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Il futuro dei siti produttivi Stellantis


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...nonostante la mia (fortunatamente) limitatissima esperienza negli incontri fra azienda e sindacato succede spessissimo:

un mese fa' da noi si sono incontrati presso l'associazione industriale solo perche' una delle parti

(in effetti proprio uella che in effetti aveva "causato" l'incontro ) dicesse all'altra che non erano ancora pronti.:shock:

salvo poi, successivamente, ottemperare alle presumibili richieste dell'altra parte, senza che fossero mai avanzate formalmente,

probabilmente in modo da presentarle come "concessione", invece che come successo della controparte....:pz

seriamente e senza nessun giudizio di merito chiunque ci abbia avuto a che fare potra' confermarvi che

le dinamiche sindacato azienda sono molto complesse e "rituali" ......a partire dal riconoscimento reciproco tutt'altro che scontato..:roll:

p.s. non sarebbe meglio esprimere pareri sule auto:pen:

Modificato da owluca
Cita

7:32 : Segni i punti coglionazzo !

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i modelli non sono proprio quelli ma ci siamo vicino

giulietta crossover già nel 2011 quindi?

Giulia non penso proprio.... al 90% la fanno in USA e sarà un miracolo vederla a fine 2012

Bravo SW.... a plan non c'era e non se ne parla da tempo ormai :pen:

Alfa Romeo Giulietta, 1.4 TBI Multiair 170 CV Exclusive (2013)

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Secondo VOCI avute poco fa da un operaio di Cassino dal prossimo anno si aggiungerebbero in questo stabilimento una variante della BRAVO (SW? Cancellata o no?), più GIULIA su base Giulietta e un SUV non specificato...

si giorgio l'abbiamo capito,,,hai scritto la stessa cosa in piu' topic....

[sIGPIC][/sIGPIC]

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Posto un editoriale di Pietro Ichino (un passato da sindacalista) sul Corriere della Sera di oggi:

LA RICHIESTA DI MARCHIONNE - UN CONTRATTO COLLETTIVO AZIENDALE CHE SOSTITUISCA QUELLO NAZIONALE - NON PUO’ ESSERE LIQUIDATA COME UNA ECCENTRICITA’, NE’ TANTO MENO COME UN ATTO DI ARROGANZA: ESSA APRE UNA QUESTIONE DI IMPORTANZA DECISIVA PER L’ALLINEAMENTO DEL NOSTRO SISTEMA ECONOMICO AL MODELLO PREVALENTE NEI PAESI INDUSTRIALIZZATI E PER LA SUA APERTURA AGLI INVESTIMENTI STRANIERI

Editoriale pubblicato sul Corriere della Sera il 6 dicembre 2010

Caro Direttore, a Torino Marchionne pone apertamente sul tavolo la richiesta che anche nello stabilimento di Mirafiori, come in quello di Pomigliano, il lavoro sia regolato soltanto da un contratto aziendale e non dal contratto collettivo nazionale. Non solo i sindacalisti, ma anche i funzionari di Confindustria, quando non gli danno dell’arrogante, gli danno almeno dell’eccentrico: perché mai non dovrebbe valere anche per la Fiat lo stesso contratto nazionale che vale per tutte le altre aziende metalmeccaniche che operano in Italia?

Marchionne potrebbe risponderci che, sì, in Italia per questo aspetto è lui l’eccentrico, ma nel mondo gli eccentrici siamo noi. E almeno in questo avrebbe ragione. In tutti gli altri numerosi Paesi in cui la Fiat opera, dagli U.S.A. al Brasile, dalla Polonia alla Serbia, è consentito assoggettare le condizioni di lavoro in azienda al solo contratto aziendale e quindi adattarle punto per punto alle esigenze specifiche del singolo piano industriale. Anche in Germania, Paese nel quale il sistema delle relazioni industriali è sempre stato imperniato sulla contrattazione collettiva nazionale di settore, oggi è consentito e largamente praticato che la singola impresa contratti le condizioni di lavoro in casa propria; e in tal caso è soltanto il contratto aziendale ad applicarsi, non quello nazionale.

Cinque anni prima che si aprissero le vertenze di Pomigliano e di Mirafiori ho scritto un libro per mostrare come nell’ottobre 2000, quando la Fiat annunciò la chiusura dello stabilimento Alfa Romeo di Arese, proprio questo nostro sistema di relazioni industriali imperniato sul principio della rigida inderogabilità del contratto collettivo nazionale abbia contribuito in modo decisivo a impedire che che quello stesso stabilimento si candidasse per l’insediamento della produzione della Micra coupé da parte della Nissan (A che cosa serve il sindacato, Mondadori, 2005). Questo non perché la Nissan intendesse pagare retribuzioni inferiori ai minimi previsti dal nostro contratto nazionale dei metalmeccanici: al contrario, il suo piano industriale prevedeva livelli di produttività che avrebbero consentito retribuzioni molto più alte, come già a Sunderland nel nord-Inghilterra. Il problema era che quel piano prevedeva un’organizzazione del lavoro - la c.d. lean production - incompatibile con il sistema di inquadramento professionale previsto dal nostro contratto nazionale; e un sistema di determinazione delle retribuzioni, basato sulla performance review individuale (pur con l’assistenza del sindacalista di fiducia del lavoratore) anch’esso incompatibile con la struttura della retribuzione stabilita dal nostro contratto nazionale. Così stando le cose, o Cgil Cisl e Uil erano tutte e tre d’accordo per la deroga (e non lo erano), oppure la deroga non si poteva pattuire. E infatti la trattativa non venne neppure aperta.

Il punto è che in Italia oggi quasi tutti considerano la “deroga” al contratto collettivo nazionale come sinonimo di “peggioramento delle condizioni di lavoro”, “rincorsa al ribasso”, “concorrenza tra poveri”, “dumping sociale”. Ma le cose non stanno così: la deroga al contratto collettivo nazionale può anche consistere in una modifica della disciplina dei tempi di lavoro che consente all’impresa di sfruttare meglio gli impianti e ai lavoratori di guadagnare di più; oppure in una diversa struttura della retribuzione funzionale a un aumento di produttività di cui saranno i lavoratori per primi a beneficiare; e gli esempi di scostamenti dalla disciplina nazionale potenzialmente vantaggiosi anche per i lavoratori potrebbero moltiplicarsi all’infinito.

Certo, è ben possibile che la deroga al contratto nazionale sia destinata, invece, a rivelarsi dannosa per i lavoratori. Ma non si può, per paura dell’innovazione cattiva, sbarrare le porte anche a quella buona; a meno che il vero scopo sia quello di proteggere dalle più dinamiche imprese straniere le imprese nazionali nel loro sonnacchioso tessuto produttivo (questo potrebbe spiegare la tiepida e perplessa accoglienza delle proposte di Marchionne da parte dell’apparato di Confindustria). Se non è questo che vogliamo, abbiamo tutti bisogno di un sindacato “intelligenza collettiva dei lavoratori” che sia capace di valutare il piano industriale innovativo e l’affidabilità di chi lo propone; e che, se la valutazione è positiva, sappia guidare i lavoratori nella scommessa comune con l’imprenditore su quel piano, negoziandone le modalità di attuazione a 360 gradi.

Dovremmo per questo mandare il contratto collettivo nazionale in soffitta? Niente affatto: esso ben può – come in Germania – conservare la funzione di benchmark e di disciplina applicabile per default, laddove manchi una disciplina collettiva negoziata da una coalizione maggioritaria a un livello più prossimo al luogo di lavoro. E chissà che in questo modo, oltre agli investimenti di Marchionne, non riusciamo ad attirare anche quelli di molte altre multinazionali, che finora la vischiosità del nostro sistema di relazioni industriali ha contribuito a tenere alla larga dall’Italia.

Pietro Ichino |  NON RIFIUTIAMO L’INNOVAZIONE BUONA PER PAURA DI QUELLA CATTIVA

Leggete BENE la parte in neretto

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Some critics have complained that the 4C lacks luxury. To me, complaining about lack of luxury in a sports car is akin to complaining that a supermodel lacks a mustache.

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a me sembra che su questo argomento chiunque si senta il diritto di saltar su e dire la sua

meno titoloni e piu' sostanza : si dica chiaramente cosa si vuole di diverso rispetto a prima e si discuta su questo

poi il contratto puo' anche essere quello delle casalinghe lituane

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