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I buchi neri scompaiono?


Guest frallog

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Guest frallog

I buchi neri sono strutture tipicamente enormemente massive che risultano essere una soluzione delle equazioni di campo della relativita' generale.

Inizialmente si pensava che una volta catturato dalloa immensa gravita' di un buco nero, e scomparso al di la' dell'orizzonte degli eventi, nulla potesse mai sfuggire piu' ad esso e ritornare libero.

Poi si inizio' a parlare di buchi neri molto piccoli, prodotti per accelerazione e si verifico' che sensa l'intensita' di un forte campo gravitazionale questi erano destinati a dissolversi.

Ad un certo punto Stephen Hawking, il piu' eminente ricercatore teorico moderno che si occupa delle equazioni di campo di Einstein, verifico' che a causa del principio di indeterminazione un buco nero in realta' puo' emettere radiazione e particelle, ed anzi trovo' che se riscaldato ad un milione di gradi un buco nero risulta brillante.

Oggi ancora Stephen Hawking sembra aver trovato una soluzione che accetta un certo termine di instabilita' per i buchi neri. Intendiamoci, e' molto probabile che tale termine sia inversamente proporzionale alla massa di un buco nero (per cui i buchi neri molto massivi comunque risultano scarsamente instabili), pero' anche per questi un termine di instabilita' esiste. Questa instabilita' porterebbe alla lenta "evaporazione" (evaporazione e' il termine piu' indicato per definire la progressiva perdita di massa e di campo) del buco nero stesso.

Accidenti, nulla e' negato neanche a chi cadesse in un buco nero allora!

Opinioni in merito sono gradite.

Regards,

Francesco 8)

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Guest frallog

Eh anche io!

E allora io dico viva la teoria dei buchi bianchi!

In questa teoria esistono delle soluzioni alle eqiuazioni del campo che permettono al buco nero di comportarsi come un tunnel spaziotemporale ed espellere una parte della materia assorbita in un'altra situazione spazio-temporale. Il terminale di espulsione viene detto allora buco bianco.

Regards,

Francesco 8) !!!

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Guest frallog

Ambe' pero' questo sarebbe pur sempre l'inizio dell'inizio di una curvatura uno!

Regards,

Francesco 8)

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In questa teoria esistono delle soluzioni alle eqiuazioni del campo che permettono al buco nero di comportarsi come un tunnel spaziotemporale ed espellere una parte della materia assorbita in un'altra situazione spazio-temporale. Il terminale di espulsione viene detto allora buco bianco.

Certo che detto così fa un po' impressione... espulso da un buco nero :shock:

Solo nel silenzio la parola,

solo nel buio la luce,

solo nel morire la vita:

glorioso il volo del falco sul vuoto cielo

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General approach

Hawking's original view follows Einstein's general theory of relativity, which predicts that, at certain locations in space, matter collapses into an infinitely small and dense point, called a singularity. The theory says that the force of gravity at this point is so great that nothing, not even light itself, can escape, hence the term 'black hole'.

Because the singularity is infinitely small, it cannot possibly have any structure and so there is no way that it can hold information. Any data about particles entering the black hole must be lost forever.

The problem is that quantum theory, which describes space and matter on very tiny scales, contradicts this. Quantum theory says any process can be run in reverse, so starting conditions can theoretically be inferred from the end products alone. This implies that a black hole must somehow store information about the items that fell into it.

Quantum evolution

Hawking has always stuck resolutely to the idea that once information goes into a black hole, there is no way out. Until now. When news@nature.com asked about his change of heart, Hawking smiled and wrote: "My views have evolved."

The remarkable about-face is the result of Hawking's attempts to combine quantum theory with general relativity in a powerful new theory of quantum gravity. Hawking is due to present his latest ideas at the 17th International Conference on General Relativity and Gravitation, which runs from 18 July to 23 July in Dublin, Ireland. But he gave a preview of the talk at his department in Cambridge University last month.

He has been using a mathematical technique called the "Euclidean path integral". The technique is extremely complex as it lumps all the possible histories of a system into one equation. First used by quantum physicist Richard Feynman, it has generally been applied to subatomic particles. But Hawking has been working for several years to apply the idea to black holes.

"The view seems to be forming in his mind that there isn't a black hole in the absolute sense, there's just a region where things take a very long time to escape," says Gibbons. This suggests that black holes do not actually narrow to a singularity at all.

The great escape

So an object falling into a black hole is not completely obliterated. Instead, the black hole is altered as it absorbs the object. Although it would certainly be very difficult to retrieve any information about that object, the data are still there, somewhere inside the black hole, Gibbons says.

How could that information ever escape? The answer lies in one of Hawking's greatest discoveries: that black holes slowly evaporate into space by losing particles from the very edge of the gravitational precipice at their rim, called Hawking radiation. The black hole eventually shrinks to a tiny kernel, at which point a growing torrent of radiation begins to leak out, potentially carrying the lost information with it.

But Preskill says that Hawking's new take on quantum gravity rests on shaky mathematical foundations, and is unlikely to be embraced by the physics community. "I am sceptical about whether he has found a fully satisfactory resolution to the problem," he says.

Solo nel silenzio la parola,

solo nel buio la luce,

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Ecco come lo scienziato shizzato andò e tornò dal futuro.

Terza puntata. Dentro il cuore dei buchi neri: singolarità o capocchie di spillo?

Quanti più dati vengono accumulati da astronomi, astrofisici e cosmologi tanto più viene avvalorata l'ipotesi che il nostro universo sia nato una o due decine di miliardi di anni fa da una grande esplosione di un qualcosa di preesistente. Che cosa fosse questo qualcosa rimarrà per sempre un mistero, quindi ognuno potrebbe farsi una sua idea personale, ed in proposito tutte le idee sarebbero equivalenti in quanto non verificabili sperimentalmente. Stev66 pensava che il nostro universo fosse nato da uno preesistente che stava collassando in un grande buco nero, solo che questo buco nero è esploso quando la sua massa ha raggiunto un valore limite oltre il quale il buco nero non poteva più esistere. A stev66 non gliene poteva fregar di meno di sapere da dove avesse avuto origine l'universo precedente al nostro: alla religione preferiva la scienza. Per lo stesso motivo gli stavano simpatici quei gaglioffi che spiegavano l'origine della vita sulla terra con l'arrivo di una spora dallo spazio. Sempre meglio di quegli stregoni che mettevano in pentola acqua, ammoniaca, metano, anidride carbonica, acido solforico, un po di sale, un po di pepe, un filo d'olio extravergine d'oliva e poi giù scariche elettriche e raggi ultravioletti a scatafascio fintanto non si formava una manciata di molecole organiche di tipo peptidico glucidico e nucleotidico che dovevano essere le pietre da costruzione delle cellule viventi. Cellule viventi mai ottenute! Pretendere di costruire in pentola quello che la natura, da qualche parte nell'universo, aveva impiegato miliardi di anni a costruire puzzava di sterminata presunzione. E' possibile che il nostro universo sia formato non solo dalla materia e dall'energia prodotte dal big bang, ma anche da materia ed energia residue dell'universo precedente che non erano ancora precipitate nel buco nero. Dei buchi neri si conoscono solo alcune proprietà. Su che cosa sia realmente un buco nero, ed in porticolare cosa contiene al suo centro, è e rimarrà un mistero. Fra qualche migliaio di anni, se l'umanità progredirà invece di regredire, la matematica e la fisica saranno talmente perfezionate che è probabile si possa dare una illustrazione teorica incontrovertibile dei buchi neri. Per quanto riguarda il cuore dei uchi neri le nostre conoscenze attuali ci permettono solo di fare delle congetture più o meno plausibili. Sappiamo che se gli spazi interatomici venissero eliminati, la dimensione del pianeta terra assumerebbe quella di un arancio; un arancio di massa simile a quella della terra e composto solo dai neutroni e dai protoni di tutti i nuclei atomici della terra. Bene: un pezzo di nocciolo di buco nero avente massa uguale a quella del pianeta terra ha le dimensioni di una testa di spillo, o almeno questo era quello che pensava Stev66. Infatti i protoni ed i neutroni sono a loro volta composti da particelle subnucleari fra le quali c'è ancora molto spazio, e le particelle subnucleari sono fatte da particelle ancora più piccole fino ad arrivare ai componenti base veramente indivisibili della materia. Eliminando gli spazi fra queste particelle si ottiene la materia di cui sono fatti i buchi neri. Stev66 non sapeva descrivere bene la materia di cui questo pezzo di buco nero era costituito, ma gli piaceva l'idea delle stringhe, ossia dei componenti subnucleari più piccoli che l'umanità riusciva a immaginare. Buona parte dei fisici teorici moderni direbbe che la materia di un buco nero è una singolarità, ossia un punto infinitamente piccolo privo di dimensioni avente massa immensa. Stev66 considerava le singolarità come il risultato di calcoli matematici e fisici la cui correttezza era incerta, e di fronte ad esse si ricordava sempre di una frase comune fra i biochimici: don't waste clean tinking with dirty material (se si pianifica un esperimento occorre stare attenti a "non sprecare pensiero pulito con materiale sporco" altrimenti alla fine si è fortunati se non si arriva ad alcuna conclusione oppure si è maledettamente scarognati se si ottiene un risultato che sembra vero ma che in realtà qualcuno prima o poi dimostrerà che è falso). La fisica era piena zeppa di un pensiero pulito avente la matematica come strumento di espressione, ma molto di questo pensiero pulito rischiava di essere sprecato a causa dell'uso di un materiale sporco rappresentato da una molteplicità di costanti perfettibili, postulati e stime in cui potevano annidarsi errori più o meno marchiani. Non a caso nessuno riusciva ad elaborare una teoria universale unificata nonostante tutti ci provassero forsennatamente. Questo era per Stev66 un continuo monito che lo rendeva sospettoso, diffidente e guardingo nei confronti delle affermazioni delle menti famose. I tipi che gli ispiravano maggior fiducia rimanevano Niccolò Copernico (1473-1543), Galileo Galilei (1564-1642), Giovanni Keplero (1571-1630), Isaac Newton (1642-1727), James Maxwell (1831-1879), Max Planck (1858-1947), Niels Bohr (1885-1962), Edwin Hubble (1889-1953), George Gamow (1904-1968), Abdus Salam (1926-1996), e tutti i filosofi ed i matematici in generale.

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Ecco come lo scienziato shizzato andò e tornò dal futuro.

Quarta puntata. DIAGNOSI: eresia schizoide da entero-diffidenza maniaco-depressiva. TERAPIA: catturatelo!

Coi loro calcoli i fisici teorici erano in grado di dimostrare tutto ed il contrario di tutto. Accoppiando una matematica pulita con dei postulati sporchi i fisici teorici erano arrivati a dire che esistevano i buchi neri ed i buchi bianchi, la materia e l'antimateria, la gravità e l'antigravità, il tempo e l'antitempo e che, udite udite, nei paraggi dei buchi neri gli elettroni si attraevano invece di respingersi. Non solo: all'orizzonte degli eventi dei buchi neri laddove il tempo si fermava, calcoli alla mano, si erano trovati dei tunnel spazio temporali, e se uno avesse mai l'ardire di ficcarcisi dentro potrebbe comodamente viaggiare avanti o indietro nel tempo a suo piacimento. Ma, nonostante la superba magnificenza del pensiero imperante, stringhe e superstringhe erano ancora degli oggetti che corrispondevano a quello che ai tempi di Democrito di Abdera erano gli atomi: misteriosi elementi base indivisibili della materia. Nel caso dell'atomo si dovettero attendere oltre due millenni prima di capirne la sua vera essenza; a giudicare da come si stavano mettendo le cose c'era il fondato rischio che si dovessero attendere altri due millenni per capire cosa effettivamente fossero le stringhe. Era in pieno corso un lodevole tentativo di sviluppare una teoria universale unificata avente come protagoniste le stringhe, ma per rispettare la teoria della relatività ed il suo stramaledetto postulato dell'insuperabilità della velocità della luce ci si ritrovava ad arrampicarsi sugli specchi di un superspazio a ben dieci dimensioni brancolando nel buio senza riuscire a scorgere una dignitosa via di uscita. I ricercatori preferivano imbarcarsi in un assurdo e farraginoso superspazio a dieci dimensioni (di cui sei arrotolate e compattate in modo da risultare inosservabili) pur di non ammettere l'esistenza dei tachioni la cui unica colpa era quella di viaggiare a velocità superluminali e quindi di minare le fondamenta dell'intoccabile pensiero di Mammasantissima Don Albert Einstain senza scappellarsi e senza manco baciargli prima le mani e i piedi non prima d'avergli leccato l'innominabile. Stev66 era inviperito: tutta la scienza ufficiale remava contro quello che a lui stava più a cuore, ossia poter viaggiare a velocità elevatissime con l'obiettivo di sfondare il muro del tempo. Ma la cosa più spettacolare partorita dalle più potenti menti pensanti della fisica erano i wormholes, ossia dei cunicoli scavati dai buchi neri attraversando i quali si usciva dal nostro universo per entrare in un altro. A Stev66 gli giravano le palle e pacatamente pensava: ma perchè non vedete un pò d'andare tutti quanti a farvi fott...biiip...ere? Animato da grande entusiasmo e da grandi aspettative leggeva quasiasi argomento avesse a che fare con l'universo, rimanendone a volte deluso. La versione divulgativa della relatività di Albert Einstain gli era sembrata disgustosa e fu continuamente tentato di buttare il libro nel cesso a causa della spiacevole sensazione che Eintain esprimesse di proposito il suo pensiero in maniera criptica per trasformare cose semplici e comprensibili ai più in cose complesse ed incomprensibili anche ai meno della ristretta cerchia degli addetti ai lavori. Ma di cosa aveva paura Einstain? Aveva forse paura che se avesse messo in grado tutti quanti di capire avrebbe aumentato le probabilità che sbucasse fuori dal nulla un qualche sagace dotato di palle e privo di peli sulla lingua che gli avrebbe potuto gridare alto e forte "non diciamo fesserie"? Chi scrive un libro divulgativo non può lasciare lo stile ai sarti ma deve fare dello stile uno strumento fondamentale di comunicazione. Einstain ebbe il colpo di genio di lasciare lo stile ai sarti riempiendo così il mondo di sarti che lo ritenevano il più grande pensatore di tutti i tempi: le cose che non si capiscono appaiono geniali mentre in realtà le cose geniali sono quelle più semplici alle quali normalmente non si pensa. Per Stev66 Einstain divenne quindi un tipo losco: il suo linguaggio criptico aveva forse lo scopo di nascondere l'originalità e la validità del suo pensiero. In seguito, continuando ad appassionarsi di fisica, Stev66 depennò Einstain dalla sua lista personale delle menti brillanti quando si avvide che egli aveva solo preso i sudati dati di alcuni fisici sperimentali per costruirci sopra una teoria della relatività che in realtà era già nota ai fisici del suo tempo. L'unico merito di Einstain fu quello quasi contabile di mettere insieme in maniera organica i dati e le idee che supportavano la relatività, mentre un suo demerito certo fu quello di speculare in maniera a volte sperticata su dati sperimentali sudati da altri, ed in un caso particolare fu costretto a riconoscerlo lui stesso. Stev66 non accettava che si potessero usare postulati sporchi per sprecare un pensiero pulito, figurarsi se poteva accettare che si usassero dati puliti per produrre un pensiero sporco.

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Ecco come lo scienziato shizzato andò e tornò dal futuro.

Quinta puntata. DIAGNOSI: psico-gastro-entero-diffidenza reiterante. TERAPIA: sparatelo!

Un altro libro che deluse Stev66 fu "Dal big bang ai buchi neri" di Stephen Hawking, quello che era considerato il più grande fisico teorico vivente. Stev66 prese l'accendino, si accese una sigaretta e diede fuoco al libro quando a due terzi dell'esposizione l'autore cominciò a speculare sull'esistenza o meno di Dio. Si disse fra sè e sè: diamoci un taglio prima di dover leggere che esiste un Dio che, elucubrazioni alla mano, dimostra l'esistenza di sè stesso. Stev66 conosceva la matematica come le sue tasche, e proprio per questo era molto diffidente nei confronti dei fisici teorici. Era convinto che ognuno era libero di pensare nuova fisica come meglio credeva ma che la grandezza di un fisico si misurava con la sua capacità di dimostrare sperimentalmente la validità della fisica che aveva pensato. Sbizzarrirsi a pensare fisica alla grande era un esercizio divertente, spettacolare ed indubbiamente utile all'umanità. Senza immaginazione non si ottengono idee e senza idee non si va da nessuna parte. Ma pensare fisica e poi aspettare che qualcun'altro ne dimostrasse la validità scientifica era di gran lunga più facile e comodo chè pensare fisica e poi assumersi l'onere di dimostrarne sperimentalmente la validità. Tutti sapevano che il mondo della fisica era pieno di costanti perfettibili (se non addirittura immaginarie), stime e postulati e quindi tutti dovevano essere coscienti che pensare fisica senza dargli poi un avallo sperimentale comportava il grosso rischio di accecare invece di illuminare. Era per questo che Stev66 aveva gran simpatia per tutti quei fisici che avevano lavorato duramente in laboratorio, compresi quelli meno noti che magari avevano speso la loro intera esistenza per dimostrare sperimentalmente una singola idea. Era invece epidermicamente negativo verso quanti avevano ottenuto successo, fama e relative prebende avendo fatto lavorare solo il cervello senza mai sporcarsi le mani. La vera fisica, quella che ci permette di fare dei passi avanti nel nostro modo di vivere e quella che ci apre delle prospettive concrete è quella che si produce sperimentalmente, mentre la pur lodevolissima fisica teorica rimane in balia di potenziali difetti, errori o virus fintanto non gli si dà una conferma sperimentale. Ad esempio Stev66 sospettava che tra i virus che affliggevano la fisica contemporanea ve ne fosse uno particolarmente devastante: se l'insuperabilità della velocità della luce imposta da Einstain si rivelasse un atto di fede diverso dalla realtà l'intero mondo della fisica scoprirebbe d'aver lavorato male per ben un secolo! La relatività conserverebbe sempre la sua piena validità, ma dovrebbe essere ripensata basandosi su un numero diverso da 300.000 Km/s. Dopo Einstain si è accumulata una discreta mole di evidenze a sostegno della relatività ristretta e generale, ma dopotutto nessuno è mai stato in grado di dimostrare sperimentalmente che non sia possibile oltrepassare la velocità della luce. Anzi, negli ultimi tempi era saltato fuori qualche schizzato irrispettoso che sosteneva, prove alla mano, d'aver abbattuto il muro della velocità della luce. La generale accettazione dell'idea che nulla possa viaggiare a velocità superluminali si raggiunse quando si dimostrò sperimentalmente che la velocità della luce non aumentava all'aumentare della velocità della sorgente emittente. Ma per Stev66 questo poteva significare al massimo che la luce non può viaggiare più velocemente di 300.000 Km/s, e gli sembrava strana la generalizzazione che siccome i fotoni non possono viaggiare a velocità maggiori di 300.000 Km/s nulla possa viaggiare a velocità maggiori di 300.000 Km/s! E chi strakakkio sono sti mammasantissima di fotoni? I figli della gallina bianca? Era pur vero che la velocità della luce era una gran velocità e che non s'era mai scoperto nulla di più veloce (se non recentissimamente), ma dopotutto cos'era la velocità della luce di fronte all'universo se non qualcosa di estremamente misero? A Stev66 sembravano già troppi gli 8 minuti che un fotone impiegava per andare dal Sole alla Terra, figuriamoci i 4 anni per andare dal Sole all'altra stella più vicina (Proxima Centauri), i 100.000 anni solo per percorrere il diametro della nostra galassia, i 2,2 milioni di anni per raggiungere la galassia più vicina (Andromeda) ed i 2,2 miliardi di anni per attraversare la Grande Muraglia di galassie. Non solo: dato che esistono galassie lontanissime che si allontanano dalla Terra a 260.000 Km/s, un fotone che tentasse di raggiungerle partendo dalla terra impiegherebbe un tempo superiore a quello dell'età dell'universo (circa 15 miliardi di anni). Questi dati suggerivano a Stev66 che 300.000 Km/s è sì una bella velocità, ma è nello stesso tempo una ben misera velocità pensando che consentirebbe di andare e tornare una o al massimo due volte da una delle stelle più vivine al sistema solare nel corso della nostra vita.

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