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intervista a Filippo Preziosi


Autodelta85

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FILIPPO PREZIOSI nutre un amore viscerale per le moto, anche se un incidente motociclistico lo ha segnato per sempre. Ma la passione è rimasta integra. Come quella per la meccanica. Se potesse butterebbe via tutta l'elettronica che si usa (o abusa) oggi nelle gare e considera il desmodromico una cattedrale gotica. A 26 anni era già a capo del reparto corse, a 32 ha accettato la sfida della MotoGP, contro i colossi giapponesi. Oggi che ne ha 39 ci spiega come è riuscito a batterli.

Nel mondo delle corse così super tecnologizzato è davvero possibile nascondere un trucco grossolano, come quello che imputano a voi?

“E’ talmente facile verificare la correttezza di un Costruttore che sarebbe folle fare qualcosa del genere. Finché resta una battuta dire che non è un 800, vabbè… Ma quando la moto è nel parco chiuso (e se va sul podio ci finisce subito dopo aver tagliato il traguardo, ndr) può essere aperta e controllata in ogni dettaglio”.

Allora il “trucco” è nel polso di Stoner…

“In realtà, il suo modo di guidare non è così risparmioso. Casey fa alcune cose che lo fanno consumare da matti. Ma dopo aver vinto due gare che cosa gli posso dire… Però se ne è accorto, soprattutto ha capito che sforzandosi di spingere meno la moto va più forte. E guardando la telemetria vediamo che consuma di meno. Perché ha una guida meno aggressiva, non fa derapare inutilmente la ruota. Non butta via benzina”.

E Loris?

“E’ molto aggressivo, lo è sempre stato. Con il suo stile di guida riesce però a individuare i limiti della moto. E questo è importantissimo per lo sviluppo del mezzo, perché se riesci a renderlo più guidabile dai un vantaggio a tutti i tuoi piloti. Ecco perché il giudizio di Capirossi è fondamentale in questo momento”.

Le scelte tecniche di Ducati e Yamaha sono facilmente delineabili, della Honda non si può dire altrettanto.

“Può darsi che ci siano problemi che nessuno di noi conosce. Può darsi che abbiano un problema di affi dabilità che impedisce loro di far girare al massimo il motore e se questo gira a un regime più basso di quello per cui è stato progettato ha dei grossi limiti di guidabilità. Risolto questo problema potrebbero venire fuori da una gara all’altra”.

Quest’anno si vedono bene le differenti strategie tecniche.

“In tutti questi anni abbiamo lavorato per migliorare la guidabilità sacrificando il meno possibile le prestazioni. Ma l’esito del campionato non servirà a stabilire chi ha fatto la scelta migliore. Perché, come sappiamo bene, la filosofia tecnica è solo uno degli elementi da considerare. Ci sono troppe altre variabili che contribuiscono al risultato finale: il talento del pilota, la scelta delle gomme, persino la casualità”.

Sorpresi di esser in testa al mondiale?

“Sicuramente sì. Casey era una scommessa, perché nel 2006 con la moto campione del mondo, gommata Michelin, pur dimostrando un talento innato, aveva fatto un solo podio. Però è anche il bello di questo sport: l'imprevedibilità. Non sta scritto da nessuna parte che la moto migliore del mondo deve vincere sempre e lo stesso vale per il pilota più forte. Sì, siamo rimasti sorpresi noi, così come è rimasto sorpreso Stoner”.

Quando hai preso in mano il progetto MotoGP eri un ingegnere di appena 32 anni.

“All’epoca ero direttore tecnico di Ducati Corse e alle spalle avevo l’esperienza della Superbike. A capo della quale mi sono trovato molto in fretta. Sono entrato in Ducati Corse nel gennaio del ’94 e a novembre ero responsabile dell’ufficio tecnico. Sono nato e cresciuto qui. D’altronde la Ducati era il mio sogno”. Racconta. “Sono venuto a Bologna a fi nire gli studi di ingegneria proprio perché questa è la capitale dei motori sportivi”.

Puntavi più alle due o alle quattro ruote?

“La mia passione, da sempre, sono le moto. Il lavoro in Ducati è stato il coronamento di un sogno. Da studente venivo col motorino davanti ai cancelli della fabbrica a sognare. A forza di vedermi qui davanti, il portiere una volta mi fece entrare e mi fece fare un giro all’interno. Il giorno del colloquio camminavo a dieci metri da terra”.

La Ducati era anche la tua moto dei sogni?

“La SL600, perché era la moto dura e pura, del vero ducatista. Come la F1 750, una moto essenziale. Ecco, io una moto da gara la vorrei così. Ma poi potevo permettermi solo la TL 250…”.

Dicevamo della scommessa …

“Certo, lo era, perché guardavamo alle grandi Case giapponesi e ci rendevamo contro dei mezzi enormi che avevano a loro disposizione. Con centri dei eccellenza specializzati su elettronica, materiali e calibrazione a cui accedere di volta in volta. Non era certo un confronto alla pari. Noi dovevamo farci un po’ tutto in casa. Le dimensioni piccole però ti danno il vantaggio della flessibilità e la vicinanza coi piloti coi quali condividiamo la lingua. Comunicare bene è un bell’aiuto, altrimenti ti perdi dei pezzi”.

I regolamenti che cosa sono per te, un limite o una sfida?

“Una sfida senza dubbio. A parità di regole indovinare la filosofa migliore per ottenere il miglior tempo sul giro è un bello stimolo. Detto ciò per una fabbrica piccola come la nostra, passare dal 990 all’800 è stato un bagno di sangue a livello di costi. Abbiamo buttato via tutti i motori che avevamo e abbiamo riprogettato una moto”.

Senza limiti regolamentari che tipo di moto faresti?

“Se potessi vieterei rame e silicio, in una parole l’elettronica. Perché sono un ingegnere meccanico e subisco il fascino della meccanica di qualità. Da questo punto di vista il nostro desmo rappresenta una cattedrale gotica…”

L’elettronica è un male necessario?

“L’elettronica è il pane dei poveri… Costa poco ma dal momento che c’è, cerchiamo di sfruttarla al meglio e sotto questo profilo siamo molto avanti. Ma una volta che hai pagato la centralina dentro ci scrivi quello che vuoi. Modificare una strategia elettronica non costa nulla. Cambiare un albero a camme o un albero motore significa buttare via un sacco di pezzi”.

Moto a parte che cosa ti piacerebbe progettare?

“Sono totalmente immerso nelle moto e nel loro mondo. Nemmeno la F1 mi attira allo stesso modo. C’è tanta tecnologia ma il fuoco vero della passione me lo accende solo la moto”.

Mi è piaciuta molta questa intervista,sopratutto la parte sottolineata.

Secondo me l'unico modo per differenziarci dai marchi japponesi è quella di puntare molto sulla meccanica per giustificare un prezzo alto,altrimenti se non abbassiamo i pezzi ci massacrano.

La shiver sarà pure bella e competitiva come prezzo però dai sembra avere un'elettronica da auto ibrida :(

 

花は桜木人は武士

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