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Automobilismo intervista Flavio Manzoni


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1- Introduzione

La Golf VI è il primo progetto dove sarà visibile l’influsso di Flavio Manzoni, il designer italiano che da poco affianca Walter de’ Silva allo stile VW. Il rilancio del marchio tedesco è anche una grande sfida personale, che Manzoni ci racconta di persona. Ci riceve alla vigilia della primissima riunione sulla Golf VII. Quasi due generazioni avanti all’attuale, tanto per dire con quanto anticipo lavora uno stilista. “Sì, in questo caso anche più del solito. Ma vogliamo lavorare con calma, per essere sicuri che quella che uscirà sarà un’auto memorabile.” Il suo ufficio è un minuscolo lembo di Italia immerso nel cuore della Germania. Fa un po’ impressione sentir parlare italiano qui dentro, eppure ancora una volta i tedeschi – dopo Giugiaro per il rilancio di Volkswagen negli anni ’70 e de’ Silva per quello di Audi negli anni ’90 – si sono affidati a mani italiane per risollevare l’immagine Volkswagen. Con effetti che saranno visibili a partire dalla Golf VI. “In realtà appena arrivato qui abbiamo messo mano a tutti i progetti, ma con spazi di manovra diversi: sull’imminente Passat CC, per la quale anche gli stampi erano ormai pronti, si è preferito non intervenire a parte un leggero make-up sul frontale; sulla Scirocco siamo riusciti a fare qualcosa di più, modificando il frontale e in parte anche i fianchi. Con la Golf VI si vedranno i primi segnali forti: essendo un restyling pesante dell’attuale, ne conserva le proporzioni; ma abbiamo ridisegnato il frontale e la coda, imprimendo una forte svolta stilistica: emergeranno già i connotati che vogliamo dare a tutta la gamma.”

2- Centro Stile di Wolfsburg

Il “qui” dove Manzoni è arrivato è il Centro Stile di Wolfsburg: la città nella città (46.000 addetti su 120.000 abitanti) che ospita il complesso industriale Volkswagen. Con i suoi 6 kmq abbondanti, è il più grande stabilimento al mondo: potrebbe contenere l’intero Principato di Monaco. Ha al suo interno due ospedali, una stazione ferroviaria, una centrale di Polizia. Ci sono 75 km di strade e due centrali elettriche che alimentano l’intera città. I disastri dell’edilizia industriale, se ci sono stati, li hanno nascosti bene: sembra di essere in un piccolo centro della campagna: Voghera, o Rieti. Per arrivare a Wolfsburg bisogna lasciarsi alle spalle la giallognola periferia post-sovietica di Berlino e inoltrarsi in una campagna molto ondulata, poco popolata, in cui a contendere spazio al verde scuro dei boschi c’è solo il verde chiaro dei prati. Si entra nell’abitato da un viale di faggi e betulle che in Italia farebbe l’invidia di qualche parco nazionale.

3- I progetti italiani

Dei 46.000 di Wolfsburg Manzoni, arrivato a fine 2006, è uno degli ultimi assunti. Walter de’ Silva lo ha fortemente voluto a coordinare lo stile VW, compito impegnativo per la situazione di incertezza in cui versa l’estetica del Marchio – oltre che per le dichiarazioni battagliere di de’ Silva e dello stesso Presidente Martin Winterkorn. Manzoni si è messo in luce con il suo lavoro in Seat, dove si è occupato degli interni, e poi in Fiat, dove ha ricoperto responsabilità crescenti, culminate con la direzione del Centro Stile Lancia e infineil coordinamento di Fiat e Lancia nel periodo in cui si delineava il loro nuovo corso. E se è vero che il passato di una persona lascia sempre delle tracce, queste sono particolarmente perspicue nel caso di un designer: sulle pareti dell’ufficio di Manzoni campeggiano i disegni degli interni della Seat Tango e della Maserati 3200 GT. I prototipi Dialogos e Stilnovo per Lancia, che dovevano prefigurare la Thesis e la prossima Delta. E la Fulvia Coupé, il suo (e nostro) grande rimpianto.Piaceva a tutti, anche a Marchionne: che però “scoprì” il progetto troppo tardi, quando ormai non c’erano più le condizioni per realizzarlo. Ma c’è tanto di Manzoni anche nella nuova Bravo, nella 500 e in molti dei veicoli di Torino che si vedranno nei prossimi due o tre anni.

4- Il nuovo linguaggio VW

Dallo scorso gennaio, Manzoni lavora seduto su una sedia altrettanto importante. Nella riorganizzazione dello stile del Gruppo, che prevede ora un “polo nord” (Volkswagen, Skoda, Bentley, Bugatti) con base a Wolfsburg e un “polo sud” (Audi, Seat, Lamborghini) con base a Ingolstadt, l’architetto di origine sarda ricopre il ruolo di Direttore Creativo per il raggruppamento Nord. Il suo omologo per quello Sud, Wolfgang Egger, è tedesco: ma fino a pochi mesi fa dirigeva il Centro Stile Alfa Romeo. Un altro pezzo di shopping “italiano” di de' Silva, supervisore dello stile dell’intero Gruppo, che Manzoni descrive come “un grandissimo manager, oltre che un grande stilista”. Cominciamo chiedendo a Manzoni se l’esodo di connazionali proseguirà. “Abbiamo intenzione di rinnovare e potenziare i nostri Centri Stile con persone di talento da tutto il mondo. Forse arriveranno ancora un paio di italiani, non di più: anche perché non vorrei essere criticato per eccesso di campanilismo…”

Cosa fa un Direttore Creativo?

“Io definisco, con la massima libertà, le linee guida a livello formale per i marchi VW, Skoda, Bentley e Bugatti, cercando di dare il massimo valore aggiunto fino al ‘congelamento’ dello stile. Poi continuo a seguire il progetto, ma con minor coinvolgimento tecnico rispetto a quanto avveniva in Italia. Anche perché qui lo stile lo si ‘congela’ davvero: i cambiamenti in corso d’opera sono esclusi.”

Ma non avete messo le mani su tutti i progetti?

“In questo caso specifico, si voleva dare un segnale di discontinuità rispetto alla gestione precedente, che sembrava avere un po’ perso la bussola. Con de’ Silva abbiamo ridefinito i cardini dell’identità di marca, sviluppando un linguaggio formale indipendente che si rifà in sostanza al periodo degli anni ’80 e ’90, quando lo stile Volkswagen non aveva zone grigie. La prima cosa che ho fatto è stata studiare a fondo tutto quello che la Casa aveva fatto negli anni e individuare le linee guida che ne definiscono l’aspetto, ma anche l’anima. Abbiamo preparato un documento in cui il DNA Volkswagen è definito con poche parole e immagini, una specie di paradigma stilistico, che è piaciuto subito. Il Presidente è un grande appassionato di auto, e pur essendo un tecnico di formazione è molto competente anche in fatto di stile.”

E davvero “gli è tutto da rifare”, come diceva Bartali?

“Il punto è che non riconoscevamo quelle auto come Volkswagen. L’identità di marca si stava stemperando in un certo ‘decorativismo’, fatto di stilemi come il piastrone metallico della calandra, troppo in stile Audi, o i fari con la giustapposizione di linee dritte e linee ad arco. Se guardate per esempio i frontali delle Golf dalla I alla IV, vi accorgerete che sono definiti nello spazio da linee orizzontali; con la V si passa a linee verticali. In quel momento si perde l’aspetto di solidità e coerenza che VW ha sempre comunicato: è questo che intendiamo quando diciamo che senza la svolta che stiamo cercando di dare si sarebbe persa l’anima di VW, perché si stava seguendo una direzione non coerente con quello che ci si aspetta dal marchio. Che tornerà invece ad avere uno stile di grande impatto, senza eccessi ornamentali. Nei nuovi programmi c’è il recepimento della lezione Audi, che prima ancora che sullo stile ha lavorato molto sulle proporzioni e sul package, ad esempio trovando il modo di spostare in avanti l’avantreno, riducendo gli sbalzi a favore del passo: è questo il motivo per cui le ultime Audi sono così slanciate pur avendo un volume considerevole. Il nostro lavoro sarà sempre più integrato con l’ingegneria – soprattutto l’area del ‘Concept Engineering’ – e con il prodotto: abbiamo incontri continui per essere sicuri che la nuova impronta stilistica sia assorbita correttamente, e a fondo.”

Quindi ci saranno cambiamenti molto rapidi?

“Compatibilmente con i tempi e i vincoli industriali che pone un prodotto così complesso, sì. Anche perché il lavoro dei Centri Stile e delle diverse aree qui è molto integrato, le procedure sono molto snelle e c’è modo di fare le cose più velocemente.”

Interverrete anche su Skoda, che sembra aver trovato una sua strada?

“Non c’è dubbio che Skoda negli ultimi anni abbia trovato una propria identità; anche lo Yeti, il piccolo fuoristrada di futura produzione, è un veicolo stilisticamente molto interessante. Vogliamo evolvere questa personalità mantenendone le caratteristiche di freschezza, il linguaggio da product-design, con un tocco particolare. Le Skoda sono caratterizzate da pochi elementi ben congegnati. È un equilibrio in un certo senso più facile da quello richiesto da VW, che impone una grande purezza di linee, una logica ferrea, e una voglia sempre maggiore di razionalizzare la costruzione riducendo il numero di pezzi. Ciò fa sì che le linee di composizione siano dovute a una ragione tecnica, ma debbano avere allo stesso tempo un pregio estetico. La bellezza di una Volkswagen sta da sempre anche nella sua onestà: la storia della Golf è quella di un’auto che si è evoluta nel tempo senza estremismi, con un aspetto calmo, bilanciato. L’aggressività non fa parte del DNA di Volkswagen: basta vedere com’era la prima Golf GTI, caratterizzata da pochissimi, sobri, dettagli estetici.”

Uno degli effetti della gestione Piëch fu la dilatazione della gamma dalla Fox alla Touareg e alla Phaeton, segmenti in cui Volkswagen non aveva tradizione. La gamma resterà ampia come oggi?

“Sarà anche più ampia: abbiamo intenzione di occupare molte più nicchie, come stanno facendo altre Case: del resto, il marchio può permettersi una gamma completa. Avremo unabella potenza di fuoco, una caratteristica che del resto Martin Winterkorn ha già fatto vedere durante la sua gestione di Audi.”

Lei crede quindi che le dimensioni cresceranno ancora?

“La crescita è fisiologica, ma riguarda soprattutto i segmenti centrali: la nuova Phaeton non sarà più grande dell’attuale, anzi… Questo fenomeno è poi compensato dall’arrivo di vetture entry-level sempre più compatte. A breve verrà svelato il concept ‘A000’ (la sigla indica che sta nel segmento A sotto la Fox, il cui nome in codice era ‘A00’, ndR) con il quale VW tornerà davvero a fare l’auto del popolo, la missione che ha nel nome. Sarà una 4 posti, molto piccola e molto semplice: un’auto basic, ma intelligente nella costruzione e nella funzionalità, in cui VW farà vedere tutto il suo know-how. Su questa base ci saranno diversi allestimenti, e quelli di base avranno un prezzo molto aggressivo, direi senza precedenti… Si è seguita l’equazione ‘design = semplicità’ in ogni implicazione: la tecnologia nei limiti dei costi ridottissimi, ci sarà e sarà volta a rendere la vettura più facile da usare. Puntiamo a sfruttare l’enorme potenziale tecnologico che abbiamo, e ci saranno grosse sorprese. L’altro aspetto nuovo è la sostenibilità, un approccio ‘etico’ al progetto che diverrà uno degli aspetti principali del lavoro di VW. Quest’auto sfrutterà ogni aspetto per essere sostenibile, a cominciare dal peso: per avere basse emissioni, sarà leggerissima.”

La tematica delle emissioni ha già impatto sul design?

“È inevitabile dal momento in cui si inizia a lavorare in modo integrato, come avevo detto. Per me l’innovazione oggi non può non essere a favore della sostenibilità, che si riflette anche nelle caratteristiche formali della vettura. Anche in questo senso parlavo di onestà. Ciò che cambia veramente la vettura non sono tanto i dettagli stilistici quanto la sua architettura, la disposizione degli elementi meccanici: lo vedrete, sarà evidente nella A000.”

VW opera in un contesto il cui perimetro è inevitabilmente individuato dalle altre Case. Lei che viene da una di queste ci farebbe fare un rapido giro di orizzonte?

“In Europa trovo in buone condizioni, a livello di stile, Fiat, Audi e anche Citroën. Tra i giapponesi inizia a vedersi una crescita, nelle ultime generazioni di automobili c’è stata una grande maturazione: veicoli come il Rav4 sono interessanti e piacciono a prescindere dal contesto in cui sono nati; la Scion xB o la Nissan Cube hanno il merito di anticipare tendenze, come il bisogno di vivere l’auto, di personalizzarla. Coreani e anche cinesi stanno imparando rapidamente la lezione europea: del resto sono abilissimi a copiare, e anche a comprare know-how. È una strategia che li porta in breve tempo ad allinearsi, ma senza eccellere; e nel design, conduce inevitabilmente all’omologazione. Prima o poi ciò diventerà un problema; del resto, diceva Totò, ‘Signori si nasce’: il gusto non si improvvisa. Resta da dire degli americani: dopo aver fatto grandi cose a metà del secolo scorso, si sono persi. Oggi come oggi non capisco che tipo di estetica stiano inseguendo, ma non penso costituiscano per noi un problema; anche la loro insistenza su forme rigide, squadrate, che ostentano status, mi pare eccessiva. Mi chiedo se esista ancora uno ‘stile americano’ o se non stiano piuttosto perdendo la strada, a giudicare dal modo in cui insistono nel proporre remake. Ma in definitiva credo che il patrimonio culturale europeo, sfruttato nel modo giusto, possa darci un vantaggio incalcolabile.”

E lei che auto ha in mente?

“Al di là dei valori estetici che inseguo nel mio lavoro, e che credo si siano visti, vorrei dare ai giovani un’auto ecologica, che ‘pulisca’ l’aria in cui si muove, che sia sempre più vicina al loro stile di vita, che assecondi il loro fortissimo bisogno di personalizzazione: un’auto che metta voglia di viverci a bordo e che li accompagni ogni giorno, che possa essere vestita in modo diverso e con grande facilità: sia negli interni che negli esterni.”

da automobilismo.it

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