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Il futuro dei siti produttivi Stellantis


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provo a risponderti con un altro pezzo di cui non riesco a valutare la esattezza, ma che mi ha colpito: della serie c'e' anche chi la pensa cosi'

L'articolo è un po' troppo trionfalistico (anche immotivatamente) ma centra il punto: se la FIAT esce dalla Confindustria e la FIOM viene buttata fuori dalle rappresentanze sindacali degli stabilimenti della FIAT allora entrambe si ritrovano ad avere un peso politico molto minore.

Soprattutto la FIOM poichè se altre aziende, contando sull'appoggio di CISL, UIL ed UGL, seguiranno l'esempio di Marchionne allora la FIOM e più in generale tutta la CGIL non varranno più niente. Da qui la richiesta di queste riflessioni e decisioni: forse tentano di evitare che la Confindustria segua l'esempio della FIAT.

Ad ogni modo gli altri sindacati hanno dimostrato che non vogliono più aver a che fare con la CGIL. Tant'è che, in occasione del referendum di Mirafiori, il segretario della CISL (se non erro era lui) ha affermato: «Qui si tratta di adeguare il mondo del lavoro italiano a quello estero. Ma non a quello cinese, a quello tedesco e francese.»

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Significa operai ed intermedi la cui malattia è indennizzata dall'INPS. Per gli impiegati il trattamento è interamente a carico datoriale. L'articolo infatti si conclude con "analoghe iniziative verranno adottate nel caso in cui si verifichino simili criticità nell'area impiegatizia".

Quindi in caso di malattia un operaio ha una parte del trattamento a carico dell'INPS mentre nel caso degli impiegati è tutto a carico dell'azienda se ho capito bene...

E allora perchè ci si lamenta di quella norma? Gli impiegati sono sempre imbucati paraculati, no? :§:P:botte:

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Some critics have complained that the 4C lacks luxury. To me, complaining about lack of luxury in a sports car is akin to complaining that a supermodel lacks a mustache.

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Aggiungo il commento di un economista preso dal sito di informazione economica "la Voce.info"

Mi sembra illustri piuttosto chiaramente i motivi di fondo dei nuovi accordi

Relazioni Industriali

LE COSE NON DETTE SUL CASO FIAT

di Fabiano Schivardi 11.01.2011 L'obiettivo principale degli accordi di Pomigliano e Mirafiori è la governabilità degli impianti. La Fiat vuole garanzie prima di effettuare gli investimenti, nella convinzione che il sistema di relazioni industriali italiano non sia adeguato alla gestione di grandi impianti. Ma la sfida competitiva per il nostro paese si gioca in buona parte proprio sulla capacità di aumentare il numero di organizzazioni complesse e di grandi dimensioni. Sarebbe ora di mettere mano a una riforma organica del diritto del lavoro che affronti insieme la flessibilità interna ed esterna.

La stile ruvido, diretto e spigoloso di Sergio Marchionne ha spinto all'estremo i tic tipici del dibattito pubblico italiano. Il governo non fa niente, ma, invece di negarlo come accade sempre, rivendica con orgoglio l'inerzia. Il Pd si divide, ma stavolta lo fa anche l'Idv. I sindacati litigano, ma oltre che fra confederazioni anche all'interno delle stesse. Anche la Confindustria ne esce con l'immagine ammaccata e appare oggi un po' più demodé.

LA QUESTIONE DELLA GOVERNABILITÀ DEGLI IMPIANTI

Cosa c'è di così dirompente negli accordi di Pomigliano e Mirafiori? Francamente, la lettura degli accordi non suggerisce niente di epocale, come spiega Marco Esposito su noiseFromAmerika. Un operaio Fiat appare comunque più garantito e meglio pagato della stragrande maggioranza dei colleghi che lavorano in imprese medio-piccole. In particolare, l'innovazione contrattuale è modesta a Mirafiori, probabilmente perché quell'impianto ha bisogno di interventi organizzativi meno radicali di quello di Pomigliano. Gli aspetti che hanno maggiormente alimentato la polemica hanno per lo più un forte carattere simbolico.

L'obiettivo principale di questi accordi è quella enunciata da Marchionne alla trasmissione di Fabio Fazio: la governabilità degli impianti. L'espressione può suonare fastidiosa, ma è un obiettivo imprenditoriale del tutto legittimo, per non dire obbligatorio. L'amministratore delegato di Fiat vuole garantirsi la capacità modificare il grado di utilizzo degli impianti secondo le necessità della domanda. Gli accordi prevedono un ampio spettro di possibilità di turnazione e fino a 120 ore di straordinario a discrezione dell'impresa. In questo modo, cambi nel grado di utilizzo non richiederanno estenuanti trattative sindacali.

L'altro aspetto importante è il divieto di scioperi che rendano inesigibili le clausole contrattuali. In pratica, se l'azienda richiede una giornata di lavoro straordinario un sabato, i sindacati non possono proclamare uno sciopero proprio in quel sabato. La norma è il logico complemento della flessibilità di utilizzo: se i sindacati potessero proclamare scioperi in turni o giornate di lavoro non gradite, nei fatti si tornerebbe a un sistema in cui la flessibilità si ottiene solo con l'approvazione caso per caso dei sindacati stessi. Il punto cruciale è che la Fiat vuole garanzie contrattuali prima di effettuare gli investimenti. Come già argomentato su questo sito, una volta fatto l'investimento la forza contrattuale dell'azienda diminuisce e quella dei sindacati aumenta. Il problema è che il contratto nazionale non fornisce queste garanzie a meno che tutti i sindacati non siano d'accordo: un'organizzazione non firmataria può comunque proclamare scioperi a cui qualunque lavoratore può aderire. Ecco il perché dell'utilizzo dello stratagemma giuridico di uscire da Confindustria, e quindi dal contratto nazionale, e di garantire la rappresentanza solo ai sindacati firmatari, che sono automaticamente vincolati alle clausole del contratto. L'esclusione della Fiom dalle fabbriche è chiaramente una brutta pagina nella storia delle relazioni industriali. D'altra parte, un sistema di rappresentanza che garantisce a chiunque il diritto di veto mette a rischio la governabilità. Da qui l'esigenza di riformarlo, chiesta a gran voce da più parti, in modo da garantire esigenze di rappresentanza da una parte e di governabilità dall'altra.

PICCOLA ITALIA

L'Italia soffre di bassa crescita della produttività. È opinione diffusa che parte del problema sia riconducibile alla scarsa presenza di grandi imprese nel nostro paese. La dimensione media delle aziende italiane è meno della metà di quelle tedesche, che in effetti stanno intercettando la ripresa e la domanda estera molto meglio delle nostre. Da tempo ci si interroga sulle ragioni del nanismo delle imprese italiane, senza che si sia arrivati a risposte conclusive. Marchionne offre una possibile spiegazione: il sistema di relazioni industriali non è adeguato alla gestione di grandi impianti. L'idea si estende quindi al di là del caso Fiat e riguarda tutto il sistema industriale. Nelle piccole e medie imprese a controllo famigliare si sopperisce all'inefficacia del contesto giuridico col rapporto diretto fra "padrone" e dipendenti. Ma questo meccanismo non funziona in grandi imprese, per le quali le norme contrattuali sono l'unico strumento per gestire i rapporti di lavoro e che quindi soffrono di uno svantaggio competitivo se le norme sono inefficienti. Anche se è presto per dire se questa ipotesi sia corretta, e quanto conti nello spiegare le difficoltà delle grandi imprese in Italia, vale la pena prenderla seriamente in considerazione. La sfida competitiva per il nostro paese si gioca in buona parte sulla sua capacità di mantenere e possibilmente aumentare il numero di organizzazioni complesse e di grandi dimensioni. Non si vive solo di piccole e medie imprese a controllo familiare.Negli ultimi dieci anni il dibattito sia di policy sia accademico si è concentrato sulla flessibilità "esterna", cioè sulla possibilità o meno di licenziare. Battaglie feroci sono state fatte pro e contro l'articolo 18. Il risultato è stato un mercato del lavoro duale in cui la flessibilità esterna viene scaricata interamente sui giovani, attraverso l'utilizzo massiccio dei contratti a termine. Del tutto trascurato è stato invece il tema della flessibilità "interna", che riguarda l'utilizzo della forza lavoro da parte dell'impresa. Le vicende di Pomigliano e Mirafiori, nelle quali il tema dei licenziamenti è stato completamente assente e tutto il dibattito si è concentrato sulla flessibilità interna, ha colto molti impreparati. Sarebbe ora di mettere mano a una riforma organica del diritto del lavoro che affronti congiuntamente la flessibilità interna ed esterna. Si potrebbero creare spazi di "scambi" fra le due tipologie per trovare accordi che aumentino l'efficienza complessiva del sistema, magari aumentando il grado di tutela complessivo dei lavoratori. Personalmente, ritengo il problema del precariato e dei bassi salari (dovuti a bassa produttività) molto più seri della diminuzione delle pause da quaranta a trenta minuti o di clausole che vietano scioperi che rendano gli accordi negoziali inesigibili. Il senatore Pietro Ichino da tempo porta avanti questo progetto. Sarebbe una riforma importante per rilanciare la competitività del paese. Purtroppo, sia la debolezza del governo che le posizioni del ministro Sacconi rendono facile prevedere che questa riforma non si farà.

è inutile prendere la vita sul serio, tanto non se ne esce vivi

(Mark Twain)

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vado di fretta, quindi senza aggiungere nulla vorrei quotare questo

Il difetto dei vostri sindacati italiani? Quello che pensano di essere ancora negli anni 70.

Svegliateli, vi prego. Spiegategli che in 30 anni il mondo è cambiato e non è colpa del brutto/capitalista/blablabla Marchionne o del brutto/fascista Berlusconi.

Un bagnetto d'umiltà alla FIOM & CGIL non farebbe male.

gli anni 70 sono cominciati 40 anni fa, dopo il 68 ci sono state le crisi petrolifera, il terrorismo, le stragi, gli yuppies, e' caduto il muro di berlino, e poi tangentopoli, la crescita vertiginosa di cina e india...ma e' possibile che sopratutto in italia ci siano i sindacati un buona fetta di cittadini che non si sono accorti di nulla?

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come ho gia' scritto addietro OGGI purtroppo quel 46% assomma a sole 2170 persone, contro le decine di migliaia che DOVREBBERO esserci in una grande azienda!

cioe' dipende cosa intendi per ridimensionamento: storicamente e politicamente si e' ormai auto condannata alla estinzione:

invece di affrontare (pur se dal loro punto di vista) i cambiamenti degli ultimi 30/40 anni li hanno rifiutati ma con essi i posti di lavoro.

Cita

7:32 : Segni i punti coglionazzo !

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Marchionne wins deal clearing Italian-made Jeeps for U.S.

Fiat S.p.A. CEO Sergio Marchionne won narrow backing from workers for a labor deal that clears the way for Jeep models for the U.S. market to be built alongside Alfa Romeos in Italy.

Workers at Fiat's Mirafiori factory in Turin voted 54 percent in favor of the groundbreaking contract that limits strikes and absenteeism in exchange for investment.

Marchionne, who also steers Chrysler Group, which includes the Jeep brand, and transformed Fiat from an ailing conglomerate, had threatened to move production abroad if workers rejected the changes.

Fiat's top executives said they were pleased with the outcome of the vote and hoped the deal would begin a new era in labor relations free of acrimony.

"Now we need to put controversies and contrasting positions behind us and face the challenges that we have before us in a constructive manner," Fiat Chairman John Elkann said in a statement Saturday.

Crucial for Alfa's U.S. launch

Fiat and Chrysler plan to invest more than 1 billion euros ($1.32 billion) in the Mirafiori factory to build Alfa Romeo cars and SUVs and Jeep models for European and North American sales as part of a new joint-venture company that will take control of the plant.

The factory will build the mid-sized Giulia sedan and station wagon, which will replace Alfa's 159 range, as well as medium SUVs for the Alfa and Jeep brands.

Output is scheduled to start in the third or fourth quarter of 2012. Half of the production will be sold in Europe and the other half will be exported, mainly to North America. The Alfa models are a crucial part of the brand's relaunch in North America. Fiat holds a 25 percent stake in Chrysler.

Chrysler costs

Fiat will cover about 60 percent of the cost, about 600 million euros, because it wants about 150,000 Alfa models a year. Chrysler will pay roughly 400 million euros to get an annual supply of about 100,000 units of the next-generation Jeep Compass/Patriot that is due to launch in 2013.

After the vote, Bruno Vitali, head of the FIM union said: "Now the industrial plan for Mirafiori will go ahead. Marchionne has to quickly deploy the investment, as he promised."

More than 96 percent of workers took part in the referendum on Thursday and Friday.

The contract has already been agreed at Pomigliano, another of Fiat's Italian car factories. The contract is part of a Fiat-led unprecedented overhaul of Italian labor relations, which have been based on national deals rather than on a plant-by-plant basis.

The deal is part of a 20 billion euro "Fabbrica Italia" plan to double Fiat's domestic auto production by 2014. It targets widespread absenteeism by curbing pay for those who take repeated sick leave around holidays and by ending wildcat strikes.

It cuts the number of breaks per eight-hour shift to three from four and raises the number of shifts to 18 a week from 15. Fiat can also call on each worker for 120 hours of overtime per year without union approval.

Tough talk

Marchionne's threat to shift production abroad made Mirafiori the most important issue in the country in the past two weeks, with daily front-page coverage by major newspapers, and commentary from political leaders including Prime Minister Silvio Berlusconi.

The vote is “symbolic” and “represents a turning point for the country as Marchionne is trying to break an industrial scheme which needs to be reformed,” Gianluca Spina, dean of the business school at Milan's Polytechnic, said before the referendum result was announced.

Mirafiori, opened in 1939, currently employs about 5,400 workers. The factory produces the Fiat Idea, Multipla, and Punto Classic, the Lancia Musa and the Alfa MiTo. Next month Fiat will end production of the 1998-launched Multipla medium minivan and Punto Classic subcompact, which debuted in 1999.

Production of the Idea and Musa small minivans will continue until 2012, which is when production of their replacements is set to start in Serbia.

Mirafiori workers built 178,000 cars in 2009, compared with the 600,000 assembled by 6,100 workers at Fiat's factory in Tychy, Poland. That means, without taking into account the differences in models and the working hours, productivity at Mirafiori averaged 30 cars per employee a year, compared with almost 100 at Tychy.

Fiat's European carmaking operations could generate a profit of 390 million euros in 2011 if Fiat were to shift all production to Serbia and Poland, according to Kristina Church, a London-based analyst at Barclays Capital, who predicts a loss for that business of 855 million euros for this year after a 684 million-euro loss in 2010.

Fiat's European sales fell 17 percent last year and its market share dropped to 7.6 percent from 8.7 percent in 2009.

Reuters and Bloomberg News contributed to this story

http://www.autonews.com/apps/pbcs.dll/article?AID=/20110115/COPY01/301159992/1193

Sottolineo la parte riguardante i primi modelli che usciranno da Mirafiori. Si parla del terzo o quarto trimestre del 2012, e sarà sicuramente Giulia.

"But before the most charismatic car maker of them all finally went, they left us with a final reminder of what they can do, when they try" (Jeremy Clarkson, Top Gear)

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A Mirafiori verranno prodotte 250-280mila auto l'anno. Ecco i modelli previsti - Il Sole 24 ORE

Mirafiori: un futuro tra (compatte sportive) berline, station wagon e Suv. Il piano industriale presentato lo scorso 21 aprile prevede innanzitutto che nella storica fabbrica torinese verrà prodotta a partire dal 2013 la versione a cinque porte della MiTo. Una vettura che dovrebbe dare una spinta alle vendite della due volumi del biscione nata nel 2008 e che a quella data avrà l'età giusta per rifarsi il trucco ed essere offerta anche con comode porte dietro. Sempre attenendosi al piano ufficiale a Mirafiori è prevista la produzione del restyling della Giulietta e si tratta di una rivisitazione importante perché da questa nascerà anche la variante deputata allo sbarco negli Usa di Alfa Romeo previsto per il 2012. Il tutto ovviamente se il brand non verrà ceduto (a Volkswagen, per esempio) ma su questo punto, nei giorni scorsi al Salone di Detroit sia Marchionne sia Elkann sono stati categorici: Alfa non si tocca.

Mirafiori sarà anche la culla di un Suv appartenente al segmento D. E i veicoli sport utility sono fondamentali per il gruppo al fine di competere in Europa e nel mercato globale, rappresentano un settore poco presidiato da Fiat, se si esclude la Sedici che, eredità del fallito matrimonio con Gm e gemello del Suzuki Sx4, finirà la sua carriera nel 2012. Fiat ha dunque l'esigenza di proporre un Suv compatto per contrastare i best seller europei (uno fra tutti il Nissan Qashqai) e ora, oltretutto, nell'orbita del Lingotto vi è un brand iconico e leggendario del mondo dei Suv e fuoristrada: Jeep, un marchio che sta festeggiando in questi giorni il 70.esimo compleanno.

Proprio per sferrare l'offensiva nel terreno dei Suv ecco che in aggiunta ai modelli previsti dal piano di aprile, Fiat ha dichiarato che a Mirafiori saranno costruite anche due sport utiliy/crossover di taglia media basati sulla piattaforma Compact, ovvero sulla struttura che dà vita alla Giulietta. Si tratta di un pianale modulare che può essere allungato e allargato per adattarsi a vari modelli. E anche espanso nel passo e nella carreggiata nonché è predisposto per le quattro ruote motrici. I due modelli avranno sia il marchio Jeep sia quello Alfa Romeo e in quest'ultimo caso segnerà il debutto del biscione dal cuore sportive in uno dei settori più dinamici e combattuti dell'industria dell'automobile.

Mirafiori, inoltre, potrà ospitare (nulla è definito) anche le linee per la Giulia la medio-grande che sostituirà la 159, anche famigliare. La vettura però, stando alle affermazioni fatte da Marchionne in una tavola rotonda con la stampa italiana a margine del Salone di Detroit, è stata definita dal numero uno del gruppo come «auto più idonea» per gli Usa e avrà una base americana. Si tratterà con tutta probabilità di un'evoluzione della citata piattaforma Compact e battezzata D-Evo, ovvero una variante adeguatamente ridimensionata e già predisposta per rispettare le normative americane. Ma nella banca degli organi del gruppo c'è un'altra piattaforma che potrebbe far sognare gli alfisti: la Lx - a trazione posteriore - che sostiene la 300 e la futura Thema. Non si tratterebbe, però, di un'operazione di re-badging: la vettura dovrebbe avere una carrozzeria a 4 porte con forme da coupé, mentre la lunghezza dovrebbe superare i 5 metri. Tra i motori dovrebbe esserci un inedito motore 3.0 V8 TB MultiAir biturbo da oltre 400 cavalli di potenza, destinato soprattutto al mercato USA. Per Alfa Romeo è prevista sempre a Mirafiori una Suv che dovrebbe condividere la piattaforma delle nuove Jeep Grand Cherokee e Dodge Durango.

La scelta di utilizzare il grande fuoristrada americano per produrre la Suv del marchio del Biscione si inserisce nella già annunciata volontà del gruppo di garantire ad ogni nuovo veicolo la stessa alta qualità e tecnologia avanzata della nuova Jeep Grand Cherokee, che verrà rivista a fondo sfruttando le evoluzioni dei sistemi elettronici e puntando sulla maggiore sportività di questo modello. La 4×4 del Biscione monterà propulsori a quattro cilindri e V6 sia benzina che turbodiesel. Sempre a Mirafiori, infine, potrebbe essere prodotta la nuova Sport Utility Maserati, per la quale si ipotizzano due propulsori prestigiosi: il 3.6 V6 già montato dalla Jeep (però sovralimentato) e il 4.7 V8 già adottato da Maserati Quattroporte, GranTurismo e GranCabrio.

APHRODITE, DIVA DI BELLEZZA, AMORE E VOGLIA PARLA PERFETTAMENTE ITALIANA!!!

(Parliamo di macchine italiane, eh!)

Life is too short to drive german cars!!

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