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Auto a idrogeno e diffusione di massa - Prospettive e limiti


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Da Newton (la rivista di rcs):

Secondo uno studio, dalle emissioni di idrogeno molecolare delle celle a combustibile alimentate con questo gas potrebbero derivare danni alla fascia di ozono

L'economia all'idrogeno come strada maestra per salvare l'ambiente. Questo slogan, diventato quasi un assioma, viene ora messo in crisi da uno studio pubblicato su Science, che rileva i potenziali impatti ambientali di questa tecnologia, non così 'verde' come si è pensato finora. La diffusione mondiale di cellule combustibili ad idrogeno, rileva infatti la ricerca, guidata da Tracey K. Tromp del California institute of technology, potrebbe avere impatti ambientali finora sconosciuti causati dalle emissioni di idrogeno molecolare (H2), come ad esempio l'incremento dell'abbondanza di vapore acqueo nella stratosfera. Ciò causerebbe un raffreddamento stratosferico, con un aumento delle reazioni chimiche che distruggono l'ozono, un incremento delle nuvole nottilucenti (nubi altissime, fino a 95 km, che appaiono luminose sullo sfondo oscuro del cielo) e cambiamenti nella chimica della troposfera e nelle interazioni tra atmosfera e biosfera.

Le celle combustibili a idrogeno, che producono energia dall'ossidazione controllata di idrogeno molecolare, sono considerate un'alternativa ecologicamente sostenibile ai combustibili fossili sulla quale la comunità scientifica e le imprese stanno riservando una sempre maggiore attenzione. La diffusione di questa tecnologia, che produce soltanto acqua durante la combustione, dovrebbe infatti determinare riduzioni sostanziali nello smog urbano, da fuliggine, ossidi di azoto e di zolfo, ma essa potrebbe avere impatti dovuti alle emissioni di idrogeno molecolare.

L'idrogeno molecolare è un importante costituente dell'atmosfera e partecipa ai cicli chimici atmosferici di acqua, vari inquinanti e gas serra. Un sistema perfettamente efficiente di produzione, trasporto ed ossidazione dell' idrogeno non dovrebbe comportare alcuna emissione di H2 (sarebbe tutto ossidato in acqua). Ma, sulla base dell'esperienza maturata con tecnologie associate al trasporto di gas naturale, sembra probabile che i sistemi di produzione, stoccaggio e trasporto di H2 comporteranno perdite in atmosfera. La grandezza di queste perdite dipenderà naturalmente dagli sforzi fatti per contenerle, spiegano i ricercatori, ma ragionevoli proiezioni indicano che potrebbero essere nell'ordine del 10%-20%. Tenendo presente questo numero, se tutte le attuali tecnologie basate sulla combustione di petrolio o benzina fossero sostituite da quelle ad idrogeno, le emissioni antropiche di H2 sarebbero da 4 a 8 volte maggiori di quelle attuali.

L'incremento di idrogeno molecolare avrà parecchie conseguenze indirette, incluse più basse temperature stratosferiche. Temperature più fredde dovrebbero creare più nuvole stratosferiche polari, influenzare il vortice polare e determinare un buco dell'ozono piu' profondo, largo e persistente. In particolare, secondo il modello messo a punto dagli scienziati, i vortici polari saranno da 5 a 8 giorni più lunghi quando c'è un calo della temperatura di 0,5 gradi. Un vortice più freddo e che dura più a lungo causa una più consistente perdita di ozono. Le previsioni indicano così che le emissioni di origine umana di H2 potrebbero sostanzialmente annullare il recupero dello strato di ozono che previsto come risultato dalla regolazione delle emissioni di clorofluorocarburi

Infine, da repubblica.it la prova che tutto ciò costa economicamente moltissimo:

Prove di economia all' idrogeno ma quello pulito costa troppo

Repubblica — 14 marzo 2006 pagina 37 sezione: ECONOMIA

ANVERSA - Eccolo, l' idrogeno, pietra filosofale del mondo nuovo. Sulle pareti dello scatolone di metallo, alto come un palazzo di tre piani, perso fra i capannoni e i magazzini della zona industriale di Anversa, ardono, una accanto all' altra, file verticali di bruciatori. Sembrano dei fornelli da cucina, solo dieci volte più grossi. E, in effetti, non sono niente di più: riscaldano i tubi che corrono parallelamente, dal pavimento al soffitto. Dentro i tubi c' è metano che, riscaldato a 900 gradi, si scompone e, dopo un ulteriore passaggio con il vapore, risulta in idrogeno e anidride carbonica. L' anidride se ne va nell' aria e l' idrogeno viene pompato in un gasdotto che lo trasporta, attraverso una rete di tubi di 850 chilometri, in giro per il Nord Europa. E' il primo embrione della futura economia a idrogeno? Niente affatto. E' un pezzo di economia che esiste da anni e che non ha niente di sperimentale. Air Liquide, a cui appartiene la fabbrica di Anversa, è un colosso mondiale da 10 miliardi di euro di fatturato, una buona fetta del quale viene dalla produzione di idrogeno, tradizionalmente utilizzato nei processi industriali delle aziende chimiche e delle raffinerie di petrolio. In più, molti negano che idrogeno come quello di Anversa possa essere etichettato come il combustibile di un mondo ad energia pulita. Lo considerano, più o meno, una partita di giro. «L' energia ricavata dall' idrogeno - osserva Joseph Romm, un esperto americano di energia che alle difficoltà della sua utilizzazione ha recentemente dedicato un libro - ha il merito di non inquinare, perché scarica solo acqua e neanche un grammo di anidride carbonica. Ma se, per avere l' idrogeno, devo usare un combustibile fossile come il metano, che inquina e produce effetto serra, l' impresa non ha senso». Insomma, c' è un idrogeno normale e un idrogeno che i tecnici chiamano "verde", prodotto dalle energie rinnovabili come vento e sole (o dal nucleare). Idealmente, è il secondo il combustibile dell' energia pulita. Il problema è che produrlo in questo modo costa molto di più: l' Aie - l' agenzia dell' Ocse, l' organizzazione dei paesi industrializzati, che si occupa specificamente di energia - calcola che, per diventare competitivo, il suo costo di produzione attuale si dovrebbe ridurre ad un decimo. Ma è solo il primo ostacolo nella tortuosa strada che porta all' economia ad idrogeno. E nemmeno il più arduo: come usarlo e come distribuirlo sono sfide anche più difficili di come produrlo. E, in fondo, per capire se queste due sfide possono essere superate, vale la pena di cominciare anche con l' idrogeno normale. Ad un centinaio di chilometri da Anversa, a Bruxelles, la Commissione europea ha recentemente lanciato il progetto Hychain. Il giorno del varo, nel cortile del palazzo della capitale belga in cui avveniva la cerimonia, scorrazzavano motorini, scooter, furgoncini, minibus e motocarrozzelle. Silenziosi e puliti come veicoli elettrici. «In effetti - spiega Francois Jakow, responsabile della ricerca per Air Liquide - l' unica differenza, però cruciale, è che nelle pile a idrogeno la batteria si ricarica continuamente». L' Ue spenderà 37 milioni di euro per mettere questi veicoli sulla strada (in Italia li vedremo a Modena). E' solo una delle tante iniziative per il motore a idrogeno: nelle scorse settimane, anche la Fiat si è aggiunta alla lunga lista di case automobilistiche che stanno lavorando su un prototipo. Nei paesi industrializzati, un miliardo di euro all' anno di soldi pubblici, un ottavo di tutti i fondi per la ricerca sull' energia, viene assorbito dagli esperimenti sull' idrogeno, in larga misura per i mezzi di trasporto. Secondo gli scettici come Romm, è la strada sbagliata: «Siamo molto più avanti - sostiene - nel lavoro sulle pile a combustibile fisse, quelle che possono essere utilizzate per le centrali che producono elettricità e calore. Qui siamo vicini a costi competitivi con le centrali tradizionali». Sfortunatamente, queste pile funzionano ad altissime temperature: nessuno può pretendere che un automobilista aspetti un paio d' ore, finché la pila si scalda, prima di mettere in moto la macchina. Ma sono le centinaia di milioni di auto che circolano nel mondo la chiave del futuro ad energia pulita: «Il 40 per cento dell' anidride carbonica che va ad alimentare l' effetto serra viene dal trasporto urbano» ricorda il responsabile del progetto Hychain, Philippe Paulmier. E, qui, la risposta è nelle Pem, le pile a membrana - dove i protoni di idrogeno vengono separati dagli elettroni, i quali generano una corrente elettrica - che funzionano a temperatura ambiente. La buona notizia è che le pile Pem, come sottolinea Jakow, sono due volte più efficienti del vecchio glorioso motore a scoppio. Quella cattiva è che, purtroppo, costano molto, ma molto di più. L' Aie calcola che, per essere competitive con il motore tradizionale, le pile Pem dovrebbero costare fino a 50 volte meno di oggi, un obiettivo che la sola eventuale produzione di massa non basta a garantire. E, del resto, è proprio questa produzione di massa l' obiettivo più sfuggente, il collo di bottiglia più stretto nella via all' idrogeno. E' un problema più economico, che tecnico-scientifico. Le macchine a idrogeno hanno bisogno di rifornirsi di idrogeno, come quelle a benzina hanno bisogno di benzina. Costruire una rete di distribuzione dell' idrogeno paragonabile a quella della benzina, costerebbe (il calcolo è sempre dell' Aie) 2.500 miliardi di dollari, solo di gasdotti. «Ma chi - si chiede Romm - spenderà questi soldi per distribuire l' idrogeno, fino a quando non ci saranno sulle strade milioni di veicoli ad idrogeno? E chi costruirà e venderà questi veicoli, e chi li comprerà, fino a quando non ci sarà l' infrastruttura per alimentarli?» Il dilemma, che gli esperti definiscono "viene prima l' uovo o la gallina", è, secondo molti, altrettanto insolubile. Non tutti, però, sono così pessimisti. Nel quadro del progetto Hychain, Air Liquide ha presentato un' idea molto semplice per il rifornimento: bombole, tipo quelle da sub, anche se più piccole, della stazza di grosse mortadelle, che si posizionano da sole, a scatto (il sistema si chiama "clip on"), sul veicolo. Niente stazioni di servizio, come quelle della benzina. Le trovereste all' angolo della strada, in distributori tipo quelli della Coca Cola. Aprite la porta, tirate fuori le bombole nuove e, al loro posto, infilate quelle vecchie. Ci sono allegri distributori bianchi e rossi nel futuro dei nostri pieni? Presto per dirlo. Come è presto per dire quasi qualsiasi altra cosa sul futuro dell' economia a idrogeno. Dall' Aie agli esperti, alle case automobilistiche, tutti dicono che le prospettive si chiariranno solo fra qualche anno, nel 2015 o, più probabilmente, nel 2020. Il paradosso è che, per quella data, potremmo avere già scoperto che la via dell' idrogeno è superata, un ramo cieco nell' evoluzione dell' energia. Per l' auto a idrogeno, infatti, l' insidia maggiore è nelle sue alternative, che non sono più solo il tradizionale motore a benzina. Nel suo ultimo rapporto, l' Aie cita i biocarburanti, come etanolo e biodiesel, e gli ibridi benzina-elettricità, come la Toyota Prius e la Honda Civic, la cui efficienza energetica non è troppo lontana da quella delle pile a idrogeno. Il relativo successo delle auto ibride, nota il rapporto, è un ulteriore ostacolo allo sviluppo del motore a idrogeno, e, contemporaneamente, un invito alla cautela: c' è voluto un decennio perché le auto ibride - che non richiedono nessuna particolare infrastruttura - raggiungessero il 3 per cento del mercato globale. Quanto tempo occorrerà perché le auto a idrogeno raggiungano quella soglia minima del 10 per cento, necessaria per spezzare l' impasse del dilemma "uovo o gallina"? - DAL NOSTRO INVIATO MAURIZIO RICCI

Direi che ce n'è abbastanza per smorzare facili entusiasmi: certo, bisogna fare ricerca, ma probabilmente i problemi sono così tanti che nella migliore delle ipotesi vedremo tutto realizzato tra 30-40 anni, nella peggiore si ripiegherà su tecnologie meno costose e che necessitano di minori cambiamenti.

Modificato da Dodicicilindri

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Il succo del discorso è:

L’alternativa è, in effetti l”Economia basata sull’elettricità” Con l’elettricità possiamo fare più o meno tutto quello che si propone di fare con l’idrogeno. La nuova generazione di batterie in corso di sviluppo (al vanadio, al sodio-zolfo, al litio, e altre) si presenta come competitiva con l’idrogeno sia come costi che come pesi, con efficienze molto superiori (almeno l’80% per ciclo, contro il 30% per l’idrogeno/pila a combustibile) con in più l’enorme vantaggio che la rete di distribuzione esiste già.

Il “mondo elettrico” è sostenibile, sicuro, a bassi costi, e si sposa perfettamente con le energie rinnovabili. Allora, perchè non lasciar perdere i sogni e lavorare invece su una cosa concreta e che funziona?

comunque, sulla stessa linea, sempre di Bardi, ma più recente:

Risorse, Economia e Ambiente: Confessioni di un idrogenista pentito

Un bel po' di anni fa (forse troppi) mi occupavo di idrogeno Era il 1980 quando arrivai a Berkeley, in California, a fare il post-doc al Lawrence Berkeley Laboratory. Era appena passata l'ultima fase della prima grande crisi del petrolio; il massimo valore storico dei prezzi era stato nel 1979. In America, era tutto un fiorire di progetti di ricerca, di nuovi centri e istituti, tutti dedicati alle energie alternative.

A Berkeley, lavorai per più di due anni sulle pile a combustibile; la tecnologia che doveva servire a trasformare l'idrogeno in energia elettrica e che era - ed è - essenziale per il concetto di "economia basata sull'idrogeno" (Rifkin non ha inventato nulla, erano cose già ben note allora). Era un lavoro interessante, anche affascinante, ma molto difficile. Finito il mio contratto, cominciai a cercare lavoro. Ma, come mi è capitato spesso nella vita, mi trovavo in controfase con il resto del mondo. Nel 1982, i prezzi del petrolio si erano già molto abbassati. L'interesse sulle energie alternative era calato e - con la lungimiranza tipica degli esseri umani - si cominciava già a pensare di chiudere i centri di ricerca messi su negli anni '70. C'era poco spazio, di conseguenza, per un esperto in pile a combustibile. Il meglio che riuscii a trovare fu un'offerta per lavorare in un centro di ricerca nel Montana. Non mi attirava molto e alla fine decisi di tornare in Italia. Provai a continuare a lavorare sulle pile a combustibile, ma da noi non glie ne importava niente a nessuno, nemo propheta in patria sua. Così dopo qualche anno mi dedicai ad altre cose.

Mi ricordo che quando ero ancora in America ero venuto a sapere che a Vancouver, in Canada, c'era un certo Geoffrey Ballard che aveva messo su un piccolo istituto di ricerca per studiare le pile a combustibile. Pensai vagamente di mandargli un curriculum, ma poi me ne scordai. La ditta di Ballard, a quel tempo, era poco più di un garage con qualche entusiasta dentro intento a saldare fili e a far bollire strane soluzioni.

Ma Ballard era destinato a grandi cose. Più o meno al tempo in cui io me ne andavo da Berkeley, Ballard sviluppava un tipo di pila a combustibile completamente nuovo, la "PEMFC" o "PEFC" (polymer electrolyte membrane fuel cell) o semplicemente PEM, una cosa che rivoluzionò il campo. La PEM usava un polimero solido come elettrolita, cosa che la rendeva più efficiente dei vecchi tipi che, invece, usavano un elettrolita liquido. Fece un rumore incredibile; rese possibile il primo autobus a pile a combustibile (1993) e tanto per dirne una, Ballard fu nominato "Eroe del Pianeta" nel 1999 dalla rivista "Time."

Non per dire male di Ballard, che mi risulta essere una bravissima persona, ma forse chiamarlo "eroe del pianeta" è stata una cosa un po' esagerata. A parte questo, tuttavia, negli anni '90 mi è venuto diverse volte da pensare (con una certa rabbia) che se nel 1982 avessi mandato quel curriculum forse avrei potuto essere uno degli sviluppatori di quello che - all'epoca - sembrava la rivoluzione del secolo: la pila a combustibile a membrana polimerica, il congegno che avrebbe reso possibile l'economia basata sull'idrogeno. Avrei fatto anche un po' di quattrini!

Quando cominciò l' "uragano Rifkin", nel 2002, mi trovavo a essere uno dei pochi in Italia che avevano veramente esperienza pratica sui concetti tecnici dell'economia basata sull'idrogeno. Mi invitavano alle conferenze a parlarne. Per un certo periodo ne ho parlato anche bene, pur senza grande entusiasmo. Oggi, dopo averci ripensato sopra, credo che dedicare la mia vita all'idrogeno e alle pile a combustibile non sarebbe stata una grande idea. Anzi, credo che sarebbe stata pessima. Non sono il solo a pensarla così; ho conosciuto diverse persone che hanno dedicato anni di vita alle pile a combustibile e all'idrogeno ma che poi hanno abbandonato il campo, delusi. Siamo gli "idrogenisti pentiti", persone che hanno lavorato, e magari anche creduto, nella promessa dell'idrogeno ma che poi si sono resi conto che - se magari non la possiamo proprio definire una bufala - è una cosa talmente difficile e lontana nel tempo che non ha nessuna rilevanza per la soluzione dei problemi attuali.

Ci sono moltissimi problemi con il concetto di "economia basata sull'idrogeno" ma uno dei principali è la conversione dell'idrogeno in energia utile - ovvero energia elettrica. Farlo con un motore termico è possibile, ma l'efficienza è terribilmente bassa. Quindi il concetto ruota molto intorno alla possibilità di usare pile a combustibile che promettono efficienze molto maggiori. Ma le cose non sono facili.

Gia nel 1980, a Berkeley, ci rendevamo conto di qual'era il problema principale delle pile a combustibile: il catalizzatore. La reazione fra idrogeno e ossigeno, di per se, è lenta a temperature relativamente basse. La pila funziona soltanto se gli elettrodi contengono platino, sulla cui superficie la reazione avviene molto più rapidamente. Il platino è un metallo raro e costoso e i due anni e più che ho passato al Lawrence Berkeley Lab sono stati dedicati a cercare di mettere meno platino, o qualcosa al posto del platino, sugli elettrodi della pila. Non ero solo io a lavorarci, era tutto un gruppo di ricerca, uno dei molti impegnati sull'argomento. A quel tempo, non andava di moda il termine "nanotecnologia", ma eravamo perfettamente in grado di fare delle particelle nanometriche di platino. Più erano piccole le particelle, maggiore era la superficie e di conseguenza ci voleva una massa minore.

Ahimé, uno dei problemi delle nanoparticelle è che quanto più le fai piccole tanto più sono attive. Si muovono, reagiscono fra di loro a formare particelle più grandi e, alla fine, il tuo elettrodo non funziona più. Ne abbiamo provate di tutte per stabilizzarle: una delle cose su cui ho lavorato di più è stato sulle leghe di platino. Sembrava una buona idea - funzionava bene per un po' - salvo poi de-allegarsi e dover buttar via tutto. Niente da fare - platino era e platino rimaneva.

Oggi, dopo un buon quarto di secolo di lavoro di molta gente, siamo davanti allo stesso problema. Le PEM hanno ancora bisogno di platino e una PEM dell'ultima generazione richiede qualcosa come 1000 dollari al kW di solo platino; una vettura a pile a combustibile dovrebbe contenere platino per un costo superiore alla vettura stessa! Al che si aggiunge il fatto che la membrana costa un sacco di soldi, che il platino si avvelena facilmente, che gli elettrodi si rovinano per tante ragioni, e tanti altri problemi. La PEM è ancora ben lontana da essere in grado di salvare il pianeta per opera dell'eroico Geoffrey Ballard.

Ma il problema non è solo nei costi; è proprio nella quantità di platino. Non c'è abbastanza platino su questo pianeta per costruire pile PEM in numero sufficiente a rimpiazzare gli attuali veicoli su strada e a realizzare l'idea dell' "economia basata sull'idrogeno". Era una cosa che sapevamo già nel 1980 e che non è molto cambiata da allora.

Certo, ci si può lavorare sopra, ma non è facile. Quando mi metto oggi a dare un'occhiata allo stato della ricerca nelle PEM vedo con un certo stupore che ancora la gente lavora sulle stesse cose su cui lavoravamo a Berkeley negli anni '80, apparentemente con non molto maggiore successo. Uno degli ultimi "nuovi sviluppi" è stato, indovinate un po', usare leghe di platino! Proprio la cosa che facevo io. Magari queste leghe funzioneranno meglio delle nostre, magari questi qui (di Brookhaven) sono più bravi di come eravamo noi al Lawrence Berkeley Lab; chi lo sa? Ma mi sembra che stiamo girando in cerchio senza arrivare da nessuna parte. C'è chi ha detto di aver trovato buoni catalizzatori nanostrutturati non basati sul platino. Saranno abbastanza stabili sul lungo periodo? Può darsi, mi permetto però di essere un tantino scettico.

Si riuscirà mai a produrre una pila a combustibile che usa poco (o per niente) platino e che si vende a un prezzo ragionevole? Non è impossibile, ma sembra molto difficile. Sono ormai più di trent'anni che si parla di pile a combustibile "moderne" ma ancora ci sono soltanto prototipi. Se ce ne sono in vendita o sono giocattoli dimostrativi oppure sono a prezzi tali che li possono comprare solo istituti di ricerca.

Venticinque anni fa, quando lavoravo alle pile a combustibile, sapevamo che il petrolio era ancora abbondante e che la crisi era passeggera. Potevamo permetterci di pensare che avevamo tempo, che prima o poi saremmo riusciti a far funzionare le pile; che avremmo ottenuto quel "breakthrough" necessario. Non sono bastati 25 anni; adesso il picco del petrolio sta arrivando e forse è già arrivato. Quasi certamente, non abbiamo altri 25 anni per cercare il miracolo in una tecnologia che - per ora - rimane inutilizzabile in pratica. Continuiamo pure a lavorarci sopra, ma non contiamo su qualche eroe tecnologico che verrà a liberarci dal petrolio all'ultimo momento con qualche super-PEM.

La liberazione dal petrolio verrà da tecnologie più semplici e già collaudate: le buone vecchie batterie che stanno vivendo una nuova vita con l'ultima generazione di batterie al litio. In fondo, non c'è bisogno di grandi rivoluzioni tecnologiche per cambiare -più che altro bisogna volerlo veramente.

Modificato da jeby

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Sono assolutamente d'accordo. Il futuro sta nell'elettricità: nucleare pulito, o magari (fra molto più tempo) fusione fredda e con l'elettricità ci faremo andare auto ibride a batteria e con motori termici alimentati da combustibili sintetici.

P.S.: a proposito. Avete sentito che l'India ha lanciato la sua prima missione lunare? Lo sapete qual è lo scopo della missione (che durerà 2 anni)? Mappare la superficie lunare allo scopo di trovare "miniere" di elio 3, con cui ricavare energia elettrica nelle ipotetiche centrali del futuro.

Ecco il futuro, l'elettricità.

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PAZZESCOOOOOO! Leggendo i vari articoli del blog di prima che trattano l'idrogeno, ho ritrovato tutto quello che io e 12c abbiamo detto qui. Un esempio su un'applicazione pratica di solare + idrogeno, contrapposta a due alternative per usare batterie o bacini d'acqua:

Risorse, Economia e Ambiente: Un diamante troppo caro

ma soprattutto, così tagliamo la cresta al Torio (Th), ecco uno che si è messo lì e ha fatto i conti:

http://www.aspoitalia.net/images/aspoitalia1/Veicoli%20stradali%20H2-BEV%20_2_1.pdf

l'articolo è del 2007... non penso siano stati fatti grandi progressi...

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PAZZESCOOOOOO! Leggendo i vari articoli del blog di prima che trattano l'idrogeno, ho ritrovato tutto quello che io e 12c abbiamo detto qui.

Non credo che sia così pazzesco. Siamo ingegneri, e ragioniamo scientificamente dando sempre importanza ai numeri per provare ciò che diciamo.

Purtroppo chi non è ingegnere (parlo in generale, non mi riferisco a nessuno di chi scrive qui) può giudicare con minor cognizione di causa, per questo non sopporto i partiti come i verdi, e il loro seguito.

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Sono assolutamente d'accordo. Il futuro sta nell'elettricità: nucleare pulito, o magari (fra molto più tempo) fusione fredda e con l'elettricità ci faremo andare auto ibride a batteria e con motori termici alimentati da combustibili sintetici.

P.S.: a proposito. Avete sentito che l'India ha lanciato la sua prima missione lunare? Lo sapete qual è lo scopo della missione (che durerà 2 anni)? Mappare la superficie lunare allo scopo di trovare "miniere" di elio 3, con cui ricavare energia elettrica nelle ipotetiche centrali del futuro.

Ecco il futuro, l'elettricità.

penso tu voglia dire "fusione calda" (quella del sole per intenderci) ;) la fredda è una mezza barzelletta. L'elio 3, che è appunto un isotopo dell'elio, è una delle migliori fonti per la fusione calda, ma è lontana. Si possono usare anche altri isotopi dell'elio reperibili sulla terra, benché con una rendita un po' inferiore. Volendo si può usare anche l'idrogeno, prodotto in minime quantità.

questo http://it.wikipedia.org/wiki/ITER usa deuterio e trizio. Il trizio, come dice la parola stessa, è il terzo fratello del padre dell'idrogeno! :lol: no scherzo, è un altro isotopo dell'idrogeno

Modificato da jeby

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Sì jeby, hai ragione. Ammetto però che la fisica nucleare non è proprio il mio campo. :lol:

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Molte cose le avevo già lette....cmq...

RIFORMULO:

Per quale CAVOLO di motivo nel mondo industrializzato ci sono così tanti progetti con al centro l'idrogeno (lasciamo perdere l'automotive che in questo caso va a rimorchio)?

non mi venite a dire "pubblicità" perchè mi fate ridere.

nessuno dice "è una cazzata" ma tutti dicono "è presto"

è facile oggi dire :"non funziona" quando siamo ancora strapieni di petrolio

Modificato da Matteo B.
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...

Per quale CAVOLO di motivo nel mondo industrializzato ci sono così tanti progetti con al centro l'idrogeno (lasciamo perdere l'automotive che in questo caso va a rimorchio)?

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