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Crisi del mercato auto - Tagli alle produzioni e migliaia di licenziamenti


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molti ritengono che la bancarotta sia un buon modo per riorganizzare, e sono della stessa idea.

c'è solo un problema enorme: gli americani non comprano dalle aziende in bancarotta, e questo può significare la morte definitiva dell'azienda stessa in brevissimo tempo.

è qualcosa che non possiamo rischiare per GM Usa, anche se ciò si limitasse soltanto alla divisione americana (lasciando fuori Opel) perché le conseguenze di una crisi di queste dimensioni arriverebbe anche a noi (Fiat).

GM negli USA impiega in maniera diretta 300mila dipendenti e mantiene 700mila pensionati.

Non aggiungo i dealers ed i fornitori.

Pensiamoad 1milione di persone che da un giorno all'altro si trovano senza soldi (magari con qualche sparuto aiuto governativo per campare).

significa che l'economia smette di girare. E se si nutre la recessione negli USA....le ripercussioni si sentiranno anche nel vecchio continente, purtroppo....

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vorrei postare questo articolo sulla decadenza della città di Detoit causato dalla crisi delle big three:

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/giornalisti/hrubrica.asp?ID_blog=43

2008, fuga da Detroit

Viaggio nella città dell'auto dove i redditi scendono e gli indigenti crescono

Venticinquemila abitanti che fuggono ogni anno, il più alto tasso di povertà degli Stati Uniti, scuole fatiscenti, guerre di gang giovanili, il sindaco travolto da uno scandalo a luci rosse, l’Fbi che indaga sulle delibere del consiglio comunale e i sermoni del figlio di Martin Luther King per sognare una rinascita che a molti appare impossibile. Questa è Detroit, la città fondata nel 1701 da 52 coloni francocanadesi sull’omonimo fiume dove nel 1904 Henry Ford fondò la sua «Motor Company» gettando le basi di quell’industria dell’automobile che durante il Novecento ha accompagnato il boom economico e adesso invece rischia un collasso tale da innescare la depressione.

La vita dei circa 900 mila abitanti di «Motown», il soprannome che risale ai tempi d’oro, è scandita da vicende che ne descrivono il declino.«Redditi in discesa, povertà in crescita» è il titolo di un rapporto che incrocia i dati del crollo dell’auto con quelli del censo: nel 2007 la povertà in Michigan è aumentata del 14 per cento, il dato nazionale più alto, con picchi del 35,5 per cento a Flint - la città del regista Michael Moore - e Kalamazoo. Con il reddito medio sotto i 48 mila dollari cresce la richiesta di servizi sociali - mense, dormitori, centri di accoglienza - ma scarseggiano i donatori perché General Motors, Ford e Chrysler producono meno ricchi e più disoccupati.

In settembre lo Stato del Michigan ha dato tessere alimentari a 1,3 milioni di persone, ma non bastano.

Quasi la metà dei minorenni di Detroit - il 47,8 per cento - vive sotto la soglia di povertà. «Sono numeri da shock» ammette Rebecca Blank, ex rettore della Scuola di Politica dell’Università del Michigan, secondo la quale «i figli crescono in famiglie devastate dalla crisi dell’auto, alle prese con debiti, pignoramenti, disoccupazione, separazioni e abusi». Le conseguenze sono a pioggia: gli omicidi annuali hanno superato quota 400, il tasso di imprigionati è il più alto d’America, la percentuale di ragazzi che abbandona la scuola è del 68 per cento - un record condiviso con Indianapolis e Cleveland - e gran parte di loro finiscono in gang giovanili talmente aggressive da aver spinto l’Fbi a dichiarare Detroit la «città più pericolosa della nazione».

Per avere un’idea dei crimini che commettono bisogna entrare nell’aula del giudice Ronald Giles, 36° Distretto, dove tre adolescenti fra i 15 e i 18 anni rischiano la condanna a morte per aver ucciso un coetaneo ed averne torturati altri tre di fronte alla finestre di un liceo intitolato all’onnipresente Henry Ford. D’altra parte la disoccupazione è all’8,8 per cento e continua a crescere, allontanando prospettive di lavoro. Chi può se ne va, ad un ritmo di 25 mila l’anno, cercando fortuna il più lontano possibile, convinto che il destino di «Motown» sia segnato sin dall’inizio visto che i fondatori la chiamarono un francesizzante «sarà distrutta».

La speranza della rinascita doveva essere il giovane sindaco afroamericano Kwame Malik Kilpatrick, classe 1970, ma a inizio settembre è stato obbligato alle dimissioni da uno scandalo di infedeltà matrimoniale svelato da migliaia di sms con contenuti osceni che si scambiava con l’amante-segretaria. Ora la città è guidata dall’ex vice sindaco, Ken Cockrel, che punta a vincere le imminenti elezioni ma nè lui nè i nove concorrenti sollevano molte emozioni. A rafforzare la sfiducia c’è l’indagine dell’Fbi su appalti milionari assegnati in maniera dubbia dall’attuale consiglio cittadini. Durante un dibattito elettorale i candidati sindaci sono stati travolti da un torrente di domande e accuse, in cui gli è stato imputando di ignorare i tre mali che stanno uccidendo Detroit: povertà, crimine e carenza di educazione. Come scrive il popolare opinionista Daniel Howes su detnews.com «la crisi di Detroit è un problema di tutti».

Per sensibilizzare il grande pubblico ogni mezzo è utile. C’è anche chi si è inventato un tour per turisti attraverso le «Favolose rovine di Detroit» per vedere da vicino ciò che resta delle fabbriche che fecero decollare l’industria dell’auto. Si può così andare a vedere da vicino quanto rimane della fabbrica dove nacque il «Modello T» di Ford in un Highland Park oramai abbandonato oppure l’edificio in mattoni rossi della Studebaker Piquette Plant che fino agli anni Cinquanta ospitava i test dei progetti più innovativi. Ma forse l’immagine che più raffigura il degrado è il complesso Dodge Main di Chrysler, costruito per essere un gioiello architettonico negli anni Ottanta e ora presentato ai turisti come un «Requiem» per essere stato trasformato in una fabbrica senza finestre dove General Motors costruisce modelli Cadillac destinati a rimanere invenduti.

Attorno a queste rovine del Novecento Detroit si presenta come un reticolo di autostrade troppo grandi per il numero di auto che vi circolano, parcheggi abbandonati ed edifici semivuoti. Nulla da sorprendersi se in questa città, dove l’85 per cento della popolazione è afroamericano, l’unico prodotto gettonato siano i discorsi, scritti o trasmessi alla radio, di Martin Luther King III, figlio del reverendo simbolo delle battaglie per i diritti civili, che parlando di fronte ad una folla nel Cobo Center ha invocato il bisogno di «sconfiggere la povertà».

Modificato da itr83
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Ovviamente per radere a zero non intendevo il fallimento ma una procedura simile a quella che sta attraversando l'Alitalia: una sorta d'amministrazione controllata che faccia tabula rasa del passato e risani l'azienda poiché il fallimento propriamente detto, per un gruppo industriale delle dimensioni della General Motors, ne significa la morte certa; soprattutto in una situazione economica come quella attuale.
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si scusa in realtà mi sono "attaccato" al tuo post ma non intendevo "controbattere"

Il fatto è che bisogna fare molta attenzione al passare ad una "gestione controllata" (chapter 11), perché gli americani sono "peggio" degli Europei: smettono di acquistare dalle aziende in "gestione controllata".

come biasimarli -> gestione controllata significa che potrebbe chiudere molto velocemente (indipendentemente dal caso specifico)

quindi chi compra rischia....di non avere più assistenza/ricambi sullo stesso in futuro, o addirittura di perdere l'anticipo senza vedersi consegnare il bene stesso.

quoto!! ed infatti la soluzione migliore, se proprio vogliamo salvarle :twisted: sarebbe che i famigerati aiuti non venissero erogati in termini di montagna di cash credit come ipotizzato fin'ora per grantire l'operatività, ma di copertura economico-finanziaria durante il periodo di Chapter 11: lo stato garantirebbe la stessa entità economica, ma erogata a copertura delle garanzie/assistenza sui prodotti.

In questo modo l'azienda può "ripulirsi" con l'amministrazione controllata, uscirne potenzialmente + competitiva, senza perdere il mercato. Chiaramente ci vuole una bunoa campagna di comunicazione a riguardo.

Mi meraviglio che nessuno ci abbia pensato... a volte la soluzione + semplice non è mai presa in considerazione.

"The great enemy of the truth is very often not the lie -- deliberate, contrived and dishonest -- but the myth -- persistent, persuasive and unrealistic"

(John Fitzgerald Kennedy)

"We are the Borg. Lower your shields and surrender your ships. We will add your biological and technological distinctiveness to our own. Your culture will adapt to service us. Resistance is futile!"

"Everyone is entitled to their own opinion, but not their own facts!"

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quoto!! ed infatti la soluzione migliore, se proprio vogliamo salvarle :twisted: sarebbe che i famigerati aiuti non venissero erogati in termini di montagna di cash credit come ipotizzato fin'ora per grantire l'operatività, ma di copertura economico-finanziaria durante il periodo di Chapter 11: lo stato garantirebbe la stessa entità economica, ma erogata a copertura delle garanzie/assistenza sui prodotti.

In questo modo l'azienda può "ripulirsi" con l'amministrazione controllata, uscirne potenzialmente + competitiva, senza perdere il mercato. Chiaramente ci vuole una bunoa campagna di comunicazione a riguardo.

Mi meraviglio che nessuno ci abbia pensato... a volte la soluzione + semplice non è mai presa in considerazione.

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non è che nessuno ci abbia pensato...è che ogni soluzione ha i suoi pro ed i suoi contro.

in più, in questo caso credo che wagoneer perderebbe la "sedia".... ;)

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Un'altra conseguenza della crisi attuale

Ingorgo di auto invendute, in tilt il porto

Sui piazzali di Bremerhaven 90 mila veicoli nuovi bloccano l’attività

BERLINO — La recessione degli Anni Duemila ha trovato il suo primo, grande ingorgo. Più di novantamila automobili (e il numero cresce) bloccano il porto di Bremerhaven, sul Mare del Nord, il maggiore punto europeo di ingresso e di uscita di veicoli.

Prodotte ma invendute. Rimaste in una terra di nessuno come soldati sorpresi dall'improvvisa ritirata della globalizzazione. Immobili, una accanto all'altra, ostaggi della crisi drammatica dell'industria automobilistica in tutto il mondo. Camion, furgoni e file di automobili, giapponesi, coreane, americane e soprattutto tedesche, Mercedes, Bmw, Audi fino a poche settimane fa oggetto del desiderio nei Paesi ricchi e in quelli poveri. «Non le possiamo muovere —sostiene Detthold Aden, capo di Blg, il gruppo di logistica che gestisce questa attività nel porto tedesco —. Non possiamo lavorarci e nemmeno consegnarle finché non trovano compratori». Possibilità remota, per come si sono messe le cose economiche.

Fino a poche settimane fa, ogni nave che si avvicinava era la benvenuta a Bremerhaven. Ora è un guaio. Quelle che dovrebbero esportare se ne vanno mezze vuote. Quelle cariche che arrivano da fuori Europa non hanno praticamente più spazio per parcheggiare i veicoli nei due grandi piazzali. Lo scorso weekend, la gestione di sette navi è stata un incubo. Tutto è fermo. La Blg ha trovato nuovi spazi in aree vicine, di solito destinate ai container. Ma anche queste sono ormai piene. Altre auto sono parcheggiate su treni, anch'essi immobili in attesa di trovare una destinazione. «E' una situazione difficile, molte auto importate e quelle destinate all'esportazione sono ancora per strada e stanno arrivando qui», dice Aden. Entro Natale, il parcheggio più grande d'Europa arriverà a centomila veicoli e a quel punto non entrerà nemmeno uno spillo, figuriamoci le trebbiatrici e i bulldozer.

Forse, con l'anno nuovo la situazione migliorerà, perché tutte le fabbriche hanno tagliato la produzione. Ma solo forse, perché niente esclude che il crollo delle vendite sia superiore ai tagli già programmati: il porto rischia di collassare. La situazione che si è creata è un collo di bottiglia perfetto della globalizzazione in crisi. Bremerhaven non è un semplice terminale di carico e scarico. Nel caso delle auto, è un ingranaggio fondamentale della moderna logistica dell'industria, quella che non prevede molte macchine sui piazzali delle fabbriche ma movimento continuo dalla produzione ai mercati. Le auto che arrivano—per l'Europa o dall'Europa — vengono portate in due centri tecnologici attigui, pulite e «servite di barba e capelli» come dicono i portuali, in alcuni casi addirittura arricchite con optional.

Di solito, restavano alcune ore a Bremerhaven, al massimo pochissimi giorni, poi partivano, destinate a seconda delle ordinazioni che nel frattempo erano arrivate. Una catena complessa ma efficiente, pensata per ridurre al minimo gli stock. Ora, però, le richieste dai rivenditori e dai concessionari, a loro volta affogati dalle auto non vendute, non arrivano e i piazzali del porto tedesco invece delle 60 mila macchine che di solito transitano sono congestionati da più di 90 mila veicoli che non si muovono. Mercato bloccato come nessuno si era aspettato. Cinque mesi fa, le previsioni dicevano che i mezzi movimentati a Bremerhaven sarebbero stati 2,2 milioni, una crescita di quasi il dieci per cento rispetto al 2007. «Ora prevediamo una riduzione del 25% del numero dei veicoli che transiteranno nel primo quadrimestre del 2009», ammette Ader. Nei mesi successivi, ritengono molti esperti, potrebbe andare peggio.

Ingorgo di auto invendute, in tilt il porto - Corriere della Sera

Modificato da Prestige
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Crisi: auto, Valeo taglia 5.000 posti lavoro

di ANSA

In Francia 1.600 e in altri paesi europei 1.800

(ANSA) - PARIGI, 17 DIC - Valeo tagliera' 5.000 posti di lavoro, di cui 1.600 in Francia e 1.800 in altri paesi europei. Lo annuncia il gruppo francese. L'azienda di componenti auto, che impiega nel mondo 54.000 persone, precisa che la soppressione di posti di lavoro e' legata alla necessita' di adattare l'organico per 'far fronte al forte calo della produzione auto' e per 'preservare la sua competitivita''. index.asp?articolo=652372&titolo=Crisi%3A+auto%2C+Valeo+taglia+5%2E000+posti+lavoro

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