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Elezioni USA 2008


Tommitel

Chi voteresti alle prossime elezioni presidenziali USA?  

59 voti

  1. 1. Chi voteresti alle prossime elezioni presidenziali USA?

    • "Voterei per John McCain"
      15
    • "Voterei per Barack Obama"
      41
    • "Non saprei." oppure "Uno dei candidati indipendenti"
      4


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a me sembra solo un paese di persone inegenue ma vere. Ad esempio la Palin dirà pure un mare di castronerie, ma credo che sia l'unico personaggio pubblico al mondo che possa permettersi di fare politica antiabortiva meritandosi l'ascolto di tutti (senza attirarsi uova marce addosso).

Saranno mediamente più fessi, ma sono cento volte più onesti di noi, lì o sei puttaniere cocainomane, o politico moralizzatore, li si puo' accusare di manicheismo, ma credo che un nostro Fisichella (che pure è un esimio personaggio!) non valga un quarto di un loro Colin Power.

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a me sembra solo un paese di persone inegenue ma vere. Ad esempio la Palin dirà pure un mare di castronerie, ma credo che sia l'unico personaggio pubblico al mondo che possa permettersi di fare politica antiabortiva meritandosi l'ascolto di tutti (senza attirarsi uova marce addosso).

Saranno mediamente più fessi, ma sono cento volte più onesti di noi, lì o sei puttaniere cocainomane, o politico moralizzatore, li si puo' accusare di manicheismo, ma credo che un nostro Fisichella (che pure è un esimio personaggio!) non valga un quarto di un loro Colin Power.

"The great enemy of the truth is very often not the lie -- deliberate, contrived and dishonest -- but the myth -- persistent, persuasive and unrealistic"

(John Fitzgerald Kennedy)

"We are the Borg. Lower your shields and surrender your ships. We will add your biological and technological distinctiveness to our own. Your culture will adapt to service us. Resistance is futile!"

"Everyone is entitled to their own opinion, but not their own facts!"

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Il candidato democratico, alle Hawaii per assistere la nonna malata, guida saldamente i sondaggi a 12 giorni dal voto

McCain giù di 12 punti

travolto dai vestiti della Palin

Le rivelazioni sul guardaroba della vice pagato dal partito accrescono le difficoltà del repubblicano, che attacca: "Obama è un socialista"

di RAFFAELLA MENICHINI

Il guardaroba di Sarah Palin si abbatte su John McCain nel momento di massima difficoltà della campagna repubblicana per la presidenza. Dopo che il partito ha ammesso di aver pagato alla candidata vicepresidente 150.000 dollari in vestiti, e dopo le rivelazioni circa le spese di viaggio per i figli accollate ai contribuenti dell'Alaska da quando è stata eletta governatrice, i sondaggi già impietosi con McCain lo affondano ancora di più: meno 12 punti percentuali, secondo le rilevazioni di oggi, rispetto al senatore democratico Barack Obama.

Gli ultimi quattro giorni hanno visto il vantaggi di Obama crescere costantemente, tanto che il candidato democratico si è potuto permettere di sospendere la campagna oggi e domani per andare a trovare la nonna malata alle Hawaii: un "distacco" anche fisico da una corsa che finora ha padroneggiato senza apparenti difficoltà. Il sondaggista John Zogby sottolinea che l'allargamento del suo consenso ''coinvolge tutti i gruppi demografici''. Il vantaggio accumulato tra le elettrici, ad esempio, è passato dai 16 ai 18 punti e quello tra gli indipendenti - un elemento chiave negli Stati indecisi e obiettivo principale della massiccia campagna pubblicitaria scatenata dai candidati - ha addirittura raggiunto i 30 punti (Obama al 59%, McCain al 29%).

Ieri sera in Ohio, considerato uno degli Stati "fluttuanti" più importanti per l'esito delle elezioni, McCain ha tentato l'affondo contro Obama sul tema delle tasse: "Sarah Palin ed io non vogliamo alzare le vostre tasse, amici miei. Vogliamo che rimaniate benestanti", ha detto McCain. E la sua vice ha preso in giro l'avversario soprannominandolo "Barack il distributore di ricchezza" - parafrasando un suo discorso sulla redistribuzione dei redditi ora molto citato dai repubblicani come esempio delle sue tendenze socialiste. "Dovete ascoltare molto bene le parole del nostro oppositore, perché sta nascondendo il suo vero programma: togliervi il denaro tanto faticosamente guadagnato", ha detto la Palin, che compariva al fianco di McCain per la prima volta da dieci giorni.

L'anello debole del campo repubblicano si conferma però proprio lei, la 44enne governatrice dell'Alaska che con la sua aria da "hockey mom" (la "mamma d'America", semplice e diretta) avrebbe dovuto dare una sferzata di freschezza all'immagine del 72enne eroe del Vietnam McCain. La campagna di immagine si è però ritorta contro i repubblicani, tanto da suscitare reazioni sbalordite tra i commentatori per l'ingenuità o la totale mancanza di "spin" (controllo mediatico) dei consiglieri di McCain. In 24 ore la Palin ha inanellato due scandali proprio sul fronte dove lei stessa batte con più forza nei suoi comizi: il rigore e la semplicità contro la corruttela politica di Washington. Prima le rivelazioni circa il denaro pubblico utilizzato per far viaggiare al seguito della governatrice le sue figlie in più d'una occasione, pubblicata o ricreativa. Poi, la tegola più grande, rivelata ieri dal sito "The Politico": dalla designazione nel ticket, il 29 agosto scorso, a oggi il Comitato elettorale repubblicano avrebbe sborsato qualcosa come 150 mila dollari per il guardaroba della Palin. Oltre 75 mila dollari sono stati spesi da Neiman Marcus e 50 mila da Saks Fifth Avenue a New York in settembre per la Palin e la sua famiglia. Il Comitato si difende dicendo che la candidata aveva bisogno di abiti e scarpe adatte ai diversi climi dei 50 Stati in cui ha fatto campagna in due mesi, e che lei personalmente non ha mai fatto shopping ma tutto è stato acquistato dallo staff.

I vestiti non servivano solo alla Palin ma anche alla sua numerosa famiglia. Una donna trafelata, raccontano ora i proprietari di un negozio di abbigliamento per l'infanzia a Minneapolis, il 3 settembre - poche ore prima il discorso di accettazione della nomination della Palin alla Convention repubblicana - entrò chiedendo "immediatamente" vestiti per un bimbo di sei mesi, una bimba di sei anni e un'adolescente - l'identikit dei piccoli Palin. Acquistò tra l'altro un completino per un bimbo di sei mesi, completo di berretto da scimmietta. Quella stessa mise comparve quella sera sugli schermi televisivi addosso a Trig, il neonato della Palin (senza berretto).

Ora gli strateghi di McCain cercano di rimediare assicurando che tutti i vestiti saranno dati in beneficienza al termine della campagna, ma ormai il danno è fatto. Obama e sua moglie Michelle - così come si era fatto con i Clinton in passato - sono sempre stati dipinti come "elitisti", il tipo liberal e snob che la middle class non sopporta. Un vestito bianco e nero con cui Michelle apparve in televisione tempo fa venne additato come prodotto di stilisti, per poi scoprirsi essere un acquisto da grande magazzino. Grande scalpore suscitò la notizia, durante le primarie, che l'ex candidato John Edwards si era fatto fare un taglio di capelli da 400 dollari, e molto si è speculato sui lifting e le nuove mise di Hillary Clinton. Ma questi leader democratici non hanno mai giocato a essere "gente del popolo" così pesantemente come Sarah Palin. Il tipo di elettori a cui si aggrappa McCain, il famoso "Joe l'idraulico" tante volte menzionato durante l'ultimo comizio con Obama, forse non apprezzerebbe le spese pazze della governatrice. Come ha notato una commentatrice alla Abc ieri, "Di certo Joe l'idraulico non indossa Manolo Blahniks", le celebri scarpe dello stilista newyorchese da migliaia di dollari, conosciute da tutte le appassionate di Sex and City.

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Anche il 20 per cento dei repubblicani voterebbe per Barack

McClellan, ex portavoce di Bush: "Può cambiare l'America"

Il Nyt sostiene Obama e avverte:

"Così McCain può ancora vincere"

Sarah Palin in Pennsylvania arruola "Joe il quarterback"

l'ex campione di football che compì una rimonta storica

di RAFFAELLA MENICHINI

Il conto alla rovescia per l'appuntamento elettorale americano si riduce, mentre si amplia la distanza nella gran parte dei sondaggi tra il candidato democratico Barack Obama - accreditato di oltre 10 punti di vantaggio - e quello repubblicano John McCain. Anche molti conservatori - secondo il sondaggio Zogby - sono pronti a cambiare bandiera e a dare una chance al giovane senatore afroamericano. Come anche l'ex portavoce di George Bush, Scott McClellan, che ieri ha dichiarato la sua intenzione di voto per Obama: "Può portare quei cambiamenti di cui l'America ha bisogno", ha detto. Non che McClellan fosse da annoverarsi nel campo dei leali sostenitori repubblicani, ormai, visto che dopo le dimissioni ha già sfornato un libretto di fuoco contro il suo ex capo Bush.

I numeri. Se però fosse vero che il 20% dei repubblicani voterebbe per Obama, la sconfitta di McCain sarebbe pressoché certa. Zogby accredita Obama addirittura di un vantaggio di 26 punti (di 20 tra le donne). Dati non confermati da altri istituti come quello che per Nyt/Cbs indica le preferenze per Obama nel 52% contro il 39% di McCain, e ravvisa però una considerevole riduzione delle distanze tra gli elettori indipendenti, quelli decisivi il 4 novembre: solo 6 punti di vantaggio per Obama.

E' forse per allertare il campo democratico, e ricordare che già in passato una vittoria che sembrava certa si è trasformata in una disfatta spettacolare, che il New York Times ha messo in fila tutte le carte che McCain può giocare per conquistare la Casa Bianca, ancora - dice il giornale - alla sua portata: innanzi tutto gli Stati chiave. Se riuscisse ad ancorare il consenso repubblicano negli Stati tradizionalmente rossi e ora incerti (Florida, dove ieri McCain ha tenuto dei comizi, Indiana, Missouri, North Carolina, Ohio e Virginia), otterrebbe 260 dei 270 voti elettorali necessari per la vittoria. I rimanenti dieci si potrebbero giocare in Pennsylvania, e se la vittoria arrivasse là - sostengono gli strateghi di McCain - sarebbe quasi certa in Ohio e Florida, dove gli stessi uomini di Obama sostengono che McCain è ancora più che in gioco. Ci sono poi le incognite legate all'attendibilità dei sondaggi, che non hanno mai fatto i conti con un candidato afroamericano e devono calibrare i loro risultati su un bacino elettorale molto più largo che in passato. Infine, il voto anticipato: è una carta su cui Obama sta puntando molto. Tre elettori su dieci, secondo i sondaggi ABC, intendono votare prima del 4 novembre, con una larga preferenza per Obama.

Ieri sera Obama ha sospeso per due giorni la sua campagna elettorale per volare a Honolulu, nelle Hawaii, dove vive la nonna anziana e malata: "Non voglio compiere due volte lo stesso errore", ha detto riferendosi al fatto che quando morì sua madre lui era lontano e non arrivò in tempo.

L'analisi del Nyt. Come ormai tradizione, nel momento cruciale, anche i maggiori media scendono in campo con l'endorsement ufficiale. E' quello che ha fatto il New York Times, che senza sorprese appoggia Barack Obama. Nell'editoriale intitolato ''Barack Obama for president'' il Nyt critica duramente la campagna di John McCain e liquida come ''fallimentare'' la presidenza Bush. ''Gli Stati Uniti sono in rovina e alla deriva dopo otto anni di fallimentare leadership di George W. Bush'' si legge, ''che addossa al suo successore due guerre, un'immagine internazionale sfregiata e un governo sistematicamente privato della sua capacità di proteggere e aiutare i cittadini sia che stiano sfuggendo alle inondazioni di un uragano, che siano alla ricerca di un'assistenza sanitaria sostenibile o che lottino per tenersi la casa, il lavoro, la pensione e i risparmi di fronte a una crisi finanziaria che era annunciata ed evitabile''.

Tutt'altro trattamento per Obama che ''sfida dopo sfida è cresciuto come leader e ha dato sostanza ai suoi messaggi di cambiamento e di speranza''. ''Crediamo'', aggiunge il Nyt, ''che abbia la volontà e la capacità di forgiare quel consenso politico allargato che serve a trovare le soluzioni ai problemi del Paese''.

L'editorialista spara a zero su McCain che si è ''sempre più arroccato verso le frange della politica americana puntando alla divisione, al conflitto di classe e persino a un po' di razzismo''. Le sue politiche, aggiunge, ''sono impantanate nel passato'' e la scelta di Sarah Palin come vice ''è il gesto finale di un opportunismo e di una mancanza di buon senso che hanno eclissato i risultati raggiunti in 26 anni passati al Congresso''.

Palin e il giocatore di football. Che la scelta di Palin non abbia aiutato McCain lo hanno dimostrato gli scandali e scandaletti emersi nelle ultime ore, dal guardaroba di lusso pagato dal partito ai viaggi della numerosa famiglia a spese dell'Alaska. La "hockey mom" con le scarpe firmate, ieri in Pennsylvania ha tentato di rivendere ancora la sua immagine sbarazzina e ordinaria, andando a pescare nell'immaginario sportivo degli americani.

Parlando a Beaver Falls ha promesso una "rimonta", aggiungendo un altro Joe alla galleria dei "Joe" arruolati dalla campagna repubblicana: "Ieri eravamo in Ohio, a casa di Joe l'idraulico" (reso protagonista da McCain nell'ultimo dibattito con Obama), "oggi siamo qui, a casa di Joe il quarterback", ovvero il campione di football americano Joe Namath degli anni '60-'70 che condusse la sua squadra, i New York Jets, alla vittoria in uno storico SuperBowl dato ormai per perso. Parafrasi sportiva, cara alla Palin che di sport se ne intende, per indicare che certo la competizione è dura, ma i veri campioni possono sempre risalire la china e portare la squadra alla vittoria.

da la Repubblica.it

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Daniel Cowart e Paul Schlesselman sono stati fermati mentre progettavano

un attacco in auto al candidato dopo aver trucidato un centinaio di studenti di colore

In smoking per uccidere Obama

Il folle piano dei due 'suprematisti'

Un complotto probabilmente irrealizzabile.

La vicenda, quasi ignorata dai media, non sembra aver effetto sulla campagna elettorale

dal nostro inviato ALBERTO FLORES D'ARCAIS

NEW YORK - Avevano preparato un piano per uccidere Obama e un centinaio di studenti afro-americani, ma sono stati arrestati prima ancora che il loro folle e demenziale progetto avesse inizio. Due giovani "suprematisti" imbevuti nel credo ideologico e razzista del "potere bianco" sono stati bloccati giovedì scorso in Tennessee dagli agenti federali del Atf (Bureau of Alcohol, Tobacco, Firearms and Explosives) in possesso di un fucile, tre pistole e una carabina. Sono stati incriminati per "possesso abusivo di armi da fuoco, progetto di rapina contro un venditore di armi con licenza federale, minacce di morte contro un candidato alla presidenza" e saranno processati il prossimo 30 ottobre a a Memphis, la città del Tennessee dove quaranta anni venne assassinato Martin Luther King. Gli agenti federali hanno spiegato di aver preso "seriamente" il complotto mentre televisioni e giornali americani si sono limitati a brevi notizie di cronaca.

Daniel Cowart, ventenne del Tennessee e Paul Schlesselman, diciottenne dell'Arkansas - definiti dagli investigatori "due fanatici della sottocultura skinhead di matrice neonazista"- si erano messi in contatto attraverso i siti Internet dei 'suprematisti bianchi'. Il piano, per loro stessa ammissione di impossibile realizzazione, prevedeva come prima mossa quella di rifornirsi di armi rapinando un negozio; seguita dall'irruzione in una scuola di Nashville (di cui la polizia non ha voluto rendere noto il nome) frequentata prevalentemente da ragazzi di colore per un massacro in stile Columbine, una vera e propria azione di guerra che prevedeva l'omicidio di ben 102 studenti: 88 dovevano essere uccisi a colpi d'arma da fuoco, 14 afro-americani dovevano essere decapitati. Ultimo atto il colpo grosso: vestiti "con uno smoking bianco e cappelli a cilindro" avrebbero voluto uccidere Obama durante un comizio.

I numeri 88 e 14 hanno un valore simbolico per i militanti nei gruppi suprematisti e neonazisti bianchi. Secondo il sito dell'Anti-Defamation League, l'organizzazione di matrice ebraica che si batte contro il razzismo e l'antisemitismo 88 significa 'Heil Hitler' (la lettera H é l'ottava dell'alfabeto) ed é un numero che viene usato spesso nella letteratura neonazista. Il numero 14 è legato invece al numero delle parole della frase "We must secure the existence of our people and a future for white children" (dobbiamo assicurare l'esistenza del nostro popolo e un futuro per i bambini bianchi). Una frase del supremazista ariano David Lane, protagonista di attentati a sfondo razziale negli anni Ottanta e morto in una prigione americana lo scorso anno mentre scontava l'ergastolo.

L'operazione degli agenti federali é stata resa nota solo ieri, dopo che un tribunale di Jackson ha reso pubblico l'affidavit degli agenti. Nella notte tra il 21 e il 22 ottobre - dice il capo d'imputazione - i due giovani hanno convinto una ragazza a mettersi alla guida di un auto per fare la rapina al negozio di armi. Rapina che é sfumata (non é stato chiarito perché ), così dopo aver abbandonato la ragazza, i due si sono recati ad acquistare corde di nylon e passamontagna. Un paio d'ore dopo sono stati fermati e dopo essersi vantati della loro ideologia hanno confessato: "avevano pianificato di guidare il loro veicolo ad alta velocità contro un luogo dove si trovava Obama e di sparargli dal finestrino".

"Onestamente noi non sappiamo se avessero o meno la capacità di portare a termine un piano di così grande portata come ci hanno raccontato", ha detto ai cronisti Malcolm Wiley, portavoce del Servizio Segreto a Washington, "ma noi dobbiamo prendere ogni minaccia, grande o piccola che sia, molto seriamente".

Jim Cavenaugh, l'agente federale a capo dell'ufficio di Nashville del Atf , ha spiegato che il complotto per uccidere Obama é stato scoperto dopo che uno dei due, arrestato con altre accuse, ha rivelato tutto: "Erano consapevoli che sarebbe stato difficile raggiungere il loro obiettivo, ma anche se pensavano di non riuscirci ci avrebbero provato lo stesso. Contavano sul fatto che sarebbero stati uccisi durante l'azione e che questa avrebbe avuto una grandissima risonanza".

La vicenda non ha influito in alcun modo sulla campagna elettorale in corso. I grandi media l'hanno quasi ignorata e la stessa campagna di Obama non ha voluto rilasciare dichiarazioni. Il candidato democratico non aveva in programma alcun comizio in Tennessee e l'affidavit non chiarisce quale doveva essere il luogo dell'attentato contro di lui. L'insieme del piano fa acqua da tutte le parti, difficile immaginare come due ragazzi - sia pure bene armati - potessero attaccare una scuola, uccidere un centinaio di studenti e poi scappare indisturbati per andare ad uccidere Obama.

da la Repubblica.it

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Parla il leader del nazionalismo bianco, il movimento che negli Usa

sta crescendo contro i neri e gli immigrati. E contro il candidato democratico

"Fermeremo Barack Obama siamo il nuovo Ku Klux Klan"

Ma per Don Black, ex capo del Klan e fondatore del sito razzista Stormfront

non è più tempo delle armi: "Dobbiamo organizzarci e conquistare il Partito repubblicano"

dal nostro inviato MARIO CALABRESI

Un gruppo di membri del Ku Klux Klan con la bandiera confederataWEST PALM BEACH (FLORIDA) - "Se Barack Obama venisse eletto la nostra gente diventerebbe completamente pazza: è antitetico a tutto quello che è stata l'America fino ad oggi, sarebbe una cosa oltraggiosa". L'uomo che ho davanti parla piano, con lentezza, scandisce le parole, le pesa prima di pronunciarle. "Non è immaginabile che la nazione più potente del mondo, la guida dell'Occidente, possa essere comandata da un afroamericano radicale, legato ai terroristi che bombardarono il Pentagono. Da un uomo che ogni domenica per vent'anni ha ascoltato il suo pastore chiedere che Dio dannasse l'America". L'uomo che ho seduto davanti si chiama Don Black, ha 57 anni ed è oggi la guida del più grande movimento del "potere bianco" che ci sia negli Stati Uniti.

"Ma non è ancora detto che Barack Obama verrà eletto: nel Paese c'è un forte sentimento razziale che non si legge nei sondaggi, che corre sotto traccia, che potrebbe emergere come una sorpresa il 4 novembre". Don Black è stato il leader del Ku Klux Klan alla fine degli Anni Settanta, viene dall'Alabama e da vent'anni si è trasferito a vivere in Florida dove nel 1995 ha fondato Stormfront - "Fronte della tempesta" - il sito web del nazionalismo bianco: "144mila iscritti, 42mila visitatori ogni giorno".

"La minaccia rappresentata da Obama ci fa crescere settimana dopo settimana da mesi, la gente bianca sta mettendo fuori la testa, esce dal bosco in cui si era rifugiata, adesso si sente motivata ad alzarsi e a combattere per i suoi interessi. Dobbiamo mobilitarci prima che gli immigrati trasformino quella che era una nazione ricca e stabile in un Paese del Terzo Mondo". Don Black dice apertamente e tra virgolette quello che da mesi sento ripetere sui treni, nei bar, nei negozi in Pennsylvania e in Kentucky, in Florida o in South Carolina. Discorsi pieni di rabbia contro gli immigrati, contro chi non parla l'inglese, contro una società multirazziale che fa paura, contro Barack Obama che sarebbe il simbolo della vittoria della stagione dei diritti civili. È per questo che i movimenti suprematisti bianchi, i neonazisti e gli skinheads hanno ricominciato a crescere dopo anni di marginalità.

"Ci stiamo avvicinando a tempi rivoluzionari, non penso a qualcosa che abbia a che fare con le armi ma si sente un fervore nuovo: l'America è pronta per una nuova dichiarazione d'indipendenza. Dobbiamo tornare alle origini: questo Paese è stato fondato da coloni europei bianchi e da lì vengono la nostra cultura, le nostre tradizioni e i nostri valori". Don Black è cresciuto nel Ku Klux Klan - dove è arrivato a raggiungere la posizione di Grande Dragone, il grado massimo nella gerarchia interna -, viene da Birmingham la città dove più dura fu la battaglia contro la segregazione razziale, la città dove quattro bambine nere furono uccise nel 1964 da una bomba piazzata in una Chiesa battista. Nel 1974 insieme a Dave Duke, leader storico del KKK, tentò di trasformare il Klan in una forza politica: "Fallimmo per colpa della propaganda dei media che avevano screditato il movimento, avevamo la reputazione dei violenti e fu impossibile trasformare e rilanciare l'organizzazione. Ma ci rimase la convinzione che bisognava dare alle nostre idee una nuova faccia, legale e presentabile".

Gli chiedo allora se Stormfront non sia altro che il nuovo Ku Klux Klan, il Klan del Ventunesimo Secolo senza cappucci e simboli ariani. "Sì, è così", risponde d'istinto. Accanto a Don Black è seduto il figlio Dereck, 19 anni, l'organizzatore della radio su internet di Stormfront. Dall'inizio del nostro incontro ascolta in silenzio, ma adesso interrompe il padre: "Non lo hai mai detto, non lo puoi dire". Si agita e cerca di fermare con la mano il discorso: "Lo sai che non lo puoi dire". Il padre resta immobile: "Non lo direi mai ad un giornalista americano, ma lo sai che è vero".

Dereck, cappello di pelle da cowboy australiano sempre in testa, è la nuova faccia del suprematismo bianco ed è stato eletto nel direttivo di Repubblicani della contea di Palm Beach. Il segretario del partito non lo vuole e si oppone alla sua elezione, ma i Black stanno dando battaglia: "Il leader locale, che è un ebreo - sottolinea il padre - non lo vuole far sedere, ma Dereck è stato eletto con il 60 per cento dei voti e le regole democratiche devono essere rispettate". Questa battaglia apparentemente minore è cruciale per il futuro del movimento del "white power": "Non è più tempo per cercare di creare un terzo partito destinato alla marginalità, dobbiamo presentarci ad ogni elezione primaria dentro il partito repubblicano così da imporre i nostri temi nel dibattito, dobbiamo lavorare per creare un nostro gruppo di interesse, per restaurare le tradizioni e i veri valori bianchi".

La prova generale c'è stata nel giugno del 2007, quando il Congresso bocciò la legge di regolarizzazione di milioni di immigrati illegali voluta da George Bush: "Abbiamo fatto la nostra parte: ci siamo mobilitati al massimo per fare pressioni in ogni collegio sui deputati e i senatori. Abbiamo vinto perché la maggioranza dei cittadini ha paura che l'America diventi come Haiti. Non esiste la possibilità di una reale integrazione: un messicano non può diventare un vero cittadino americano, perché non si può cambiare la natura delle persone e l'ambiente conta fino ad un certo punto. Non illudiamoci: alla fine sarebbero loro a trasformare noi a farci diventare un Paese sottosviluppato". E qui il figlio puntualizza: "Se non cambiamo in fretta, entro quarant'anni noi bianchi saremo una minoranza".

Don e Dereck Black fanno sentire la loro voce tutti i giorni insieme a quella di David Duke su internet, ma non amano le interviste e hanno accettato l'incontro perché il giornale è italiano: "Ci piace il vostro Paese: c'è molta eccitazione sul nostro sito per quello che sta succedendo da voi, siete i primi e a reagire a dimostrare che non vi fate sottomettere dagli immigrati. Anche David Duke la pensa così, tanto che passa la maggior parte del suo tempo nel nord Italia e l'anno scorso eravamo tutti a sciare sulle Dolomiti". Ma alla domanda su dove viva Duke si raffreddano: "Questo preferiamo non dirlo, ci tiene al fatto che la cosa resti riservata".

L'incontro avviene da "Flanigan's bar and grill" a West Palm Beach, un locale poco lontano dalla villetta con la bandiera sudista dove abitano. Il locale di legno non ha finestre e al bancone a forma di ferro di cavallo sono tutti rigorosamente bianchi. L'appuntamento è nel parcheggio. Don Black, che è un omone altissimo, arriva camminando a fatica, appoggiandosi ad un bastone: ha avuto un ictus tre mesi fa. "Il recupero è lento e faticoso ma ogni giorno faccio miglioramenti".

Black è un programmatore di computer, per questo è stato il primo a immaginare che la galassia del razzismo bianco potesse sbarcare su internet. Non lo racconta mai, ma ha imparato ad usare le tecnologie in una prigione federale del Texas dove ha scontato una condanna a tre anni per aver tentato un colpo di stato nell'isola caraibica di Dominica. Agli agenti federali che lo arrestarono, mentre stava per salpare da New Orleans su una nave carica di armi automatiche ed esplosivi, disse: "Volevamo creare un regime anticomunista, lo facevamo nell'interesse degli Usa e ci sentiamo traditi".

Gli chiedo subito del Ku Klux Klan, della violenza e degli omicidi. "Il Klan ha grandi meriti, ha restaurato l'ordine nel Sud dopo la Guerra Civile, oggi si cerca di riscrivere la storia ma era una forza veramente positiva". Ma i linciaggi e le bombe? "C'è stata violenza negli Anni Sessanta, ma è stata enfatizzata e usata contro di noi dai media". Non c'è niente di cui pentirsi? A fatica Don Black bisbiglia: "Ci sono state cose sbagliate", per aggiungere subito: "Ma i processi che si celebrano oggi, quarant'anni dopo, contro membri dell'organizzazione sono solo processi politici". Gli ricordo la bomba di Birmingham e le bambine ammazzate: "Non si dimentichi che io ero solo un ragazzino allora, ma tante volte mi chiedo: chi c'era dietro? Perché dopo quella bomba il governo spazzò via tutte le istituzioni del Sud e aprì scuole e università". Nostalgico della segregazione razziale? "Non penso che sia più proponibile, ma in certi posti funzionava: nelle scuole c'era più sicurezza".

Voterete per John McCain?, chiedo alla fine. "I due candidati sono assolutamente uguali, vogliono l'amnistia per gli immigrati e continuare a far intervenire il nostro esercito in giro per il mondo: così si buttano via un sacco di soldi e si impoverisce l'America. Noi siamo contro l'intervento in Iraq dal primo giorno, ci siamo andati solo perché la lobby ebraica dirige la nostra politica estera. Però resta il fatto che uno dei due è nero e se entrasse alla Casa Bianca saremmo arrabbiati e demoralizzati, non ci potremmo sentire rappresentati da lui. I Padri fondatori avevano pensato ad una nazione bianca e questo non va dimenticato. E' tempo che i bianchi americani si alzino e si battano per i loro interessi e per i loro diritti. La minaccia di Obama ci motiva".

Stormfront ha 144mila iscritti. "Quello - precisa mentre mi saluta - era il dato del mese scorso".

(29 ottobre 2008)

da la Repubblica.it

....:roll:...

cmq la paura è forte Cosimo....

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