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Mercato del lavoro o mercato delle prese per il sedere?


TonyH

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Articolo interessante su LaStampa di oggi:

Studiare è più utile che maipixel.gifpixel.gif .article-toolbar { #margin-top: -15px; border: none; } pixel.gifpixel.gifIRENE TINAGLIpixel.gifE' già abbastanza difficile essere giovani e prendere decisioni sul proprio futuro. Lo è ancora di più in contesti in cui si ricevono informazioni confuse, superficiali, o addirittura sbagliate. Questo è, purtroppo, il contesto in cui vivono e devono prendere decisioni i giovani italiani.

Un contesto incapace di guidarli ed informarli adeguatamente: solo così si spiega il significativo calo delle iscrizioni all’Università segnalato dagli ultimi dati Almalaurea.

No, non è la crisi il motivo di tale rinuncia. Normalmente in tempi di crisi si osserva il comportamento opposto: considerata la difficoltà di entrare nel mercato del lavoro molti preferiscono tenersi fuori ed investire in istruzione e competenze per rientrare poi, freschi di formazione, in un mercato del lavoro in ripresa. Ed è, infatti, quello che si è osservato negli Stati Uniti, dove il 2009 ha visto un record storico di diplomati iscritti all’Università (oltre il 70%), un boom che denota una voglia di investire in se stessi in attesa di tempi migliori.

In Italia no. In Italia i giovani non hanno fiducia né nella ripresa né nel valore di investire in se stessi. E non ce l’hanno perché i primi a non avercela sono i loro genitori, i loro maestri e i loro governanti. Tutte quelle persone che ormai da tempo continuano a dire che tanto studiare non serve. Che è meglio essere umili, accontentarsi magari di terminare la scuola dell’obbligo e imparare un mestiere. Un diploma è già abbastanza. Nessuno ha detto a questi giovani che la probabilità di restare disoccupati senza un titolo di studio superiore è il doppio che in presenza di un titolo. Certo, nell’ultimo anno il tasso di disoccupazione nel primo anno dopo la laurea è aumentato dal 15 al 16%. Ma questo dato è la metà del tasso medio di disoccupazione giovanile in Italia. Senza contare che, comunque, a cinque anni dalla laurea l’80% dei laureati ha un lavoro stabile, mentre chi è senza istruzione tende a cumulare precarietà. E nessuno dice ai giovani che, anche in presenza di un titolo, c’è un’enorme differenza di prospettive tra un diploma e una laurea. Dati Istat indicano che nell’arco della vita lavorativa i laureati hanno un tasso di occupazione di oltre 11 punti percentuali maggiore rispetto ai diplomati (77% contro 66%). Non solo, guardando al lungo periodo i laureati hanno retribuzioni che in media sono superiori del 55% rispetto a quelle dei diplomati. Un gap che chiaramente si accumula con il tempo e che si reduce tra i più giovani. Ma anche nella fascia di età tra i 25 e i 34 anni la retribuzione dei laureati supera del 30% quella dei diplomati. E’ sciocco quindi consigliare ai giovani di non andare all’università perché i salari di ingresso sono analoghi tra laureati e diplomati. Un salario di ingresso dura un anno, ma una vita professionale ne dura minimo 30. E l’effetto dell’istruzione nell’arco di questi 30 anni è enorme.

E’ vero, il mito della laurea che appena conseguita ti garantisce il posto fisso e ben pagato è andato sgretolandosi - in Italia come in molti altri Paesi -, così come è vero che i nostri laureati rispetto ai loro genitori hanno una vita più difficile, ma il valore dell’istruzione resta comunque indiscusso anche per le nuove generazioni. Anzi, in un mondo sempre più qualificato studiare è più necesario che mai. E la vera scommessa per qualsiasi Paese che abbia la voglia e la forza di guardare al futuro non è istigare i giovani a deporre le armi ai primi segnali di incertezza che trovano agli inizi di carriera, ma al contrario adoperarsi ed investire per aiutarli ad orientarsi, per dargli il coraggio di guardare avanti.

Perché se questi ragazzi rinunciano ad investire in se stessi a farne le spese non sarà solo il loro futuro, ma quello di tutti noi. Come pensiamo noi di riqualificare e rilanciare il nostro sistema economico e produttivo con una forza lavoro che anziché qualificarsi si dequalifica? Come pensiamo noi di sopravvivere in un mondo in cui anche la competitività di Paesi emergenti come Cina e India è sempre più trainata da scienza, cultura e tecnologia quando non riusciamo a far laureare nemmeno il 20% dei nostri giovani?

Il quadro che emerge dal continuo calo di iscrizioni universitarie è scoraggiante. E’ il quadro di una generazione senza direzione, senza guida, senza fiducia nel futuro. Un tratto che non è tipico dei giovani, ma che è frutto di un Paese che ha perso il senso stesso della parola futuro, identificata ormai delle sue stesse classi dirigenti con la prossima tornata elettorale e con la fine o meno del proprio mandato. Ma questi giovani hanno tutta la vita davanti. Diamogli un motivo per affrontarla a testa alta, con grinta e determinazione. La loro rinuncia è una sconfitta per tutti noi.

Studiare è più utile che mai - LASTAMPA.it=

Laurearsi serve sempre

(e si guadagna di più)

laurea_01.jpg 67% i laureati con un lavoro fisso

OPINIONI Studiare è più utile che mai IRENE TINAGLI

OPINIONI La scuola è il segreto del successo BARACK OBAMA

+ "Per avere più chance scegliete facoltà scientifiche" RAFFAELLO MASCI

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Nonostante il calo delle iscrizioni, per Almalaurea il titolo universitario resta il miglior investimento. Se un diplomato guadagna 100, il laureato arriva a 155. Ed è anche più facile trovare il lavoro giusto

RAFFAELLO MASCI

ROMA

Sia chiaro: studiare serve e laurearsi serve ancora di più. Ieri abbiamo pubblicato i dati del consorzio Almalaurea sul destino dei laureati italiani negli ultimi cinque anni, e abbiamo sottolineato come la laurea, il famoso pezzo di carta agognato dalle mamme e poi tenuto incorniciato nel tinello, avesse perso gran parte del suo potere di attrazione. Nelle patrie università, insomma, negli ultimi cinque anni si era assistito ad una diminuzione sistematica delle immatricolazioni, superiore al 9%: 26 mila studenti in meno. Almalaurea ribadisce oggi che, comunque, laurearsi è ancora oggi la via più certa per trovare un lavoro prima e meglio.

«Il calo delle immatricolazioni non deve meravigliarci - dice Andrea Cammelli, direttore di Almalaurea - in quanto è il frutto di tre fattori concomitanti. Primo, negli ultimi 25 anni i diciannovenni sono diminuiti del 38%. C’è stato un oggettivo calo demografico. Secondo, il tasso di passaggio tra scuola superiore e università è crollato di 9 punti (dal 75 al 66 per cento) a motivo della controversa immagine che l'università italiana ha dato di sé: dalle parentopoli, agli sprechi, alla moltiplicazione dei corsi inutili. Terzo, la laurea triennale (mantenere un figlio agli studi 3 anni invece di 5) ha aperto gli atenei a fasce di popolazione prima escluse, ma poi queste stesse si sono trovate di fronte al problema dei costi aumentati e non ce l’hanno fatta più».

Da qui il calo degli iscritti. Ma l’università paga. Tutti i dati statistici confermano - infatti- la diretta proporzionalità tra laurea, occupazione e reddito. Se prendiamo i diplomati e i laureati usciti dai rispettivi corsi di studio nel 2004 e li andiamo a rivedere nel 2009 (a cinque anni di distanza), scopriamo che esiste uno zoccolo duro di persone non ancora occupate, pari al 14,8% dei diplomati e al 12,1% dei laureati triennali. Ma mentre un lavoro continuativo (anche se non fisso) ce l’ha il 37% dei diplomati, questo dato sale al 67% tra i laureati. Un impiego a tempo indeterminato ce l’hanno il 18% dei diplomati, ma ben il 37% dei laureati. Complessivamente, quindi, i laureati lavorano molto di più e con maggiore stabilità rispetto a chi ha studiato di meno, come conferma il tasso di occupazione complessivo che, nel caso dei laureati, presenta un vantaggio di 11 punti sui diplomati (66 contro 77 per cento).

Si ribatte che, però, i dottori guadagnano poco. «Se noi consideriamo le retribuzioni sull’arco dell’intera vita lavorativa, un diplomato oggi guadagna 100 quando un laureato arriva a 155: il divario è enorme - spiega Cammelli - e l’abbaglio che molti prendono quando osservano che un diplomato prende più di un laureato, dipende dal fatto che osservano le retribuzioni iniziali, e quando il laureato si mette sul mercato del lavoro il diplomato c’è già da almeno quattro anni. Sui tempi medi e lunghi la differenza appare invece evidente e tutta a vantaggio dei laureati».

Ciò detto non tutte le lauree sono uguali e altrettanto spendibili. Uno studio di Confindustria ha rilevato il numero dei laureati di un anno accademico e quello richiesto dal sistema delle imprese nello stesso anno: alla luce di questi dati si nota come l’Italia abbia bisogno ancora oggi di 20 mila ingeneri in più, 15 mila economisti e statistici, 8 mila medici e sanitari. Per contro c’è un esubero annuo di 4 mila psicologi, quasi 17 mila laureati in lettere o lingue, 4 mila architetti, 3 mila geologi, eccetera. «Non c’è, dubbio - continua Cammelli - che le lauree scientifiche, tecnologiche ed economiche danno una possibilità di impiego più rapida delle altre. Tuttavia, valutati i laureati a distanza di 5 anni, anche quelli delle lauree generaliste hanno trovato un lavoro. Impiegando solo più tempo».

http://www3.lastampa.it/scuola/sezioni/news/articolo/lstp/392352/

Modificato da TonyH

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I NUMERI/ Quei “chiodi” che tengono i giovani lontano dal lavoro

Giuseppe Sabella, Luigi Degan

martedì 17 maggio 2011

Lavoro_Giovani_CodaR400.jpg Foto Ansa

Il tasso di disoccupazione giovanile è tra le diverse anomalie italiane: il 29% dei giovani tra i 15 e i 24 anni è senza lavoro. Il dato è evidentemente sproporzionato rispetto a quello generale (8,7%), in considerazione anche di altri numeri che riguardano i giovani: il 24% di chi è tra i 14 e i 29 anni non è ufficialmente né occupato, né coinvolto in percorsi di istruzione e formazione; dei 300.000 stagisti, solo uno su dieci può contare su un’assunzione alla fine del tirocinio.

Di primo acchito verrebbe da pensare che non c’è lavoro. La situazione è in realtà più complessa: in Italia esiste un problema di transizione dalla scuola (e dall’Università) al lavoro. Il tema in questione ha un nome, si chiama orientamento al lavoro: domanda e offerta di lavoro hanno difficoltà a incontrarsi e i giovani ne soffrono, anche perché - nell’economia globale - restano in attesa della buona sistemazione, del contratto a tempo indeterminato, come nell’economia dei loro padri. Anche per questo molti si affacciano tardivamente al lavoro: in media, l’età del primo impiego è 22 anni, contro i 16,7 dei tedeschi, i 17 degli inglesi e i 17,8 dei danesi.

Al giorno d’oggi, per stare al passo di una crescente concorrenza, l’economia globale chiede alle aziende e ai sistemi economici un’innovazione costante e quindi un aggiornamento continuo delle principali risorse, quelle umane. Le aziende sono giorno per giorno chiamate a innovare i loro prodotti e l’organizzazione necessaria per la produzione. Ma soprattutto si registrano frequenti processi di fluttuazione delle risorse di un mercato in cui ci sono aziende che in pochi anni riducono grandemente il loro personale e cambiano i loro assetti.

Mediamente un’azienda cambia il proprio apparato ogni 6-7 anni, fondendosi con altre realtà produttive, dividendosi e trovando nuove alleanze. Questo dovrebbe tradursi in maggiore dinamicità del mercato e nella facilità di incontro tra le parti. Tuttavia, ci sono lavoratori che non trovano lavoro, e datori di lavoro che non trovano lavoratori, nello stesso momento e nello stesso luogo. È questa un’anomala caratteristica del mercato del lavoro che nel caso dei giovani italiani ha raggiunto numeri abnormi, ma che è stata indagata da Peter Diamond, Dale Mortensen e Cristopher Pissarides, investiti nel 2010 del più prestigioso tra i premi: il Nobel per l’Economia.

Due americani e un anglo-cipriota hanno sviluppato delle linee guida che aiutano a capire perché permanga la disoccupazione anche in presenza di lavori disponibili. Dai loro studi si ricava il suggerimento, a chi si occupa di mercato del lavoro e quindi di politiche del lavoro, che per ridurre in generale i tassi di disoccupazione sarebbe prioritariamente necessario incrementare le informazioni sul mercato del lavoro, in modo tale da permettere agli stessi lavoratori di essere più a conoscenza del fabbisogno produttivo.

In quest’ottica, i giovani italiani sembra abbiano una posizione attendista: aspettano il lavoro ideale con il datore di lavoro ideale e il contratto ideale, naturalmente quello subordinato a tempo indeterminato, quello dei loro papà. E questo perché non sono facilitati nel comprendere che il lavoro è il luogo dove imparare. Coloro che si affacciano sul mercato del lavoro per la prima volta, non possiedono competenze, bensì conoscenze. La competenza è un saper fare, non è un sapere.

I giovani appena usciti dal mondo della scuola e dell’università non hanno competenze, hanno attitudini e conoscenze, pur nella convinzione di essere competenti. Questo determina un atteggiamento rigido nella ricerca del lavoro, mentre il lavoro oggi richiede flessibilità. Flessibilità non solo e non soltanto di tipo contrattuale - la maggior parte dei contratti di lavoro è comunque a tempo non definito - ma soprattutto flessibilità nelle proprie competenze: disponibilità ad aggiornarle e adattarle alle richieste del mercato.

Flessibilità che si acquista attraverso un cambio di atteggiamento che responsabilizza il lavoratore proprio in relazione al suo ruolo di protagonista della realtà e della sua vita lavorativa. Un cambio di mentalità che consiste nel lavorare imparando e nell’imparare lavorando, espressione di una cultura nuova: il lavoro è un’opportunità da vivere responsabilmente, come apprendimento continuo. Questo è il cosiddetto learning by doing.

L’orientamento ha il non facile compito di prendere per mano il giovane e di accompagnarlo nelle continue trasformazioni. È ciò che può raccordare scuola e lavoro, perché la prima è lontana dal secondo e dal suo repentino cambiamento che, per dirsi tale, deve essere del sistema, non solo del mercato.

(Giuseppe Sabella e Luigi Degan)

"ci sono lavoratori che non trovano lavoro, e datori di lavoro che non trovano lavoratori, nello stesso momento e nello stesso luogo."

imho la realta' e' questa, purtroppo pero' la "colpa" sta da entrambe le parti :roll:

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7:32 : Segni i punti coglionazzo !

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Un paio di questioni aggiuntive sull' università:

- Tanti giovani seguono esclusivamente il cuore e non la testa e si iscrivono a facoltà come filosofia, psicologia e lettere che sono materie di indubbio fascino ma con prospettive di lavoro agghiaccianti.

- Il grosso problema del "numero chiuso ad minchiam": sono anni ed anni che mancano medici e fisioterapisti ma le facoltà in questione si ostinano a non aumentare il numero chiuso e non riesco a capacitarmi di come si possa essere così idioti!

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- Il grosso problema del "numero chiuso ad minchiam": sono anni ed anni che mancano medici e fisioterapisti ma le facoltà in questione si ostinano a non aumentare il numero chiuso e non riesco a capacitarmi di come si possa essere così idioti!

ho svariati parenti medici relativamente giovani (fra i 30-40) e ti assicuro che di medici ce ne sono ancora troppi ed i giovani mediamente o sono precari

oppure fanno i lavori "peggiori" es. pronto soccorso (che non e' come in ER, ma nemmeno una passeggiata)

che poi il processo di selezione del numero chiuso (in generale) sia ad minkiam questo si.

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Un paio di questioni aggiuntive sull' università:

- Tanti giovani seguono esclusivamente il cuore e non la testa e si iscrivono a facoltà come filosofia, psicologia e lettere che sono materie di indubbio fascino ma con prospettive di lavoro agghiaccianti.

Scegliere una facoltà solo ed esclusivamente in base alla possibilità di lavoro future rischia solo di farti odiare (se non lasciare) quello che studi. E se esci, è uscito un nozionista puro, che non ama e non maneggia la materia. La scintilla della passione è indispensabile per affrontare la vita.

Il problema enorme lo ha centrato l'articolo, ed è ancora più grosso di quello evidenziato dall'arguto owluca.

Ovvero la RIGIDITA'. Il non volersi spostare di una virgola da quello che si ha studiato, fermi nella convinzione (spinta dai genitori e anche da un certa intellighenzia) che si debba solo lavorare nel proprio campo. Salvo poi scoprire che a volte il campo è grosso, a volte è piccolo, a volte non c'è nemmeno.

Come non mi stancherò di ripetere, il grosso lascito dell'università non è nelle NOZIONI, ma nel METODO.

Non trovi sbocchi nel tuo amato settore? Nessun problema, hai ormai nel DNA tutte le risorse per reinventarti. Costerà fatica, ma se sei uscito da una facoltà seria, significa che il lavoro non ti spaventa.

E invece no. Studiamo scienza delle merendine e dobbiamo PER FORZA lavorare in scienza delle merendine. E se non c'è posto si sta a casa con mammà a prendersela col governo, la cina, la globalizzazione....siamo fottutamente abili a trovare scuse per non metterci in gioco.

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Some critics have complained that the 4C lacks luxury. To me, complaining about lack of luxury in a sports car is akin to complaining that a supermodel lacks a mustache.

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Scegliere una facoltà solo ed esclusivamente in base alla possibilità di lavoro future rischia solo di farti odiare (se non lasciare) quello che studi. E se esci, è uscito un nozionista puro, che non ama e non maneggia la materia. La scintilla della passione è indispensabile per affrontare la vita.

Il problema enorme lo ha centrato l'articolo, ed è ancora più grosso di quello evidenziato dall'arguto owluca.

Ovvero la RIGIDITA'. Il non volersi spostare di una virgola da quello che si ha studiato, fermi nella convinzione (spinta dai genitori e anche da un certa intellighenzia) che si debba solo lavorare nel proprio campo. Salvo poi scoprire che a volte il campo è grosso, a volte è piccolo, a volte non c'è nemmeno.

Come non mi stancherò di ripetere, il grosso lascito dell'università non è nelle NOZIONI, ma nel METODO.

Non trovi sbocchi nel tuo amato settore? Nessun problema, hai ormai nel DNA tutte le risorse per reinventarti. Costerà fatica, ma se sei uscito da una facoltà seria, significa che il lavoro non ti spaventa.

E invece no. Studiamo scienza delle merendine e dobbiamo PER FORZA lavorare in scienza delle merendine. E se non c'è posto si sta a casa con mammà a prendersela col governo, la cina, la globalizzazione....siamo fottutamente abili a trovare scuse per non metterci in gioco.

Quoto, serve flessibilità e umiltà a volte.

Spesso invece ci si piange addosso o peggio ancora si chiede a papà di parcheggiarci in un lavoro a suon di raccomandazioni.

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Un paio di questioni aggiuntive sull' università:

- Tanti giovani seguono esclusivamente il cuore e non la testa e si iscrivono a facoltà come filosofia, psicologia e lettere che sono materie di indubbio fascino ma con prospettive di lavoro agghiaccianti.

- Il grosso problema del "numero chiuso ad minchiam": sono anni ed anni che mancano medici e fisioterapisti ma le facoltà in questione si ostinano a non aumentare il numero chiuso e non riesco a capacitarmi di come si possa essere così idioti!

_filosofia,psicologia,lettere materie scelte col cuore :roll: ? Per la mia esperienza sono scelte fatte da persone iscritte in larghissima parte al Liceo che arrivati al punto di decidere....non sanno decidere :roll: e proseguono sulle materie prettamente liceali (sopratutto filosofia e lettere) fatte a livello accademico.Spiace dirlo....ma quello che ho visto io è questo.Scegliere con la testa francamente oggi come oggi è dura, se uno dovesse scegliere guardando al portafoglio e al proprio tornaconto bisognerebbe aprire la Facoltà di Saldatura & Lattoneria :mrgreen:

_Le facoltà fanno benissimo a mettere 200 posti a fronte di test di ingresso con 4000/5000 che fanno il test di ingresso :roll: Finchè ci sarà questa "moda" del medico improvvisato è giusto mettere una selezione.Che poi purtroppo la selezione venga superata dai soliti raccomandati o da chi ha una botta di culo quello è ahimé vero ma non è nemmeno accettabile di lasciar iscrivere anche solo 600/700 persone presso una Facoltà di Medicina

E invece no. Studiamo scienza delle merendine e dobbiamo PER FORZA lavorare in scienza delle merendine. E se non c'è posto si sta a casa con mammà a prendersela col governo, la cina, la globalizzazione....siamo fottutamente abili a trovare scuse per non metterci in gioco.

Su altri forum a proposito delle "scienze" particolari ho letto robe agghiaccianti del tipo: "E' colpa del Governo che non crea posti di lavoro per quei laureati" :roll: penso si commenti da sola la percezione che molte persone hanno del mondo del lavoro

 

花は桜木人は武士

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A proposito di rigidità domanda - offerta...

Qualche tempo fa ho avuto qualche leggero problemino cardiaco, per cui ho dovuto fare una prova sotto sforzo (dove sì mi è quasi venuto un infarto :mrgreen:) e, mentre agonizzavo sulla cyclette, ho avuto il tempo di parlare con il dottore. Vabbè lui parlava e io ansimavo..

Mi diceva che ormai nell'ospedale molti chirurghi opererebbero pure il cane del loro vicino, soprattutto per due motivi: 1° fare sperimentazione, quindi pubblicazioni, quindi carriera 2° perchè ormai sono per lo più fermi, in quanto tendenzialmente si opera sempre di meno, in quanto si ricorre sempre più spesso a terapie meno invasive. Per cui abbondano i medici chirurghi sottoimpiegati, ma scarseggiano drammaticamente i paramedici. Infatti li si importano dall'est europa e dal sudamerica...

CI SEDEMMO DALLA PARTE DEL TORTO VISTO CHE TUTTI GLI ALTRI POSTI ERANO OCCUPATI

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Scegliere una facoltà solo ed esclusivamente in base alla possibilità di lavoro future rischia solo di farti odiare (se non lasciare) quello che studi. E se esci, è uscito un nozionista puro, che non ama e non maneggia la materia. La scintilla della passione è indispensabile per affrontare la vita.

Il problema enorme lo ha centrato l'articolo, ed è ancora più grosso di quello evidenziato dall'arguto owluca.

Ovvero la RIGIDITA'. Il non volersi spostare di una virgola da quello che si ha studiato, fermi nella convinzione (spinta dai genitori e anche da un certa intellighenzia) che si debba solo lavorare nel proprio campo. Salvo poi scoprire che a volte il campo è grosso, a volte è piccolo, a volte non c'è nemmeno.

Come non mi stancherò di ripetere, il grosso lascito dell'università non è nelle NOZIONI, ma nel METODO.

Non trovi sbocchi nel tuo amato settore? Nessun problema, hai ormai nel DNA tutte le risorse per reinventarti. Costerà fatica, ma se sei uscito da una facoltà seria, significa che il lavoro non ti spaventa.

E invece no. Studiamo scienza delle merendine e dobbiamo PER FORZA lavorare in scienza delle merendine. E se non c'è posto si sta a casa con mammà a prendersela col governo, la cina, la globalizzazione....siamo fottutamente abili a trovare scuse per non metterci in gioco.

si, pero',

non ci si puo' sempre illudere che l'erba del vicino sia piu' verde : cioe' va bene essere pronti a cambiare se non trovi,

ma spesso invece ho l'impressione che se equando si decide di cambiare nella pratica lo si faccia perche' si immagina che nell'altro mestiere

non ci sia concorrenza e la gente ti corra dietro con il portafoglio gonfio :roll: mentre la verita' e' che e' dura per ing, medici, etc :(

e quindi devi comunque essere pronto a farti il mazzo ;)

si pero',

(come tu stesso facevi notare, e i numeri portati confermano) le aziende sono altrettanto "sclerotizzate" nel processo di assunzione.

partono con dei requisiti esagerati per poi assumere "di urgenza" persone non qualificate (che fanno solo casini)

se sei giovane ti pagano poco perche' non hai esperienza

se appena hai esperienza cominci a costare troppo

quindi se ti dimostri flessibile ti fanno solo lavorare di piu' (2 mansioni invece che una, ma allo stesso prezzo)

quindi se cerchi altrove per guadagnare di piu' trovi quelli che pensano invece che siano "iniziati i saldi"

se appena sei "maturo" sei da prepensionare

ma andate a cagare :(r e mentre siete li ripassate le nozioni di base sulla legge del mercato fra domanda e offerta..che nemmeno le materie prime si scelgono cercando solo di "fare l'affarone al minor prezzo".:pz

p.s. io ho 5 parenti (di vario grado e acquisiti) medici:

dopo la laurea per legge hanno il precariato obbligatorio per legge 5 anni

(e' la specializzazione, pagata come borsa di studio che pero' quando hai 30 anni non e' un bel vivere, naturalmente vista la natura delicata delle loro attivita' mi pare necessaria la specializzazione, ma di fatto e' l'unica facolta' che prevede il dottorato come standard e per 5 anni)

questo se sei fortunato e bravo, molti aspettano 12/24 mesi per trovare posto in una specialita' (alla faccia che ci sono pochi medici) nel frattempo lavorando come gli specializzandi gratis nell'ospedale.

poi ho sei parente del primario o di un politico o il posto fisso grazie al concorso truccato te lo scordi ,

a meno di non accettare radiologia (.."radiazioni") oppure pronto soccorso (turni di notte)

oppure gli ospedali pubblici ti offrono contratti di prestazione d'opera con partita iva (di quelle agevolate volute dal governo di sinistra) magari anche piu' convenienti

da un punto di vista fiscale, ma meno (in realta' per nulla) tutelate dei co.co.pro.....

...poi se sei brava a quel punto lavori anche nel privato e infine vinci i concorsi perche' in graduatoria ormai sei alla pari di persone che hanno anche 10 anni piu' di te':shock:

l'unico vantaggio e' che a 70 anni non sei "bruciato" ma "emerito " e guadgni un casino :muto:

Modificato da owluca
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non ci si puo' sempre illudere che l'erba del vicino sia piu' verde : cioe' va bene essere pronti a cambiare se non trovi,

ma spesso invece ho l'impressione che se equando si decide di cambiare nella pratica lo si faccia perche' si immagina che nell'altro mestiere

non ci sia concorrenza e la gente ti corra dietro con il portafoglio gonfio :roll: mentre la verita' e' che e' dura per ing, medici, etc :(

e quindi devi comunque essere pronto a farti il mazzo ;)

Il mazzo ce lo si deve fare di default, non lo metto manco nel computo perchè è una fondamentale. Senza fatica, non si ottiene niente di meritevole

Detto questo, generalmente dal lavoro ideale si spera che sia:

- attinente al titolo di studi

- duraturo e ben pagato

- vicino a casa

E sempre generalmente....solo due condizioni sono ottenibile.

Solo che in molti le vogliono tutte e tre....non scendendo a patti per niente e non trovando niente...chissà perchè....

(come tu stesso facevi notare, e i numeri portati confermano) le aziende sono altrettanto "sclerotizzate" nel processo di assunzione.

Questo la prossima puntata, non mi fare lo spoiler :mrgreen:

Del mercato del lavoro in Italia c'è tanto da dire che vengono fuori almeno 4 stagioni di programma....

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