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Il presente e il futuro di Pomigliano


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Vi ringrazio ragazzi, ma è proprio una fine estate pessima. Il casino è successo nelle uniche due settimane di ferie che mi ero preso, il rientro ieri a lavorare è stato terrificante perchè ne stan uscendo di ogni tipo, casi particolari e rognosi in primis.

Di mio son ansioso e divento aggressivo, dover anche lasciar casa di mia nonna nel mio amato paese poi condisce il tutto....... onestamente sto proprio tralasciando tutto....

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'80 Alfasud 1.2 5m 4p --- '09 147 JTDm Moving

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Condoglianze anche da parte mia. Ti auguro di superare presto il brutto momento.

"All truth passes through three stages. First, it is ridiculed, second it is violently opposed, and third, it is accepted as self-evident." (Arthur Schopenhauer)

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  • 2 mesi fa...

Sempre alla ricerca di testi che possano far piacere, navigando e remando nell'archivio, vi posto questo articolo che apparve su Quattroruote del luglio 1988, che raccontava dello Stabilimento di Pomigliano che cambiava aspetto sotto la cosiddetta "cura Fiat".

Non si parla tantissimo dei modelli prodotti, magari, ma rileggerlo oggi dopo 20 anni l'ho trovato abbastanza interessante. Eccovelo.

LA NUOVA ERA ALFASUD

Tramontato il rischio di diventare una “cattedrale nel deserto”, lo stabilimento Alfa a Pomigliano d'Arco sta per raggiungere il traguardo che già quindici anni fa gli avevano fissato i suoi realizzatori e che lo colloca a livelli competitivi europei.

Dalle linee escono oggi 840 vetture al giorno, tra Alfa 33 e Autobianchi Y10.

Può anche darsi che l'ambiente abbia avuto la sua parte nel determinare la travagliata storia dello stabilimento che nacque con lo stesso nome dell'auto che avrebbe prodotto: “Alfasud”.

Nella piatta campagna di Pomigliano d'Arco, pochi chilometri a nord est di Napoli, con la sua imponenza il grande impianto si presenta inevitabilmente, allo sguardo, in guisa e aspetto di cattedrale nel deserto.

Il guaio è che questa specie di involontaria vocazione ambientale ha corso il rischio di diventare una triste realtà, contro le intenzioni dei due uomini che quasi una ventina d'anni fa (ricordo che siamo nel 1988 col testo) misero mano all'impegnativo progetto di un grande polo automobilistico nel Mezzogiorno d'Italia: Giuseppe Luraghi, allora presidente dell'Alfa Romeo, e il suo prezioso braccio destro, Rudolf Hruska.

Avviato alla produzione di serie nel febbraio 1972, lo stabilimento dell'allora “Alfasud” arrivò dopo un anno alle 400 vetture al giorno.

Nel 1974 avrebbe dovuto costruirne 1000. Ma l'ambizioso traguardo non lo tagliò mai.

Accomunato nella sorte alla società che l'aveva figliato, l'Alfa Romeo, sfiorò l'orlo del collasso, evitandolo solo grazie ad un intervento esterno: quello della Fiat, vincitrice di una competizione con la Ford per l'acquisizione del prestigioso marchio.

Col passar degli anni, Pomigliano aveva finito col diventare quasi un emblema di tutto quello che NON deve essere un impianto industriale: antieconomico, improduttivo, ingovernabile anche perché scosso in continuazione da accessi di microconflittualità che praticamente non avevano riscontro nei due poli settentrionali dell'auto (Torino e Arese), con punte di assenteismo del 37-38%.

Oggi, a un anno e mezzo dall'inizio dell'era Fiat, è tornato quello che doveva essere nelle intenzioni dei suoi realizzatori.

Ogni giorno dalle linee escono 840 vetture, e il fatidico traguardo delle 1000 appare finalmente vicino.

Tutto questo, a sostanziale parità di forza occupata (rispetto alla fine della gestione Alfa) e con la previsione di un reassorbimento dei cassaintegrati entro un paio d'anni.

La prospettiva della cattedrale nel deserto è più che mai solo visiva. In questo contesto, il fatto che gli ultimi quattro piani della “torre direzionale” comincino adesso ad ospitare nuovi uffici, diventa forse qualcosa di più di un'annotazione marginale.

Al di là delle responsabilità politiche (in senso lato) dello sfiorato tracollo Alfa, per quel che riguarda specificamente lo stabilimento di Pomigliano le ragioni della decadenza trovano i tecnici concordi su alcuni punti di fondo.

Pomigliano, dicono, era nato nuovo, a tempi di record, con un prodotto totalmente nuovo e in un ambiente nuovo all'auto.

L'impegno di partire con una produzione di serie (e quindi con elevati livelli occupazionali) aveva finito poi col condizionare un po' tutto.

In molti casi si era dovuta “riconvertire” alla produzione automobilistica manodopera locale di tutt'altra formazione: muratori, contadini, sarti.

Il tutto, nel contesto di una produzione ingessata in un solo modello, quasi impossibile da gestire in presenza di mutevoli umori del mercato.

In un'epoca come il decennio Settanta, difficile anche per chi poteva contare su una gamma produttiva diversificata, e per giunta scosso dai fermenti sociali del post-Sessantotto, l'allora Alfasud poté così partire, ma non decollare.

VALIDITA' TECNOLOGICA

Anche la scomparsa del prodotto originario e la sua sostituzione con la 33 non riuscirono a far sentire a Pomigliano la positiva inversione di tendenza degli anni Ottanta, che venne invece avvertita a Torino, per esempio.

Era impossibile, tra l'altro, anche per il clima di microconflittualità “gruppettara” che portava persino a trenta fermate al giorno sulle linee di produzione.

La picchiata verso il baratro continuava, va detto, malgrado la validità tecnologica di uno stabilimento che, nato già moderno dal lavoro del tandem Luraghi-Hruska, all'inizio del decennio Ottanta era stato aggiornato, per produrre la 33, alle nuove tecnologie.

Oggi (1988 ) i tecnici Fiat non hanno difficoltà a riconoscere che era stato portato agli stessi livelli degli impianti Fiat coetanei.

In altre parole, quando gli uomini Fiat entrarono ufficialmente a Pomigliano, il 1 gennaio 1987, non trovarono praticamente nulla da trasformare in rottame.

Per fare qualche esempio, la linea di trasporto delle carrozzerie è ancora moderna, tranne che per un dettaglio (i cosiddetti “ganci Webb” in luogo delle slitte, che negli impianti più aggiornati, sostengono le scocche in movimento).

Quanto alle quattro “isole” dove vengono montati i motori della 33, dopo otto anni sono ancora perfettamente valide.

Denunciano la loro età solo nelle rumorose catene utilizzate per il trasporto, ma delle quali è in previsione un cambiamento, così come sono in fase di sostituzione anche alcune macchine per la lavorazione di particolari.

I motori per la Y10, va annotato, sono i Fire che vengono da Termoli, dove si sono potute attuare automazioni molto spinte che le 340 unità giornaliere di Pomigliano non giustificherebbero.

I problemi più pesanti che i tecnici della Fiat si trovarono ad affrontare, con il prezioso appoggio dei colleghi dell'Alfa, forti della loro conoscenza delle cose “dal di dentro”, furono sostanzialmente di organizzazione del lavoro e di qualità del prodotto.

Sullo sfondo di questo si stagliava il fattore umano.

Dice un anziano dipendente (anziano nel senso che venne assunto quando l'Alfasud stava ancora nascendo), napoletano “doc”:

Non è vero che qui noialtri, noi meridionali voglio dire, non avevamo voglia di lavorare. Avevamo bisogno di essere guidati, incoraggiati, ecco tutto.”

Non dice “motivati” perché non ha dimestichezza con le moderne terminologie acculturate, ma il senso è quello.

Una struttura interna fondamentalmente reattiva e sana e il ritorno ad una corretta dialettica sindacale hanno fatto si che anche gli aspetti meno gradevoli della “cura Fiat”, venissero accettati.

Il risultato è che oggi a Pomigliano è stato recuperato quel 37% di produttività che mancava.

In altri termini, si sono trovate le Alfa 33 in più da vendere che prima filiali e concessionari inutilmente chiedevano.

E alle 33 (prodotte al ritmo di 500 al giorno) si sono aggiunte, sempre al giorno, 340 Autobianchi Y10.

Il grande spettro d'altri tempi, l'assenteismo, è sceso al 7% di media: tredici punti in meno rispetto alla media Alfasud.

Tutto questo è stato ottenuto senza che si verificasse la “calata dei piemontesi” da molte parti paventata quando all'orizzonte di Pomigliano si affacciò la Fiat.

A livello di capi, assicurano, “la migrazione dalla Fiat è pari a zero”.

E aggiungono anche che “oggi quasi tutti i capi degli stabilimenti Fiat del Sud sono meridionali, così come lo sono circa il 30 per cento dei dirigenti”.

Sul piano organizzativo (o riorganizzativo, come si preferisce), una prima novità introdotta a Pomigliano dalla Fiat è stata quella della divisione dello stabilimento in due unità:

-carrozzeria (che comprende anche il reparto presse)

-meccanica

Anche per questa via, che consente una gestione più razionale delle risorse, si sono potuti ottimizzare costi e qualità.

Il reparto presse, che era insaturo, ora lavora su tre turni e copre tutto il fabbisogno di Pomigliano e parte di quello di altri stabilimenti Fiat del Sud, compreso quello di Cassino che produce le Tipo.

Parti delle scocche della Y10, che inizialmente arrivavano complete da Mirafiori, ora sono stampate qui.

In prospettiva ravvicinata ci sono lo stampaggio e l'assemblaggio a Pomigliano dell'intera scocca della piccola Autobianchi/Lancia (lo stabilimento, è il caso di ricordarlo, è un'unità operativa della nuova società Alfa-Lancia nata il 1 gennaio 1987).

Importante ai fini della flessibilità produttiva è stata la riduzione dei tempi necessari per il cambio degli stampi delle presse, un punto di forza sempre vantato dall'industria giapponese.

Oggi, dicono i tecnici, in termini di cambio di lavorazione Pomigliano è diventato uno stabilimento competitivo a livello europeo”.

Inoltre, una linea di presse è stata completamente automatizzata: un provvedimento che i bassi volumi di produzione Alfa non giustificavano.

Il passaggio da un unico prodotto a due ha poi reso possibile lo sfruttamento delle sinergie che l'integrazione ha tra l'altro comportato, ad esempio in materia di unicità di materiali e fornitori.

Sulle linee, abolito il sistema dei “gruppi di produzione” che, all'arrivo della 33, aveva sostituito quello di tipo tayloristico dell'Alfasud, ma che aveva finito col creare grossi problemi di qualità, è stata adottata la stessa organizzazione del lavoro degli altri stabilimenti Fiat.

A differenza di quanto avveniva all'Alfa, che considerava gli stabilimenti entità autonome, la definizione delle tecnologie produttive è stata accentrata a Torino, lasciando però ai direttori dei singoli impianti tutte le leve gestionali necessarie per raggiungere gli obbiettivi prefissati.

Anche per questa via, si sono potuti ottenere gli stessi standard produttivi degli altri impianti. Così, ad esempio, sotto il profilo della qualità le Y10 che escono da Pomigliano hanno lo stesso indice di accettabilità da parte del cliente di quelle che escono da Mirafiori o da Desio.

Già, la qualità: un altro capitolo fondamentale della “cura Fiat”, che per essere attuata ha richiesto una serrata trattativa sindacale, conclusa con l'accordo del maggio 1987.

La nuova organizzazione del lavoro che ne è nata prevede tra l'altro che ogni addetto alla produzione assicuri, nell'ambito della propria responsabilità, un certo livello qualitativo.

Essa prevede però anche che tecnici al di fuori della produzione controllino, a diversi livelli della lavorazione, che gli standard coincidano con quelli stabiliti.

Si sono così annullati gli svantaggi del sistema Alfa, che affidava ad un “ente qualità” il compito di stabilire cosa controllare e a un “ente tecnologie” quello di determinare il ciclo di lavoro.

La mancata integrazione fra i due enti finiva per dar luogo a degli squilibri.

Ora, in pratica, ogni stadio della lavorazione è controllato anche da personale esterno alla produzione, che può bloccare eventuali difetti già a monte, sulla linea.

A campione, le vetture uscite dalle linee vengono esaminate per scoprire eventuali difetti percepibili dal cliente, sulla base di uno standard europeo di valutazione messo a punto con sondaggi tra gli utenti di vari paesi e tradotto in un punteggio da 3 (difetto non avvertibile) in su.

I difetti più percepibili possono così venire eliminati.

La differenza di fondo tra il nuovo sistema e quello in uso ai tempi di Alfa dei “gruppi di produzione” è che questi ultimi operavano secondo propri standard di autoregolazione, che non tenevano conto dell'ottica del cliente.

Sul piano delle apparecchiature per le verifiche qualitative, un fiore all'occhiello di Pomigliano è una nuova macchina Zeiss per controlli dimensionali delle tolleranze che vanta un grado di precisione di due micron (millesimi di millimetro).

Al di là delle macchine e delle metodologie, c'è però anche un fattore psicologico del quale va tenuto conto: il coinvolgimento degli addetti nel discorso della qualità.

I cartelloni diffusi in tutto lo stabilimento richiamano il concetto della qualità come insostituibile valore aggiunto e “gare di qualità” (con colloqui in aula, iniziati da giugno 1988 ) rientrano in questa prospettiva.

Cosi come vi rientra il “prodotto della settimana”: la migliore vettura uscita ogni settimana dalle linee, esposta in bella vista su un podio con l'indicazione della squadra che l'ha realizzata.

Agli effetti di una migliore qualità, particolare attenzione è stata dedicata al reparto di verniciatura, che conta 30 km di catene per il trasporto promiscuo di scocche della 33 e della Y10.

I tristi tempi dell'Alfasud “a ruggine portante” sono lontani, ma in ogni caso alcuni interventi erano necessari.

Sono state allungate le vasche della cataforesi per migliorare, prolungandone la permanenza nel bagno, la protezione delle lamiere ed è stato introdotto un impianto di verniciatura in più.

Soprattutto, però, è stato avviato un programma che nel corso di tre-quattro anni, porterà ad un rinnovamento completo del reparto, con più elevati livelli di automazione.

L'automazione è un altro tema di fondo a Pomigliano. Sulle linee della 33, dicono i tecnici, era già avanzata: la Fiat ha affrontato il compito di razionalizzarla (nel breve periodo) e di incrementarla (nel medio-lungo).

Lo stabilimento di Cassino dal quale oggi esce la Tipo, con il suo elevato livello di automazione, potrebbe essere un'anticipazione di quello che Pomigliano diventerà in futuro.

La parola automazione porta inevitabilmente a parlare di robot.

Dicono ancora i tecnici che oggi a Pomigliano “i robot sono proporzionati al livello di produzione” e aggiungono che “in ogni caso sono superiori numericamente rispetto, per esempio, a quelli della Lancia di Chivasso, i cui livelli produttivi ne richiedono meno”.

L'assemblaggio della 33 è automatizzato con Robogate, come a Mirafiori. Le varie parti della carrozzeria vengono saldate in un'isola automatizzata con:

-saldatrici a punti multipli (1583 punti di saldatura)

-robot (1177 punti di saldatura)

ai quali si aggiungono 682 punti manuali, contro, per confronto, i 22 (saldatrici a punti multipli), 0 (robot) e 3390 (manuali) della Y10.

A riprova dell'importanza sempre crescente che la robotizzazione riveste in questo settore industriale, sta il fatto che l'investimento più massiccio (una cinquantina di miliardi... 1988 ) finora effettuato dalla Fiat a Pomigliano riguarda proprio 40 nuovi robot:

-12 “Smart” della Comau (la robotica del Gruppo)

-28 Kuka (tedeschi)

Per ora producono un particolare della sospensione della Tipo. A governarli sono per esempio ex tornitori o meccanici dell'Alfasud, che nei corsi di formazione istituiti dalla Fiat hanno imparato a maneggiare con disinvoltura i terminali di controllo.

Nello stabilimento oggi sono in funzione cinque linee di montaggio:

-una lunga con 120 stazioni

-quattro corte con 40 stazioni

Da quella lunga esce la maggioranza delle 33, mentre da due delle corte escono le Y10 e da una terza corta le 33 Giardinetta, 4x4 e Turbodiesel.

La quarta linea corta è libera: per la futura Alfa che sta nascendo negli uffici progettazione di Arese? La domanda del cronista rimane inevasa, al momento.

Viene invece evasa quella che riguarda una grande area vuota in un capannone, attualmente adibita a magazzino: lì nascerà, quanto prima, la 33 ristilizzata.

Investire nelle linee e nei robot naturalmente non bastava. Un altro importante punto degli accordi sindacali riguardava il miglioramento della sicurezza sul lavoro.

Allo scopo la Fiat ha investito quest'anno (1988 ) una decina di miliardi e altri sostanziosi investimenti sono in previsione. Il rispetto delle intese anche sotto questo profilo ha portato Pomigliano ad un clima sindacale ben più disteso rispetto alla stessa Arese.

Lo ha dimostrato, recentemente, il fatto che la nuova piattaforma sindacale è stata approvata dal 62% abbondante dei lavoratori, mentre oltre il 90% di quelli di Arese l'ha respinta.

Non è questa la sede per analizzare le cause del divario, che sono molte e complesse.

Un discorso su Pomigliano, a questo punto non può chiudersi solo su Pomigliano. La ripresa dello stabilimento rafforza l'importanza del polo industriale che la Fiat ha creato nel Mezzogiorno, investendo finora 5200 miliardi di lire (1988 ).

Con altri stabilimenti, il totale degli insediamenti produttivi Fiat nel Sud oggi è di 29, con circa 50 mila addetti.

Di questi, 32 mila operano nel settore automobile.

Entro pochi anni, ha detto Cesare Annibaldi, responsabile delle relazioni esterne Fiat, si produrranno 2800 vetture al giorno: vale a dire un buon 40% della produzione automobilistica nazionale.

Ed è correttamente ipotizzabile che, in vista del traguardo europeo del 1992, Pomigliano si candidi anche per operare competitivamente in un contesto esteso oltre i confini nazionali.

Fra l'altro”, osserva un tecnico, “uno stabilimento da 1000 vetture al giorno è un grande stabilimento: la Audi, per rendere l'idea, non arriva a questo volume di produzione”.

Alla luce di questi dati può valere la pena rileggere un'affermazione che Giuseppe Luraghi formulò più di quindici anni fa, al tempo della nascita dell'Alfasud:

Si sta creando un fatto del tutto nuovo: il fatto cioè che lo sviluppo automobilistico italiano per i prossimi anni avrà sede proprio nel Sud, dove si diceva che non sarebbe mai stato possibile neppure l'inizio di questo tipo di attività”.

Allora, essere facili profeti era impossibile. Ci voleva vista lunga, questo si.

Fine

(articolo di Giuseppe Dicorato da 4R luglio 1988 )

Paolo GTC

Modificato da PaoloGTC

"... guarda la libidine sarebbe per il si, ma il pilota dopo il gran premio ha bisogno il suo descanso... e poi è scattata la regola numero due: perlustrazione del pueblo e ricerca de los amigos... ah Ivana, mi raccomando il panta nell'armadio, il pantalone bello diritto. E un po' d'ordine in stanza... see you later!" (Il Dogui, Vacanze di Natale)

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Grazie inanzitutto a Paolo per essersi sbattuto non solo la ricerca del testo, ma anche l'intera battitura. Grazie per l'eccellente contributo.

Poi sul testo, è interessante ma nello stesso tempo tempo inquietante, come sotto certi aspetti, sia tremendamente attuale.

Penso alla microconfittualità, all'assenteismo, ai problemi di qualità. Cioè, modelli di produzione a parte, questo articolo potrebbe quasi essere datato 2008. :-D

Cioè, in 20 anni, non sono riusciti ad eliminare i problemi dell'impianto. Sotto certi aspetti, i problemi sono forse pure peggiorati. Pomigliano, tra il potere dei sindacati e quello politico, sembra di nuovo la "capitale del deserto" (almeno fino all'intervento di inizio 2008). Senza parlare del mercatino "dei bulloni" rubati sulle catene di montaggio... forse questo esisteva già all'epoca, ma l'articolo non lo menziona. Poi, ricomponendo certi interventi quà e là sul forum, mi è parso capire che questo è un fenomeno abbastanza recente. (2003- a questa parte).

Bisogna anche vedere come Fiat abbia gestito Pomigliano, negli ultimi 20 anni. Gli investimenti (escludendo quello di inizio 2008), sono sempre stati adeguati ? L'attrezzatura, sempre all'ordine del giorno ? Cioè, la Fiat ha mai creduto in quell'impianto ?

"But before the most charismatic car maker of them all finally went, they left us with a final reminder of what they can do, when they try" (Jeremy Clarkson, Top Gear)

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