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Crisi del mercato auto - Tagli alle produzioni e migliaia di licenziamenti


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La crisi dell'auto colpisce anche la Russia

Vendite in calo, produzione congelata e incentivi per 43 milioni di euro

Nessuno è immune alla crisi, neppure i mercati più forti come quello russo. Anche se nel primo semestre del 2008 la Russia aveva superato la Germania con 1,645 milioni di auto vendute, a gennaio il mercato è crollato del 44,5% rispetto a dicembre 2008 e del 33% rispetto a gennaio. Una brusca frenata a cui segue l'annuncio della Avtovaz, partecipata al 25% da Renault, del congelamento di circa 15.000 operai a marzo. Intanto, per cercare di risollevare il settore, anche Mosca è dovuta ricorrere agli incentivi. Si parla di 2 miliardi di rubli (circa 43 milioni di euro) che saranno concessi alle banche per alleggerire i tassi sui prestiti destinati all'acquisto di una nuova vettura.

A perdere di più in gennaio, secondo il quotidiano Vedomosti, sono stati i Costruttori stranieri. In testa Hyundai (-48%) e Kia (-44%), ma anche le nazionali come Avtovaz sono andate male. Le vendite del principale costruttore russo sono calate del 40% rispetto allo stesso mese del 2007. A poco è dunque servita la sospensione di tutta la produzione a gennaio ed ora si spera di compensare le perdite con la decisione di attuare quelle misure di disoccupazione tecnica che interesseranno tra il 10% e il 14% dei dipendenti, ossia tutti quelli non interessati direttamente dalla linea di assemblaggio.

La Russia, che fino ad oggi era ritenuta l'Eldorado del settore auto, ha davanti a se' un anno molto difficile. Gli esperti prevedono che nell'arco del 2009 la flessione complessiva raggiungerà quota 20/25%.

Autore: Eleonora Lilli

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24ore

Tokyo, 10:13

TOYOTA: DIVISIONE FINANZIARIA CHIEDE PRESTITO STATALE

Toyota Financial Services, la divisione servizi finanziari della casa automobilistica giapponese, ha chiesto un prestito da due miliardi di dollari alla Banca per la Cooperazione Internazionale, un istituto di credito statale nipponico. Lo ha riferito la rete televisiva Nhk, senza citare fonti. Toyota avrebbe bisogno della somma per coprire l'aumento dei costi del credito negli Usa.

(03 marzo 2009) repubblica.it

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in seguito alla sostituzione del motore del tergilunotto posteriore il meccanico ha rotto un pezzo di plastica del portellone (come cazzo ha fatto lo sa' solo lui :roll:) di cui ho chiesto la sostituzione da piu' di un mese:

il problema e' che il ricambio e' introvabile : effetto cassa integrazione ?

oppure troppa vendita ?

http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/dossier/Economia e Lavoro/motori-2-4-ruote/numeri-mercato/auto-crisi-autoriparazioni-pezzi-ricambio.shtml?uuid=4637164e-082c-11de-bd54-016680bc9313&DocRulesView=Libero

Auto, l'altra faccia della crisi:

è boom dei pezzi di ricambio

Se non ci son soldi per comprare un auto nuova, meglio tenersi la vecchia. Anche se questo significa maggiori spese di manutenzione. Questa semplice considerazione spiega l'altra faccia della medaglia della crisi dell'auto: negli Stati Uniti il settore dei pezzi di ricambio è più florido che mai.

....

E lo stesso fenomeno si è registrato anche in Italia dove, conferma Raffaele Cerminara, segretario nazionale di Confartigianato Autoriparazioni, c'è stato un aumento delle riparazioni negli ultimi mesi. «Ma il fenomeno che rischia di ridimensionarsi. Specialmente dopo che il governo ha varato gli incentivi alla rottamazione, che mettono a richio il futuro di molte imprese di autoriparazione». L'associzione ha chiesto misure a sostegno del settore. Come la riduzione dell'Iva o la defiscalizzazione sulle riparazioni di auto e moto, il credito agevolato per la manutenzione dei veicoli, l'aumento degli incentivi per chi decide di trasformare la propria auto da benzina a Gpl. Provvedimenti che - si legge nel documento dell'associazione - servirebbero a «intercettare la domanda di quei consumatori che non sono interessati all'acquisto di un auto nuova. Ma che vogliono migliorare l'efficienza e la sicurezza dei propri veicoli»

piangere, piangere piangere miseria sempre e comunque :|

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7:32 : Segni i punti coglionazzo !

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in seguito alla sostituzione del motore del tergilunotto posteriore il meccanico ha rotto un pezzo di plastica del portellone (come cazzo ha fatto lo sa' solo lui :roll:) di cui ho chiesto la sostituzione da piu' di un mese:

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Some critics have complained that the 4C lacks luxury. To me, complaining about lack of luxury in a sports car is akin to complaining that a supermodel lacks a mustache.

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infatti qui a differenza del premium il problema di pagarlo non si pone,8-)

piuttosto credo di intravedere invece il fatto che se sono cose serie mettono personale capace ma per quelle che sono onestamente delle sciocchezze prendo il primo che passa:shock:

..come quell'altro scienziato che mi ha lasciato un bel cacciavite appoggiato dentro il cofano che quindi mi sono tenuto :b26

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7:32 : Segni i punti coglionazzo !

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Non è auto, però è emblematico di come per molti (troppi) la crisi sia sono una buona scusa per arraffare ancora di più.

L’Indesit cancella la fabbrica di None: 8 mila abitanti, 600 dipendenti. Produzioni in Polonia. Un’intera comunità senza punti di riferimento

LODOVICO POLETTO

INVIATO A NONE (TORINO)

Adesso che la fabbrica non c’è più, c’è chi vorrebbe poter tornare indietro. Un bel rewind di 40 anni per cancellare l’incubo e ritrovarsi, come per miracolo, con le cascine nel centro del paese e i prati dove adesso ci sono i capannoni delle aziende sorte attorno alla Indesit. Ditte cresciute sotto l’ala di questa fabbrica-mamma che ha appena ufficializzato la chiusura, dando un bel colpo di spugna alle speranze delle 600 persone che lavoravano lì a montare lavastoviglie. La Indesit è finita, è ufficiale. Se ne va in Polonia dove il lavoro costa meno e gli elettrodomestici li sanno fare allo stesso modo.

A None resta lo stordimento del sogno che s’infrange. «Hanno parlato di noi anche a Londra: l’ha detto la tv. Vuol dire che stavolta smobilitano davvero» s’infervora alle 11 del mattino Flavio Rabbia, 68 anni, una vita passata a lucidare serpentine per lavatrici e frigoriferi. Certo, i seicento dipendenti della fabbrica delle lavastoviglie non vivono tutti di qui. Ma c’è poco da stare allegri: bisogna fare i conti con le difficoltà delle società dell’indotto Indesit, da oggi pure loro con l’acqua alla gola. Senza contare la crisi globale, che in zona ha già stroncato qualche azienda e sta tagliando le gambe ad altre. «Mi verrebbe da dire che la sbornia industriale ci ha illusi per troppo tempo» dice, saggia, Maria Luisa Simeone, il sindaco del paese.

Ed eccola qui la None sbigottita: ottomila abitanti, cinque banche (l’ultima è arrivata il primo luglio dell’anno passato, è l’Istituto di credito cooperativo di Bene Vagienna). Allora ancora nessuno sospettava lo «sboom», anche se i segnali c’erano già tutti. Allora la Indesit era ancora il simbolo di questo comune: un ex paesone agricolo che nel 1967 contava a malapena 2 mila anime e fuori dalla cinta daziaria c’era soltanto un’infinita distesa di prati e boschi.

Quattro decenni sono passati da allora. Ma è come fosse trascorso un secolo. Quando è arrivata la fabbrica delle cucine e dei frigoriferi, i contadini di qui hanno voltato le spalle alla terra. Poco dopo sono sbarcati i primi immigrati dal sud: i «napuli», come li chiavano allora. «Eravamo diffidenti, li studiavamo da lontano, qualcuno li evitava» ricorda Graziella Averna, sessant’anni e un lavoro sicuro in municipio. Erano gli anni del boom economico, c’erano soldi e lavoro. I «napuli» sono stati accettati in fretta: qualcuna s’è anche sposato quella gente arrivata dal Sud. «La Indesit aveva cambiato il modo di pensare: eravamo l’Italia che cresceva e si trasformava» insiste il sindaco. Anche lei è arrivata dal Meridione.

Che anni, quegli anni. «C’erano i treni che andavano a caricare i prodotti finiti direttamente sotto le capriate d’acciaio dei capannoni» racconta Alessandro Camuso, 55 anni, un altro ex della fabbrica «traditrice». «Le luci lì dentro stavano accese tutta la notte: si lavorava a ciclo continuo. Nel 1970 io ero un “napuli” di 17 anni venuto su da Rocchetta e Croce, in provincia di Caserta per andare a lavorare alla Indesit. Mi assunsero subito. Il primo stipendio fu di 35 mila lire: una piccola fortuna».

Anni da film. L’azienda pagava le ferie addirittura più del dovuto. Fioccavano gli straordinari: qualcuno ci tirava su un altro mezzo stipendio. E poi i trasporti erano gratis per gli operai che andavano a montare i frigoriferi e le cucine destinati ad entrare nelle case degli italiani.

Flavio Rabbia, invece, era un figlio di quella terra contadina. Aveva campi, boschi e una cascinale. Ha chiuso con l’agricoltura ed è andato, anche lui come altri, alla catena di montaggio. Ma è stato saggio: non si è disfatto di tutto. Ha tenuto per sé dieci giornate di boschi coltivati a pioppi («e sapesse quanto rendevano»), il resto lo ha messo in vendita. «Con quei soldi mi sono costruito una casa» dice orgoglioso. E che casa: sei alloggi. Li ha affittati ad altri operai, altra manovalanza. Quando, negli Anni ’80 tutta Italia pagava le conseguenze della prima recessione, Rabbia era al coperto. Anche se l’azienda, dopo qualche tempo, lo aveva lasciato a casa.

Però quello era il primo segnale che la sbornia sarebbe finita. Da lì, è andata sempre peggio. E oggi di frigo e di soldi non ce ne sono più. «Altro che social card, qui il potere economico e politico deve intervenire in modo concreto e pesante - dice don Giancarlo Gosmar, il parroco di San Gervasio e Protasio -. Ci sono territori che stanno morendo. Le famiglie, presto, non sapranno più come arrivare alla fine del mese». I primi segnali già ci sono: la Caritas parrocchiale ne discute da tempo. L’amministrazione comunale, anche. Il sindaco pensa a iniziative di supporto alle famiglie senza lavoro: sconti alle mense per i figli a scuola, finanziamenti.

«Una ricetta vera però non c’è - dichiara il primo cittadino - Certe notti sono talmente preoccupata che non riesco a chiudere occhio».

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Some critics have complained that the 4C lacks luxury. To me, complaining about lack of luxury in a sports car is akin to complaining that a supermodel lacks a mustache.

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è una cosa schifosa, non comprerò MAI un prodotto Indesit e invito tutti a fare lo stesso sperando che possa servire a qualcosa.......

la cosa assurda è che i beni comodi ma superflui come lavatrici e lavastovigli hanno mercato solo nei paesi piu' ricchi e questi imbecilli contribuiscono ad impoverirli e quindi si rovinano il mercato con le loro stesse mani!

dove andremo a finire continuando a ragionare a trimestri??

scusate l' OT.

Giulia Nuova Super 1300

75 1.8 carburatori

33 IE Imola

145 1.6 TS 16V

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Il problema e' quello che se toglie il lavoro dal paese A per portarlo al paese B, poco alla volta nel paese A nessuno avra' piu' soldi per comprare i beni del paese B.

A meno di non permettere tramite prestiti facili, ai cittadini del paese A di indebitarsi pesantemente.

Archepensevoli spanciasentire Socing.

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E mi scuso anche io, anche se poi non è tanto OT perché ciò che sto per dire vale anche per il mercato dell'auto.

Non credo abbia alcun senso scandalizzarsi. Indesit è un'impresa, le imprese si aprono esclusivamente per fare profitto (altrimenti apri una cooperativa, un no profit, appunto). Se trasferendo la produzione fai più profitto, la scelta è semplicemente automatica.

Lo dico con rude franchezza: molti sognano. Sognano che l'impresa possa essere "buona". L'impresa nasce e vive per essere buona solo con se stessa e spietata con gli altri, dai concorrenti ai clienti, ai quali si cerca di vendere il proprio prodotto al prezzo più alto possibile. Lo si abbassa soltanto per ragioni di mercato, quando non si riesce a vendere.

L'economia di mercato è una giungla, come una savana: è totalmente a-morale. Possiamo farne a meno? Non lo so, è una domanda troppo complessa. Certo, non che abbiano fatto miracoli le economie marxiste (socialiste, comuniste): anche se la Cina ha fatto il boom che ha fatto, è ancora presto per dire se quello è un corretto modello economico. Senza contare i costi in termini di libertà che un'economia-caserma come quella comporta.

Credo che si possa dire che andava bene quando il mercato lo avevamo in pochi, praticamente soltanto in Occidente e Giappone. Producevamo per tutto il resto del mondo, lavoravamo al posto di tutto il resto del mondo. Bei tempi per gli imprenditori (e i lavoratori) occidentali quando c'era l'URSS e la guerra fredda. Certo, c'erano i missili nucleari, ma chissà se il rischio di guerra totale era davvero reale. Forse oggi è più facile che qualche terrorista abbia la testa e il cuore di far esplodere una bomba atomica, che non Stalin o Breznev.

Comunque, ogni epoca ha i suoi guai. Noi abbiamo questo: la fine di una golden age economica, che ci eravamo illusi durasse per sempre. Niente è per sempre, e nessuno è "cattivo" se prova a stare meglio degli altri. Soprattutto quando si tratta di un imprenditore. Questa è l'economia capitalista di mercato. Se qualcuno ha una ricetta miracolosa, dalla Indesit alla General Motors, che sta fallendo, la proponga.

Nel frattempo, la gente povera comprerà il frigo Indesit fatto in Polonia, se costa meno. Perché se hai fame te ne freghi dell'etica nel mercato.

Primum vivere, deinde philosophari.

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