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Pericolo rosso! Pericolo rosso!


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Inviato

Venticinque anni fa il segretario del partito comunista italiano, Enrico Berlinguer, archiviato il compromesso storico apriva la stagione della “diversità morale” del pci rispetto agli altri partiti. In pratica il leader comunista squalificava tutte le altre forze politiche come “macchine di clientela”, “federazioni di correnti, camarille”. Per molti il prologo di “mani pulite” , che spazzò via tutti i partiti dell’area di governo. Il pci-pds si salvò, continuando a puntare molto sulla propria presunta superiorità morale. Questo atteggiamento snobistico sembra essere spazzato via dalle ultime vicende legate al caso unipol. Ne abbiamo parlato con il professor Giorgio Galli, docente di storia delle dottrine politiche alla Statale di Milano e autore di diversi libri sui partiti, tra cui uno sul pci.

Professore, sulla diversità morale della sinistra Enrico Berlinguer fece un proprio cavallo di battaglia. Possiamo ritenere che, in queste ultime settimane, si sia infranto un mito?

Berlinguer teneva a sottolineare, nella famosa intervista a Scalfari da lei citata, che il pci, pur essendo partito di opposizione in un sistema consociativo, era coinvolto molto meno degli altri in vicende, per così dire, immorali. Ma col tempo questa superiorità si è molto ridotta. Il pci si è evoluto, ha cambiato anche nome ed oggi i ds contengono solo una parte del vecchio partito comunista. Sono tutta un’altra cosa. E hanno perduto la superiorità di cui parlava l’ex segretario comunista.

Ci sono stati episodi simili alla vicenda unipol nella storia del pci-pds-ds?

Certamente no. Il vecchio pci aveva un rapporto del tutto particolare con la cgil e la lega delle cooperative, ma esercitava un ruolo egemone, mentre sindacato e cooperative erano subalterne alla politica. Questa situazione è durata fino agli anni ’80, poi le cose sono cambiate, e non di poco. Le cooperative sono diventate un potere autonomo. Un confronto con la realtà di oggi sarebbe impossibile. Il vero protagonista dello scandalo di cui si parla in questi giorni sui giornali è il gruppo dirigente di unipol.

Mondo della finanza e partiti. Sembra essere, ormai, un binomio inscindibile. Ma è sempre stato così?

I partiti hanno sempre cercato di essere presenti nel sistema creditizio. Lo ha fatto anche il pci, pur se in misura inferiore, dato che un tempo era molto più debole rispetto alla democrazia cristiana e al partito socialista. Pensi che Geronzi venne alla ribalta come banchiere andreottiano, questo per dirle che, non c’erano solo i partiti nelle banche, ma addirittura erano presenti anche le diverse correnti. Con la fine dei partiti di massa, però, la politica è diventata sempre più debole e le banche sempre più forti. Una volta i partiti avevano un indiscutibile peso nelle banche, oggi non è più così. Continuano ad avere una certa presenza all’interno del sistema creditizio, ma i veri protagonisti oggi sono i banchieri, con la loro autonomia.

Come valuta l’accusa di “collateralismo” rivolta ai vertici dei ds?

Se ne poteva parlare quando la lega delle cooperative era subalterna e debole rispetto al partito. Ma oggi non è più così, per questo ritengo che i vertici dei ds non abbiano alcuna responsabilità in ciò che è accaduto.

Non crede che il sistema delle cooperative si sia irrimediabilmente snaturato rispetto alle proprie tradizioni e peculiarità?

Il mercato è molto cambiato. Non si può pensare a un mondo della cooperazione che non si adegui alle logiche del mercato in cui si trova a dover operare, così come non si può pensare che le cooperative si occupino solo dei supermercati. La lega delle cooperative si è evoluta ed ha prodotto un management capace e innovativo, che è riuscito a imporsi e ad affermarsi nel mercato. Per questo trovo che sia un po’ pretestuosa l’accusa che i fini originali della cooperazione siano stati snaturati. Le cooperative rosse sono una realtà che conta 7 milioni e mezzo di soci, lo storico legame con la società, dunque, è ancora vivo e vegeto, anche se ci sono stati profondi cambiamenti nel corso dei decenni.

Quella di questi giorni può essere vista come la crisi più grande che il pci-pds-ds abbia mai vissuto?

Non mi convince molto questa sequenza che lei fa, mettendo accanto sigle e nomi diversi. Ci sono stati profondi cambiamenti e oggi, negli attuali ds, non c’è granché del vecchio pci. Venendo alla sua domanda, non credo che sia una crisi particolarmente marcata. Diciamo piuttosto che c’è un forte disorientamento del gruppo dirigente ex comunista dei ds, per le logiche seguite dai vertici dell’unipol, che sono state le stesse seguite dagli altri gruppi di potere. Il tipo di rapporto che sembrava esserci tra Consorte, Gnutti e Fiorani, era molto organico. La vera difficoltà del gruppo dirigente diessino è stata questa: non ci si è resi conto del cambiamento del sistema capitalistico in un sistema capitalistico-finanziario, molto più speculativo rispetto al vecchio capitalismo imprenditoriale. Ma non mi pare, comunque, che sia una crisi particolarmente grave. Ci sono state, nella storia, crisi dalle conseguenze più pesanti.

Che differenze vede tra “tangentopoli” e “bancopoli”?

Lascio a voi giornalisti l’uso di questi termini, buoni più che altro a fare scalpore. Tangentopoli travolse il primo e il terzo partito italiano e coinvolse anche il pci.

Ma il pci non rimase fuori dall’ondata giudiziaria?

Fu interessato dalle inchieste giudiziarie e, alla fine, il suo coinvolgimento risultò minore rispetto ai partiti di maggioranza. Ma intendiamoci, anche il pci aveva usufruito di tangenti. Comunque quella dei primi anni novanta fu una crisi epocale, che segnò il passaggio dalla prima alla seconda repubblica. Oggi non c’è niente di simile rispetto ad allora. C’è solo una forte campagna mediatica volta a vivacizzare questo inizio di campagna elettorale.

Il sistema più o meno coinvolgeva tutti i partiti più grossi, ma il psi di Craxi fu addirittura seppellito dall’accusa d’immoralità...

I socialisti erano stati meno prudenti degli altri nel gestire il rapporto dell’economia con le tangenti. Furono un po’ ingenui, soprattutto nel pensare che un sistema simile potesse durare in eterno. Craxi, nel suo celebre discorso alla camera in cui ammise l’esistenza del finanziamento illecito dei partiti, attaccò la classe dirigente del psi, dicendo che non era stata all’altezza per gestire un problema simile. Oggi lo stesso non può dirsi per i ds.

Come valuta la richiesta che Ferrara ha rivolto ai dirigenti della quercia di fare come Craxi, ammettendo le proprie responsabilità per lo scandalo legato a unipol?

È una cosa del tutto infondata. Fino ad ora non si parla affatto di tangenti ai partiti, ma al massimo di qualche finanziamento, ancora da accertare, nei confronti di alcuni esponenti. Ogni paragone con tangentopoli mi sembra del tutto fuori luogo.

Professore, come crede che andrà a finire politicamente questa vicenda che coinvolge i ds?

Penso che non avrà una grande influenza politicamente. Il nodo centrale sono le scalate alle banche, rispetto alle quali si sta indagando su eventuali singole responsabilità. Ma mescolare tutto mi sembra scorretto. Come si fa a dire che le coop non pagano le tasse e aiutano le giunte rosse. Se questo risulta vero, dopo cinque anni che governa la destra, mi domando perché non si sia fatto nulla per impedirlo. Fazio è un supercattolico, Gnutti aveva rapporti anche con il centrodestra. Insomma, non si può dire, a mio avviso, che il coinvolgimento dei ds nelle commistioni tra politica e finanza sia superiore a quello degli altri partiti.

Vede delle analogie tra gli scandali di questi ultimi mesi e quello della banca romana, che nel 1892 coinvolse anche Giolitti?

Non si possono fare paragoni. Lo scandalo della banca romana fu un fenomeno di corruzione vero e proprio. Nel caso di Fazio e delle scalate alle banche, si può anche immaginare che in realtà il governatore vedesse l’opportunità di sostenere le cordate italiane. Non è detto che vi sia stata corruzione. E comunque saranno i magistrati ad accertare la verità.

La Padania online

11-01-2006

Inviato

E’ diffusa l’idea che le cooperative non paghino le tasse. Rilanciata a ondate ricorrenti dal dibattito politico secondo precisi calcoli di convenienza, questa affermazione ha un’indubbia efficacia comunicativa perché semplifica e riassume fatti complessi con la forza di uno slogan. Ma è proprio vero che «le cooperative non pagano le tasse»? La loro imponente crescita negli ultimi sessanta anni è il prodotto di un trattamento fiscale di favore? La risposta è no. Lo stesso onorevole Giulio Tremonti affermò alcuni anni or sono che il trattamento fiscale riservato alle cooperative altro non era che la compensazione degli svantaggi che esse avevano nei confronti delle altre forme di impresa. Le cooperative hanno progressivamente visto erodere ogni vantaggio fiscale in varie occasioni, come, ad esempio, con l’introduzione dell’Irap. Inoltre è sorprendente che si continui ad affermare, da parte degli stessi esponenti di Governo, che «le cooperative non pagano le tasse» a poco più di due anni di distanza dalla entrata in vigore della normativa fiscale riguardante le cooperative, predisposta dallo stesso ministro Tremonti.

Dovrebbe ormai essere riconosciuto che la cooperazione è cresciuta in virtù di altri fattori: il senso di appartenenza e la volontà dei soci, un’elevata capacità imprenditoriale, la stabilità finanziaria assicurata dall’accumulazione indivisibile degli utili. Le cooperative hanno beneficiato poco o niente delle politiche assistenzialistiche che hanno caratterizzato per un lungo periodo la vicenda economica e sociale del nostro Paese. I guasti di quella politica pesano ancora gravemente sulla competitività del nostro sistema economico.

Nei casi in cui alcune cooperative, soprattutto nel settore agricolo, hanno confidato sul sostegno pubblico sottovalutando la necessità di divenire imprese efficienti, alla fine sono scomparse dal mercato. Le cooperative hanno lungamente dimostrato di agire nell’interesse del Paese e di meritare il riconoscimento contenuto nell’articolo 45 della Costituzione. Esse si sono rivelate capaci di risolvere autonomamente le proprie crisi e di rivitalizzare imprese ordinarie, come testimonia l’attività della Compagnia Finanziaria Industriale, gestita dalle Centrali cooperative insieme al Ministero delle Attività produttive.

Per questa via si sono salvati migliaia di posti di lavoro; si sono trasformati dipendenti in imprenditori di se stessi; si sono utilizzati in modo produttivo gli ammortizzatori sociali. Il riconoscimento costituzionale ha indubbiamente gettato le basi per un ambiente favorevole allo sviluppo della cooperazione «a base mutualistica e senza finalità di speculazione privata». Il patto sancito originariamente con la legge Basevi del 1947 si è realizzato, nei decenni successivi, attraverso il «sacrificio» congiunto del socio della cooperativa e dello Stato: il primo ha assunto un insieme di vincoli, il principale dei quali è la rinuncia, per sempre, al beneficio personale degli utili conseguiti dalla cooperativa; il secondo ha moderato la pressione fiscale esonerando gli utili destinati a riserva indivisibile. In caso di scioglimento o di trasformazione in società ordinaria, la cooperativa ha l’obbligo di devolvere l’intero patrimonio sociale al fondo mutualistico nazionale per la promozione di nuove imprese cooperative.

Anche l’erogazione di dividendi ai soci sulla base della loro quota sociale e il ristorno ai soci stessi calcolato in base allo «scambio mutualistico», che costituisce l’essenza del patto associativo, sono soggetti a precisi limiti. La mutualità cooperativa presenta caratteri multiformi ed evolutivi. In Italia essa si è affermata come mutualità interna (servizio ai soci, tutela del potere di acquisto o tutela del lavoro ecc.) e mutualità esterna, vale a dire l’estensione ai non soci del vantaggio mutualistico accennato. Una variante della mutualità esterna è la mutualità di sistema che ha dato origine appunto al fondo per la promozione cooperativa.

La riforma del diritto societario, approvata nel 2003, ha introdotto cambiamenti profondi, con la modifica dei parametri di valutazione dei requisiti mutualistici. La riforma ha disegnato un tronco normativo unico con due ramificazioni, differenziando le cooperative sulla base della «mutualità prevalente e non prevalente». La cooperativa è a mutualità prevalente quando la sua attività è prevalentemente costituita: dal servizio ai soci nel caso della cooperazione di consumatori; dal lavoro dei soci, nel caso delle cooperative di produzione lavoro; dall’utilizzo degli apporti di beni e servizi, nel caso di cooperative di conferimento. Le cooperative che sviluppano meno del 50 per cento della loro attività con i soci o verso i soci sono considerate «a mutualità non prevalente».

Il nuovo regime fiscale, connesso alla riforma, riduce significativamente ogni residuo beneficio rispetto alle altre forme di impresa, soprattutto per le cooperative a mutualità non prevalente. I calcoli presentati da due professioniste della società di certificazione contabile Uniaudit - Linda Fagioli e Silvia Fiesoli - in una recente giornata di studio promossa dall’Associazione Italiana Revisori Contabili dell’Economia Sociale (Airces), forniscono un quadro chiaro della nuova situazione.

Le cooperative a mutualità prevalente mantengono inalterati i criteri di distribuzione degli utili, destinati in larghissima misura a riserve indivisibili. In ogni caso esse devono assoggettare a tassazione una quota almeno pari al 30 per cento degli utili, anche se le componenti oggettivamente deducibili superano il 70 per cento. Fanno eccezione a questa norma le cooperative agricole e le banche di credito cooperativo alle quali si applica una tassazione più ridotta, e le cooperative sociali che beneficiano interamente dell’esenzione dalle imposte sugli utili conseguiti, destinati a riserva indivisibile.

Nel caso della cooperativa a mutualità non prevalente si possono avere due differenti situazioni. Un primo caso riguarda una cooperativa il cui statuto prevede l’indivisibilità della riserva legale costituita con il 30 per cento degli utili. Il residuo 70, detratto il 3 per cento destinato a fondo mutualistico, è assoggettato a tassazione. Il secondo caso riguarda una cooperativa a mutualità non prevalente, il cui statuto non preveda l’indivisibilità della riserva legale. In questo caso la quota tassata diviene pari al 97 per cento (detratto soltanto il 3 per cento a fondo mutualistico) con un’incidenza fiscale pressoché analoga a quella delle imprese ordinarie.

Se alla tassazione si aggiunge l’erogazione del 3 per cento degli utili al fondo mutualistico, che per la singola cooperativa equivale a una sorta di imposta aggiuntiva, essa supera di due punti quella dovuta dalle imprese non cooperative. È appena il caso di ricordare che le società ordinarie controllate da cooperative non beneficiano di alcun trattamento particolare. Il regime fiscale delle cooperative è, perciò, lungi dal rappresentare un reale vantaggio competitivo, soprattutto in presenza dei maggiori costi, oltre che dei vincoli, che la gestione mutualistica comporta. Una discussione seria e documentata su questi problemi può concorrere a sfatare luoghi comuni e a individuare le condizioni realmente efficaci per lo sviluppo della cooperazione.

Ivano Barberini, presidente dell'Alleanza Cooperativa Internazionale e dell'Archivio Disarmo.

Specchio Economico, anno XXV, 2006

Guest DESMO16
Inviato
E’ diffusa l’idea che le cooperative non paghino le tasse. Rilanciata a ondate ricorrenti dal dibattito politico secondo precisi calcoli di convenienza, questa affermazione ha un’indubbia efficacia comunicativa perché semplifica e riassume fatti complessi con la forza di uno slogan....

..non solo quello, io direi che si troverebbero anche in un regime di non libera concorrenza, ma al di là di questo bisogna ricordarsi dell'affare Unipol, perché sembra che qui in Italia di colpo siamo tutti diventati smemorati, non di Collegno ma di Fassino), guardando ad es. allo scandalo Unipol.. :roll:

La sinistra uccisa dai miliardi

Finisce male. Scommettiamo? E molti se lo saranno meritato, specie tra quei moralisti da falce e martello scampati a Tangentopoli per decreto dipietresco. Non piangeremo per questo. Il guaio è che temiamo finirà male non solo per loro, ma per questa povera Italia, e invece si concluderà bene, maledettamente bene, per i soliti gentiluomini dalle alte parcelle e dalle belle chiome. Per loro, anche quando va male a tutti, c'è sempre un bel premio. Non ci sta bene, proprio no. Qui mettiamo giù l'elenco dei fatti notevoli delle ultime 24 ore. Quelli acclarati, ma anche le supposizioni. Poi ci butteremo anche sul futuro.

1) Interrogatori serrati ieri a Milano. Gianpiero Fiorani e altri suoi collaboratori incarcerati con lui faccia a faccia coi pm. Poco prima era toccato a Gianni Consorte, capo della Unipol. Il quale, sconfitto e umiliato dai voltafaccia dei compagni, ha mollato la guida dell'Unipol insieme al suo vice Ivano Sacchetti.

2) Questa nuova ondata di colloqui poco simpatici viene dopo il colloquio liberatorio di Emilio Gnutti (detto Chicco) con il procuratore aggiunto Francesco Greco, avvenuto la vigilia di Natale per decisione spontanea del finanziere bresciano. Perché liberatorio? Deduzione. Uno va poche ore prima della nascita del Bambinello in Tribunale, e proprio dal magistrato più tosto per levarsi una pietra dal petto. Escludo sia per masochismo o per far perdere tempo alla gente con menate varie. Chi ha letto su Libero il racconto della sua vita lo sa. Gnutti non è uomo da poco, aveva dei disegni anche geniali, slanci persino ingenui, aperture politiche a destra e a sinistra, non ha mai fregato la povera gente. Si badi. Oggi torna a Milano, sta preparando una memoria difensiva. Ci saranno novità interessanti.

3) Come avevamo previsto, nei guai è finita la sinistra. Ci è finita nella maniera comica di chi non trova balle decenti e dice che è stato rapito dagli extraterrestri. Così Gianni Consorte, dinanzi alle contestazioni dei pm, ha ammesso: «Ho incassato 50 milioni di euro da Chicco Gnutti, è vero. Non era una plusvalenza, ma una consulenza privata». Tutto il materialismo storico e dialettico, Marx, Engels e Lenin, ha prodotto questa frase da Pierino. Le sue consulenze dovevano essere magiche. Chi crede di essere, Guido Rossi? In realtà è chiaro che ci prende in giro. La prova? Il buon senso. Chi darebbe tutti 'sti soldi a uno che dice una frase così stupida? Avevamo sentito una difesa simile da parte di Cesare Previti, quando asserì che i soldi avuti dalla famiglia Rovelli erano la parcella di consulenze giuridiche pluriennali (Iva esclusa). Ma lì l'avvocato fu più circostanziato e la cifra miliardaria sì ma assai minore. Nel caso di Consorte, poi, essendoci di mezzo Gnutti, chi poteva dare consulenze era quest'ultimo, e non il contrario. Sarebbe come se Previti avesse detto di avere incassato 50 miliardi in consulenze legali da Perry Mason. Perché Consorte nega fossero plusvalenze? Per chi non l'avesse capito, plusvalenza è il nuovo nome delle tangenti. Funzionava in questo modo. Io ti presto del denaro, tu me lo ridai, io ci compro e vendo azioni in base ad informazioni segrete, ed i guadagni, sicuri come la morte, li lascio a te. Quando si maneggiano miliardi di euro, e i valori si triplicano o decuplicano, 50 milioni di euro sono anche pochi. Vox populi a Palazzo di Giustizia sostiene: sarebbero solo una fetta, diciamo del dieci, venti per cento della torta spettante a Consorte e al suo giro per l'affare Telecom del 1999. Di certo una balla tanto goffa come quella della consulenza privata (ma era compresa l'Iva?) lascia spazio a idee di questo tipo. Nessuno le formula apertamente. Ovvio. Noi saremo incoscienti, ma siccome abbiamo già osato anticipare gli eventi (vedi Libero di giovedì 21 dicembre) mettiamo per iscritto il cinguettio delle redazioni di Corriere e Repubblica: forse quella "consulenza" erano dei buoni uffici presso la presidenza del Consiglio. Il premier era un amico di Consorte, e cioè D'Alema, e il presidente del Consiglio vide bene il lavoro dei «capitani coraggiosi» Gnutti e Colaninno. Da qui la favoleggiata tangente da seicento o mille miliardi. Da allora tutti ne parlano, però senza mai dare a D'Alema l'opportunità di afferrare qualcuno per il bavero e dirgli: fuori le prove. Vero, falso? Noi crediamo a Francesco Cossiga. Il quale ci ha garantito, prima di dedicarsi a più alti colloqui e più difficili transazioni, trattarsi di calunnie. Altrimenti anch'egli avrebbe goduto della sua fetta, in quanto principale alleato di Baffino. Certo che anche D'Alema, lui così intelligente, poteva scegliersi uno più abile nelle balle. Se questi sono i maghi, chissà i poveri pistola cosa inventeranno.

4) A sinistra c'è la resa dei conti, e ci fa un po' schifo. Preferiamo di gran lunga D'Alema che difende l'amico anche se nei guai. Franco Bassanini sul Sole 24 Ore ha tirato il calcio dell'asino. Bassanini non è nuovo a queste virate. Socialista era passato al Pci, schiaffeggiato per questo dal craxiano Gangi. Ora è pronto per un posto importante nel nuovo Partito democratico. Finge di difendere Fassino e D'Alema e di colpire solo Consorte, poi la sassata è triplice: «Sulla base delle esperienze del passato, dalla conclusione della vicenda Telecom al caso Antonveneta... penso fosse corretta la posizione di chi raccomandava molta cautela nella scelta dei compagni di viaggio». Fassino e D'Alema non l'hanno fatto, dunque... Lo stesso fa Cesare Salvi sul Gazzettino. E Fassino reagisce debolmente sull'Unità parlando di «scorrettezze di singoli per altro non dimostrate», e questo non può invalidare la bontà del legame tra Ds e cooperative. Insomma, chiede il sacrificio del «singolo », meglio che uno muoia per tutti, come disse il Sommo Sacerdote. Insomma: Consorte vattene e salvaci tutti. (Eseguito). Poi butta lì: «Attaccano i Ds per colpire al cuore l'Unione». Insomma, chiede a Prodi e a Rutelli una parolina di difesa. Niente. Brutta storia. Voleranno stracci a sinistra, anzi i cachemire. Lì non si litiga ormai per il pane e neanche per le brioche, ma per il caviale. Detto questo noi preferiamo D'Alema, mille volte D'Alema, a Prodi e a compagnia moraleggiante dentro i ds.

5) Berlusconi e il centrodestra fanno la figura finora di chi non si è accorto di nulla. Possibile? Vengono informati che banche straniere cercano di prendersi Antonveneta e Bnl. Che c'è una alleanza tra Gnutti e Consorte, e si disinteressano? Questo per noi è peggio che mettere i piedi nel piatto. Poi nel vuoto interviene la magistratura. E scopre che i politici di centrodestra come massima espressione di intelligenza politica trattavano sui fidi per le loro mogli, purché non rompessero le scatole. Che pena.

6) Finirà che le banche straniere si prenderanno le nostre. Abn-Amro ha fatto già sua Antonveneta. Ora è assai probabilissimissimo che la Banca nazionale del lavoro finisca alla "Bilbao" eccetera. La nostra certezza viene dal fatto che, dopo l'istituto olandese, anche quello spagnolo ha assunto con la solita meravigliosa parcella Guido Rossi, per farsi assistere legalmente. Rossi uomo della sinistra degli affari puliti è quello che definì Palazzo Chigi al tempo di D'Alema «l'unica merchant bank dove non si parla inglese». Siamo tutti felicissimi che le nostre banche innalzino bandiere poco tricolori? Spazzoleranno i risparmi padani e italioti per investirli dove decidono loro.

7) Finirà che oggi Stefano Draghi diventerà governatore della Banca d'Italia. È lui che ha privatizzato il sistema creditizio dopo Tangentopoli, forse con qualche generosità verso i vecchi ricchi. Ora garantisce benissimo la nostra immagine presso la finanza internazionale: è vicepresidente della Goldman Sachs di Londra.

di Renato Farina

Libero 29 dicembre 05

Inviato

Vedi Desmo, io ti ho riportato un articolo della Padania in cui si dice a chiare lettere che Fassino non ha colpe, che i DS non hanno colpe e che se la corruzione ha dilagato e dilaga in ogni dove è pur vero che tale corruzione è molto più diffusa fuori dai DS.

Vuoi vedere che sono una manica di comunisti pure quelli della Padania?

Poi ti ho riportato un articolo in cui si dice che le cooperative pagano le tasse come le Spa, che le residue facilitazioni fiscali compensano a malapena gli svantaggi del non essere Spa è tu mi vieni a parlare di cooperative fuori mercato.

Tu pensi forse che in cooperativa sia tutto rose e fiori. Sono di gran lunga di più quelle che nascono e falliscono che quelle che nascono e sopravvivono. Se non riesci a competere non riesci a competere nè come Spa nè come cooperativa.

Libero di aver fede negli slogan del banana su cooperative e sul pericolo rosso. Che il mondo sia cambiato il banana lo sa benissimo, ma ha paura di quel cambiamento. Ha paura di quel cambiamento perchè è un cambiamento che compete con i suoi interessi. Compete onestamente, correttamente e secondo il libero mercato. Una cosa che lui non riesce a fare perchè sa competere solo attraverso l'illegalità, la corruttela e il ladrocinio. Meglio usare la menzogna per tentare di nascondere la realtà onesta, emergente e competitiva al mondo. E meglio spiare l'avversario sperando di trovarvi nefandezze da usare per distruggerlo. Gli è andata maluccio: di nefandezze ne ha trovate poche e si è ridotto a resuscitare antiche paure. Felice chi gli crede.

Unipol? Non centra un tubo nè coi DS nè con Fassino. Leggi l'articolo. Centra che un trafficante come consorte non si discosta da tutti gli altri trafficanti di qualsiasi colore essi siano.

Il sempre più tenue vincolo tra DS, mondo delle cooperative e Unipol è un vincolo pulito tra DS, cooperazione e Unipol, non tra DS e trafficanti corrotti e corruttori alla Consorte&Fiorani.

Il tentativo del banana di calare nella merda i DS e Unipol insieme al trafficante Consorte è già fallito perchè privo di fondamento. Tanto falso e tanto privo di fondamento che lo stesso banana continua a sottoscrivere allegramente le sue polizze Unipol per se e per i suoi familiari.

Desmo, tenta almeno di capire che i fatti sono fatti, le menzogne sono menzogne e gli slogan elettorali sono slogan elettorali; sia quelli di destra che quelli di sinistra.

C'è una destra pulita e onesta Desmo, se devi votare a destra ti consiglio di votare quella destra pulita e onesta, non l'altra corrotta e corruttrice capitanata da farabutti, spioni e bugiardi.

Guest DESMO16
Inviato

...altro art. da La Padania:

Coop rosse, portafoglio a sinistra

Oltre 637 mila euro nelle casse di quercia e margherita per sostenere le campagne elettorali

Roma - Spulciando il fatturato della manutencoop si arriva, di regione in regione, a scoprire le innumerevoli donazioni del gruppo ai Ds. Dalla Liguria all’Abruzzo la società cooperativa, il cui presidente Claudio Levorato figura nel consiglio di amministrazione di holmo, società controllante di unipol, svela un “tifo” smisurato per il partito di Piero Fassino: 170 mila euro versati alla Quercia per sostenere i candidati dell’opposizione tra marzo e dicembre 2005.

La società che gestisce i servizi per conto della legacoop può contare su pesanti partecipazioni che vanno dal facility management ai servizi ambientali, dal settore immobiliare ai servizi ospedalieri. Insieme alle ferrovie dello stato detiene, attraverso Archimede 1, la società centostazioni spa con un fatturato da 53,6 milioni di euro. Sale invece 58,5 milioni di euro il fatturato della Roma multiservizi, società detenuta dalla manutencoop (45 per cento), dal comune di Roma (15 per cento), dall’ama (36 per cento) e dalla veneta servizi srl 83,5 per cento. Nel campo immobiliare, poi, il fatturato ammonta a 54,1 milioni di euro. E se ci potesse essere la possibilità di perdersi nella lettura delle cifre astronomiche rese note dalle società che fanno capo alla manutencoop, risultano più interessanti le donazioni versate alle tesorerie di Ds, Margherita e Verdi. Tutte insieme hanno dato al centrosinistra circa 170 mila euro. Soldi incassati pressoché dalla Quercia per finanziare le campagne elettorali alle elezioni amministrative. La manutencoop non è la sola, tuttavia, a fare il tifo per i compagni. Non sono, infatti, da meno (tanto per citarne alcune) sorgeva, coopselios, consorzio omnicoop, coop costruzioni e coop muratori riuniti. La lista è lunga. E la cifra cresce tanto da toccare i 637 mila euro, dei quali oltre 470 mila versati negli ultimi nove mesi.

Della beneficenza firmata manutencoop hanno favorito un po’ tutti. Per sostenere la campagna elettorale di Sergio Cofferati, poi eletto primo cittadino di Bologna, sono stati stanziati 13 mila euro. Bruscolini, se confrontati ai 30 mila donati alla segreteria per sostenere Piero Marrazzo alla presidenza della regione Lazio. Poi se ne contano altri 10 mila (a testa) per Ottaviano Del Turco alla regione Abruzzo e per il senatore diessino Nicola Latorre. Altri 20 mila euro sono stati gentilmente donati al segreteria piemontese della Quercia (a questi se ne aggiungano altri 12.500 stanziati dalla società cooperativa edilizia Giuseppe Di Vittorio).

«Tifare secondo me non è politicamente corretto». Così, pochi giorni fa, il coordinatore della Quercia Vannino Chiti. Così anche le coop rosse. La regione più coccolata risulta essere l’Emilia-Romagna. Alla sede dei ds di Reggio Emilia quasi 60 mila euro equamente spartiti tra coop Reggiolo (10 mila), coopselios (20 mila), cormo (7500), la betulla (10 mila) e tecton (12 mila). A questi si aggiungano altri 60 mila euro abbondanti stanziati per sostenere Vasco Errani alla presidenza della regione emilia. I più caritatevoli con Errani sono stati, guarda caso, proprio quelli della manutencoop con una donazione di 26 mila euro, a cui se ne aggiungono altri 13 mila (a testa) provenienti dalle casse dei consorzi coop sageco e sara.

Cifre più moderate per i diessini Gianpietro Marchese alla regione Veneto (5 mila euro), Ezio Chiesa alla regione Liguria (altri 5 mila), Renzo Guccinelli alla regione Liguria (3 mila) e Roberto Montanari alla regione Emilia (altri 3 mila). In Piemonte, invece, il movimento che ha sostenuto Mercedes Bresso ha potuto beneficiare di una somma complessiva di 30 mila euro, ripartita tra tre cooperative differenti. «Il collateralismo? Fantasmi del passato», aveva garantito lo stesso Levorato. Non solo. Il presidente di manutencoop aveva anche assicurato che, nella vicenda unipol, la politica non ha costituito «alcun ingombro», ma che per quanto «rumorosa» si è limitata a «fare il tifo». Tuttavia, gli intrecci con holmo, monte dei paschi, hopa, bpi e i forti intrecci legami con la Quercia collocano l’istituto bolognese a metà tra economia “iper” capitalistica e intrecci politici. Della facciata sindacale e sociale è rimasto ben poco. Stridono dunque gli interventi dei vari diesse a difendere la politica aggressiva del partito in merito alle scalate. Rimangono, invece, nero su bianco gli affari con Fiorani e Gnutti, le speculazioni di borsa (poi rimpastate con il nome di trading) e le convenzioni globali con organizzazioni dello stesso ambiente. Non è, dunque, un caso poi se le sottoscrizioni al partito Ds si effettuano con un bonifico si banca unipol. Strano dunque che il neoeletto presidente di unipol, Pierluigi Stefanini, si sforzi a spiegare che, nel mondo della cooperazione, «il collateralismo è un termine che fa parte della storia di questo paese e che riguarda tutte le forze politiche e diverse organizzazioni sociali: attualmente non ha più motivo di esistere e non esiste più da tanti anni». Ci vuole coraggio. Molto. Forse un po’ troppo se, visto il fiume di denaro messo a disposizione del centro sinistra, ci si rende conto che a beneficiarne ci sono anche Margherita e Verdi.

Alla regione Puglia, per esempio, i Dl ricevono 20 mila euro per sostenere la candidatura di Emanuele Sannicandro. Franco Gussoni, invece, ne riceve 2500, Flavio Delbono 10 mila e Massimiliano Costa 5 mila. Meno parchi, invece, nei confronti dei Verdi a cui manutencoop dona 5 mila euro per l’assessore Gianluca Borghi.

Serve a poco, dunque, la campagna per negare a spada tratta il collateralismo tra i vertici del centro sinistra e le coop rosse. E servono a poco le parole di Romano Prodi a denunciare una vicinanza «tra politica e centrali economiche che, in taluni casi, ha debordato oltre i confini dell'opportunità politica». Forse - di tanti in tanto - basterebbe un leggero esame di coscienza perché questo intreccio tra socialità, affari e politica sembra poco politically correct e molto dannoso all’economia di mercato.

di Andrea Indini

La Padania [Data pubblicazione: 10/01/2006

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