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La Jihad e le guerre dimenticate


JackSEWing

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32 minuti fa, Sandro dice:

 

Anche perché danno abbastanza per scontato di diventare "martiri" nell'azione.

è sopratutto c'è onore nel diventarlo.

se non si sa chi sia il martire come si fa ad onorare la famiglia?

i'm the Doctor, but beyond that, I.. I just don't know. I literally do not know who I am. It's all untested. Am I funny? Am I sarcastic? Sexy? Right old misery? Life and soul? Right-handed? Left-handed? A gambler? A fighter? A coward? A traitor or a liar? A nervous wreck? I mean, judging by the evidence, I've certainly got a gob.

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Grazie per la segnalazione.

 

Purtroppo non si trova ancora, ma in compenso ho trovato un interessante suo articolo post fatti di Parigi. 

 

Cita

Il venerdì nero del 13 novembre è stato definito “l’11 settembre francese”. Mentre la ricerca di ciò che si sapeva e di ciò che era prevedibile procede con cautela, il linguaggio politico e mediatico indulge nelle iperboli dell’isterismo. L’Inghilterra, forse inchiodata dall’outing di Tony Blair sulle responsabilità inglesi nella nascita dell’Isis, ha reagito con più calma. L’intelligence ha suggerito, prima e meglio di ogni altro, dati sull’abbattimento dell’aereo russo sul Sinai e sui movimenti dei terroristi francesi.

Anche gli americani sono cauti. L’autorevole think tank Stratfor (“la Cia della Cia”) si chiede come possa rispondere l’Europa al flusso dei migranti, come se il problema fosse della migrazione, e se lo Stato islamico si stia espandendo (come sta cercando di far credere). Promette di dare risposte, ma bisogna abbonarsi. Daniel Byman della Brookings Institution ha molti dubbi sulle rivendicazioni dell’Isis. Ma se dovessero essere vere, secondo lui si starebbe verificando una escalation della minaccia dal livello locale (Iraq-Siria), a quello regionale (Sinai e Libano) a quello continentale (Parigi, Belgio, Roma, Europa) e quindi globale.

Il massacro di Parigi ha segnato un punto di non ritorno non nella strategia terrorista ma nella nostra capacità di ragionare. La Francia non ha preso atto di avere un problema interno e il resto d’Europa la segue preoccupandosi della sola dimensione esterna. Tutto viene riversato sull’Isis e il nazionalismo francese conta di acquisire consenso per far digerire misure altrimenti impopolari o antieuropee. La strage di Parigi non è un esempio di maestria terroristica, ma di povera prevenzione. L’attacco di Mumbai del 2008 è stato il vero antesignano della tattica decentrata dei piccoli gruppi e la riscossa del terrorismo dopo la fine operativa di al Qaeda in Afghanistan. L’11 settembre ha richiesto oltre due anni di preparazione e l’infiltrazione negli Stati Uniti di decine di operatori. A Parigi gli attentatori hanno scimmiottato Mumbai ed erano di casa, forse avrebbero attaccato prima se non fossero stati preceduti dall’assalto a Charlie Hebdo.

Quando e se la Francia, gli Usa, la Russia e l’Occidente volessero eliminare i terroristi in Iraq e Siria i problemi delle comunità islamiche in Europa rimarrebbero da risolvere. Il problema dell’Isis, con la giusta volontà, è risolvibile militarmente nel giro di poche settimane. Ma quello dei rapporti tra gli Stati che lo sostengono e che fingono di combatterlo (compresi quelli occidentali) è insolubile. Senza agire sulle matrici del terrorismo interno la caduta militare dell’Isis sarebbe priva di significato.

L’Isis è soltanto ciò che noi vogliamo che sia. E abbiamo cominciato malissimo già chiamandolo in questo modo. Lo chiamiamo Isis o Isil o Daesh. Acronimi equivalenti (Stato Islamico di Iraq e Siria, o di Iraq e Levante) che contengono una chiave geografica, una religiosa (Islam) e una politica (Stato). Ma l’Isis non è uno stato, infrange continuamente la Sharia, non amministra un territorio e controlla soltanto tre tratti del corso dell’Eufrate, del Tigri e della bretella che li collega da Mosul a Raqqa. Sfrutta le risorse locali e gestisce il traffico di quelle provenienti dai numerosi sponsor dichiarati, occulti diretti o indiretti, tutti consapevoli di alimentare il terrorismo. Non è un califfato perché nessuno, nella comunità islamica, lo riconosce. I suoi capi pensano molto al denaro, al potere, alla politica della violenza e poco alla religione della quale si fanno però scudo. Non sta vincendo ed è destinato a dissolversi in termini militari ed ideologici. Ma ha avviato un processo di identificazione in tutte le comunità islamiche frustrate e oppresse sia nell’ambito degli stessi regimi islamisti, sia tra gli espatriati.

Dal punto di vista politico e strategico non è nulla senza gli stati e i privati che lo appoggiano e lo foraggiano di soldi e armi. Dal punto di vista militare non è nulla senza l’acquiescenza e l’indifferenza di coloro che dicono di combatterlo. La guerra dichiarata è simmetrica ed equilibrata. Alle bombe degli attentati corrispondono le bombe dei caccia e dei droni, ai civili ammazzati a Parigi corrispondono i civili ammazzati a Raqqa e così via. Questa guerra è antiquata e meccanicistica nella sequenza di azione e reazione uguale e contraria. Sappiamo bene l’importanza militare di conservare l’iniziativa ma l’abbiamo abbandonata per sottostare all’iniziativa altrui.

Se Isis ha cominciato a pensare in termini globali occorre vedere se ha le capacità pratiche di sostenere una tale dimensione. Agire in grande consente di attirare più proseliti ma uscire dall’ambito locale significa anche attirare l’odio di più Stati, e l’attenzione di migliori apparati di sicurezza. Un errore che hanno fatto al Qaeda e anche alcuni gruppi terroristici nostrani è quello di pensare che la risposta a ogni provocazione fosse il massimo esprimibile da parte dell’istituzione o dello Stato colpito. Ma la risposta, anche se sproporzionata, non ha mai impegnato che una piccola parte delle potenzialità occidentali ed è stata limitata dal consenso interno. Non dalla paura dell’esterno.

Si tratta l’Isis come se fosse uno Stato e uno Stato sponsor del terrorismo: non è uno stato e quindi non è sponsor, ma agente del terrorismo. Sono invece sponsor tutti quegli Stati e non-Stati che sponsorizzano l’Isis. Che alimentano il mercato nero del petrolio, delle armi, dei reperti archeologici, e pagano i riscatti, sottostanno alle estorsioni e forniscono le compagnie di facciata per le speculazioni finanziarie e le imprese commerciali.

Ognuna di queste attività di sostegno ha uno o più nomi noti anche se diversi insospettati. Oltre ai legami sauditi e degli emirati o a quelli turchi esistono addirittura organizzazioni curde che si avvalgono di intermediari occidentali per fare affari con i terroristi. I legami degli interessi, specialmente se sporchi, sono più forti del ribrezzo dei massacri.

Fabio Mini*

 

Inquadra piuttosto chiaramente cosa intendiamo noi per Isis e cosa in realtà abbiamo davanti. Concetti ripresi dall'articolo del 17 dicembre

 

Cita

Isis, Fabio Mini: “Stato Islamico non ha alcuna caratteristica dello Stato: al massimo è una banda armata”

 

Per il generale di corpo d'armata, il presunto Califfato non ha i presupposti ideologici né ideali per essere considerato un'entità statuale. Inoltre "non ha un popolo, sottomette popoli diversi e si accanisce contro alcuni per favorire altri. Non ha un governo, la leadership pseudo religiosa è temuta, ma non riconosciuta. Non ha un territorio su cui esercitare il potere statale"

di F. Q. | 17 dicembre 2015

 

 

La proposta è provocatoria ma non peregrina. I requisiti giuridici e materiali di uno Stato sono essenzialmente 5: avere un popolo, un governo riconosciuto dal popolo, un territorio sul quale esercita i poteri statali e tutela i diritti e i doveri della popolazione, un corpo di leggi e la capacità di interagire con altri Stati. La grande maggioranza degli Stati moderni viene dalle rivoluzioni, da Stati succeduti alle colonie, da gruppi di rivoltosi considerati terroristi dalle legittime potenze, da guerre civili e intestine, da periodi di terrore, di distruzioni di massa, di esecuzioni sommarie, da guerre tra le nazioni e dal disfacimento d’imperi dinastici. E prima ancora che gli Stati nascessero dalle guerre fu stabilito il concetto che la guerra “legale”e degna di questo nome fosse solo quella “fra Stati”.

Guardando superficialmente alla nostra storia non ci dovrebbe essere alcun impedimento a riconoscere lo Stato islamico. Anzi, il riconoscimento non è giuridicamente necessario e di fatto è posto in atto nello stesso momento in cui si accetta di chiamarlo Stato islamico. Tuttavia ciò che qualificava veramente i nuovi Stati rivoluzionari e il oro”terroristi” era qualcosa d’immateriale: l’idea costruttiva nelle sue forme di idealismo e ideologia.

Il cosiddetto Stato islamico non ha alcuna idea costruttiva, neppure islamica, perché non rispetta alcun principio dell’Islam, non si avvale solo di islamici e islamisti, usa il nome di dio come scusa per la violenza e la potenza personale o di un piccolo gruppo di senzadio. Non ha alcuna idea rivoluzionaria e fa riferimento a stati autocratici e conservatori. Non ha un’idea di emancipazione e liberazione, ma di soggezione e non è vero che vuol creare un califfato. Se l’avesse non si sarebbe disperso in mille rivoli di franchising del terrore.

Già questa mancanza d’ideali e ideologie basterebbe a renderlo incompatibile con gli Stati moderni, ma non ha neppure uno dei requisiti giuridici e materiali. Non ha un popolo, sottomette popoli diversi e si accanisce contro alcuni per favorire altri. Non ha un governo riconosciuto, la leadership pseudo religiosa è temuta, ma non riconosciuta. Non ha un territorio su cui esercitare il potere statale. Controlla parti di territori altrui con forze militari e militanti estranee, mercenarie, dedite estorsioni, razzie e violenze sui deboli.

Non ha i mezzi per garantire la sicurezza delle popolazioni assoggettate. Non ha un corpo di leggi per l’amministrazione, la protezione, la sopravvivenza, la dignità, il lavoro, i diritti. La pretesa di riferirsi alla Sharia è subdolamente falsa, perché ne adotta solo gli aspetti punitivi e distruttivi. Non ha capacità d’interrelazione con altri stati: anche se è sostenuto da alcuni stati islamici, è solo il burattino nelle mani di burattinai rivolti ai propri interessi personali o di casta. Il solo riconoscimento possibile oggi è quello di “banda armata”. Ed è già tanto.

di Fabio Mini

da Il Fatto Quotidiano del 17 dicembre 2015

 

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CI SEDEMMO DALLA PARTE DEL TORTO VISTO CHE TUTTI GLI ALTRI POSTI ERANO OCCUPATI

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a quanto pare i turchi le hanno prese di santa ragione ad al bab e si stanno ritirando!

 

https://southfront.org/turkish-forces-retreat-from-al-bab-hospital-suffer-heavy-casualties/

 

si parla di 50 soldati morti e diversi veicoli (anche moderni carri armati leopard 2) distrutti e catturati

 

https://southfront.org/isis-releases-more-photos-with-captured-destroyed-turkish-military-equipment/

 

due considerazioni:

 

1) combattere l'ISIS sul campo non è esattamente come bombardare con aeronautica ed artiglieria il pkk

2) le forze armate turche non sono quel colosso che si pensava

Alfa Romeo Giulietta, 1.4 TBI Multiair 170 CV Exclusive (2013)

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Adesso, stev66 dice:

che ne dite dei 12 ufficiali stranieri identificati tra i ribelli in ritirata da Aleppo ? :)

 

 

direi nazionalità piuttosto interessanti per i primi tre. :pen: 

 

Mutaz Kanoğlu – Turkey
David Scott Winer – USA
David Shlomo Aram – Israel

Muhamad Tamimi – Qatar
Muhamad Ahmad Assabian – Saudi
Abd-el-Menham Fahd al Harij – Saudi
Islam Salam Ezzahran Al Hajlan – Saudi
Ahmed Ben Naoufel Al Darij – Saudi
Muhamad Hassan Al Sabihi – Saudi
Hamad Fahad Al Dousri – Saudi
Amjad Qassem Al Tiraoui – Jordan
Qassem Saad Al Shamry – Saudi
Ayman Qassem Al Thahalbi – Saudi
Mohamed Ech-Chafihi El Idrissi – Moroccan

 

 

 

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qualcuno aveva dubbi da che parte erano gli yankee pre Donald ?   :lol:

Gli israeliani credo invece fossero più a spalar carbone, a loro interessa che il casino duri più a lungo possibile :)

 

 

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Archepensevoli spanciasentire Socing.

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Un poco mi perplime il giordano.

Pensavo che dopo la fine riservata al loro pilota ce l'avessero a morte con quelli di Daesh. Ma magari è solo una scelta personale :pen:.

Nessuna sorpresa per i sauditi ed il quatariota. 

Statisticamente, il 98% dei ragazzi nel mondo ha provato a fumare qualsiasi cosa. Se sei fra il 2%, copia e incolla questa frase nella tua firma

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14 minuti fa, Sandro dice:

 

Pensavo che dopo la fine riservata al loro pilota ce l'avessero a morte con quelli di Daesh. Ma magari è solo una scelta personale :pen:.

Nessuna sorpresa per i sauditi ed il quatariota. 

 

probabilmente non sono con Daesh, ma fanno parte di quella galassia di gruppi sunniti in guerra con gli sciiti di Assad.

 

 

 

 

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la giordania è legata a doppio filo con gli usa per la difesa dei propri confini da isis, ma hanno cellule terroristiche interne al paese. In più i ribelli di aleppo sono un marasma di gruppi che credo nemmeno loro riescano a districare...E' tutto un gran casino  

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