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Emergenza rifiuti a Napoli


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Roghi, topi e liquami: l'odore della vergogna

Topi affamati, roghi e pozze di liquami Periferie Est e Ovest sul punto di esplodere

NAPOLI — «Occhio, che pende». Dal balcone, Sara scandisce il monito al viandante che sta entrando nel portone di casa. La voce è piatta, né rassegnata né furiosa. Semplicemente, pende. È un dato oggettivo, visibile all'occhio.

La pioggia caduta nella notte ha scavato nel cumulo di rifiuti sul marciapiede, alto due metri e mezzo, e ha provocato smottamenti, piccoli crolli.

0JU8IE2C--180x140.jpgSpazzatura per le strade di Napoli (Emmevi)Adesso la vetta è davvero in bilico. Un gigantesco sacco bianco che contiene altri sacchetti pieni di liquami, croste di vecchie pizze, verdure rese ancora più putride da una notte bagnata, si è sventrato, e a ogni refolo di vento sgocciola il suo contenuto sulle persone che varcano l'ingresso. «Fate in fretta, che crolla» dice Sara, tenendo la bocca premuta da una grossa sciarpa.

La programmatrice di computer Sara Iovine c'è abituata, abita da sempre al primo piano di un vecchio palazzo di via Mercalli, in una zona della periferia Ovest di Napoli, tra la fine del quartiere Barra e l'inizio di San Giorgio a Cremano, uno degli avamposti di questo nuovo disastro sanitario, di immagine, morale.

Suo marito Vincenzo, un geometra dagli zigomi forti e dalle parole nette, dice che lo scorso agosto era peggio, perché ovviamente faceva caldo, niente in confronto al luglio 2003, l'anno della grande calura. Qui, lontano dalle vie del centro, quelle che noi chiamiamo «emergenze rifiuti» le classificano per annate, per stagioni, come fossero vini. Dice Vincenzo che il peggio sta nel senso di ingiustizia, che macera come i rifiuti, l'olezzo che ti rimane addosso è una punizione esagerata ed immeritata. Sua moglie si china verso la lavatrice, estrae un bel maglione blu a trecce e lo tiene con due dita, con il braccio teso. Il suo regalo di Natale a Vincenzo.Puzza, è intriso dell'odore acre che si respira fuori. «L'ho messo questa mattina, per andare a comprare le paste a San Giorgio ». Mezz'ora all'aria aperta, con lo scirocco che soffia appena, e si rientra con questa sensazione appiccicosa sulla pelle, una patina vischiosa, sembra sudore quando è molto umido.

A vederla dal basso, lontano dai pareri di dotti medici e sapienti, ma semplicemente dal tinello di Sara Iovine e di quelli come lei, questa montagna di melma che incombe è soltanto inaccettabile. Il puzzo, la gola che brucia sempre e raschia, come a fumare Marlboro rosse in continuazione. La raucedine stagionale dei bambini che invece fa venire in mente brutte cose, perché fuori c'è sempre questo odore maligno, plastica fusa in corrispondenza dei roghi, un liquore insopportabilmente dolciastro in prossimità dei cumuli. E poi, gli stivali di cinque taglie più grandi da mettere sulle scarpe per galleggiare sui sacchetti senza sporcarsi. E le finestre sigillate. E il riscaldamento spento, perché il caldo fa sentire di più la puzza. Tutto concorre a togliere dignità. Non è vita, quella all'ombra dei rifiuti. È una sopravvivenza astiosa, che genera rabbia. Perché si accetta qualunque cosa, ma non l'immondizia. Chi abita queste periferie è figlio di gente venuta dalla campagna, ha una visione antica e normale del problema, non ragiona di ecoballe o percolato. L'immondizia rimane quella roba schifosa dove si rotolano i porci e non gli esseri umani, non i loro figli.

Le strade di San Giorgio a Cremano sono deserte. Quando il vento si alza, diventa fisicamente impossibile resistere all'olezzo. La spazzatura è ovunque. Qualcuno ha bruciato un enorme cumulo in via Cappiello, proprio davanti all'Azienda sanitaria locale. Nell'incendio sono bruciate anche due auto parcheggiate poco distante. Tutta la strada è invasa da una melma rossastra colata che continua a sgorgare dai resti anneriti del rogo, sui quali già vi sono strati di nuovi sacchetti. È una spuma solida che ribolle ed emana un tanfo sintetico. Una nonna che tiene per mano un nipotino vivace si avventura ad attraversare la strada, e quasi ci pattina sopra. La signora racconta che tocca a lei, perché suo marito soffre di enfisema, e non è il caso di farlo uscire. La rivenditoria del Lotto accanto al municipio ha un cartello sulla serranda: «Se domani volete giocare, non mettete i rifiuti davanti alla porta. Collaborate!».

È curiosa la geografia di questa ennesima crisi. Le periferie Est e Ovest, i due punti cardinali più poveri dell'Atlante napoletano, entrambi ormai sul punto di tracimare riversando il liquame nel centro della città. Il cuore della rivolta è a Est, quartiere Pianura. Appena entrati dalla tangenziale, i carabinieri fermano le auto che curvano in via Vicinale Pignatello. Non è ordine pubblico, ma igiene. Servirebbe un fuoristrada, per passare sopra questa distesa di schifezza. Dal muretto sul marciapiede al centro della carreggiata saranno quattro metri. Alla fine della strada c'è uno stop, ma della scritta per terra si intravede a malapena la «S», mentre il cartello è sommerso. In cima a quella strada ci abita della gente. Una signora invita a provarci, risalire la via a piedi per vedere quanto si resiste. Camminando veloci, 4-5 minuti, poi la puzza ti prende, prima al naso poi alla pancia. I carabinieri a questo servono, a soccorrere chi ha un malore e si mette a vomitare. In fondo alla via Montagna spaccata ci sono i segni della battaglia, fioriere rotte, auto ribaltate, cartelli stradali divelti. «Datemi retta, dobbiamo soltanto combattere per il nostro onore» strilla un ragazzo che è salito sopra un cassonetto ribaltato. Sotto di lui si raduna un crocchio di anziani dall'aria rispettabile, che annuiscono. Il ragazzo è un bullo con i capelli impomatati e una claque personale. In giorni normali, non se lo filerebbe nessuno. Ma adesso, con tutto il quartiere intontito dal puzzo della spazzatura, ottiene un pericoloso credito.

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Al netto delle infiltrazioni di ultrà e camorra, i miasmi del tanfo generano altre brutture. Al bar Etoile, il punto di raccolta dei rivoltosi, nessuno spende una parola di commiserazione per i poveracci che vivono sulla via Campana, la strada che collega Pianura ai comuni di Quarto e Pozzuoli. I blocchi non si limitano più a circondare la discarica. Il loro raggio è stato allargato, adesso cominciano dal centro di Quarto e Pozzuoli, nella speranza che si allarghi anche l'area della protesta. La zona proibita ora è un triangolo che ingloba la via Campana. Non entra e non esce nessuno, rifiuti, ma anche centinaia di uomini costretti a non tornare a casa. «In guerra, tutto è lecito» dice Mario Nurcaro, un signore distinto e ben vestito. «In una situazione altamente pericolosa, è giusto creare una bomba ad orologeria ». L'atteggiamento è quello di persone ferite nell'orgoglio, che vedono nello Stato un padre assente che dopo tanto tempo si presenta rivendicando un'autorità che non può più pretendere di avere. Quando è ormai buio, Sara cerca di ragionarci sopra: «È un disastro ambientale ma anche morale. Questo puzzo, ti fa sentire peggiore di quel che sei. Invita a tirare fuori la parte brutta delle persone. A vivere nel degrado, finisce che ti senti simile a quei sacchi di mondezza». Nel palazzo sta per entrare qualcuno. Il cancello d'ingresso viene chiuso con troppa forza. Dalla cima si stacca il sacco grande, che precipita sul sentiero scavato tra i rifiuti. Sara è seccata, e non lo nasconde. «Ormai è fatta. C'è solo da aspettare una mezz'ora ». Alle sue bambine, che si erano vestite per andare a vedere la Befana in piazza, dice di spogliarsi, sarà per la prossima Epifania.

Per il perché, c'è solo da aspettare. «Ecco, ci siamo», dice Sara. Sul sentiero si sono materializzati tre giganteschi topi di fogna che si disputano gli avanzi sparsi sul selciato. È per questo che nell'androne c'è l'invito a legare «molto stretti» i sacchetti. Se esce qualcosa, c'è subito qualcuno, un ratto o un cane randagio, pronto a farsi avanti. «Inverno o estate, di notte devo sempre sprangare le finestre, perché in strada ci sono topi grandi come gatti che riescono a risalire la grondaia. E non sono come quelli di campagna, che fanno simpatia, questi ti mordono ». Attendere che si sfamino, e poi fare uscire le bambine, guardate a vista mentre si allontanano tra i rifiuti. Non dovrebbe essere Italia, questa. E comunque sia, non è giusto.

Marco Imarisio

corriere.it

07 gennaio 2008

"All truth passes through three stages. First, it is ridiculed, second it is violently opposed, and third, it is accepted as self-evident." (Arthur Schopenhauer)

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Fatto, scusami.

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Qui torna la peste :evil:

Fortuna che è inverno, perchè se questa crisi fosse capitata in estate ci sarebbero stati rischi altissimi di epidemia.

Anche questo dimostra che la decisione di riaprire la discarica di Pianura temporaneamente, anche se ha penalizzato in parte i suoi abitanti, è comunque sensata.

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Guest DESMO16
Napoli: 1.100 netturbini

sono pagati per non lavorare

Napoli - Scendendo da Pianura verso il lungomare di Napoli, lasciandosi alle spalle la discarica assediata e le barricate di spazzatura incendiata, il tassista guarda sconsolato i cassonetti rovesciati e i cumuli di spazzatura che arrivano fino a ridosso delle zone eleganti della città, e dice: «C'è una sola soluzione, dottò. Tornare a come si faceva una volta. C'era lo spazzino che girava casa per casa e raccoglieva l'immondizia. Bisognerebbe fare così: un giorno ti vengono a casa a prendere la plastica, il giorno dopo la carta, il giorno appresso gli avanzi di cibo. Almeno farebbero qualcosa».

E non è l'unico a pensarla così. Quella che in un'altra città sembrerebbe una idea demenziale, a Napoli appare meno paradossale. Perché il paradosso vero è che qui, nella città devastata dall'emergenza rifiuti, centinaia e centinaia di netturbini pagati per occuparsi della raccolta differenziata non fanno nulla. Assolutamente nulla, dal mattino alla sera. Da più di sette anni. Trecentosessantadue nella sola città. Millecento se si calcola tutta la provincia. Pagati senza lavorare.

Si presentano la mattina, firmano e se ne vanno a farsi gli affari propri. E intanto la città affoga nella spazzatura e nelle statistiche da brivido: la raccolta differenziata che al nord sfiora il quaranta per cento, a Napoli stava al sette per cento quando le cose andavano bene. Oggi come oggi, come spiegano al Commissariato per i rifiuti, non si supera il tre per cento. Ma come è possibile questo paradosso? Da dove spunta questo esercito di nulla facenti a stipendio fisso?

La risposta sta in una delle innumerevoli pieghe della assurda commedia dell’eterna emergenza napoletana. C'è una legge del 1993 che prevede la nascita in tutta la Campania di diciotto «consorzi di bacino» incaricati di gestire la raccolta rifiuti. Il Commissario straordinario si è occupato di assumere il personale necessario per la raccolta differenziata e di acquistare i camion.

A oggi, per i diciotto consorzi lavorano 2.400 persone. Nelle province minori della regione, i dipendenti dei consorzi fanno quello per cui vengono pagati, e i risultati si vedono: a Mercato San Severino, in provincia di Salerno, la raccolta differenziata è al 35 per cento. Il buco nero è Napoli con la sua provincia. Perché qui, secondo la denuncia della Cisal enti locali, non uno solo dei 1.100 dipendenti dei cinque consorzi di bacino dedica un solo minuto della sua giornata al lavoro per cui viene pagato. Non è, in realtà, solo colpa dei camion che mancano. Tra i 362 dipendenti del consorzio Napoli 5, quello di Napoli città, si verificano fatti straordinari. Ci sono gli operai che dovrebbero raccogliere lo sfraucimma, cioè le macerie dei cantieri, ma che si rifiutano di avvicinare anche un solo mattone in quanto allergici alla polvere come da certificato medico; ci sono quelli che non sollevano i cartoni da terra altrimenti, sempre in base al certificato steso da un professionista iscritto all'albo di Esculapio, rischierebbero traumi irreversibili alla colonna vertebrale.

E il campione indiscusso resta sicuramente il netturbino che dedicava le sue ore lavorative a giocare a tresette, e che avendo perso un mucchio di denaro ha pensato bene di fare causa all'azienda per farsi risarcire il danno. Storie che parrebbero inverosimili se non accadessero a Napoli, la città che ventimila spazzini non riescono a tenere pulita. A Milano, con mezzo milione di abitanti in più, gli spazzini sono duemila e duecento.

Il Giornale

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La replica di uno degli "imputati" per questo disastro:

LA LETTERA

Bloccato da vescovi

e eco-fondamentalisti

di ANTONIO BASSOLINO

Caro direttore, è giusto e doveroso chiarire il quadro delle responsabilità della drammatica situazione campana. È vitale, infatti, per la nostra democrazia che vengano alla luce scelte errate, inadeguatezze, inefficienze e le collusioni tra politica, imprenditoria e criminalità organizzata.

Tale assoluta chiarezza è nell'interesse di tutti i cittadini e di tutti gli uomini impegnati nelle istituzioni. Voglio quindi dare il mio contributo a chiarire le vicende di questi anni. Nell'articolo di ieri, Eugenio Scalfari, scrive che in Campania "solo adesso, con dieci anni di ritardo, si è deciso di costruire un termovalorizzatore". In realtà, il piano rifiuti per la nostra regione, definito alla fine degli anni '90 dall'allora presidente della Regione e commissario governativo Antonio Rastrelli con il ministro Ronchi, prevedeva un ciclo industriale di trattamento dei rifiuti con 7 impianti per il trattamento e la trasformazione in combustibile (Cdr) e due termovalorizzatori. La decisione di costruire i termovalorizzatori risale quindi a 9 anni fa. Quando diventai presidente e commissario a mia volta, nel 2000, la gara d'appalto per la gestione dei rifiuti era stata già definita e aggiudicata all'Impregilo, che, in base al contratto, aveva la facoltà di decidere la localizzazione degli impianti. Nei tre anni e mezzo in cui ho fatto il commissario (fino al febbraio 2004, ben quattro anni fa) ho firmato per l'avvio dei lavori e ho fatto tutto quanto potevo per dotare la mia regione di un moderno ciclo di trattamento dei rifiuti, dalla raccolta differenziata ai termovalorizzatori. In una corsa contro il tempo innescata dalla chiusura di tutte le discariche disposta dal prefetto e da una legge dello Stato.

Sono riuscito a far costruire, tra mille opposizioni e proteste, i 7 impianti per produrre il Cdr (Combustibile derivato dai rifiuti). Per aprire il cantiere di Acerra ho dovuto fare i conti con ostacoli di ogni tipo e violente contestazioni. C'erano comitati civici, ambientalisti fondamentalisti, vescovi che predicavano contro i rifiuti-demonio, disoccupati organizzati, esponenti del centrodestra e del centrosinistra che si mettevano a capo dei cortei a caccia di consenso. Mentre delinquenti comuni e manovalanza della camorra facevano la loro parte, provando in ogni modo a intimidire e tenere in scacco le istituzioni locali ogni volta che si faceva un passo avanti verso quella chiusura del ciclo che avrebbe fatto terra bruciata intorno al business delle ecomafie.

In questi anni, nella nostra regione, sull'opposizione ai termovalorizzatori e alle discariche, si sono costruite carriere politiche e fortune elettorali. Io sono stato sempre al mio posto. A favore della costruzione dei termovalorizzatori. Pronto al dialogo con i cittadini e alle giuste compensazioni per le comunità locali, ma indisponibile ai ricatti. Nei tre anni e mezzo in cui sono stato commissario non sono riuscito a costruire il termovalorizzatore.

Dopo di me non ci sono riusciti gli altri tre commissari del governo: il prefetto Catenacci, il capo della protezione civile Bertolaso, il prefetto Pansa. Tutti con poteri ben superiori ai miei. Da presidente della Regione - non più commissario - ho garantito a loro la massima collaborazione, sostenendone l'impegno con tutte le risorse e l'appoggio istituzionale possibile.

Come si vede non esito a riconoscere le mie responsabilità. Anche nel silenzio dei tanti che hanno ricoperto, prima e dopo di me, ruoli importanti in questa partita. La priorità oggi è dare soluzioni durature al problema. Se le mie dimissioni potessero servire a questo, non avrei la minima esitazione. Ma in questo momento sento il dovere di portare avanti con fermezza la battaglia di civiltà condivisa da tutti gli italiani onesti.

L'autore è presidente della Regione Campania

(7 gennaio 2008)

Fonte: repubblica.it

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Avete visto il Tg1 di ieri sera?

Lì c'è la risposta sul perchè delle manifestazioni contro la riapertura della discarica.

Sono stati costruiti palazzi (abusivi) a poche centinaia di metri dall'immondezaio.

Appartamenti con vista sulla discarica :-)

Ma come si fa??

Purtroppo chi manifesta ha voluto speculare dalla situazione: hanno comprato le case abusive a poche lire, con la speranza che la discarica non sarebbe stata più riaperta e che lì avrebbero costruito un campo da golf a 32 buche.

Quindi non facciamoci intenerire da chi protesta....

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Ma la Iervolino che dice a Prodi di non fare il finto tonto, ché lei lo aveva avvertito mesi fa della gravità della situazione? Mo' comincia la litigarella con lo scaricabarile...

e di che ti meravigli?......la solita zozzata all'italiana

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