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Pubblicità di auto storiche o quasi storiche


Nick for Speed

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UN SABATO sera dell’estate 1979. Una macchinina nero metallizzato, con il targhino di prova, sgomma a folle velocità e per venti minuti buoni tutto intorno a Bordighera vecchia. Poi inchioda di colpo sul piazzale, dove ancora adesso si gioca a bocce. La bambina di 6 anni e il bimbo di 10 che sono a bordo ridono come matti. Le mamme che hanno guardato lo spettacolo da terra, un po’ meno. Il guidatore scende felice come una pasqua e dice ai due amici di sempre: «Sentito che motore? È una bomba. Adesso la mettiamo in produzione». «Tre mesi che sei lì e già sei un perfetto tamarro» scherza il suo avvocato.

Il rallista della domenica è l’ingegnere meccanico Vittorio Ghidella, morto lunedì a Lugano a 80 anni, ricordato in patria solo e unicamente come “il papà della Uno”. Ma la prima macchina a renderlo felice è stata proprio quella Fiat 127 Abarth, con cui girò in Liguria per tutta l’estate trentadue anni fa. La prima da amministratore delegato della Fiat, prima di essere defenestrato nel 1987con l’accusa più surreale di tutti tempi: eccesso di “visione autocentrica”. Dopo un braccio di ferro di anni con Cesare Romiti.

«Io la marcia dei quarantamila non avrei saputo organizzarla. E da Cuccia in Mediobanca non sapevo che dire. A me piacevano le macchine e basta». Erano le uniche parole che gli si potevano strappare se si andava a trovarlo nell’esilio volontario di Lugano. Parole rigorosamente da tenere per sé, giusto a futura memoria. Poi attaccava a parlare di gestioni patrimoniali e complicati algoritmi per non perdere le fortune private dei suoi selezionati clienti svizzeri. Ghidella non rilasciava interviste, a parte una, pochi mesi fa. Non si toglieva sassolini dalle scarpe, non sdottoreggiava sui tanti successori. Neanche dopo che la storia del Lingotto gli ha dato tristemente ragione. Tristemente, per le migliaia di posti di lavoro bruciati, per i miliardi di soldi pubblici e privati drenati dall’auto e investiti nelle famose “diversificazioni”.

Quando rispondeva al telefono dal suo ritiro sulle alture di Lugano, declinava qualsiasi commento sulla Fiat. A chi lo andava a trovare in quella splendida casa-bottega, al piano terra aveva messo su una piccola boutique finanziaria e sopra c’erano gli appartamenti suoi e della moglie Giuliana, alla parola Fiat allargava le braccia e parlava di altro. Se proprio provocato con la storia dell’autocentrico, si faceva una bella risata e cambiava discorso. Però quando parlava con i suoi amici stretti, come i due di Bordighera con i quali aveva spiccato il volo alla Riv-Skf, cuscinetti a sfera, non faceva il finto tonto. Sapeva benissimo che a Torino aveva perso la classica guerra di corte. E che allora quell’accusa di essere autocentrico spianò la strada alla crescita di un’altra Fiat. Quella che dopo la sua cacciata si espanse nella finanza, nel settore difesa , nelle costruzioni civili. Ma non disse una parola neppure dopo Mani Pulite, quando i fasti di Gemina, Impregilo e Snia-Borletti mostrarono la loro faccia nascosta. Giudiziaria e finanziaria.

Quando l’ingegnere vercellese che amava definirsi un mangia-nebbia fu cacciato, a Torino venne messa in giro la voce che fosse stato beccato con le mani in chissà quale marmellata. Nessuno lo denunciò mai. Nessuno glielo disse mai in faccia. La città intera se lo cucinò come neppure nella peggiore Palermo di inizio secolo. Ghidella sapeva che perfino il salumaio della Gran Madre e l’ultimo dei tassisti avevano la loro verità: «Era bravo, ma l’hanno beccato sui soldi». La ditta “incriminata” si chiamava Rotra e faceva motorini per tergicristallo. Però era uno sputo nell’oceano dei fornitori Fiat. Un oceano nel quale la formidabile security di Mirafiori, che secondo la Cgil dell’epoca era dedita alle schedature degli operai, aveva invece il suo vero daffare.

Con decine e decine di alti dirigenti passati ai raggi X per le presunte interessenze sugli acquisti. Ghidella rideva anche di questo, nel suo esilio svizzero. Lui che neppure i figli di primo letto, li aveva fatti lavorare in Fiat. Come invece fecero puntualmente i suoi detrattori.

A Ghidella piacevano le macchine. A Parigi, quando presentò la Uno ai dipendenti nel 1983, andò alla lavagna luminosa e la disegnò perfettamente da zero. Nessuno dei suoi successori, neppure Paolo Cantarella, avrebbe saputo ripetere uno show del genere. In vacanza, apriva i cofani delle macchine, sfotteva gli amici rimasti «al soldo degli svedesi» che guidavano Volvo e Saab: «Noi adesso le faremo meglio, anche quelle grandi».

Poi un giorno gli si è spenta la luce, di colpo. Quella bambina che urlava di gioia sulla 127 Abarth è morta in macchina a vent’anni, in Olanda, nel 1993. Si chiamava Amalia ed era pazzo di lei. Casa sua era piena di foto con quegli occhioni verdi sgranati. Gli amici di lei erano ospiti graditi, ma bisognava andarsene presto. Troppo dolore.

Chi ci ha lavorato davvero sa che Ghidella non era un “compagno” e neppure era stato un manager morbido, come avevano provato a descriverlo gli sconfitti della marcia dei Quarantamila, in odio a Romiti. Era amato da gran parte degli operai e dei quadri, ma aveva idee precise sui costi da tagliare. Quand’era in Fiat, ogni tanto ripeteva questa vecchia battuta: «Se domani mattina le centinaia di dirigenti che ci sono qui s’impiccassero tutti nei bagni, non ce ne accorgeremmo per mesi». Però quando alla Skf scoprì che non c’era l’aria condizionata negli stabilimenti del Sud, era il ’75, la fece installare dopo un approfondito dibattito con il capo del personale. Di minuti cinque.

- - - - - - - - - - AGGIUNTA al messaggio già esistente - - - - - - - - - -

questo secondo me (Ghidella dipendente:mrgreen:) è la più belle testimonianza ed omaggio, pubblicato nei giorni successivi alla dipartita del "nostro" Vittorio , è un lascito giusto di come penso voglia essere ricordato,penso che insieme all'articolo di Coppini del 2005??(se la memoria non mi inganna) facciano parte del suo "biglietto da visita" per i giovani e meno giovani che incuriositi si vanno a documentare ed a interrogare se l'ingegnere vercellese era davvero cosi bravo...il migliore del secolo sempre citando Turani...

«Io la marcia dei quarantamila non avrei saputo organizzarla. E di Cuccia in Mediobanca non sapevo che dire. A me piacevano le macchine e basta».

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La Ritmo Super azzurra nella prima pubblicità postata da Paolo è quella del nonno!!

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Per tutti gli appassionati e i possessori della Lancia Dedra (ma anche di auto storiche)adesso esiste il "Lancia Dedra Forum Italia" : http://lanciadedraforum.forumfree.it/

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Già ... peccato che quella fotografata è una 1300 (con cornici finestrini verniciate) e non una 1500 (che aveva le cornici cromate). :roll:

"ciò che non c'è non si può rompere" (Henry Ford I).

"Non condivido ciò che dici, ma lotterò sempre affinché tu possa continuare a dirlo" (Voltaire).

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Moderatamente porcheggiante :mrgreen:

Anche la tipa sul cofano della Zastava 101 se la cava bene :ammic:

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Già ... peccato che quella fotografata è una 1300 (con cornici finestrini verniciate) e non una 1500 (che aveva le cornici cromate). :roll:

Lo confesso, non avrei saputo riconoscere la differenza :oops: Credevo che i due modelli fossero identici...

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