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Aviaria: ancora rischi?


Guest DESMO16

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Guest DESMO16
Le due nuove vittime sono una bambina di 10 anni e un uomo di 35

Un bimbo di sei anni dell'Hunan è in condizioni gravissime

Aviaria, altri due morti in Cina

Fao, Turchia: "A rischio i Paesi vicini"

Secondo l'Oms la mortalità per la malattia è tra il 50 e il 60%

PECHINO - Due persone colpite da virus H5N1 sono morte in Cina portando così a cinque il numero di decessi per influenza aviaria. Lo riferisce l'Organizzazione mondiale per la Sanità. Una bambina di dieci anni è morta il 16 dicembre e un uomo di 35 il 30 dicembre, secondo quanto reso noto dal portavoce dell'Oms, Roy Wadia, citando il ministero della Salute cinese. Mentre la Fao lancia l'allarme per l'Europa: la malattia potrebbe diventare endemica in Turchia, e diventare un potenziale pericolo per i Paesi vicini.

''Il virus potrebbe diffondersi nonostante le misure di controllo già prese'', ha detto Juan Lubroth, esperto Fao di salute animale. ''Se non si riuscirà ad isolare i luoghi dove il virus aviario è al momento presente vi sarà un'esposizione al virus degli esseri umani e degli animali ancora maggiore'', ha aggiunto.

Gli scienziati temono che il virus dei volatili, mescolandosi con quello della normale influenza all'interno di un organismo umano, possa subire una mutazione che consentirebbe la sua trasmissione da uomo a uomo. Tuttavia tale rischio, hanno spiegato resposabili dell'Oms oggi in Turchia, ancora non si è concretizzato. E la Turchia, hanno aggiunto, sta agendo bene, "in modo appropriato".

Oltre ai due morti confermati stamane, in Cina, un'altra delle otto persone contagiate dal pericoloso virus H5N1, un bambino di sei anni dell'Hunan (Cina centrale), è in gravi condizioni e, secondo l'agenzia d'informazione Nuova Cina, i medici "stanno lottando per salvargli la vita". Dalla fine del 2003 ad oggi, secondo i dati dell'Oms, 78 persone sono morte in Asia a causa del virus, compresi i due casi in Turchia.

Il tasso di mortalità dell'influenza aviaria è tra il 50 e il 60 per cento, ha spiegato ancora il portavoce dell'Organizzazione mondiale per la sanità (Oms) a Pechino. "Possiamo senza dubbio affermare che il tasso globale di mortalità dell'influenza aviaria è tra il 50 e il 60 per cento e che questo dato è valido anche per la Cina" ha detto Roy Wadia. "Per dirla senza esagerazioni, è un problema serio dovunque, non solo in Cina", ha concluso il portavoce.

Intanto, nel Paese è stato individuato un nuovo focolaio d'infezione tra i volatili nella provincia sudoccidentale del Guizhou. Dall'inizio dell'anno in Cina sono stati individuati oltre trenta focolai che, secondo le autorità, sono ora "sotto controllo".

(11 gennaio 2006)

da Repubblica

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Guest DESMO16
«I farmaci potrebbero diventare una "fabbrica di untori"»

Tamiflu? «Meglio mascherine e quarantena»

Uno studio pubblicato da Lancet online ridimensiona fortemente l'utilità degli antivirali in caso di pandemia se usati da soli

MILANO - Gli antivirali contro la pandemia? «Può darsi che si rivelino non soltanto un fiasco, ma addirittura un bommerang». A sostenerlo è l'epidemiologo Tom Jefferson, primo autore di uno studio pubblicato dalla rivista inglese The Lancet sull'efficacia dei farmaci candidati a proteggerci in caso di epidemia di aviaria tra gli uomini. La ricerca, finanziata dal Ministero della Salute britannico e dalla Regione Piemonte, è una revisione critica di oltre 50 studi clinici eseguiti su questi farmaci negli anni passati.

LO STUDIO - «Non abbiamo organizzato nuove sperimentazioni» spiega Jefferson, «ci siamo limitati a valutare con criteri rigorosi i dati già pubblicati, su cui dovrebbe fondarsi la decisione di utilizzare queste medicine per arginare la temuta pandemia». I farmaci presi in considerazione sono due vecchi antivirali, l'amantadina e la rimantadina, e due più recenti, l'oseltamivir , il celeberrimo Tamiflu, e lo zanamivir.

E i risultati non sono confortanti.

EFFICACIA RIDOTTA - «La prima considerazione da fare è che tutti e quattro hanno una certa azione contro i comuni virus dell'influenza, ma nessuno contro le cosiddette sindromi influenzali, erroneamente note come parainfluenze, che rappresentano la maggior parte delle infezioni virali stagionali delle vie respiratorie» spiega Jefferson. «E questa efficacia ristretta spiega perché questi farmaci, almeno sotto il profilo del marketing, siano stati sostanzialmente abbandonati da tempo». «La seconda riflessione ispirata dall'analisi dei dati» continua l'esperto, «è che i vecchi antivirali sono gravati da notevoli effetti collaterali (tra cui allucinazioni), e inducono facilmente resistenza nei virus, per cui sono da scartare per un uso di massa, anche se costano poco».

EFFETTO BOOMERANG - «La terza osservazione, che è quella che ci interessa di più» sottolinea Tom Jefferson, «è che i nuovi antivirali, pur non dando grossi effetti collaterali, hanno una caratteristica che si potrebbe rivelare un boomerang in termini di salute pubblica: la loro azione nei confronti della concentrazione nasale del virus, che è il veicolo principale dell'infezione». Secondo la revisione oseltamivir e zanamivr, riducono ma non abbattono questa concentrazione. «In questo modo» spiega l'autore dello studio, «chi li dovesse prendere potrebbe forse risparmiarsi un giorno di febbre, ma sarebbe magari indotto a uscire di casa prima del tempo e a disseminare quindi l'infezione. Ciò anche per due motivi specifici: il primo è che la concentrazione nasale del virus in caso di pandemia sarebbe probabilmente dieci volte maggiore rispetto a quella che c'è nell'influenza normale, e quindi anche il residuo virus nelle secrezioni sarebbe più alto. Il secondo è che questa concentrazione, non appena si smette di prendere gli antivirali "rimbalza" verso l'alto». «Oltretutto», conclude l'epidemiologo, «praticamente tutti gli studi esistenti su questi farmaci sono stati condotti contro virus influenzali "normali". Nei pochissimi casi in cui sono stati utilizzati per influenza aviaria hanno dato risultati contraddittori. Forse perché usati tardi, oppure male, oppure perché non funzionano: questo non possiamo saperlo. Ma resta il fatto che si sta proponendo di darli a tutto il mondo senza avere una prova scientifica della loro efficacia contro l'influenza aviaria».

GUANTI E MASCHERINE - E allora che cosa rimane da fare? «Investire sulla strategia che ha già ha avuto successo con la Sars: utilizzo della quarantena, diffusione di mascherine e guanti, insistenza nel ricordare di lavarsi spessissimo le mani» conclude Jefferson. «Se tra la gente si insinua l'idea che con i farmaci saremo protetti, invulnerabili, questi provvedimenti, che sono gli unici indiscutibilmente utili saranno ancora più disattesi e ci saranno un sacco di "untori" inconsapevoli in giro».

Luigi Ripamonti

19 gennaio 2006

dal Corriere

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  • 1 anno fa...
Guest DESMO16
mutazione negli animali presenti in europa e in africa

Aviaria: virus è mutato, pandemia più vicina

Ricerca Usa: «Abbiamo identificato un cambiamento che potrebbe consentire all'H5N1 di svilupparsi nell'uomo»

NEW YORK - Sale l'allarme. Il ceppo H5N1 dell'influenza aviaria, il più letale, è mutato in una forma in grado di contagiare più facilmente gli essere umani anche se non si è ancora trasformato in una imminente causa di pandemia. La nuova forma di H5N1 si sta adattando a vivere a temperature più bassa nel corpo degli «ospiti» vettori del contagio rispetto ai 41 gradi dei volatili, più vicine ai 37 abituali nell'uomo. A lanciare l'allarme è il dottore Yoshihiro Kawaoka dell'università Wisconsin-Madison. «Abbiamo identificato uno specifico cambiamento che potrebbe consentire all'aviaria di svilupparsi nel tratto superiore del sistema respiratorio umano», ha spiegato Kawaoka, aggiungendo che «i ceppi che stanno circolando in Africa e Europa sono i più vicini a trasformarsi in virus umani». Alcuni campioni prelevato da uccelli nei due continenti presentano queste mutazioni, ha sostenuto il team su un articolo pubblicato sulla rivista «Public Library of Science journal PLoS Pathogens».

PANDEMIA PIU' VICINA - «Non intendo spaventare il pubblico, perche non possono fare molto. Ma allo stesso tempo è importante che la comunità scientifica comprenda quanto sta avvenendo», ha aggiunto Kawaoka L'H5N1 dal 2003 ha contagiato 329 persone, che vivevano a stretto contatto con uccelli, in 12 Paesi uccidendone 201. Raramente si è trasmesso da uomo a uomo ma se acquisisse la capacità di farlo più facilmente probabilità potrebbe causare una pandemia. Per contagiare l'uomo il virus, in particolare, dovrebbe adattarsi alla temperatura basale dell'uomo più bassa di quella dei volatili. Al momento l'H5N1 si trasmette negli uccelli che hanno una temperatura corporea di 41 gradi Celsius mentre la nostra è stabile a 37 gradi. Per questo il naso e la gola degli uomini, da dove i virus aerei abitualmente penetrano, sono una barriera naturale perchè si trovano a circa 33 gradi. Ma la mutazione riscontrata nei ceppi africani e europei, tutti provenienti con gli uccelli migratori dall'Asia, sembra consentire all'H5N1 di attecchire anche a temperature più basse: queste forme «sono quelle più vicine alle influenze umane», ha avvertito Kawaoka, anche se ha sottolineato che questo fattore da solo non basta a farlo diventare un pericolo imminente e concreto.

Corriere

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