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5 minuti fa, owluca dice:

il risveglio dei vaggari

 

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Pare che prima di comprare una Passat anche Darth Vader avesse l'armatura lucida come il capitano Phasma :si:

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Some critics have complained that the 4C lacks luxury. To me, complaining about lack of luxury in a sports car is akin to complaining that a supermodel lacks a mustache.

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Spero non sia stata gia pubblicata:

 

Cita
Dieselgate Volkswagen: niente indennizzi agli europei
 
INCONTRO A BRUXELLES - La Volkswagen non sembra intenzionata ad offrire alcun tipo di compensazione agli automobilisti europei coinvolti nel Dieselgate, ovvero lo scandalo legato alle emissioni inquinanti di suoi alcuni motori a gasolio. La conferma è arrivata nel pomeriggio di giovedì 21 gennaio, quando si è svolto a Bruxelles un incontro fra il Commissario Europeo per l’Industria e l’Imprenditoria (Elzbieta Bienkowska) ed i massimi dirigenti della società tedesca: erano presenti l’amministratore delegato del gruppo Volkswagen (Mathias Müller) ed il responsabile del marchio (Herbert Diess). Del colloquio riferisce il Financial Times.
 
NESSUNA DISPARITÀ - Bienkowska avrebbe invitato Müller e Diess a rivedere la posizione dell’azienda sul tema dei rimborsi, già accordati negli Stati Uniti ma ancora non previsti in Europa. Il Commissario, secondo quanto emerso, avrebbe suggerito ai manager di trattare i clienti nella stessa maniera e di non creare disparità, ma il suo appello sembra caduto nel vuoto: poche ore dopo la fine della riunione, l’azienda ha pubblicato una nota per mezzo della quale spiega che “non offriremo alcun tipo di compensazione in Germania o in Europa. Abbiamo già trovato una soluzione per risolvere il problema”. Il rimedio è un filtro dell’aria, valutato 10 euro, la cui efficacia è già stata provata dalla motorizzazione tedesca (qui per saperne di più).
 
1000 DOLLARI NEGLI USA - La Volkswagen, nell’interpretazione del Financial Times, è sicura di poter risolvere la vicenda mettendo in regola i motori, senza fornire un bonus per scusarsi dell’accaduto: negli Stati Uniti la Volkswagen ha fornito alle persone coinvolte nel Dieselgate un indennizzo dal valore pari a 1000 dollari. Tale decisione si spiega con la differente posizione occupata dall’azienda sui due mercati: negli Stati Uniti la Volkswagen non è leader del mercato e deve pertanto accattivarsi la clientela in ogni modo possibile, mentre in Europa non ha questa esigenza.

 

Da alVolante.it

Dieselgate Volkswagen: niente indennizzi agli europei

 

 

Sempre più convinto che i miei soldi non li rivredranno più. :roll:

 

 

E aggiungo:

 

Cita

Volkswagen: il richiamo potrebbe ridurre le prestazioni

SOLUZIONE PENALIZZANTE - Il Consiglio nazionale consumatori e utenti (l’organismo che riunisce le diverse organizzazioni di difesa dei consumatori) ha incontrato Massimo Nordio, amministratore delegato della Volkswagen Italia per fare il punto della situazione dello scandalo Dieselgate. Il tema al centro dell’audizione era principalmente il possibile risarcimento ai clienti coinvolti, ma dal colloquio è scaturita soprattutto una notizia tecnica, finora magari supposta ma mai resa esplicita: come riporta il Sole 24 Ore, il manager avrebbe affermato che gruppo Volkswagen non garantisce che gli interventi ai motori turbodiesel EA189 non abbiano conseguenze sul livello di prestazioni.
 
GLI INTERVENTI DAL RICHIAMO - Poco tempo fa il gruppo Volkswagen aveva comunicato che le autorità tecniche tedesche avevano dato la loro approvazione al suo pacchetto di interventi messi a punto per risolvere il problema delle emissioni eccessive di assidi di azoto NOx dei propulsori turbodiesel della famiglia EA189 (nella foto la Golf 6 che lo impiegava). Le operazioni in questione prevedono modifiche al software di gestione per i motori 2.0 e 1.2, mentre per quello 1.6 è prevista l’adozione di un componente inedito volto a migliorare il flusso dell’aria (qui per saperne di più). 
 
SICUMERA SMENTITA - Sia pure con parole generiche, finora era sempre stato detto che il cliente non avrebbe subito nessuna conseguenza, nel senso che la sua auto sarebbe uscita dall’operazione come prima. Invece nella riunione di ieri con i rappresentanti delle associazioni dei consumatori, Massimo Nordio ha delineato una situazione più incerta, in cui appunto l’effettuazione degli interventi del richiamo potrebbe portare a modifiche di rendimenti, consumi, eccetera. In sostanza, sull’altare del rispetto dell’ambiente potrebbe essere sacrificata un po’ della brillantezza delle vetture. 
 
TANTI INTERROGATIVI - È probabile che nei prossimi giorni ci sarà una qualche messa a punto della questione da parte della casa costruttrice, ma è chiaro che il dubbio non è stato avanzato da una persona qualsiasi ed è inevitabile qualche conseguenza dalle parole di Nordio. Così come tanti sono gli interrogativi innescati. Ci saranno clienti Volkswagen che preferiranno tenersi l’auto così com’è piuttosto che veder diminuire le prestazioni o, peggio, aumentare i consumi? E chi risponderà all’imminente richiamo, prenderà iniziative contro la Volkswagen ritenendosi imbrogliato (ha comperato un prodotto sulla base di informazioni non esatte)? E se così sarà quale posizione prenderà l’autorità pubblica? E le parole di Nordio potranno avere conseguenze anche all’estero, dove la logica delle class action è più diffusa?

 

Sempre da alVolante.it

Volkswagen: il richiamo potrebbe ridurre prestazioni

 

Strano... :roll:

 

Modificato da Jack.Torrance
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I'M IN LOVE!:pippa:

"La 6° marcia, K@zzo!"

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Ma lo ha detto il nuovo responsabile relazioni con la stampa di Wolfsburg 

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Perchè non credergli? :dubbio:

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Some critics have complained that the 4C lacks luxury. To me, complaining about lack of luxury in a sports car is akin to complaining that a supermodel lacks a mustache.

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http://www.dagospia.com/rubrica-4/business/cos-ho-distrutto-volkswagen-storia-ingegneri-ex-sfigati-che-117284.htm

 

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COSÌ HO DISTRUTTO LA VOLKSWAGEN - LA STORIA DEGLI INGEGNERI (EX) SFIGATI CHE HANNO SCOPERCHIATO IL DIESELGATE E HANNO FATTO PERDERE AL GIGANTE TEDESCO REPUTAZIONE E DECINE DI MILIARDI DI DOLLARI - IL MITE PROFESSORE, LA PICCOLA UNIVERSITÀ, I TEST FATTI CON AUTO IN AFFITTO: ''PIÙ CHE DAVIDE CONTRO GOLIA, SIAMO COME DEI FORREST GUMP''

Ben Carder della West Virginia University manda tre suoi studenti poco più che ventenni. A gruppi di due, uno alla guida, l’altro alla strumentazione, testano le auto nelle condizioni di traffico più disparate. E si accorgono che i livelli di ossidi di azoto (NOx) non sono affatto come dovrebbero essere. Due anni dopo, scoppia la bomba...

 

Riccardo Staglianò per ''il Venerdì - la Repubblica''

 

dan carder

Morgantown (West Virginia). Di cosa può avere paura un uomo che caccia gli orsi con un arco? Di quasi niente, appunto. Nemmeno di un’azienda che, prima che lui entrasse in scena, valeva 80 miliardi di dollari, ma poi ne ha visti svanire quasi un quarto e rischia di dover pagare multe per altri 48 miliardi. Ma non chiamate Dan Carder la nemesi di Volkswagen. Questo ingegnere quarantacinquenne, con una corporatura decisamente più berlina che coupé, non ce l’aveva con nessuno in particolare.

 

Però il centro che dirige all’Università della West Virginia si occupa di benzine alternative ed emissioni e aveva finalmente racimolato un finanziamento per testare su strada alcune vetture diesel. Non era mai stato fatto prima perché la legge si accontenta delle prove in laboratorio. Così ha scoperto una differenza fino a quaranta volte tra la teoria e la pratica.

 

 

Per tutta risposta il numero uno del secondo gruppo automobilistico del mondo, in una sorta di versione tedesca dell’harakiri, si è dimesso. Der Spiegel ha messo in copertina un maggiolone accompagnato alla sepoltura sotto al titolo Il suicidio. E Angela Merkel, che sino al giorno prima aveva incendiato l’immaginazione del comitato del Nobel per la pace con la sua magistrale uscita sull’accoglienza incondizionata dei rifugiati, è risultata il danno collaterale più insigne della tempesta di fango, dovendosi accontentare di finire, tempo dopo, sulla cover di Time.

 

Tutto questo per una freccia accidentale scoccata dal prof mite che siede davanti a me, la cui massima aspirazione da bambino era di lavorare alla Ford, anche come meccanico semplice, e che ha investito il grosso del suo tempo libero, dai quattordici ai diciassette anni, nel restaurare la Mercury Cougar del ‘67 di suo padre. Quelle sì che erano macchine...

 

 

Il Dieselgate incarna perfettamente la dialettica Davide-vs-Golia, con un docente e tre studenti di uno degli stati più sfigati degli Stati Uniti che mettono in ginocchio la multinazionale di Wolfsburg. Ma i suoi protagonisti si schermiscono e suggeriscono che siamo piuttosto dalle parti di Forrest Gump («Abbiamo solo raccolto dati»). Di certo è una storia complicata, con alcuni aspetti sorprendenti (tra gli altri: perché nessuno aveva controllato prima?) e almeno uno ancora misterioso (come pensavano di farla franca?). Che si svolge in due atti (2013 e 2015) e un prologo (1998). Cominciamo.

 

 

Nell’estate del 2013 Carder, direttore del Center for alternative fuels and emissions, riesce finalmente a rimediare i 69 mila dollari che gli servono per provare su strada tre auto diesel. Lo fa a fini accademici, perché i regolamenti federali si accontentano dei test in laboratorio. Ma lo fa anche perché nel ‘98, giovane ricercatore, aveva partecipato a un controllo analogo sui camion diesel che si concluse con 87 milioni di dollari di multe da parte dell’Environment protection agency (Epa) contro le case produttrici che promettevano un livello di emissioni e ne mantenevano un altro, ben superiore.

 

Le macchine stavolta sono due Volkswagen (una Jetta e una Passat, con due tecnologie catalitiche diverse) e una Bmw X5. Si tratta di attaccare ai loro tubi di scappamento un Pems, un misuratore di emissioni grosso come un vecchio impianto stereo, a sua volta alimentato da un rumorosissimo generatore e comandato da un computer portatile che monitora i vari gas. Il primo problema è rimediare le auto.

 

 

Negli Stati Uniti, prima sorpresa, i diesel sono una rarità: l’1-2 per cento delle nuove auto, contro il 50 per cento europeo. Un po’ le considerano vetture mosce, un po’ la benzina costa meno che da noi. Setacciando i siti specializzati, le trovano in affitto in California, dove c’è anche un laboratorio per il controllo della qualità dell’aria dove potranno fare i raffronti. E perché solo marche europee? Perché l’unica azienda locale (oggi proprietà Fiat) che produce diesel è la Jeep e le altre, pur nei piccoli numeri menzionati, sono più diffuse.

 

 

Carder manda tre suoi studenti di Phd poco più che ventenni: lo svizzero Marc Besch e gli indiani Arvind Thiruvengadam e Hemanth Kappanna. A gruppi di due, uno alla guida, l’altro alla strumentazione, testano le auto nelle condizioni di traffico più disparate. E si accorgono che i livelli di ossidi di azoto (NOx) non sono affatto come dovrebbero essere. Per capire meglio Marc mi porta a fare una prova su strada, prendendo in prestito una Grand Cherokee diesel di uno dei docenti di qua (che evidentemente, prima dei test, non si erano accorti di avere a disposizione).

 

  

Monta l’attrezzatura, scalda il motore e facciamo un giro per la città. Sul monitor del portatile ci sono varie curve, di colori diversi, che rappresentano velocità, esausti, anidride carbonica e i famigerati ossidi di azoto. Quando accelera li vedi schizzare, ma poi quando i giri del motore si stabilizzano, le curve si ammansiscono.  Ecco, per 14-16 ore al giorno («Molti caffè e poco sonno»), una settimana per auto, due estati fa hanno fatto lo stesso con le tre auto europee.

 

In due casi, anche quando dovevano scendere, gli ossidi restavano su. «La prima cosa che abbiamo pensato» confessa Marc, incarnato chiarissimo, occhi azzurri con felpa e sneakers Puma, «è che i nostri macchinari sbagliassero. Che ci fosse qualcosa che non andava nei sensori». Ma dopo un numero paranoico di verifiche quest’opzione ragionevole e modesta è stata esclusa. Il problema stava altrove.

 

 

Marc e Arvind ora sono seduti al tavolo di una sala conferenze della facoltà di ingegneria. Hemanth è in collegamento telefonico. Dan e l’ufficio stampa, che è passata dal trattare con le riviste di settore locali ai reporter giapponesi gonfi di Shadenfreude per i guai dell’unico vero rivale della Toyota, vegliano bonariamente su di loro. E allora come si sono spiegati la discrepanza?

 

«Non ce la siamo spiegata, l’abbiamo registrata» esordisce Arvind, capelli nerissimi e scuro di pelle, la camicia blu fuori dai pantaloni. Per poi aggiungere: «Aleggiava, tra noi, il precedente leggendario del ‘98, ma non pensavamo proprio che potesse accadere di nuovo». La sera prima al Cafe Bacchus, probabilmente l’unico buon ristorante della città, Dan Carder mi aveva offerto la medesima prova di candore scientista: «Siamo ingegneri, non andiamo forte sull’immaginazione. Dovevamo raccogliere dei dati e i dati erano anomali. Solo quello, al momento, potevamo dire».

 

 

Per aggiungere ipotesi hanno dovuto aspettare parecchio. Giornalisticamente parlando, è inconcepibile: hai in mano dei dati tutti sballati, riguardanti una multinazionale dalla reputazione sin lì immacolata, e non ti viene spontanea la domanda: perché? Ma unire i punti era oltre la loro giurisdizione accademica. D’altronde quello era solo uno dei progetti in corso. Il paper diventa pubblico, in una conferenza di specialisti a San Diego, nel marzo del 2014.

 

 

La stranezza salta subito all’occhio di qualche funzionario dell’Epa che a quel punto apre un’investigazione, rifà i controlli e arriva alle medesime conclusioni. Che vengono riassunte venerdì 18 settembre 2015 in un comunicato che per la prima volta fa il nome di Volkswagen, aprendo la voragine da cui ancora fatica a riemergere.

 

Piccola pausa tecnico-esplicativa. Il diesel inquina meno della benzina quanto ad anidride carbonica, ma di più per particolato e ossido di azoto. Per risolvere quest’ultimo problema si usano i suoi oli esausti (Def), caricati nel vano motore, che di fatto scompongono gli ossidi in azoto e acqua, abbattendoli da 100 mila parti per millilitro fino a 10 parti per millilitro.

 

Questa ripulitura, però, non è gratis. Nel senso che riduce la potenza del motore (da sempre uno dei punti deboli dei gasolio) e aumenta il consumo di carburante (il suo punto forte tradizionale). Aggiungete che questo Def sta in un serbatoio supplementare che occupa spazio prezioso e che, di quando in quando, deve essere rabboccato, come l’olio o l’acqua. Tutte scocciature di cui un guidatore fa volentieri a meno.

 

 

Infine considerate che gli standard americani di qualità dell’aria (seconda sorpresa) sono assai più stringenti di quelli europei. Quindi, per essere commercializzate qui, il procedimento catalitico doveva funzionare particolarmente bene. L’alternativa onesta, quella seguita da Bmw (avvantaggiata anche dall’essere un modello più grande, che poteva ospitare più facilmente il contenitore degli esausti), è stata di trovare delle soluzioni ingegneristiche che salvassero capra e cavoli.

 

La scorciatoia imboccata da Volkswagen consiste invece nel rispettare le regole durante il test in laboratorio, per poi violarle su strada. Un algoritmo disabilitava il meccanismo di abbattimento, il motore tornava d’incanto più ruggente e le emissioni si moltiplicavano per decine di volte, alla faccia dell’ambiente e dei polmoni degli ignari americani. Ma come faceva il software a sapere quando l’auto era in laboratorio?

 

 

«Da una quantità di indicatori» spiega Carder, «tra cui il fatto che il cofano era aperto; il volante non si muoveva; i sensori del sedile non rilevavano nessun peso e quelli dell’Abs non erano attivi; il Gps non riceveva segnale e gli accelerometri piazzati nelle ruote non subivano variazioni. Insomma, qualsiasi auto è ormai un computer su ruote con chip che registrano tutto». Fine della digressione elettro-meccanica.

 

 

Il V-Day coglie i nostri eroi impreparati. Ad avvertire Carder ci pensa il proverbiale cronista. «Stavo aggiustando il motore di un camion di un amico. Quando poi recuperai il telefono vidi varie chiamate da numeri sconosciuti. Con le mani finalmente pulite dal grasso potei rispondere. Mi chiedevano di commentare e furono gentili da concedermi dieci minuti per guardare prima su internet cosa stava succedendo».

 

 

Marc è in ritiro per preparare la dissertazione di dottorato: lo scoprirà a notte fonda quando riaccenderà il cellulare. Arvind, che ha l’ufficio accanto a quello di Dan, deduce che qualcosa di strano sta accadendo dalla sua sospetta ipercinesi in corridoio. Tornando a Carder, l’ingegnere che legge poco, va al cinema di rado ma ascolta parecchia musica, dal country al bluegrass all’heavy metal («La mia vera passione sono i Kiss»), nel fine settimana rintuzza l’offensiva mediatica, sperando che passi. Illuso.

 

 

Lunedì lo avvisano che sta arrivando in città una troupe della Cbs e si fa portare dalla figlia un vestito leggermente più elegante («È incredibile: per la mia notorietà hanno fatto più quei due minuti in tv che una vita di lavoro»).

 

Quando li incontro, quasi tre mesi dopo l’esplosione dello scandalo, i danni vanno ancora quantificati esattamente. Il giorno prima il New York Times ha pubblicato un’articolessa sul tramonto del diesel, vittima di un petrolio sempre più a buon mercato, di motori a benzina più ecologici e delle incipienti auto elettriche. Oltre che, ovviamente, della pioggia acida del Dieselgate.

 

 

Negli stessi giorni il presidente Hans Dieter Pötsch definisce l’ordalia dalla quale la sua azienda sta passando «la più impegnativa della nostra storia», annunciando per il momento il licenziamento di nove dirigenti a vario titolo coinvolti nella vicenda che riguarda undici milioni di vetture. Versione ufficiale: nel 2005, non sapendo come rispettare i regolamenti senza degradare troppo le prestazioni, avevano individualmente deciso di barare.

 

Gli chiedo se non ha mai avuto paura di affrontare un bersaglio così grosso e, vergognandomi mentre lo dico, se non gli sia mai passato per la testa di proporre una soluzione amichevole. «Scherza? Noi all’inizio la Volkswagen l’abbiamo contattata, ma per farci dare le auto per i test che invece abbiamo dovuto affittare. Ma non ci hanno neanche presi in considerazione. E paura, perché mai?».

 

 

Nega anche che la sua università sia così piccola: «In totale abbiamo 30 mila studenti, e dai nostri laboratori è passato un discreto numero di ingegneri da Tor Vergata, con cui abbiamo uno scambio». I laboratori, per capirci, assomigliano molto più a officine che a posti dove si fa ricerca. Hangar che ospitano immensi motori di camion o bus, grandi come carcasse di tori meccanici, collegati a bocchettoni e a reticoli di grossi tubi, molti dei quali saldati a mano da Dan e dagli studenti, che vanno a finire dentro sistemi elettronici che ne analizzano la composizione chimica.

 

Non è un ambiente che induce la gente a montarsi la testa. Però nella modesta storia di questo posto sono cambiate più cose nell’ultimo trimestre che nei trent’anni precedenti. «L’ateneo non ci aveva mai considerato granché», ammette senza acrimonia Carder, «mentre ora ha annunciato fondi per raddoppiare il nostro gruppo di lavoro di diciotto ingegneri». A farlo particolarmente felice c’è la circostanza che molti più studenti, da tutto il mondo, vogliono venire a fare un’esperienza qui.

 

 

Arvind, che nel frattempo è stato nominato da un importante forum la seconda persona più influente dell’automotive industry (il corrispettivo di un Pallone d’argento) e che al Detroit Motor Show ha ricevuto il premio All Stars con Dan, è entusiasta che adesso, quando presenteranno dei progetti, saranno tutti molto più attenti.

 

È già successo. Da cinque anni questa squadra aveva chiesto, invano, finanziamenti all’Epa per un meccanismo piuttosto ingegnoso e a buon mercato per analizzare le emissioni di auto su strada. Ora anche Google si è detta interessata a raccogliere, oltre a tutti gli altri, anche i dati che escono dai tubi di scappamento dell’umanità. Mi mostrano la creatura con orgoglio paterno, di quei padri cui i figli sono stati una conquista tardiva. In pratica si tratta di una versione miniaturizzata dei Pems, i cassoni adoperati per sgamare le Volkswagen truffaldine.

 

 

Meno precisa, ma tanto più capillare, con la differenza che quello costa 2-300 mila dollari mentre l’Aircom, questa scatolina grande come un telecomando da cancello, a regime ne costerà solo un centinaio. «Andrà collegato allo scappamento e trasmetterà, via cellulare, i dati in tempo reale» spiega Carder. «Così si potrà sapere che concentrazione di gas nocivi ci sono e dove, di modo che chi guida possa rallentare oppure allontanarsi». È un esempio di crowdworking, di un compito distribuito a una moltitudine di utenti.

 

«Pensate a Waze, l’applicazione che vi avverte di imbottigliamenti e autovelox, ma per l’inquinamento» aggiunge Marc. Mi sfugge perché un qualsiasi essere umano dovrebbe accollarsi questa spesa supplementare. Ci hanno pensato: «È anche una maniera per capire lo stato del motore e quindi intervenire prima, risparmiando, se c’è qualcosa di anomalo. Oppure proveremo a contrattare sconti sulla revisione o sull’assicurazione, dal momento che le caratteristiche dello scappamento dicono anche cose sullo stile di guida». Di certo stavolta anche l’Epa prenderà la richiesta, dopo un lustro di due di picche, terribilmente sul serio.

 

 

Il vero mistero, opaco come una nuvola di smog, resta come alla Volkswagen sperassero di farla franca. Greg Thompson, il supervisore della squadra di Carder, offre un’analogia sportiva: «È come per gli atleti col doping: cercano di stare dentro i limiti, ma all’ultimo millimetro possibile». Qui la legge diceva «test di laboratorio» e sul resto si faceva come se non ci fossero.

 

Finché qualcuno non ha deciso, di testa sua, di farli. L’ossido di azoto provoca varie malattie respiratorie, bronchiti ed enfisema. L’ultima sorpresa, di una storia che ne è letteralmente lastricata, è che, data l’esiguità del parco circolante, le auto diesel americane sono responsabili dello 0,01 per cento del totale delle sue emissioni. Di questo parliamo quando parliamo di Dieselgate.

 

Non di un bis dell’Exxon Valdez, ma di una colossale crepa nella fiducia nei confronti di un’azienda che ne sembrava l’epitome. Gli ingegneri Volkswagen, giurano i vertici, stanno «lavorando notte e giorno» per risolvere il problema. Ritireranno le auto manipolate e devono trovare una soluzione ingegneristica che tenga insieme scappamenti decenti con prestazioni non troppo sedate. «Non è una sfida da niente» concede Dan Carder. Che, non fosse stato per lui, i tedeschi si sarebbero allegramente risparmiati.

Della serie mors tua vita mea :-D

Modificato da pennellotref
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. “There are varying degrees of hugs. I can hug you nicely, I can hug you tightly, I can hug you like a bear, I can really hug you. Everything starts with physical contact. Then it can degrade, but it starts with physical contact." SM su Autonews :rotfl:

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Ma i tre studenti poco più che ventenni ...... ......  sono già stati fatti fuori dalle "squadre di protezione d'élite" della VAG?

 

Questa sera accendo un lumino (manomesso ovviamente....:-P) per la VW

Modificato da Bosco
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Io vorrei tornare all'inizio della sporca faccenda...a quanto pare tutto ebbe l'inizio nel 2006...

Report says many VW bosses knew about diesel trick since 2006...

 

http://www.worldcarfans.com/1160123103244/report-says-many-vw-bosses-knew-about-diesel-trick-since-2006

Die Manipulation begannen, wie die von VW eingesetzten Ermittler herausgefunden haben wollen, im November 2006. Damals soll ein größerer Kreis von Mitarbeitern in der Motoren-Entwicklung den Einsatz der Betrugs-Software ("Defeat Device") besprochen haben.

http://www.sueddeutsche.de/wirtschaft/volkswagen-ein-kronzeuge-packt-aus-1.2829840

 

poi i responsabili ovvero gli ideatori sono loro..., o mi sbaglio ??

 

Dieselgate - Le indagini interne del Gruppo Volkswagen avrebbero individuato due ingegneri come probabili responsabili della scelta di utilizzare centraline modificate sui motori a gasolio. A riportare la notizia è il Wall Street Journal che parla di Ulrich Hackenberg, Capo Ingegnere Audi, e Wolfgang Hatz, responsabile dei motori da competizione Porsche, come possibili imputati. I due, tra i più importanti ingegneri della Germania, vennero promossi nel gennaio del 2007 subito dopo che Martin Winterkorn prese la guida del Gruppo Volkswagen.

 

Un terzo nome è però emerso insieme a quelli di Hackenberg e Hatz. Nonostante i dettagli sull'inchiesta interna di Volkswagen non siano stati diramati, pare che nello scandalo possa essere coinvolto anche Heinz-Jakob Neusser, capo dello Sviluppo di Volkswagen. Neusser è però passato da Porsche a Volkswagen solo nel 2011, quando i primi Diesel con Centraline modificate erano già entrati in produzione da parecchi mesi.

http://www.autoblog.it/post/747246/dieselgate-volkswagen-spuntano-i-primi-nomi

 

Modificato da Pawel72

La felicità è quando ciò che pensi, ciò che dici e ciò che fai sono in armonia.

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La vicenda sarà pure nata come iniziativa disperata di un paio di ingeNNieri a cui mancò il coraggio di ammettere l'impossibilità di raggiungere gli obiettivi imposti dalla dirigenza. E' tuttavia dimostrato che, non molto tempo dopo, la dirigenza fu informata. Ritorniamo quindi al punto: VW cerca di scaricare la colpa sugli ingeNNieri, ma è una cortina fumogena, erano tutti marci.

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Alfiat Bravetta senza pomello con 170 cavalli asmatici che vanno a broda; pack "Terrone Protervo" (by Cosimo) contro lo sguardo da triglia. Questa è la "culona".

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