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Internazionalizzazione


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ALESSANDRA CARINI

"Gli investimenti diretti esteri delle medie aziende italiane attraverso società controllate che svolgono all’estero attività manifatturiere sono più che quadruplicati tra il 1998 e il 2005 dice Coltorti. Tuttavia, in termini di numeri, interessano solo il 6% di esse". Ma la realtà è assai più complessa: perché al di là degli investimenti diretti ci sono migliaia di accordi di subfornitura che costano poco e danno vantaggi a chi li sigla consentendo a queste imprese di espandere la produzione all’estero, conquistare nuovi mercati, ristrutturare i costi di produzione. "La fornitura internazionale conta più delle filiali all’estero soprattutto nei settori più tradizionali del made in Italy e l’Est ha fatto la parte del leone nelle scelte" dice Giancarlo Coro, autore, con altri, di un libro significativo, "Andarsene per continuare a crescere".

Trainato dalle medie aziende, dalle utilities e dalle costruzioni, questo processo ha coinvolto, nell’ultimo periodo, anche le grandi imprese. Mario Muttinelli, professore al Politecnico e responsabile della Banca dati Reprint che censisce ‘l’Italia multinazionale’, ne descrive bene la crescita: dal boom di inizio anni Novanta, seguito anche alla caduta del Muro di Berlino che ha visto il moltiplicarsi delle iniziative da parte delle medie aziende, con il picco nel 1992 quando si sono avute 527 nuove partecipazioni con il coinvolgimento di oltre 120 mila dipendenti, alla caduta del 1993 seguita alla svalutazione della lira, per tornare al boom di inizio anni 2000, che ha visto entrare massicciamente le piccole e medie aziende. Adesso, insieme alle medie, si riaffacciano le grandi, ma soprattutto cambia la logica strategica: "Da investimenti ‘difensivi’, si passa più a iniziative volte a conquistare i mercati locali in una logica di consolidamento e di crescita" dice "e c’è da tener conto che noi non guardiamo il settore finanziario che negli ultimi tempi ha cominciato a muoversi".

Il 2007 segna una ripresa che Max Fiani, responsabile di Kpmg, definisce "sorprendente". "E’ una ripartenza da record che vede protagoniste le aziende medie, ormai cresciute e che operano con logiche tutte nuove, non di carattere familiare, insieme alle grandi e un ritorno di compratori europei negli Usa". Così la ritirata di Telecom dai mercati internazionali è stata più che compensata dalle iniziative di Fiat, Eni, Enel, Mediaset e poi Brembo, Luxottica, e decine di altre.

Adesso questo mondo variegato fa i conti con la crisi dei mercati finanziari e con la prospettiva di un indebolimento dell’economia reale gridata a gran voce da economisti e organismi internazionali. La struttura di queste aziende, così come la presentano le analisi, potrebbe, sulla carta, costituire un vantaggio. Assenti spesso dai mercati borsistici per scelta, prive di debiti e patrimonializzate, con un attivo investito in asset industriali, queste imprese potrebbero avere più di un’occasione su mercati i cui valori sono stravolti e abbattuti dalla crisi finanziaria. "Ma non è questa la logica che seguono. E sul futuro di questa parte del nostro apparato produttivo che si muove con logiche industriali e ha il dono della flessibilità resto ottimista" dice Coltorti e penso che continuerà l’espansione verso le aree dell’est europeo e dell’Asia."

In effetti, se si va a chiedere a molte di esse che cosa sposti questa crisi, si hanno risposte che destano ancora una volta, sorprese, perché frutto di una visione sul futuro ben diversa da quella di questi giorni. Mario Carraro, ad esempio, guida un’azienda che produce sistemi di trasmissione per veicoli e trattori che sfiora e supererà nei prossimi anni il miliardo di fatturato con investimenti che spaziano dalla Cina all’India agli Stati Uniti. Dice: "Certo, dobbiamo essere preparati alla crisi, ma per noi il 2008 è già acquisito. Noi abbiamo aperto un nuovo stabilimento negli Usa perché lì sono i nostri clienti e perché i costi della manodopera, con questo dollaro, sono molto convenienti. Ma la logica che ci ha guidato nei nostri investimenti è una razionalizzazione della nostra supply chain". E poi ci sono i nuovi mercati che tirano, la Cina, l’espansione delle macchine agricole negli Usa per il fenomeno della produzione del biodiesel.

"Non si vanno a rivedere piani perché c’è un crollo delle Borse e poi sa qual è la massima dei mercati?" dice un po’ provocatoriamente Claudio Gottardi, amministratore delegato della Safilo, 1120 milioni di fatturato con marchi prestigiosi nel mondo degli occhiali. Eccola la massima: "Don’t try to catch the knife while falling". Insomma a inseguire le altalene e le isterie di questi mesi ci si può far anche molto male. "Noi aggiunge la vera crisi non l’abbiamo ancora vista e abbiamo di fronte la prospettiva di milioni di potenziali consumatori nel mondo". Se gli si chiede che cosa sposta questo stravolgimento di scenario in termini di decisioni di investimenti esteri risponde: "Mah, bisogna vedere. A breve ci sono opportunità generate dal calo del dollaro, ma se le aspettative continuano ad essere al ribasso certo anche i prezzi delle attività scendono". Insomma la logica è la stessa: si possono trovare occasioni e si può soffrire a breve in nome di un’opportunità più a lungo termine, ma sempre guidati da una prospettiva industriale o commerciale, non certo finanziaria.

Un po’ la stessa che segue Andrea Tomat (Lotto e Stonefly) che spacca il mondo in tre macroaree (il Nafta americano, l’Europa e l’Asia), per seguire mercati che ormai definisce "osmotici". Sostiene che aggiustamenti ci saranno, anche se l’economia reale sta andando avanti: "Negli Usa ci sono occasioni anche se dopo l’acquisto della Etonic il nostro obbiettivo è quello di integrare e ristrutturare". Sia Carraro che Gottardi, sembrano ricambiare l’indifferenza che la Borsa, che negli ultimi mesi ha falcidiato le loro quotazioni, riserva ai loro conti. Ma la Borsa non è un termometro neanche per i più piccoli: Franco Malenotti, ad della Belstaff, 90 milioni di fatturato metà in Italia e metà all’estero, aumenti record previsti per il 2008, conquistati con un marchio rilevato da un’azienda inglese e portato al successo vedendo giubbotti e abbigliamento di grido prodotti per il 90% in Italia, una filiale aperta negli Usa, dice: "Non siamo toccati da tutti questi disastri che si dicono. Sono 45 anni che opero nel settore e ho visto tante crisi. Una che arrivi così non mi è mai capitata e non ho segni di scenari reali così brutti, né io né i gli industriali che incontro, anche negli Usa. Credo sia tutta una bolla e una montatura che si sgonfierà".

E l’Fmi, le previsioni di previsioni di crescita? "Hanno ridotto dal 2,5 se non mi sbaglio all’1,6 e mi dovrei stracciare le vesti per questo?". E la stessa tranquillità ostenta Maurizio Bazzo, che guida la Inglass, progettazione di stampi dei fanali per auto, un laboratorio di ricerca a Bari, uno stabilimento in Cina ( per servire il mercato cinese) e un’unità negli Usa. "I nostri concorrenti, anche negli Usa, sono tranquilli, non abbiamo segni di cedimento".

Dunque per ora i piani non sono sconvolti. E, dice Corò, che conosce bene questo sistema di imprese: "Credo che gli investimenti esteri continueranno a crescere soprattutto nelle aree più promettenti Europa Centro Orientale e Usa. E l’internazionalizzazione del sistema bancario italiano non potrà che aiutare questo processo estendendolo anche alle piccole". Quanto alle grandi, dopo il recupero degli anni passati, dovranno fare i conti con scenari forse più complessi "perché dice Coltorti il futuro dei beni standardizzati sarà soprattutto nei Paesi emergenti e dunque anche loro per sopravvivere dovranno puntare sulla personalizzazione dei prodotti e l’innovazione, che è nel dna del nostro quarto capitalismo". quot;Una teoria non è che un’ipotesi. Quando l’osservazione dei fatti non si accorda con la teoria questa deve essere sostituita" (Gunnar Myrdal, Economic Theory and Under Developed Regions). Questa frase suggella, come una sorta di epigrafe, l’ultima indagine di Mediobanca sulle medie imprese industriali italiane.

Fulvio Coltorti, che da anni segue dati e comportamenti di questo mondo di aziende, la ha scelte per sintetizzare questo strano capitalismo e i suoi modi di agire e di crescere, che, negli ultimi anni, ha riservato più di una sorpresa agli economisti e ai governanti italiani. Adesso che la crisi dei mercati sta rovesciando le prospettive di sviluppo e stravolgendo le convenienze e i valori, ci si domanda che prospettive si aprano per questo mondo, che fine farà quel processo di internazionalizzazione che ha visto il capitalismo medio e grande italiano crescere sui mercati mondiali e conquistare non solo quote di mercato in termini di esportazioni, ma anche aumentare la sua presenza in termini di fabbriche e di investimenti. Negli ultimi anni questo processo è stato una delle sorprese che ha contraddistinto la crescita delle medie e delle grandi aziende italiane.

Repubblica.it » Affari e Finanza » Cosi' Italia Spa fa shopping nel mondo

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