Non ebbe altro che contatti distanti, brevi, piuttosto freddi con José Antonio Primo de Rivera, capo della Falange, deputato comunque eletto legalmente, secondo i canoni più democratici. In effetti i caratteri e i punti di vista non coincidevano. José Antonio era un rivoluzionario ed un poeta. Franco era un pragmatista, che poco escursionava fra le costellazioni. Dire che Franco fosse un tempo fascista, anche al tempo del sollevamento del 2936 è del tutto inesatto. Franco non era in assoluto un teorico politico o un profeta, ma puramente e semplicemente un patriota ben pensante. Questa è la verità. Il suo proclama al popolo spagnolo, il mattino del 18 luglio 1936, avrebbe potuto essere stato firmato in Francia da un Colonnello de la Rocque. Egli si ergeva contro l'intolleranza della repubblica massonica, contro le violenze marxiste che rendevano impossibile la convivenza nazionale, contro i disordini di strada e l'anarchia dello Stato. Egli non poteva più sopportare che questa repubblica di sinistra conducesse la Spagna al baratro, egli reclamava il ritorno dell'ordine, chiamava i suoi compatrioti alla fraternità, alla giustizia sociale, all'unità nazionale: tutto ciò era dell'onesto patriottismo, molto vibrante, ma non era affatto un appello ad una rivoluzione del genere mussoliniano o hitleriano. Egli avrebbe in seguito accetto certi appoggi militari, limitati, dai regimi fascista e nazionalsocialista. Ma, dottrinalmente, era lontano da loro. Avrebbe ammesso, col tempo, certe formule di moda in questi paesi, ma, in fondo, egli si sarebbe sempre attenuto al realismo di un patriottismo spagnolo assai conformista. Nulla nel suo messaggio decisivo di metà luglio 1936, aveva l'accento falangista. La parola Falange non era neppure utilizzata. Quando Franco diventò capo del nuovo Stato, il 1° ottobre 1936, José Antonio viveva ancora. Non sarebbe stato fucilato ad Alicante dai Repubblicani che tre settimane più tardi. Avrebbe potuto essere liberato? Scambiato? E' ancora un mistero... L'impressione di alcuni è che il suo ritorno nel campo di Franco avrebbe piuttosto provocato imbarazzo. In ogni caso, anche prima che fosse morto, il suo posto era stato definitivamente occupato da Franco, malgrado lo sforzo considerevole dei Falangisti sui campi di battaglia e malgrado l'ideale falangista fosse stato, dopo il 18 luglio, il motore dell'azione dei Nazionalisti. Alla prudenza Franco univa la scaltrezza, l'astuzia. Il vero capo del colpo di stato del 18 luglio 1936 era stato, in realtà, il Generale Sanjurgo, e non Franco. Questi non si era unito al suo piano che in estremis. Sanjurgo s'era sfracellato su un muretto involandosi dal suo esilio portoghese su un aereo sovraccaricato di valige ove si ammassavano troppe uniformi scintillanti. Il Generale Mola, l'alter ego di Franco nel Nord della Spagna, buon soldato, misero politico, era presto impazzito all'idea di assumere responsabilità di Stato. Restava José Antonio, il precursore che si era convertito in un mito dietro le sbarre della sua prigione in zona repubblicana. Scartarlo in un simile momento era quasi impensabile. Così occorse tutta la sottigliezza segreta di Franco per condurre il Generali del sollevamento, suoi pari, a confidargli il potere prima che José Antonio fosse riapparso. Sarebbe stato sufficiente che l'astuzia dei repubblicani fosse stata altrettanto acuta di quella di Franco perché José Antonio, abilmente liberato, avesse rapidamente preso a Burroso il brutto aspetto di un rivale, rivale dottrinale e mistico, temibile, e che si alzassero, gli uni contro gli altri, i diversi gruppi nazionali. I generali che dovevano decidere non erano affatto convinti, alcuni erano gelosi della promozione straordinaria del loro giovane collega. Perché lui? e non loro? Franco, parlando meno che mai, spingendo in avanti due o tre fedeli, ottenne finalmente dai suoi colleghi, dopo due giornate di scambi di vista assai aspri, il Comando militare unico, poi la "Jefatura del Gobierno". Ma questa parola che limitava ancora il concetto politico del potere, suo fratello Nicolas, con un audace colpo di penna, lo trasformò, nella stessa tipografia del Giornale Ufficiale, in "Estado". Egli diventava così il Capo dello Stato. Ma un capo ancora poco sicuro. José Antonio viveva ancora nella sua cella. I generali non testimoniavano che un mitigato entusiasmo. La Falange non gli accordava che un sostegno relativo. Peraltro, questo primo ottobre 1936, veniva compiuto il coro Colpo di Stato che avrebbe assicurato a Franco un potere virtualmente assoluto per quaranta anni, mentre, quel giorno, politicamente, egli non era altro che un debuttante, non predicava altro che una dottrina assai conservatrice, senza slancio rivoluzionario. Bisognava fare tutto, e tutto fu fatto, passo a passo. Con quale maestria Franco ci si sarebbe applicato! Quasi sempre silenzioso, osservando ogni preda con un'abile unghiata che noi avrebbe rovinato la presa, temporeggiando, concedendo, componendo, dosando giusto quel poco per allearsi a comparse restie, senza la parola di troppo che avrebbe potuto nuocere nel momento in cui la concessione cessasse d'essere utile, sapendo che il possesso della forza è, per altro, l'elemento essenziale nell'ora decisiva, nell'ora in cui sarebbe stato necessario non annodare ma saldare delle unioni. Non erano ancora trascorsi sei mesi che tutti i movimenti politici che costituivano le forze popolari del sollevamento, la Falange, i Requetes, i Monarchici, erano condotti alla fusione. Di buon o cattivo grado. Anzi piuttosto di cattivo grado che di buon grado, poiché il capo dei monarchici doveva esiliarsi in Portogallo, mentre il successore di José Antonio, Hedilla, che aveva arricciato il naso, sfuggiva di poco al plotone d'esecuzione e doveva conoscere, per parecchi anni, le più amare fra le prigioni. Franco era appena apparso nella disputa, studiando con ardore in fretta nell'umido giardino del Vescovado di Salamanca i Dodici Punti della Falange, mentre Serrano Suner redigeva gli ordini di riunificazione e, contemporaneamente, gli ordini d'arresto! Franco s'aggiudicava così l'autorità suprema su questo movimento unificato che sarebbe rimasto assai eteroclito ma che avrebbe assicurato definitivamente la sua autorità. La gloria dei combattimenti, poi la vittoria stopparono le opposizioni. Quasi tacendo, Franco aveva potuto mettere al passo i discepoli spesso recalcitranti, annichilire sopravvalutazione dottrinale, convertire correnti violente o opposte in onde regolari d'una evoluzione politica e sociale moderata, che sempre, dopo Saragoza, fu il suo obbiettivo. Di questo Movimiento vagamente asessuato ma fermamente tenuto nelle sue mani, Franco sarebbe arrivato a farne uno strumento di propaganda facile da guidare, estremamente efficace, grazie al quale, per quasi quarant'anni, avrebbe mantenuto l'unità della nazione e assicurato il contatto con le masse, incassando i più sontuosi referendum. L'abilità di utilizzare il Falangismo a favore del Franchismo era stata enorme. Chi avrebbe ancora potuto rimproverare a Franco d'aver tenuto poco conto di José_Antonio dato che l'aveva trattato dopo la guerra come mai re di Spagna era stato trattato, come il primo fra di loro, sepolto all'Escorial sopra essi. Di José-Antonio morto - che dunque aveva cessato d'essere un possibile concorrente - aveva fatto il profeta stesso del nuovo Stato, la fronte cinta d'alloro, fra rose e stelle, ricondotto con un corteo favoloso dalla sua prigione nel cuore della Castiglia sulle spalle di tutto un popolo, nel notturno bagliore di migliaia di fuochi. Questa capistazione del Movimento da parte di Franco fu un capolavoro di scaltrezza politica. La capistazione dei dirigenti che costituivano la base stessa della nuova Spagna sarebbe stata altrettanto sottile. Franco li avrebbe impiegati gli uni dopo gli altri, o gli uni contro gli altri, senza mai alzare la voce. I suoi Ministeri prudentemente ripartiti, avrebbero utilizzato successivamente, o simultaneamente, o contraddittoriamente, tutte le tendenze. I Conservatori ed i vecchi Monarchici canuti avrebbero formato un équipe con giovani lupi alla Giron. Alcuni, che avevano deluso, scomparivano nella botola della disgrazia. Altri, che si compiacevano troppo in fretta della loro importanza, capitombolavano con la stessa discrezione. L'Opus Dei si sarebbe elevata allo zenit governamentale fino a quando Franco avesse stimato utile il suo apporto; sarebbe stata ricondotta nell'ombra, senza che si levasse nessun inutile strepito, il giorno in cui questo apporto si sarebbe rilevato compromettente. Un Fraga Iribarne avrebbe conosciuto un ruzzolone inverso, liquidato nel momento in cui i suoi nemici dell'Opus Dei avevano momentaneamente prevalso. In effetti con Franco non prevalse mai nessuno. Franco non disdegnava alcun apporto quando l'elemento da utilizzare gli sembrava interessante ed efficace. Utilizzare. E' così. Egli utilizzava. Egli utilizzò anche un Joaquin Ruiz Jimenez, oggi il più marxista dei Democratici-Cristiani, ragazzo affascinante, cuore nobile, intelligente e vivo, che fu sotto Franco un eccellente Ministro della Pubblica Istruzione. Giusto il tempo per Franco di farlo rendere al massimo. Sono convinto che, se fosse sopravvissuto ancora più a lungo e in buona salute, Franco sarebbe stato perfettamente capace di realizzare con gli stessi uomini che in questo momento utilizza il Re Juan Carlos 1° una evoluzione "democratica". Juan Carlos era stato in ogni punto formato da lui nel corso di molti anni. Anche nel momento della morte Franco gli rinnovò pateticamente la sua fiducia, scongiurando gli Spagnoli di seguirlo come avevano seguito lui stesso. Franco avrebbe senza dubbio preferito, nel suo intimo, che la Spagna si attenesse ancora per lungo tempo alle Istituzioni sicure che aveva creato per lei e la cui efficacia era stata provata per quaranta anni. Ma su Franco l'avvenire della Spagna aveva preminenza su qualsiasi altra opzione. Egli udiva le grandi strida dell'esterno. Sentiva che la nuova Spagna che egli aveva forgiato, avrebbe dovuto, prima o poi, adattarsi all'Europa che la circondava. Il fatto che, dal 1974, egli stesso avesse scelto, con piena conoscenza della situazione, come Capo del suo ultimo Governo, un Carlos Arias deciso a ringiovanire le istituzioni, a dare forme più dirette alla rappresentanza popolare e far partecipare pienamente la Spagna all'unione dei popoli europei, è assolutamente chiaro. Franco, a ottant'anni, comprendeva ch'egli non avrebbe assistito a questa profonda trasformazione. Senza dubbio temeva anche che gravi sconvolgimenti l'accompagnassero in Spagna, o che il risultato dell'evoluzione si rilevasse bilenco, come si è rilevata assai bilenca l'attuale struttura europea, priva di un grande slancio ideale. Ma il fatto che Franco, circa due anni prima della sua morte, abbia voluto spingere avanti, dopo profonde riflessioni, un Carlos Arias di cui conosceva il piano riformatore e abbia attirato l'attenzione del suo popolo su un Fraga Iribarne che nominò suo Ambasciatore, dopo che ne ebbe soppesato la rimarchevole personalità per gli otto anni durante i quali fu suo Ministro, la dice lunga sulla fermezza civica del vecchio capo. Senza vane illusioni, forse anche con rammarico ma deliberatamente e metodicamente Franco preparò così una successione che significava l'inevitabile mutazione della sua opera, mutazione di cui sapeva che avrebbe anche dovuto, più o meno, allontanarlo per qualche tempo se voleva, come lui stesso aveva fatto nel 1945, quietare all'estero reazioni irrazionali. "Todo sta bien atado". Tutto è ben legato. Queste furono, pressappoco, le sue ultime parole. Senza il coraggio che ebbe questo Capo di Stato di aprire, con le sue stesse mani, le chiuse ad un avvenire di cui egli poteva peraltro temere che i flutti mettessero in pericolo la sua edificazione, la Spagna post franchista avrebbe potuto avvizzirsi nell'isolamento o anche, a guisa del Portogallo, dissolversi nel disastro. E' forse in questa umiltà rispetto all'avvenire che Franco fu il più grande. Al momento è quasi temerario parlare d'attivo. L'Europa sinistrorsa ha talmente oltraggiato Franco che per modificare psicologicamente la situazione e ricondurre la Spagna nell'Europa, sarà senza dubbio indispensabile fare come se Franco non fosse nemmeno esistito, mentre, senza di lui, la Spagna sarebbe senza dubbio rimasta, come nel corso dei secoli precedenti, una misera terra incolta, oppure, passata sotto il controllo dei Soviet nel 1936, avrebbe pugnalato l'Europa alla fine della seconda Guerra Mondiale. Il tempo si incaricherà di decantare gli amori e gli odi. Eleverà obbiettivamente la statua storica del Mentore prudente, che, senza slanci inutili con calma e costanza, fece uscire il suo popolo dalle macerie di un passato polverose che l'asfissiava e lo condusse, in piena rinascita, all'avanguardia di un'Europa oggi assediata. Domani questa, sbarazzatasi dai suoi complessi, sarà grata a Franco per questo magnifico apporto fisico, morale, economico, strategico, in tutti i punti essenziali alla sua potenza e, forse, alla sua stessa sopravvivenza. Léon DEGRELLE

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....Su Cuba l'impressione e' che il regime agonizzi lentamente insieme al suo fondatore.

si certo ma dopo il 1989 tutti profetizzavano una imminente caduta del regime.

Queste piccole concessioni economiche da parte del regime verso i cittadini stanno ritardando la caduta.

Poi vedremo se cederà prima il Cuore del fondatore o ci sarà il collasso dell'economia.

Devo dire che la situazione politica di alcuni paesi dell'america del Sud (Venuezela in primis) che ha eletto l'antiamericanismo di Castro a simbolo sta dando delle boccate d'ossigeno all'economia (e all'orgoglio del fondatore)

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