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Educazione e formazione


ilario

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Educazione e formazione. Da intendersi come scuola/università/altri percorsi ma anche come guida famigliare, se volete.

Propongo di parlarne qui, visto che ne abbiamo già discusso su alcuni altri o.t. diversi. Poi magari potremmo chiedere di spostare qualcosa di già scritto che ci interessa. Non so se si può fare agevolmente.

Inizio introducendo un articolo interessante di oggi da La Repubblica web:

L'innovazione sale in cattedra

così la creatività batte la crisi

Dalle elementari alle medie, l'istruzione pubblica prova a reinventarsi. Con progetti che puntano sull'innovazione: c'è chi si autoproduce i libri, chi offre coach ai professori e chi alfabetizza anche i genitori. Ecco gli istituti divenuti d'eccellenza grazie alle idee di MARIA NOVELLA DE LUCA

BRINDISI

- Il movimento è sotterraneo, carsico, indipendente, refrattario alla burocrazia e spesso anche alle luci troppo forti. È fatto di professori, maestri, ragazzi, presidi, genitori. Batte nel cuore profondo della scuola, quella che resiste, quella che prova a ritrovarsi, come se arrivati all'anno zero (zero fondi, zero prospettive, zero motivazione), da una rete diffusa di realtà piccole e grandi, primarie, secondarie, licei, istituti tecnici, stesse emergendo una reazione dinamica, vitale, magari imperfetta ma autentica.

Scuola-villaggio, scuola-agorà, scuola-comunità, 2.0, senza zaino, web-school, "book in progress": bisogna andare dalla Puglia alla Toscana, dalla Lombardia al Lazio, spesso in provincia, tra paesi e borghi che si consorziano in comunità di saperi, per capire e scoprire germogli e fermenti del nuovo.

Come in questo Liceo Scientifico Tecnologico alla periferia Brindisi, brutta edilizia in una regione al terzo posto in Italia per dispersione scolastica, 23,4% i giovani che ogni anno disertano gli studi, un tasso di abbandoni altissimo in un'area flagellata dalla crisi, e dove il Petrolchimico fino a pochi anni fa dava lavoro a 12mila famiglie oggi invece ridotte a 700. Eppure qui, all'Itis "Ettore Majorana" è nato tre anni fa il progetto "Book in progress" una scommessa vinta ed esportata in tutto il Paese e già adottata in 70 scuole.

Perché c'è chi si autoproduce i libri di testo (book in progress) e chi rivoluziona la didattica dei bambini, ritrovando Maria Montessori e magari Rudolf Steiner. Chi punta sulla tecnologia, chi sullo studio senza libri, chi si propone come diga al disagio delle famiglie, chi alfabetizza, insieme agli studenti, anche i loro genitori. Ci sono scuole che offrono ai prof dei coach che li ri-motivano al piacere dell'insegnare, e docenti che, gratuitamente, si mettono a scrivere libri di testo.

"Parliamo mentre stampo un libro", chiede il preside del Liceo Scientifico Tecnologico Ettore Majorana, Salvatore Giuliano, 45 anni, da tre alla guida di questo istituto che oggi fa parte della rete delle 15 scuole italiane certificate 2.0, ossia con alta dotazione tecnologica. Risultati ai test Invalsi di 10 punti superiori alla media, e una visita del ministro dell'Istruzione Profumo nel dicembre del 2011.

"Ricordo che era il 2007, eravamo alle prese con la scelta dei libri di testo, ogni anno più cari e spesso fatti male, poco comprensibili... L'idea fu immediata, semplice: perché non proviamo a scrivere e stampare da soli i nostri manuali, con la competenza di tanti anni di insegnamento, in modo da far risparmiare drasticamente le famiglie e aiutare i ragazzi? ".

Il progetto passa, i libri vengono elaborati dai docenti, stampati e venduti a pochi euro, il semplice recupero delle spese di tipografia. Genitori entusiasti, ragazzi anche. Ma a quel punto il (vulcanico) preside Salvatore Giuliano rilancia: "Ho convocato le famiglie, e ho chiesto loro di comprare un Pc ai propri figli con i soldi risparmiati dai libri di testo... Del resto per i manuali avevano speso soltanto 35 euro contro i 350 che ci vogliono di solito all'inizio di un ciclo secondario. L'adesione è stata totale, ed è iniziata la rivoluzione tecnologica della scuola".

Dal risparmio all'investimento, economia di base. Arrivano le Lim, le lavagne interattive, si crea la rete, si possono seguire da casa le lezioni, le aule diventano connesse tra di loro, lo spazio da fisico si trasforma in virtuale. Il progetto "Book in progress" valica i confini del Majorana e comincia ad interessare sempre più scuole, che via via adottano il sistema. "È tutto lavoro gratuito. Scrivere, stampare, impaginare, spesso di domenica, d'estate, ad agosto - raccontano Maria Rosaria Serio e Gioacchino Margarito, docenti di Chimica - ma mettere a disposizione degli studenti il proprio sapere affinato in tanti anni, invece di far comprare loro un qualunque libro di testo, magari approssimativo e superficiale, è davvero una bella soddisfazione. È stato come ritrovare passione nel lavoro".

E se "Book in progress" sta diventando una realtà così capillare che costringerà gli editori di libri scolastici a rivedere, probabilmente, prezzi e qualità dei testi, è risalendo verso il Lazio e la Toscana che si incontra l'esperienza di "Senza zaino", definizione riduttiva per una nuova didattica che sta cambiando il volto della scuola primaria, già sperimentata dal 2002 in 35 realtà. Perché al di là delle classifiche, che vedono Biella al top delle scuole migliori d'Italia (all'avanguardia per alcuni istituti tecnici specializzati nel tessile, ponte verso le aziende), e il Sud (Reggio Calabria) agli ultimi posti, innovazioni e cambiamento si trovano a macchia di leopardo, nascosti magari in territori meno noti, più depressi, in affanno.

Da tre anni all'istituto comprensivo "eSpazia", a Monterotondo, venticinque chilometri da Roma, paese meta di migrazioni della middle class dalla Capitale ma anche di molta immigrazione, si sperimenta una didattica particolare basata sul concetto di comunità. Un polo d'istruzione dove le parole d'ordine sono accoglienza e integrazione, i percorsi sono differenziati per ogni allievo e le lezioni frontali, cioè una per tutti, un ricordo del passato. E i prof sembrano entusiasti del loro lavoro.

"Le nostre classi vanno dalle sezioni Primavera alla terza media, dai 2 ai 14 anni, con una idea di approccio globale all'insegnamento, e di cooperative learning, chi è più veloce aiuta gli altri, pur nel rispetto e nell'incentivo delle eccellenze", spiega Caterina Manco, dirigente scolastica dell'"eSpazia" dal 1993, anima e motore di questa scuola dove sempre più docenti chiedono di poter lavorare. L'architettura dei corridoi è scarna ma ingentilita da disegni e murales, l'odore della mensa è buono, e basta entrare nelle classi che adottano il metodo "Senza zaino" per trovarsi in aule luminose, senza cattedre, ricche di materiali di ogni tipo, perché nulla si porta a casa ma tutto resta a scuola, in comune.

C'è l'angolo dell'agorà (di discussione), l'angolo dell'autocorrezione dei compiti... E poi laboratori, classi aperte, lezioni "lunghe" per i ragazzi delle medie, 90 minuti invece dei soliti 60 per non frammentare il tempo dell'apprendimento, che però avviene in modo creativo, attraverso, anche, teatro, fotografia, grafica, musica, e naturalmente classi 2.0, classi Mac. "Per arrivare al contenuto ogni ragazzo sceglie il medium cioè lo strumento che preferisce, ma attraverso questa flessibilità impara ad imparare".

Ma la caratteristica di questo istituto comprensivo, in prima linea nell'accoglienza agli immigrati, ai bambini e ragazzi con handicap, nel riconoscimento dei disturbi dell'apprendimento, è il "tutoraggio" dei professori. Aggiunge con orgoglio Caterina Manco: "Chi arriva in questa scuola viene preso in carico da docenti già esperti nel metodo, e seguito giorno dopo giorno. Questo si traduce spesso in una sorta di ri-motivazione verso l'insegnamento, anche se qui si fanno più ore, viene richiesto più impegno, si passano a scuola intere giornate. E infatti c'è chi dopo qualche settimana chiede il trasferimento, e chi invece fa di tutto per lavorare con noi".

Ricorda Marco Barozzi, educatore e fotografo: "Appena arrivato qui mi hanno chiesto di occuparmi di tre ragazzi difficili, anzi difficilissimi... Del mio laboratorio di fotografia non gli importava davvero nulla, erano arrabbiati con il mondo e con la vita, violenti, ma attraverso quel laboratorio si è creato un contatto, una confidenza, che a poco a poco ha vinto le loro diffidenze e sgretolato quel muro. Oggi siamo amici e loro sono ragazzi sereni".

L'innovazione sale in cattedra così la creatività batte la crisi - Repubblica.it

e aggiungo quest'altro articolo, sempre da repubblica.it, sulla Correttezza Politica del linguaggio scolastico e sui libri di testo, secondo il Dipartimento per l'Istruzione USA, notevole:

[h=2]STATI UNITI[/h][h=1]Le cinquanta parole vietate ai minori

nelle scuole Usa del politically correct[/h][h=3]Decine di vocaboli proibiti nei test scolastici dal dipartimento dell'Istruzione dello Stato di New York per non 'offendere' determinati settori della società. Così non si possono citare i dinosauri per non far infuriare i creazionisti, né la musica rap perché volgaredal nostro inviato ANGELO AQUARO[/h]

NEW YORK

- Vietata la parola "dinosauro", che pure ai bambini piaceva tanto dai tempi dei cartoon degli Antenati. Il vecchio "Dino" rimanda all'idea di evoluzione, parlare di evoluzione fa infuriare i creazionisti e quindi non si può, tantopiù adesso che uno di loro, Rick Santorum, punta alla Casa Bianca. Vietata anche la parola "dancing": troppo sexy e licenziosa, meglio non fare balenare per la testa certe idee. E vietata perfino quella parola terribile, "compleanno": i Testimoni di Geova non lo festeggiano, vorrete mica urtare la sensibilità di qualche piccolo devoto.

Benvenuti nella classe più politicamente corretta del mondo: dove la preoccupazione di non offendere nessuno sfiora, anzi decisamente sfora, i confini del ridicolo. Anche perché qui siamo a New York e le direttive sui nuovi test rischiano di gettare ulteriore discredito su una struttura scolastica già sconvolta dall'impreparazione degli insegnanti e dalle polemiche sul licenziamento.

La lista delle parole bandite è l'ultima follia. Anche perché - si chiedono gli esperti - se togliamo di mezzo le parole più controverse come faremo a testare la capacità d'apprendimento dei nostri ragazzi? Non si può usare la parola "povertà" perché rischia di mettere in imbarazzo l'alunno che si ritrova il papà disoccupato: condizione purtroppo comune all'8,3 per cento degli americani.

Non si può usare la parola "divorzio" perché i piccini potrebbero rivivere uno shock famigliare. Non si può usare tantomeno la parola "schiavitù" perché rischia di urtare la sensibilità dei piccoli afro-americani. E non c'è posto neppure per il povero ET: la parola "extraterrestre" turberebbe la fantasia dei più sensibili. Cose, appunto, dell'altro mondo.

Eppure le direttive sono nero su bianco nella lettera che il dipartimento per l'Istruzione ha spedito agli editori dei test svolti diverse volte all'anno per valutare i progressi (e i regressi) dei giovanissimi studenti delle elementari: in inglese, matematica, scienze e studi sociali. Il motivo? Quelli del dipartimento per la verità frenano: "Questo è il tipo di linguaggio standard che viene usato dagli editori da diversi anni per permettere ai nostri ragazzi di completare il test senza distrazioni". Distrazioni? Secondo il New York Post, che ha sollevato il caso, con ben cinquanta parole bandite la lista della Grande Mela è però lunga più del doppio di quelle usate negli altri stati.

Per carità: che il politicamente corretto sia diventato un'ossessione di questa civiltà basata su un'incredibile miscuglio di etnie e culture non è certo cosa nuova. Proprio qui - e proprio negli anni Settanta delle lotte per i diritti civili - è nata l'espressione "politically correct". Che negli anni Novanta sempre qui ha poi dato origine a quell'opposto estremismo che va sotto il nome di "politicamente scorretto". Da allora la guerra culturale tra destra e sinistra ha invaso il mondo.

E anche da noi, si sa, gli spazzini sono diventati operatori ecologici e i ciechi, che pure inalberano una benemerita Unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti, dopo diventati appunto non vedenti. Ma perché adesso devono essere i bambini a pagare per l'imbarazzo linguistico dei grandi?

Nei test non si può citare la musica rap perché volgare. Non si possono citare neppure le parole "videogame" e "televisione": non fanno rima con educazione. Ma togliendo ai ragazzi la possibilità di discutere di ciò che conoscono meglio non è controproducente? Sostiene Deanna Kuhn del Collegio degli Insegnanti della Columbia University: "Se lo scopo dei test è stabilire le capacità di organizzazione del pensiero, allora proprio i termini più controversi, cioè quelli presenti nel dibattito pubblico, sono esattamente quelli su cui gli studenti dovrebbero misurarsi".

Ma

that's America

: con tutte le sue contraddizioni. "Perché questo è solo l'ultimo esempio di una causa di sinistra che finisce per avere implicazioni di destra" dice a Repubblica Thaddeus Russell, autore di quella

A Renegade History of the United States

che ha reincendiato il dibattito sul politicamente corretto. "Se ai ragazzi si impedisce di discutere di temi così importanti come povertà, evoluzione, religione e divorzio, allora non saranno mai capaci di pensare in maniera differente dello status quo". Restando, insomma, tanti piccoli dinosauri: se solo potessero confrontarsi con quella parola vietata ai minori.

http://www.repubblica.it/scuola/2012/03/27/news/le_cinquanta_parole_vietate_ai_minori_nelle_scuole_usa_del_politically_correct-32260266/

:shock:

Modificato da ilario
aggiunto articolo su Political Correctness scuole NY
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