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Benvenuto!!! :D

I ragazzi che si amano si baciano in piedi contro le porte della notte e i passanti li segnano a dito ma i ragazzi che si amano non ci sono per nessuno..essi sono altrove..nell'abbagliante splendore del loro primo amore

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Ciao j, benvenuto.

Senti, ma sei di poche parole o sei di poche lettere? Mi raccomando, non fare come certi, che si iscrivono ma poi non si fanno mai semtire, perché il creatore ci ha donato l’uso della ragione e della parola, nonché le dita e i soldi per accattarci un PC e collegarlo in rete cosicchè noi si possa chiacchierare un pochettino. Toccai di già codesta questione col frazionato (126/131) nel discorso che diedi alle stampe in questo posto oramai parecchi mesi addietro, riguardo al metodo per ben condurre la propria ragione e cercare la verità. Non allo scopo di trattarne allora veramente a fondo, ma solo come di sfuggita, a fine di apprendere, per mezzo del giudizio, che se ne farebbe, in qual modo avrei dovuto trattarne in appresso. Esse infatti mi sono sempre sembrate di tale importanza, che giudicai ben fatto parlarne; ed il cammino che io percorro per spiegarle è così poco battuto, e così lontano dalla via ordinaria, che non ho creduto che fosse utile mostrarlo tutto, ed in un discorso che potesse essere letto da tutti, per paura che gli spiriti deboli credessero che fosse loro permesso di tentar questa via. Ora, avendo pregato in quel discorso tutti quelli che avessero trovato nei miei scritti qualcosa degna di censura di farmi il favore di avvertirmene, non mi si è nulla obbiettato di notevole se non due cose, su ciò che avevo detto riguardo a queste due questioni, alle quali obbiezioni voglio rispondere qui in poche parole, prima d'intraprendere la loro spiegazione più esatta. La prima è che, dal fatto che lo spirito umano, riflettendo su sé stesso, conosce di non essere altro che una cosa che pensa, non segue che la sua natura o la sua essenza sia solamente il pensare, in guisa tale che questa parola solamente escluda tutte le altre cose di cui si potrebbe forse anche dire che appartengono alla natura dell'anima. Alla quale obbiezione io rispondo che, in quel luogo, non era mia intenzione di escluderle secondo l'ordine della verità della cosa (della quale non trattavo allora), ma solo secondo l'ordine del mio pensiero. Così che il mio sentimento era che io non conoscevo nulla che sapessi appartenere alla mia essenza, se non che ero una cosa che pensa, o una cosa che ha in sè la facoltà di pensare. Ora farò vedere qui appresso come, dal fatto che io non conosco null'altro che appartenga alla mia essenza, segue che non vi è neppure niente altro che in effetti le appartenga. La seconda obbiezione è che, dal fatto che io ho in me l'idea di una cosa più perfetta di quel che io sia, non segue punto che questa idea sia più perfetta di me, e molto meno che quello che è rappresentato da questa idea esista. Ma io rispondo che in questa parola Idea v'è qui dell'equivoco. Poiché, o essa può esser presa materialmente come una operazione del mio intelletto, ed in questo senso non si può dire che essa sia più perfetta di me; o essa può essere presa oggettivamente per la cosa che è rappresentata da quell'operazione, la quale, benché non si supponga che esista fuori del mio intelletto, può nondimeno essere più perfetta di me, secondo la sua essenza. Ora, nel seguito farò vedere più ampiamente come, da ciò solo che ho in me l'idea di una cosa più perfetta di me, segua che questa cosa veramente esiste. Di più, ho visto anche degli scritti abbastanza ampi su questa materia, ma che non combattevano tanto le mie ragioni, quanto le mie conclusioni, e ciò con argomenti tratti dai luoghi comuni degli atei. Ma poichè questa sorta d'argomenti non possono fare nessuna impressione sullo spirito di quelli che intenderanno bene le mie ragioni, e poiché i giudizi di parecchie persone sono così deboli e così poco ragionevoli che si lasciano molto più spesso convincere dalle prime opinioni, per quanto false e lontane dalla ragione possano essere, che da una confutazione solida e vera, ma sentita solo in appresso, non voglio rispondere qui, per paura di essere innanzi tutto obbligato a riportare certe obbiezioni. Dirò solamente in generale che tutto quel che dicono gli atei per impugnare l'esistenza di Dio dipende sempre, o dal fingere in Dio affezioni umane, o dall'aver attribuito ai nostri spiriti tanta forza e saggezza da far presumere di determinare e comprendere ciò che Dio può e deve fare; di guisa che tutto quello che essi dicono non ci darà nessuna difficoltà, purché soltanto ci ricordiamo che dobbiamo considerare i nostri spiriti come cose finite e limitate, e Dio come un essere infinito e incomprensibile. Ora, dopo aver in certo modo conosciuto i giudizi degli uomini io affronto da capo le questioni di Dio e dell'anima umana, e insieme prendo a gettare le fondamenta del pensiero primario; ma senza attendere lode alcuna dal volgo, nè sperare che io sia letto da molti. Al contrario, io non consiglierò mai a nessuno di leggermi, se non a quelli che vorranno con me meditare seriamente, e che potranno staccare il loro spirito dal commercio dei sensi, e liberarlo interamente da ogni sorta di pregiudizi; e questi io so anche troppo che sono in piccolissimo numero. Ma per quelli che, senza curarsi molto dell'ordine e del legame dei miei ragionamenti, si divertiranno a cavillare su ognuna delle parti, quelli, dico, non trarranno gran profitto dalla lettura di questo trattato. E benché forse possano trovare occasione di fare delle osservazioncelle minute in parecchi punti, a gran pena potranno obbiettare qualcosa di urgente, o che sia degno di risposta. E poiché io non prometto agli altri di soddisfarli a prima vista, e non presumo tanto di me da credere di poter prevedere tutto quel che potrà presentare delle difficoltà a ciascuno, esporrò dapprima gli stessi pensieri, pei quali son convinto di essere pervenuto ad una certa ed evidente conoscenza della verità, a fine di vedere se, per mezzo delle stesse ragioni che mi hanno persuaso, potrò anche persuaderne degli altri. Dopo, risponderò alle obbiezioni che mi faranno persone d'ingegno e di dottrina, ecco perché supplico, quelli che desidereranno leggermi di non formarsene alcun giudizio, senza prima essersi data la pena di leggere tutte quelle obbiezioni e le risposte che vi ho fatte. Già da qualche tempo, ed anzi fin dai miei primi anni, mi sono accorto di quante falsità ho considerato come vere, e quanto siano dubbie tutte le conclusioni che poi ho desunto da queste basi; ho compreso dunque che almeno una volta nella vita tutte queste convinzioni devono essere sovvertite, e di nuovo si deve ricominciare fin dai primi fondamenti, se mai io desideri fissare qualcosa che sia saldo e duraturo. Questa tuttavia sembrava essere un'opera assai impegnativa, ed aspettavo dunque un'età che fosse così matura da non doverne aspettare un'altra più adatta per impadronirsi di tali discipline. E perciò ho atteso tanto da essere poi in colpa se, quel tempo che rimane per agire, lo consumassi nel prendere decisioni. E perciò opportunamente oggi ho liberato la mente da tutte le preoccupazioni, mi sono procurato una quiete totale, me ne sto solo, e quindi avrò tempo di distruggere totalmente, con serietà e libertà, tutte le mie antiche opinioni. Per ottenere questo risultato non sarà d'altra parte necessario dimostrare che 'quelle opinioni' sono tutte false, cosa che forse non riuscirei mai ad ottenere; ma poiché ormai la ragione mi persuade che bisogna tenere accuratamente lontano ogni assenso dalle convinzioni che non sono assolutamente certe e indubitabili, non meno che dalle proposizioni che sono apertamente false, basterà questa considerazione per respingerle tutte, se troverò in ciascuna un qualche motivo di dubbio. Non le dovrò esaminare quindi tutte in maniera particolareggiata, cosa che richiederebbe un lavoro infinito. Ma poiché, tolti i fondamenti, tutto quello che è edificato sopra questi principi cadrà da sé, affronterò subito proprio quei principi sui quali poggiava ciò che un tempo ho creduto. Tutto ciò appunto che fino ad ora ho ammesso come vero al massimo grado, l'ho tratto dai sensi o per mezzo dei sensi; tuttavia mi sono accorto talvolta che essi ingannano, ed è atteggiamento prudente non fidarsi mai di quelli che ci hanno ingannato anche solo una volta. Ma, sebbene i sensi talvolta ci ingannino riguardo ad alcuni particolari minuti e marginali, tuttavia vi sono moltissime altre opinioni delle quali non si può chiaramente dubitare, sebbene siano desunte da essi; come ad esempio che io sono qui, sto seduto davanti al monitor, indosso la mia vestaglia, digito sui tasti, e cose simili. Ma in che modo si potrebbe negare che proprio queste mani, e che tutto questo corpo sia mio? A meno che non mi consideri simile a quei pazzi il cui cervello è turbato e offuscato da un vapore così ostinato, proveniente dalla bile nera, che essi affermano con tenacia di essere dei re mentre sono poverissimi, oppure vestiti di porpora mentre sono nudi, o di avere un capo fatto di coccio, o di essere delle enormi zucche, o di essere fatti di vetro. Ma costoro sono pazzi e, se adattassi a me un qualche esempio preso da loro, non sembrerei meno pazzo io stesso. Benissimo dunque; come se non fossi un uomo che è solito dormire la notte, e nei sogni provare tutte quelle immagini, e talvolta anche meno verosimili di quelle che provano costoro da svegli. Quante volte poi il riposo notturno mi fa credere vere tutte queste cose abituali, ad esempio che io sono qui, che sono vestito, mentre invece sono spogliato e steso tra le lenzuola! Eppure ora vedo con occhi che sono sicuramente desti questo monitor, questo mio capo che muovo non è addormentato, stendo questa mano con pienezza di sensi e di intelletto e percepisco: chi dormisse non avrebbe sensazioni tanto precise. Come se poi non mi ricordassi che anche altre volte nel sogno sono stato ingannato da simili pensieri; e mentre considero più attentamente tutto ciò, vedo che il sonno, per sicuri indizi, non può essere distinto mai dalla veglia con tanta certezza che mi stupisco, e questo stupore è tale che quasi mi conferma l'opinione che sto dormendo. Orsù dunque, immaginiamo di sognare e che non siano veri questi particolari - che cioè noi apriamo gli occhi, muoviamo la testa, stendiamo le mani - e che forse non le abbiamo neppure le mani, e nemmeno tutto questo corpo. Tuttavia di sicuro bisogna ammettere che quel che ci appare nel sogno richiama alcune immagini dipinte, che non hanno potuto essere rappresentate se non ad immagine delle cose vere e reali, e perciò almeno queste cose generali, gli occhi cioè, il capo, le mani e tutto il corpo, non sono oggetti immaginari, ma veri e reali. E infatti anche gli stessi pittori, anche quando si adoperano a rappresentare nelle forme più inusitate le Sirene ed i Satiri, non possono loro assegnare delle forme naturali completamente nuove, ma si limitano a mescolare insieme le membra di diversi animali; se poi si dà il caso che essi escogitino anche qualcosa di così nuovo che niente di simile sia mai stato visto, o che sia completamente artefatto e falso, tuttavia devono essere veri almeno i colori, con i quali compongono questa loro immagine. E per un uguale motivo, sebbene anche tutte queste cose generali, cioè gli occhi, il capo, le mani ed altre cose simili, possano essere immaginarie, tuttavia bisogna ammettere necessariamente che vi sono ancora delle cose più semplici e universali, che sono vere ed esistenti, dalla mescolanza delle quali, così come dalla mescolanza dei colori veri, sono formate tutte queste immagini delle cose che sono nel nostro pensiero, siano esse vere e reali, oppure finte e immaginarie. Di questo genere sembrano essere la natura corporea comunemente intesa e la sua estensione; allo stesso modo la figura delle cose estese; ed allo stesso modo la loro quantità, la loro grandezza ed il numero; allo stesso modo il luogo nel quale si trovano, il tempo in cui durano e simili. E perciò da questo potremo con qualche ragione concludere che la fisica, l'astronomia, la medicina e tutte le altre discipline che dipendono dalla considerazione delle cose composte, sono certo dubbie; mentre l'aritmetica, la geometria ed altre scienze di tal genere, che non trattano se non di cose semplicissime ed oltremodo generali, e poco si curano se esse si trovino nella natura o no, contengono qualcosa di certo e di scevro da ogni dubbio. Infatti sia che io sia sveglio, sia che dorma, due più tre fanno cinque e il quadrato non può avere più lati di quattro; e non sembra che possa accadere che verità tanto evidenti cadano in sospetto di falsità. Tuttavia è ben fissa nella mia mente una opinione assai inveterata, cioè che esiste Dio che può ogni cosa, e dal quale sono stato creato così come sono. Ma quale prova ho che egli non abbia fatto in modo che non esista alcuna terra, alcun cielo, alcun corpo esteso, alcuna figura, alcuna grandezza, alcun luogo, e tuttavia tutte queste cose mi appaiano esistere non diversamente da ciò che ora mi appare? Ed inoltre, allo stesso modo in cui giudico che talvolta gli altri si sbagliano riguardo a ciò che ritengono di sapere perfettamente, non può accadere che mi sbagli ogni qual volta sommo insieme due e tre, o conto i lati di un quadrato, o giudico di qualche cosa ancora più facile, se si può immaginare qualcosa di più facile di questo? Ma forse Dio non ha voluto che fossi così ingannato, ed infatti viene definito come sommamente buono. Ma ammettiamo che sia contrario alla sua bontà l'avermi creato tale che mi inganni sempre: da questa stessa bontà sembrerebbe anche essere alieno il permettere che mi inganni talvolta; e quest'ultima cosa tuttavia non si può affermare con sicurezza. Vi potrebbero tuttavia essere delle persone che preferirebbero negare un Dio tanto potente, piuttosto che credere che tutte le altre cose sono incerte. Ma non ci mettiamo in contrasto per ora con loro, e ammettiamo pure che sia una favola tutto ciò che viene detto di Dio. Immaginino pure queste persone che io sia pervenuto al punto in cui sono o per destino, o per caso, o per una ininterrotta serie di eventi, o in qualsiasi altro modo; e dal momento che essere ingannati ed errare è una qualche imperfezione, quanto meno potente sarà l'autore della mia origine che esse mi assegneranno, tanto più probabile sarà che io sia così imperfetto da sbagliarmi sempre. Certo non so che rispondere a questi argomenti, ma infine sono costretto a confessare che non c'è niente, tra le cose che un tempo ritenevo vere, di cui non sia lecito dubitare, e ciò per motivi non futili, ma validi e meditati; e quindi debbo sospendere ogni assenso da questi principi, non meno che da principi apertamente falsi, se voglio trovare qualcosa di certo. Ma non basta avere intuito ciò; bisogna fare in modo che ne serbi memoria; infatti le opinioni consuete continuamente ricorrono, e si impadroniscono della mia credulità come soggiogata dalla lunga consuetudine e da una sorta di diritto nato dalla familiarità con esse, quasi anche senza che io lo voglia davvero. Non smetterò mai di assentire e di aver fiducia in esse, finché riterrò che siano quali sono in realtà, e cioè in qualche modo dubbie, come già si è mostrato, ma tuttavia molto probabili e tali che sia molto più ragionevole il crederle che non il negarle. E perciò, come ritengo, non farò male se, avendo rivolto la volontà in tutt'altra direzione, mi ingannerò da me stesso, e per qualche tempo le considererò del tutto false e immaginarie, almeno fintantoché nessuna cattiva abitudine faccia più deviare il mio giudizio dalla retta percezione delle cose, come se si fossero equilibrati dall'una e dall'altra parte i pesi dei pregiudizi. E infatti so che da questo procedimento non deriverà più alcun pericolo di errore, e che non posso cedere più del giusto alla mia diffidenza, dal momento che ora mi occupo non di problemi pratici, ma soltanto di problemi conoscitivi. Supporrò dunque che non Dio, sommo bene, fonte di verità, ma un genio maligno, sommamente potente ed astuto, abbia posto ogni suo sforzo ad ingannarmi; riterrò che il cielo, l'aria, la terra, i colori, le figure, i suoni e tutto il mondo esterno non siano altro che inganni di sogni, con i quali ha cercato di ingannare la mia credulità. Considererò di non aver mani, nè occhi, nè carne, nè sangue, nè altri sensi, ma di credere falsamente di avere tutto questo; rimarrò ostinatamente fisso nella meditazione di ciò, e così, anche se non è in mio potere di conoscere qualcosa di vero, almeno - e ciò dipende da me - mi guarderò con costanza di ragionamento dall'assentire al falso, e cercherò che questo ingannatore, per quanto potente e per quanto scaltro sia, non possa impormi nulla. Il risultato di questo inganno alla prossima puntata: così, giusto perché esiste la parola che il creatore ci ha donato, e giusto perché qualcosa dobbiamo pur farcene. Si è fatto tardi. Alla prossima puntata dunque. Oh j! Guarda se non ti va non mi offendo. Sia chiaro!

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