Vai al contenuto

I raid di Gente Motori - N.9 - Fiat Ritmo "TransAmazzonica '80"


Messaggi Raccomandati:

Inviato

 

TRANSAMAZZONICA '80

 

Di Gianni Marin

 

Hanno collaborato

 

Carlo Massagrande (rilevazioni tecniche)

Bruna Marin (parte turistico-illustrativa)

Vanni Belli (servizi fotografici)

 

 

RiservaIndiosWaimiriAbonari2.jpg.78acf3eef11dd95eece1ff3f31942a4b.jpg

 

 

Un'ora qualsiasi, di un giorno qualsiasi, di una settimana qualsiasi. Anche per me è l'ora del passeggio; quello che al sud si chiama “struscio” e qui, a Milano, si dice “andar per compere”. È il solito cabotaggio del sabato: i dischi, i dolci della domenica, la ricerca di qualche buon film. La zona è la stessa: corso Venezia, piazza San Babila, corso Vittorio Emanuele, via Montenapoleone.
E tutte le viuzze interne della “Milano-bene”, fra cui via della Spiga che sfocia in corso Venezia.
All'angolo una importante agenzia di viaggi. In una delle vetrine uno stupendo manifesto pubblicitario. È un invito a visitare il Brasile attraverso una fotografia aerea d'effetto.
Una specie di serpente di terra rossa che si snoda senza testa e senza coda all'infinito, in una verde distesa di foresta. Sembra quasi che un colpo di spada abbia squarciato, mettendole a nudo, le viscere rosseggianti della natura.
I miei viaggi nascono tutti da stati emotivi ed era quindi logico che una fotografia del genere scatenasse la mia fantasia.

Con i raid di Gente Motori abbiamo percorso un po' tutte le strade d'America, ma erano state avventure abbastanza semplici, faticose fin che si vuole, ma tutte condotte a termine in ambienti sufficientemente progrediti e civilizzati. Ma l'Amazzonia, proprio a questa regione del Brasile si riferiva la fotografia che ho descritto più sopra, era una cosa nuova, già psicologicamente carica di avventure, piena di leggende e di fantasie, “vista” solo sui libri dei grandi viaggi, ancora misteriosa benché l'uomo sia ormai giunto quasi alla boa del ventesimo secolo.

 

Dovevo andarci con la mia solita équipe; pochissime persone affiatate, addestrate, pronte a sacrificarsi in ore e ore estenuanti di guida, pronte a reprimere gli inevitabili momenti di ira e di scoramento, quando cala la sera e si fa sentire il sonno ma non ci si può fermare, quando lo stomaco reclama il cibo ma bisogna continuare, quando si ha sete ma l'acqua pulita è finita e non ci si può fidare di quella che l'ambiente offre.
L'Amazzonia si, ma quale strada scegliere? Con quali automobili andarci? In quale periodo? Cerco notizie sulla Transamazzonica, la “BR 406”, la prima grande arteria i cui lavori hanno avuto inizio nel settembre del 1970.

Essa “avrebbe” dovuto collegare l'oceano Atlantico al Pacifico, unire Joao Pessoa e Recife a Rio Branco e Cruzeiro do Sul (poste ai confini con il Perù e la Bolivia) per poi proseguire in territorio peruviano.
Cinquemilacinquecento chilometri complessivamente, di cui 3300 nella foresta amazzonica. Un'opera che ha richiesto la costruzione di oltre duecento ponti e che è costata qualche cosa come trecento miliardi di lire italiane.
Della Transamazzonica in Europa si è favoleggiato. Si è parlato come di un'impresa titanica, di zone nuove aperte allo sfruttamento minerario, agricolo e industriale, di popolazioni tolte da un millenario abbandono.

 

Ebbene: di quei 3300 chilometri di lavoro sovrumano, dove il lavoro nel periodo secco (da ottobre a febbraio) avveniva senza soste, ventiquattro ore su ventiquattro, dove in più punti è stato necessario stendere chilometri e chilometri di fogli in plastica per proteggere il fondo dall'erosione delle piogge, dove gli uomini addetti ai lavori hanno dovuto affrontare (e molti ci hanno rimesso la pelle) il pericolo delle malattie tropicali, il tormento degli insetti, gli attacchi degli animali feroci, l'ostilità degli “indios”: ebbene dicevo, di questi 3300 chilometri ormai terminati oggi ne “sopravvivono” soltanto duecento.

È stata la grande rivincita della natura. L'uomo l'ha violentata, l'ha mutilata, ha tentato di cambiarne il ciclo e il corso, ma la natura è più forte dell'uomo: ha fortificato le radici dei grandi alberi che sprofondate nell'humus sono riemerse sul nastro stradale sconvolgendolo mentre i rami, le liane, le “barbe” della foresta tropicale invadevano tutto, cancellavano, riconquistavano quel posto che dal momento della creazione era stato loro.

Il sogno del tecnico tedesco Friedrich Hopke (era alle dipendenze del Dipartimento stradale del Parà) che aveva vagheggiato una grande via di comunicazione che unisse gli estremi navigabili dei grandi affluenti di destra al Rio delle Amazzoni è così miseramente naufragato, assieme a quello di unire anche il Nord est arido e sovraffollato all'Amazzonia, ricca di acqua e scarsamente popolata.
Scartata la Transamazzonica classica, dovevo cercare un'altra strada nell'ambito di quel programma, in parte molto utopistico, varato dal SUDAM, che prevedeva di costruire complessivamente oltre dodicimila chilometri di strada che avrebbero dovuto tagliare l'Amazzonia in senso longitudinale e verticale.
Una di queste, realizzata da reparti dell'esercito “dovrebbe” congiungere Manaus a Santa Elena de Uaren, posto di confine fra Brasile e Venezuela. Ho scritto “dovrebbe”, poi vi spiegherò perché Si tratta insomma di una Transamazzonica nord-sud e viceversa che prosegue poi in territorio venezuelano.

Il tratto venezuelano è stato tracciato dal “battaglione di ingegneria” comandato dal generale Joan Kavanang Ilaramendi di origine inglese nei lontani anni '58-'59. Lavori più seri sono stati poi compiuti nel 1972 dall'allora comandante del “battaglione di ingegneria”, tenente colonnello Cajigal, attualmente promosso generale.
Ed ecco perché ho scritto “dovrebbe”. In effetti, e scrivendo questo anticipo un po' le notizie successive, ma ciò è necessario per meglio inquadrare il raid di Gente Motori, il tratto brasiliano non esiste come strada vera e propria come la si intende all'europea, mentre quello venezuelano da El Dorado (ultima prigione di Henri Charrière, l'autore di “Papillon”) è un tratturo, interrotto in più punti, quasi cancellato dalle torrenziali acque equatoriali, franato in più punti, regno sovrano di animali, foreste ed eventi naturali.
Ma chi vi racconta questa storia sapeva ben poco di tutto questo. In testa avevo soltanto la foto dell'agenzia turistica vista a Milano e il richiamo di un mondo sconosciuto, tutto da scoprire. Forse una reazione naturale al mondo dei motori al quale quotidianamente mi dedico.
Ebbene, vista l'impossibilità di percorrere la Transamazzonica in senso longitudinale, ho deciso di puntare su quella nord-sud prendendo come “capolinea” di partenza Caracas capitale del Venezuela, e come stazione di arrivo in Brasile il capoluogo dell'Amazzonia: Manaus.
Rimaneva il problema di scegliere le automobili.

 

Caracas2.jpg.d799cfbc0f2e1715c8542cff19b185a1.jpg

Caracas

 

Ho preso in esame i modelli delle varie Case e, senza sciovinismo da parte mia e del giornale che dirigo, ho deciso di puntare ancora una volta sulla Fiat Ritmo nella versione “65” con motore di 1300 centimetri cubici di cilindrata, lo stesso modello cioè che avevo utilizzato per il raid “Montreal-Miami” degli inizi del 1979. E ciò avveniva con uno scopo ben preciso.
Come i lettori ricorderanno, allora vennero superate condizioni meteorologiche infernali che avevano raggiunto il loro culmine nei trentacinque gradi sotto lo zero e nella bufera di neve (da vent'anni non se ne verificava una di simile) da Washington in giù, nel Nord Carolina, nel Sud Carolina, nella Georgia.
Andando in un Paese come l'Amazzonia avevamo la possibilità di sfruttare condizioni ambientali completamente opposte, temperature che già sulla carta si annunciavano di ben quaranta-quarantacinque gradi sopra lo zero, la possibilità di incontrare i famosi acquazzoni violentissimi dell'Equatore e a cui si poteva aggiungere, in contrapposizione alle veloci autostrade canadesi, il tormento rappresentato da strade in terra battuta (e che credevo fossero soltanto tali), quindi tanta polvere e molti sassi.
Da tutto questo poteva quindi nascere un confronto estremamente interessante e un giudizio su di una vettura che, nata con i galloni dell''Auto anni '80', ha avuto un avvio difficile, almeno sul mercato italiano.

 

Ho scelto dalla produzione normale due Fiat Ritmo nell'ultima versione, cioè quelle già dotate di servofreno e di ventilatore centrifugo che assicura un maggior silenzio e una maggiore portata d'aria. Vi ho fatto apportare qualche leggera modifica; piccole cose, mentre tante altre che sarebbero state necessarie date le condizioni delle strade sono rimaste soltanto nel regno dei sogni e dei desideri.

Ho fatto sostituire le molle anteriori delle sospensioni, facendo montare quelle delle Ritmo 75 con cambio automatico, vettura che essendo più pesante ha richiesto questa modifica. Le due “Ritmo Amazzonia” (così le ho battezzate) erano più alte di circa due centimetri.

È stato anche aumentato lo spessore del tampone in gomma degli ammortizzatori (ad anello interno) in modo da guadagnare in altezza circa 25 millimetri.

Due sole le protezioni vere e proprie: una anteriore, una specie di slitta in alluminio dello spessore di cinque millimetri che difendeva motore, cambio e parte delle sospensioni (era stata ancorata alla traversa anteriore e alla scocca); una posteriore in lamiera d'acciaio con interposto materiale isolante del tipo Septun.

Per le gomme avevamo ancora una volta optato per i Pirelli P3 tubeless ma con camera d'aria aggiunta per evitare l'afflosciamento del pneumatico in caso di buche e quindi urti e ammaccature del cerchione.

Misura 165/70 SR 13, cioè più larghi dei 145 SR 13. Il diametro dei due tipi di pneumatici è uguale, ma essendo più larga la superficie d'appoggio, il peso veniva meglio ripartito e si guadagnava naturalmente in tenuta di strada.

In conclusione posso dire che per le auto si è trattato più di una messa a punto che di una preparazione tipo “Sahara” o fuoristrada, mentre per le gomme ci si è avvalsi ancora una volta di un modello qualsiasi, montato normalmente in serie, mentre, giudicando con il senno di poi, molto più opportune sarebbero state le gomme del tipo tassellato.

La Publimais di Torino ha provveduto come al solito ad “addobbare” con le nostre scritte le due Ritmo 65, che se ne sono partite via mare, per Caracas, punto di partenza della “Transamazzonica '80”, il nuovo raid di Gente Motori.

 

Caracas1.jpg.3e49dc5c7cfec98b75b47578609df6cc.jpg

Caracas

 

Venti e più giorni di viaggio e poi lo sbarco a Caracas con il quasi contemporaneo arrivo dei quattro avventurosi, entusiasti, ben preparati fisicamente e psichicamente ma ingenui, perché nessuno di essi conosceva esattamente lo stato delle strade.
Una situazione che si sarebbe rinnovata continuamente, perché chiedere informazioni agli abitanti sulle condizioni delle strade è sempre stato perfettamente inutile. Le risposte erano tutte fantasiose, approssimative e il più delle volte, anche per gli abitanti delle zone attraversate, soltanto “per sentito dire”.
A Caracas “consiglio di guerra”. Dobbiamo stabilire le tappe, tenendo presenti i pochi centri abitati che dovremo attraversare e le condizioni ambientali con autentici pericoli per la nostra incolumità.
Come, ad esempio, l'attraversamento della riserva degli indios Waimiri Abonari, 325 chilometri prima di Manaus, per una lunghezza di 120 chilometri, tuttora selvaggi e il cui ingresso e uscita sono piantonati da reparti dell'esercito che intervengono nel caso in cui questi rischiosi 120 chilometri non vengano percorsi in un tempo ragionevole.
Normalmente le auto vengono fatte marciare in colonna e viaggiano a finestrini completamente chiusi.
Gli indios Waimiri Abonari hanno già “fatto fuori” non meno di trecento bianchi che si erano azzardati ad attraversare la zona. L'ultimo, mi raccontavano, in un modo piuttosto originale: costringendolo a mangiare una banana dietro l'altra. È morto per ingozzamento e asfissia.

Cinque le tappe presumibili: da Caracas a Porto Ordaz, da Porto Ordaz a La Clarita (Les Clarines), da La Clarita (Les Clarines) a Santa Elena de Uaren, punto di confine fra Venezuela e Brasile, da Santa Elena de Uaren a Boa Vista e infine da Boa Vista a Manaus, una tappa lunghissima quest'ultima di oltre ottocento chilometri che ci costringerà a rimanere al volante per quindici ore e cinquantatré minuti primi, su di un tracciato impossibile anche alle capre ma su cui, a parte gli indios già citati, non esiste praticamente alcun villaggio con le caratteristiche per essere definito tale che ci consentisse una sosta con un minimo margine di sicurezza.

Caracas: dalla capitale del Venezuela ha avuto inizio l'avventura amazzonica dei nostri quattro inviati sorretti dalla forza più grande, quella dell'incoscienza. È la metropoli che ha visto muovere i nostri primi passi con le due Ritmo 65 che avevamo trovato in ottimo stato dopo circa un mese di traversata atlantica. C'era un solo neo: erano state rubate le radio per le comunicazioni dirette che montiamo sempre per evitare di perderci.
Le abbiamo ricomperate: poco male. Tutto il resto è a posto e Carlo Massagrande inizia il suo doppio lavoro: pilota dell'auto color rosso dall'inizio alla fine, nonché rilevatore di dati, di situazioni, di appunti tecnici. Con una meticolosità impressionante.
I suoi primi rilievi sono: i pieni di carburante, la pressione delle gomme, il funzionamento delle radio, la temperatura esterna, il grado di umidità atmosferico, ecc. ecc.
Proseguirà poi con lo stato delle strade, i tempi di percorrenza, le ore di sosta per foto e altro, le medie, le distanze da... e via dicendo.
Con lui viaggerà Vanni Belli, un'habitué paziente e preciso di queste nostre avventure; con me mia moglie, alla quale è affidata la contabilità, la dispensa di bordo, le annotazioni di viaggio su cui poi nasceranno le didascalie delle fotografie e queste mie note.

 

Caracas3.jpg.aca272c8ebbe775f4f47d859fcec1484.jpg

Caracas

 

Dedichiamo due giorni alla parte fotografica di Caracas, capitale di questo immenso paese che compre una superficie di 912.000 chilometri quadrati ma sul quale abitano soltanto dieci milioni e mezzo di persone. Caracas, con i suoi due milioni di abitanti è una città allucinante.
Nata dalle rovine di due terremoti, quello del 1755 e quello del 1812, Caracas è diventata una megalopoli. È stato costruito un aeroporto ai bordi del Mar dei Caraibi, che però è stato quasi subito distrutto per lasciar posto ad un altro, fantascientifico.
Sono stati abbattuti dei grattacieli per costruirne altri ancora più alti, è stato realizzato nel cuore della città il Centro Bolivar, due grattacieli gemelli uniti da un vastissimo fabbricato adibito a uffici sotto il quale scorre l'Avenida Bolivar.
Il centro storico, quello del passeggio, delle boutique, dei negozi denominato Saban Grande, non esiste quasi più: è stato smantellato per lasciar posto ad altre strade e ad altri grattacieli.
Le strade sopraelevate che si intersecano, si avviluppano l'una con l'altra non si contano. Dall'Hotel Tamanaco, dove alloggiavamo nei giorni di sosta, giunge un continuo rumore di automobili.
Sono migliaia, decine di migliaia di vetture continuamente in movimento a qualsiasi ora del giorno e della notte.
D'altronde il problema del prezzo della benzina non esiste: la normale dal bassissimo numero di ottani (60/65) costa 30,26 lire al litro; quella Super 69,30 lire al litro. Il gasolio ha un prezzo medio di 42,75 lire al litro. È la civiltà del petrolio in tutta la sua esplosione, dato che non bisogna dimenticare che la massima ricchezza venezuelana è costituita proprio dal petrolio con 116.820.000 tonnellate estratte (ultimo dato ufficiale) nel 1977, che pongono il Venezuela al quinto posto fra i grandi Paesi petroliferi. Esso viene estratto dai bacini di Maracaibo, Falcòn, Barinas e Maturìn.
Ma di fronte a questa esplosione di ricchezza non bisogna rimanere abbagliati. Bisogna vedere anche l'altra faccia di questa città.

 

Caracasperiferiaconfinecivilt.thumb.jpg.becea3e0a3f9f26d33e627d4f3fd4fae.jpg

Caracas - Ai confini della civiltà

 

Quella delle “bidonville”, le stesse che si trovano a Rio de Janeiro e in altri Paesi sudamericani dove vengono chiamate “favelas” e che qui in Venezuela sono battezzate “los barrios”.
Quello di Sabana Grande è immenso. Se lo si osserva dal basso sembra un fitto grappolo di case lassù sulla collina: di giorno mostra tanti buchi neri al posto delle finestre, di notte è un luccichio di tanti lumini traballanti. Perché a Sabana Grande come negli altri “barrios” la luce elettrica non esiste, come non esistono l'acqua e i servizi igienici.
È questo contrasto tra i grattacieli di Caracas moderna e la povertà dei “barrios” che lascia tutti perplessi. Ma il viaggio sta per cominciare. È ora di iniziare a raccontarvi la nostra avventura e quella delle due Ritmo 65.

 

Fine prima parte

  • Mi Piace 1
  • Adoro! 2
  • Grazie! 2

"... guarda la libidine sarebbe per il si, ma il pilota dopo il gran premio ha bisogno il suo descanso... e poi è scattata la regola numero due: perlustrazione del pueblo e ricerca de los amigos... ah Ivana, mi raccomando il panta nell'armadio, il pantalone bello diritto. E un po' d'ordine in stanza... see you later!" (Il Dogui, Vacanze di Natale)

Inviato

Seconda parte

 

Mappa.jpg.b2c1b0c3735d92efcfe954d78e02d87f.jpg

 

Lasciamo alle spalle Caracas, la megalopoli venezuelana e affrontiamo la prima tappa. Ci siamo proposti di percorrere circa ottocento chilometri, cioè da Caracas a Porto Ordaz.
In realtà faremo soltanto quattrocento metri in meno, cioè 799,600 chilometri, tutti asfaltati, di cui 104,900 in città, 71,700 in autostrada e 623 su strade urbane.
Rimaniamo al volante tredici ore e cinquanta minuti, di cui dieci e trentatré di guida effettiva. La media è di 75,791 chilometri all'ora. Il traffico è molto intenso soprattutto per uscire da Caracas: circa cento chilometri di strada particolarmente trafficata, dove i “locali” guidano alla garibaldina.
Incocciamo in una serie di paurosi acquazzoni che riducono molto la visibilità e ci costringono a guidare con prudenza.
Fa sempre molto caldo: da una temperatura iniziale mattutina di ventisei gradi centigradi, si passa ben presto ai 38-39 gradi delle ore più calde; l'umidità si aggira intorno al 48-50 per cento.
Tutto questo ci consente di fare alcune considerazioni sulle nostre Ritmo.
Innanzitutto, la ventilazione interna è stata migliorata: la circolazione d'aria infatti è superiore a quella riscontrata sulle Ritmo che abbiamo provato un anno fa da Montreal a Miami. Il ventilatore centrifugo (che ha una maggiore portata d'aria e si presenta più silenzioso) fa sì che i vetri non si appannino.
Non è l'ideale; però un miglioramento, e notevole, vi è stato.
Seconda considerazione le gomme. L'asfalto è discontinuo e tremendamente insidioso, a causa dello strato di terra rossa che lo ricopre, proveniente dai campi che costeggiano la strada. Bisogna quindi fare attenzione a non frenare bruscamente e a “pennellare” le curve dosando l'acceleratore.
I Pirelli P3 Tubeless in queste condizioni si dimostrano ottimi: tengono perfettamente, ammortizzando le diseguaglianze del manto stradale e consentendo di mantenere con sicurezza la traiettoria impostata dal pilota.

 

Caracasperiferiamercatoindios.jpg.4266021f7bb4858e4a8026cdf4a14864.jpg

Caracas, periferia. Il mercato degli indios.

 

Seguiamo la cosa sino a Barcellona e a Porto La Cruz. In lontananza, tra le brume del Mar dei Caraibi, emerge la Tortuga, isola di pirati per antonomasia. Più lontano, sulla destra, s'intravede l'isola Margarita, 850 km quadrati, la più vasta del Venezuela. A Porto La Cruz ci fermiamo per fare rifornimento e per mettere qualcosa sotto i denti.
Distributore di benzina e bar sono gestiti da Alvarez Mangueira, un simpatico bianco di origini spagnole. Si avvicina mentre con un cannocchiale osservo queste isole.
“Vede”, mi dice in un misto di spagnolo e francese, “quella laggiù è l'isola Margarita. Centinaia di anni fa era abitata dagli indios Guaiqueri, buoni, leali, che vivevano in pace con tutti. Un giorno furono attaccati dai feroci indios Caribes, provenienti dal continente.
Ne ammazzarono moltissimi. I pochi rimasti, per nascondere ai figli questa strage, o forse per trovare una giustificazione alla loro sconfitta, crearono una leggenda: questa. Una bella sacerdotessa Guaiqueri mise al mondo, sotto l'effetto di un sortilegio, un mostro.
Prima che esso diventasse pericoloso, i saggi della tribù lo legarono a un tronco e gli diedero fuoco. Ma una nube nera si levò dal rogo, mentre un vento fortissimo disperdeva le ceneri su tutte le isole e sul continente.
Ciascun frammento di questa cenere generò un indios Caribe, figlio del mostro la cui cattiveria invano si era cercato di distruggere con il fuoco.”

Alvarez mi racconta questa storia con enfasi, quasi fosse la sua storia e quella della sua famiglia. Mi dice che l'isola Margarita venne visitata nel 1498 da Cristobal Colomb (il nostro Colombo), che venne accolto con tutti gli onori.
I pochi indios Guaiqueri gli regalarono in segno di deferenza le preziose perle di cui le acque dei Caraibi erano ricche. Questo segnò l'inizio di una loro nuova distruzione: gli spagnoli tornarono e li costrinsero a cercare perle. Il mare insidioso, i pescecani, il sanguinario tiranno Lope de Aguirre, che nel 1561 incominciò a “regnare” sull'isola, decretarono la loro fine o quasi.

 

Lasciamo Alvarez Mangueira e Porto La Cruz; diamo un addio al mare e ci inoltriamo verso l'interno. Il mare non lo vedremo più, in compenso ci avviamo verso le regioni dei grandi fiumi, il primo dei quali sarà l'Orinoco, immenso, maestoso come tutti i fiumi venezuelani-brasiliani.
L'Orinoco lo incontriamo nei pressi di Ciudad Guayana, che insieme a San Felix, Matanzas e Porto Ordaz è diventata ormai una città unica.
La zona attraversata è abbastanza monotona: solo un mare d'erba, che qui chiamano “llano”, cioè “piano”, e rappresenta il toponimo delle pianure percorse dall'Orinoco.

 

CiudadBolivarpontesuOrinoco.jpg.1b9a5a227edc031863117e50021003b2.jpg

Ciudad Bolivar. Ponte sull'Orinoco.

 

Un vero mare d'erba che si estende per mezzo milione di chilometri quadrati sui quali, oltre a mole tribù indios, vivono i Llaneros, i “gaucho” locali, generosi, sbruffoni, sempre allegri, che hanno ispirato tanta letteratura venezuelana.
I Llaneros sono nomadi, come gli indios, e sono i soli che riescano ad avere un colloquio con costoro.
A Porto Ordaz arriviamo a notte già inoltrata.

Poche ore di sonno ed eccoci pronti per la seconda tappa, che da Porto Ordaz ci dovrà portare a La Clarita o, più precisamente, a un famoso “chilometro 88” oltre il quale comincia la vera traversata amazzonica, con tutti i suoi misteri, le sue incertezze, le sue poche e vaghe notizie.
Vanni Belli si “esibisce” in alcune fotografie alla periferia di Porto Ordaz, dove si possono ammirare le magnifiche rapide formate dal Rio Caroni.

 

PortoOrdazVenezuela.thumb.jpg.6ec6baa7e7853c171b0463e2a5884fe1.jpg

Porto Ordaz.

 

Il programma della giornata prevede 456,700 chilometri di strada, praticamente tutti in zone disabitate o punteggiate di piccoli villaggi. Di questi 366,600 sono asfaltati e 90,100 su terra battuta.

Li percorriamo in dieci ore e 58 minuti (5 ore e 41 minuti di guida effettiva). La velocità media è di 86,441 chilometri all'ora: 96,473 km/ora sull'asfalto e 60,741 km/ora sulla terra battuta.
La temperatura media della giornata supera i 38 gradi con una umidità del 50 per cento.
Nascono frattanto i primi problemi a causa della benzina, il cui numero di ottani non supera quota 65: i motori delle due Ritmo 65 iniziano a battere in testa per il fenomeno della preaccensione.
Cominciano anche le nostre preoccupazioni, per nulla mitigate dal fatto che la benzina costi qualcosa come 40 lire al litro.
Sino a El Dorado la strada non pone alcun problema. È asfaltata, molto tortuosa, a schiena d'asino, in alcuni punti estremamente stretta, ma il tempo si mantiene favorevole, quindi, fiduciosi delle qualità di stradista delle due Ritmo, spingiamo a fondo.
Breve sosta a El Dorado: quattro casupole che non varrebbe la pena citare, se non avessero rappresentato l'ultima prigione di Henri Charrière, meglio conosciuto col nome di “Papillon”.

 

Nel suo famoso libro Charrière così descrive El Dorado: “E' stato, innanzitutto, la speranza dei conquistadores spagnoli, i quali, vedendo che gli indios che provenivano da questa regione erano carichi d'oro, credettero fermamente che ci fosse una montagna d'oro, o almeno metà terra e metà oro.
Ma El Dorado è prima di tutto un villaggio sulla riva di un fiume pieno di caribes, piranha, pesci carnivori che in pochi minuti divorano un uomo o un animale, di pesci elettrici, i tembladores, che girano attorno alla preda, uomo o animale che sia, la folgorano in pochi istanti e in seguito la mangiano, mentre va in decomposizione. In mezzo al fiume c'è un'isola e su questa un vero e proprio campo di concentramento. È il 'bagno penale venezuelano'”.

Questa la El Dorado dell'autore di “Papillon”, cioè farfalla, un soprannome affibbiatogli in gioventù negli ambienti della malavita: la stessa farfalla tatuata che campeggia sul suo torace, tra un ritratto di donna e una testa di galeotto.
A El Dorado non ci sono più i forzati, il penitenziario non esiste più. La gente ricorda poco o nulla, ma il Paese conserva il volto dei luogo abbandonati da Dio e dagli uomini. Per le strade (strade per modo di dire) quasi nessuno: i pochi che incontriamo ci guardano spaventati.

Non ci resta quindi che abbandonare l'asfalto e iniziare la nostra avventura. Attraversiamo il Rio Cuyuni e troviamo ad attenderci i “numeri uno” della Fiat venezuelana: Carlo Lanfossi e Cesare Chirighin.

 

PontesulRioCuyuniVenezuela.jpg.8a3cab6e9f84d2e0da04401a8f3a9320.jpg

Ponte sul Rio Cuyuni.


Sono arrivati con un bireattore executive per augurarci buon viaggio. La loro presenza ha il sapore di un rimorso: quello di averci lasciato partire da Caracas con le due piccole auto verso un'avventura secondo loro irrealizzabile.
Ci guardano con preoccupazione; hanno sentito parlare delle difficoltà del percorso, ma loro stessi non le hanno mai provate personalmente.
In bocca al lupo” mi dice Lanfossi “e appena possibile telefoni. Stia attento perché la strada è insidiosissima. Anzi, la non-strada”.
Partiamo verso La Clarita dove giungiamo a sera inoltrata. La Clarita non è una città, non è un paese, non è un villaggio. Tre casupole e una baracca adibita a ristorante, albergo e supermercato.
Qui fanno capo gli indios locali, i cercatori d'oro e di pietre preziose e i cacciatori di animali da pelliccia. Uomini che si accontentano di dormire sulla nuda terra, passando gran parte della loro vita a piedi scalzi nelle acque dei fiumi a rimestare con le mani terra e melma, per trovare pochi grammi d'oro o qualche scheggia di diamante che rappresentano un miraggio della sognata ricchezza e che si rivelano invece soltanto un mezzo per sfamarli in qualche modo.
Passiamo la notte a La Clarita in piccole stanze, senza luce, senza aria. Mancano persino le finestre. Il letto è costituito da un tavolaccio e dal nostro sacco a pelo.
Poche ore di riposo ed è l'alba. Ci sveglia il canto del gallo.
Siamo al “chilometro 88”.
Ha inizio la grande avventura.

 

Fine seconda parte

 

  • Mi Piace 1
  • Adoro! 1
  • Grazie! 4

"... guarda la libidine sarebbe per il si, ma il pilota dopo il gran premio ha bisogno il suo descanso... e poi è scattata la regola numero due: perlustrazione del pueblo e ricerca de los amigos... ah Ivana, mi raccomando il panta nell'armadio, il pantalone bello diritto. E un po' d'ordine in stanza... see you later!" (Il Dogui, Vacanze di Natale)

Inviato (modificato)

Terza parte

 

La piccola sveglia, che ho messo sullo sgangherato tavolino che separa il mio pagliericcio da quello di mia moglie, suona. Ma ero già sveglio da un pezzo.
Dalla specie di hotel dove stavo passando la notte non giungeva alcun rumore. Ma da fuori mi giungeva il respiro della foresta, quella foresta che avevamo intravisto la sera prima arrivando a La Clarita.
Un posto dimenticato da Dio e dagli uomini, dove avevamo deciso di pernottare. La foresta respira: è un mormorio, un sussurro, un sordo rombo di tamburi, un pizzicare di corde di violino, un suono di oboe, a cui si aggiungono altri rumori, altri sussurri, che aumentano di intensità, si zittiscono improvvisamente per poi riprendere con un alternarsi di alti e bassi.
E, più vicini, il cinguettare di uccelli sconosciuti, il canto del gallo (c'è sempre un gallo, in qualsiasi posto di campagna, che ti dà la sveglia e il canto è uguale dappertutto), lo starnazzare di galline faraone che sembrano aver trovato qui, al margine della foresta, il loro regno.
È il momento della sveglia per tutti. La toilette è rapida. Usciamo.
Albeggia, l'aria è afosa e umida. Un velo di nebbia, di caligine, copre gli alberi. Non si vede il cielo. I soliti controlli: Massagrande le “sue” automobili, mia moglie i rifornimenti, Vanni Belli le sue macchine fotografiche (perennemente preoccupato per l'elevato grado di umidità e per la polvere che dovremo affrontare e che potrebbe compromettere il suo non facile lavoro).

 

Mappa.jpg.fb4549a5063df1eff50cda97fb1baada.jpg

 

E' il momento di partire. Obbiettivo: raggiungere il confine con il Brasile e la cittadina di Santa Elena de Uairen. È la nostra terza tappa, che sarà lunga 249,500 chilometri. Duecentocinquanta chilometri di terrore.
Partiamo affrontando una strada di terra rossa, tutta buche. Abbiamo lasciato alle spalle i “llanos”, le immense distese di savana venezuelana, e siamo nella foresta, in quel pianeta Amazzonia che non ci abbandonerà più fino a Manaus, dove abbiamo fissato il nostro punto di arrivo. Ma arriveremo indenni?
Dopo dieci chilometri incontriamo l'ultimo distributore di benzina. Sino al confine con il Brasile non ve ne saranno più. Rifacciamo il pieno di questo pessimo carburante a sessantacinque ottani, ma forse ne ha anche meno. Chiediamo notizie della strada, di cosa ci attende.
Ma nessuno sa niente; nessuno sa darci notizie sicure. Racconti, favole, tutto per sentito dire.
Non ci resta che verificare di persona.

 

La strada, via via che procediamo, si fa sempre più infida. È una autentica gimcana, una sfida fra i due piloti e i sassi appuntiti, più o meno grossi, disseminati ovunque. Vi sono anche torrenti limacciosi che attraversano la strada; l'acqua ristagna perché fortunatamente da alcuni giorni non piove. Ma in quella melma si nascondono altri sassi: se li urtiamo rischiamo di rimetterci la coppa dell'olio, o magari il serbatoio della benzina.

 

(ma non aveva messo le slitte?)

 

La strada comincia a salire, dobbiamo affrontare un altopiano. Ma ecco improvviso l'agguato: la strada che sale si trasforma improvvisamente in una specie di scala.

Con la benzina che abbiamo, con il battito in testa di questi motori, con i fenomeni di autoaccensione continui e ai quali non possiamo porre rimedio, forse non riusciremo a farcela.

Nella migliore delle ipotesi ci rimetteremo le frizioni. Il nostro è un autentico consiglio di guerra: continuare o ritornare?

“Continuare.” A turno io e Massagrande, a piedi, ci impegniamo a regolare la marcia di uno e dell'altro. Le povere Ritmo piangono.

 

LaClaritaVenezuela1.jpg.5f90a7c30d88779ae6c046591080fe45.jpg

La Clarita.

 

Non mi sono mai entusiasmato eccessivamente per un motore; non sono cioè un patito della meccanica. Ma nel sentire questi poveri motori delle Ritmo piangere, le sospensioni chiedere aiuto, le carrozzerie torcersi in cento innaturali movimenti, anch'io ho incominciato a soffrire.

Prima marcia, raramente seconda; giocare di frizione e acceleratore; un occhio puntato alla strada e l'altro all'amico che ti fa segno dove passare. E non siamo che agli inizi.

Finiscono le “scale” e con loro... sparisce definitivamente la strada.

E' sommersa da sassi, o asportata da torrenti. A turno un tratto in auto e un tratto a piedi a spostare sassi, togliere tronchi, tracciare il percorso.

Siamo in viaggio da un paio d'ore e già la stanchezza si fa sentire. La nebbia è sparita, c'è il sole, fa già caldo e il grado di umidità è elevatissimo. Attorno a noi, sempre la foresta: uno degli spettacoli assoluti della natura. La foresta amazzonica l'avevo già sorvolata in aereo, andando e ritornando da Rio de Janeiro dove mi ero recato per provare la vetturetta ad alcool della Fiat. Dall'alto appare come un mare vegetale sul quale emergono qua e là i tronchi bianchi degli alberi di cocco.

Ma dal basso la foresta offre un volto diverso, che non ha eguali in altre parti del mondo. Questa che stiamo attraversando è a cinque strati.

 

LaClaritaVenezuela.thumb.jpg.f5350a4d1d04dfe26356f7ca9b69c677.jpg

La Clarita.

 

Sono come cinque piani di un immenso caseggiato a cui bisogna aggiungere l'attico, forse il più bello, dove vivono i fiori più fantastici, le orchidee più colorate, dove trionfa la natura nei suoi colori più fantasmagorici.
Poi, scendendo verso il basso, il quinto piano, caratterizzato dalle ampie chiome a ombrello degli alberi più alti, che possono raggiungere anche i cinquanta metri; poi quelli di media altezza, con le chiome a zazzera; il terzo piano è molto compatto e forma la barriera più consistente ai raggi del sole; poi gli ultimi due, formati da una vegetazione che diventa sempre più rada man mano che si scende.
Non conosco nulla di botanica, a parte quei pochi striminziti fiori che sopravvivono nella mia casa di cittadino.
Però fra questi alberi riuscivo a riconoscere i ficus, i filodendri, quelli che noi chiamiamo stelle di Natale, con le foglie diventare rosse e che i botanici indicano con il nome di “Euphorbia Pulcherrima”.

 

LaEscaleraVenezuela1.jpg.e7b85f518b6166305cfb90a465fb08f3.jpg

La Escalera.

 

Anche le felci ho riconosciuto, ma qui tutto è caratterizzato dalle dimensioni: ciclopiche, innaturali. I molti millenni di crescita indisturbata hanno consentito a tutte queste specie di evolversi in una straordinaria molteplicità. È come trovarsi in una immensa serra naturale, dove l'inverno non arriva mai, dove la vita e la morte si susseguono con una rapidità impressionante, perché la morte dell'uno è la vita dell'altro. Tutto germoglia, cresce, fiorisce, fruttifica con un ritmo vertiginoso.

La strada frattanto continua a salire. Impieghiamo cinquantacinque minuti per attraversare un punto in cui l'acqua ha cancellato il tracciato. I motori fanno quello che possono, ma le sospensioni sono meravigliose e lo sterzo è preciso.

 

LaEscaleraVenezuela.jpg.8926e68d51603ef69373c2bf23e274c8.jpg

La Escalera.


E che dire dei pneumatici, di questi Pirelli P3 che in queste condizioni si comportano come degli autentici pneumatici da fuoristrada? Procediamo a fatica, tutti soli in questo mare di verde, senza mai incontrare anima viva, un camion, un'automobile, un essere umano.
Il sole è già alto e l'umidità è diventata opprimente. Siamo sui trentanove gradi all'ombra con un 48 per cento di umidità.
Finalmente sbuchiamo su un vasto altopiano.

 

LaEscaleraVenezuela2.jpg.1c5ba96bfbf7572ccb22007689309359.jpg

La Escalera.

 

La strada migliora, se di strada si può parlare, o per lo meno, non essendo più in pendenza e quindi soggetta ad essere dilavata e cancellata dalle piogge equatoriali, corre con una certa uniformità. La nostra attenzione non viene mai meno.
La foresta lascia il passo a vastissimi prati, che farebbero la fortuna dei nostri allevatori di bestiame. Invece qui non c'è nessuno.

 

LaEscaleraVenezuela4.jpg.dd989a24db2037b73ec85e403163cc9f.jpg

La Escalera.


Siamo giunti al Paso de El Danto e si profila un monumento: è dedicato al “Soldado pionero”. Fotografie d'obbligo e un attimo di sosta.
Continuiamo verso il nostro traguardo di giornata, con la strada sempre infida, che richiede tutta la nostra attenzione. Vediamo del fumo all'orizzonte. Speriamo di trovare un villaggio o qualche cosa di simile.

 

LaEscaleraVenezuela3.jpg.f750e076ef7cec16804db8260f6dc60b.jpg

La Escalera.


Invece è un accampamento militare: posto di controllo; abbiamo tutto in ordine. I militari sono molto gentili e ci chiedono di portare a Santa Elena de Uairen un portaordini.
La cosa ci mette di buon umore. Se non fossimo passati noi, chissà mai quando questi ordini sarebbero arrivati a destinazione.
Il soldato viene con noi. Viaggerà zitto zitto, mai un sorriso, una parola. Un grazie solo all'arrivo, che avviene dieci ore e cinquanta minuti dopo. Le ore di guida effettiva sono state 6 e trentanove minuti.
Abbiamo perso quattro ore e undici minuti per qualche foto e per le tante peripezie. La media è stata bassissima: 37,518 chilometri all'ora, ma l'essere arrivati al confine tra Venezuela e Brasile è autentica fortuna.

 

PasodeelDantoVenezuela.thumb.jpg.531d86d245b7625371193bdd3dfc16fc.jpg

Paso de El Danto.

 

Spuntiamo alla periferia del paese, poche case al margine di una zona tutta montagne. Siamo stanchi, abbruttiti, affamati e assetati. Puzzolenti, anche. Abbiamo sudato le classiche sette camicie. Tutti ci guardano come dei fantasmi. Il militare se ne va, barcolla un po'; chissà a cosa sta pensando.
I consumi sono stati sempre contenuti: 9,979 litri/100 chilometri la mia Ritmo; 10,060 litri/100 chilometri quella pilotata da Massagrande.
Pernottiamo a Santa Elena de Uairen. Il confine lo attraverseremo l'indomani. Il problema è quello della benzina: con questo carburante possiamo andare incontro al peggio.

 

SantaElenadeUairenVenezuela.thumb.jpg.eded632d19e6d37eb92b7f14b39c8167.jpg

Santa Elena de Uairen.


“Dio vede e provvede” è stato un po' il nostro motto di questi giorni e Dio ci è venuto ancora una volta incontro, facendoci conoscere in questo paesino di frontiera un italiano, un romano: Franco Melchiorri, trapiantatosi qualche anno fa in questo paese dello stato di Bolivar.
Alto, asciutto, baffetti da moschettiere, a suo modo artista (fotografo, pittore, scultore), Melchiorri ha tagliato i ponti con l'Italia e la nostra civiltà.
Ha una moglie venezuelana, due figli stupendi, una graziosa casa sulle cui pareti campeggiano quadri da lui dipinti, un piccolo laboratorio fotografico e, benché lo neghi, tanta nostalgia per l'Italia dove, a Ostia, vive una sorella.

 

Ci invita a casa sua ed ecco che “Dio provvede”: Melchiorri ha un suo rifornimento di benzina Super. Non è la Super italiana, ma è certamente migliore di quella venduta alle pompe.
Beviamo un caffè e Melchiorri ci parla della sua passione motoristica, dei suoi viaggi in sella a una moto sfidando selvaggi e sentieri sconosciuti.
“Lei ha una grande fortuna”, mi dice Melchiorri, “quella di poter ammirare la foresta amazzonica. Da domani la vedrà. È forse il più grande spettacolo della natura. Nulla è più monotono di essa, ma la sua monotonia è una spinta ad andare sempre più avanti, per vedere ancora di più, sempre di più.”
Il discorso cade sul Rio delle Amazzoni.
“Sa perché si chiama così?”, mi dice l'amico italiano. “Tutto si rifà alle parole dettate nel 1540 dal frate spagnolo Gaspare Carjaval, uno di quegli uomini leggendari che partirono dal Perù con pochi viveri e poche armi e navigarono per mesi su fiumi sempre più grandi, immersi in una foresta in cui i raggi del sole non riuscivano a penetrare.
Quest'uomo lasciò una testimonianza: 'Improvvisamente vidi delle donne, armate di frecce e di archi, che scortavano gli uomini al combattimento e lottavano con coraggio superiore a quello degli uomini stessi. E quando essi cercavano di fuggire, usavano gli archi come mazze per colpirli. Facevano pensare alle amazzoni. Difficilmente si potrà credere a un comportamento così lontano da quello che è la normale natura delle donne.
Franciso Orellana, il mio capitano, volle sapere qualche cosa di più su queste donne alte, intrepide, bionde e nude. Come potevano avere figli visto che non si sposano e non vogliono uomini accanto a loro? Gli indios gli spiegarono che ogni tanto esse invadono qualche regno vicino, lottano, fanno dei prigionieri che portano con sé per l'accoppiamento; poi li rimandano a casa.

Quando i bambini vengono alla luce, uccidono quelli di sesso maschile e mandano i cadaveri ai padri.
Allevano invece con grande amore le figlie, istruendole all'arte della guerra.'
A questa leggenda”,
conclude Franco Melchiorri, “il re dei fiumi deve il suo nome, Rio delle Amazzoni, e la regione il nome di Amazzonia.”

Lasciamo Melchiorri e Santa Elena de Uairen e ripartiamo con le due Ritmo 65 rifornite sino all'orlo di benzina Super. Non abbiamo consumato un grammo d'olio. Le ispezioniamo dal di sotto. La mia, quella azzurra, ha un bozzo pauroso nella slitta posta a difesa del motore.

 

(ah, ecco... c'erano le slitte :D... noi andiamo in pausa un attimo, vi lascio in compagnia di due amici incontrati per strada :)  )

 

CapibaraetucanoaSantaElenadeUairen.jpg.7631a5dde1047d3f2bfedfebe7f772c4.jpg

 

A fra poco col finale ;) 

 

Modificato da PaoloGTC
  • Mi Piace 1
  • Adoro! 1
  • Grazie! 4

"... guarda la libidine sarebbe per il si, ma il pilota dopo il gran premio ha bisogno il suo descanso... e poi è scattata la regola numero due: perlustrazione del pueblo e ricerca de los amigos... ah Ivana, mi raccomando il panta nell'armadio, il pantalone bello diritto. E un po' d'ordine in stanza... see you later!" (Il Dogui, Vacanze di Natale)

Inviato (modificato)

Quella di Massagrande ha il serbatoio che, a forza di botte, ha ridotto (e di parecchio) la sua capienza. La fortuna comunque ci ha assistito.

La tappa che ci attende, da Santa Elena de Uaren a Boa Vista, non è lunga: 243,700 chilometri, ma anche questi accidentati.

Le pratiche di frontiera sono piuttosto laboriose, soprattutto perché dobbiamo far recuperare alla Fiat Venezuela circa settanta milioni di lire versati come cauzione per la temporanea importazione delle due Ritmo 65.

I documenti si sprecano, ma alla fine passiamo dal Venezuela al Brasile. Per raggiungere Boa Vista impieghiamo otto ore e 43 minuti, di cui 4 ore e 16 minuti di guida effettiva. Media: 37,117 chilometri all'ora.

Ci avviciniamo all'Equatore; Boa Vista ci accoglie con una di quelle magnifiche serate da film hollywoodiano. Ovunque il profumo di fuori esotici, in un'aria calda, sensuale. Al centro della città il monumento all'eroe nazionale: il “garimpeiro”, il cercatore di diamanti.

La strada è abbastanza insidiosa, ma non perfida come nella terza tappa. Le auto perfette, come sempre. I consumi? Sempre gli stessi. Siamo così giunti all'ultima tappa, quella che assieme alla terza sarà la più dura per noi e per le automobili.

 

Mappa.jpg.e264a6d30f8ea914382d95cbefcbc1d0.jpg

 

Queste ultime sono sempre più sporche, sempre più impregnate di terra e polvere rossa, ma dall'efficienza immutata.

La quinta tappa ci deve portare da Boa Vista a Manaus: 805,400 chilometri, di cui 775 di terra rossa e soltanto 30,400 d'asfalto.

Il serpe rosso che avevo sognato in Italia è realtà: è la vera Amazzonia, che ci costerà quindici ore e cinquantatré minuti di fatica, di cui undici ore e diciotto minuti di guida effettiva; che ci costringerà a passare con mezzi di fortuna il Rio Branco e il Rio Negro per arrivare laggiù a Manaus, la capitale dell'Amazzonia, dove il Rio Negro e il Rio Solimoes incontrandosi formano il Rio delle Amazzoni.

Non vi è nulla al mondo che eguagli questo fiume immenso, soprattutto là dove nasce col nome di Rio delle Amazzoni, dove la profondità è di 75 metri e il corso così impetuoso che le acque nere del fiume proveniente dal Nord non riescono a mescolarsi con quelle del Rio Solimoes.

Più che un fiume è un mare, con la sua marea (la piena annuale) che qui chiamano “echante”, quando il livello sale, e “vasante”, quando il livello scende.

 

BoaVistaBrasilemonumentoalgarimpeiro(cercatoredidiamanti).jpg.0c153f6920281d30d78cc0f0c9cd05de.jpg

Boa Vista. Monumento al "garimpeiro"

 

Con le nostre piccole “scialuppe” procediamo in questo mare di verde. Ogni tanto si notano delle fenditure: sono i sentieri dei piantatori di manioca e dei raccoglitori di gomma. In questo caos vegetale, ogni tanto una piccola radura e degli indios, semi-civilizzati e semi-nomadi.
Bruciano un tratto di foresta: la cenere concima il terreno e l'indio semina le cose indispensabili per vivere.
Sfruttato il terreno si trasferirà in un altro luogo. Ecco perché, di quando in quando, si trovano zone fumanti, alberi mezzi carbonizzati, capanne di indios nuove e altre abbandonate.
Questo è un altro paradosso dell'Amazzonia. Vista così superficialmente la si può giudicare come la più fertile regione della Terra. Invece i pochi abitanti civili debbono essere sfamati con prodotti che arrivano da Rio, da San Paolo, da altre regioni del Brasile.
Colpevole di questo è il suolo, estremamente povero. Uno strato di pochi centimetri di humus su un suolo di sabbia. Nel grande ciclo della vita dell'Amazzonia tutto si basa sulla fotosintesi clorofilliana.

 

BoaVistaBrasile.jpg.e00f49f45b42553d49809c839c51feaf.jpg

Boa Vista.

 

La vita è tutta aerea, mentre le piogge equatoriali portano via l'humus man mano che questo si forma.
Ecco perché tutte le forme di vita, anche le più mostruose, più impressionanti, più vive, sono aeree; grandi tronchi, liane che corrono per decine e decine di metri, foglie gigantesche, fiori stupendi, ma sotto, radici piccole, come gambe da pigmeo in un corpo gigante.

Avanziamo nella foresta fra mille sussurri. Vediamo degli indios e cerchiamo di richiamare la loro attenzione. Ma scappano. Incocciamo anche in un posto di blocco dell'esercito brasiliano. Registrano i numeri di targa delle nostre auto, i nostri nomi; ci danno un paio d'ore di tempo per attraversare poco più di un centinaio di chilometri, che dobbiamo percorrere a finestrini alzati e senza mai fermarci.

 

CaracaraiBrasile1.jpg.f4215f8b15161f796fddf71b5f09c54b.jpg

Caracarai.

 

Nella zona “bazzica” la tribù degli indios Waimiri Abonari, di cui vi ho già parlato. Procediamo veloci guardandoci intorno, ma non vediamo nessuno. Alla fine del tratto, un'altra pattuglia e registrazione di “scarico”. Anche gli animali sono sempre rimasti latitanti in questo viaggio. Solo uccelli, tanti, bellissimi, qualche tucano, un paio di capibara, un solo serpente e basta. Animali ce ne sono, ma bisogna cercarli nella foresta; l'Amazzonia non è uno zoo senza sbarre.
Siamo tutti molto stanchi. Poco dopo mezzogiorno raggiungiamo l'Equatore; il sole è proprio a picco, non esiste l'ombra. Temperatura 47 gradi all'ombra. L'umidità? 80 per cento. C'è da sfiancare un bufalo. Eppure procediamo.

 

CaracaraiBrasile2.thumb.jpg.69b86731a588e4136a0a22cf935365d7.jpg

Caracarai.

 

Abbiamo finito le bibite, l'acqua e la frutta. Ma, ciò che è importante, le due Ritmo 65 funzionano nel modo migliore. Sospensioni e architettura dei sedili ci consentono di procedere con un certo comfort, ma dalla polvere non riusciamo più a salvarci. A Manaus ci accorgeremo che le nostre Samsonite non sono riuscite a difendere li abiti dalla polvere. Ancor oggi ce la portiamo dietro.

Man mano che ci avviciniamo a Manaus incontriamo anche capanne abitate da “seringueiros”. Sono i resti di quell'esercito di raccoglitori di lattice di gomma, questa materia prima che tra il 1890 e il 1910 inaugurò una nuova età dell'oro. Una ricchezza improvvisa, nata da un albero, chiamato “hevea brasiliensis”, che cresce solitario nella profondità della foresta amazzonica. Basta inciderne il tronco ed ecco sgorgare un lattice che, bollito in una caldaia, si trasforma in gomma.
Il mondo industrializzato occidentale aveva sempre più fame di gomma e il “seringueiro” trasformò la zona, soprattutto Manaus che fino a quel momento non era altro che un accampamento di militari, in un centro di frenetico commercio della gomma.

 

RiservaIndiosWaimiriAbonari1.jpg.1b2e42c63353176f121e4bc221fe8ebd.jpg

Riserva Indios Waimiri-Abonari.

 

Migliaia e migliaia di uomini incominciarono a risalire il grande fiume, in una corsa simile a quella che quarant'anni prima si era scatenata in California a causa dell'oro. Poi il crollo.

 

Henry Alexander Wickam riuscì a portare con sé a Londra settantamila sementi dell'albero della gomma che vennero piantati in Estremo Oriente, nei Paesi attenenti alla Corona inglese. Fu il crollo dei prezzi e a Manaus, per moltissima gente, la fame.

Qualche “seringueiro” lo abbiamo incontrato anche noi. Un po' inebetito, fuori dal mondo, vive di illusioni o forse soltanto di ricordi. È comunque solo in un mondo in cui l'albero della gomma non riveste più l'importanza degli anni a cavallo del ventesimo secolo.

Siamo ormai agli ultimi cento chilometri. La stanchezza si è ormai impadronita di tutti. I nervi sono a fior di pelle.

Massagrande resta senza benzina, col suo serbatoio ridotto a causa dei colpi subiti. Per fortuna abbiamo con noi delle taniche di riserva. Mettiamo un po' di benzina anche nella mia Ritmo 65 per maggior sicurezza.

 

CaracaraiBrasile2.thumb.jpg.006147a82ec6ebfdac1d06966906c26f.jpg

Caracarai.

 

CaracaraiBrasile1.jpg.2879b9d886de46980af0b9571e2c9c8f.jpg

Caracarai.

 

La strada ora scorre sulla roccia, tra fenditure e crepe che mettono a dura prova tutto il complesso automobile. I colpi sono secchi, continui; il formicolio ti prende alle mani e alle braccia.
Per di più la strada è tutta a saliscendi; un percorso da montagne russe con paurosi strapiombi a destra e a sinistra. Salite e discese sembrano interminabili.
Cala anche la sera e tutto diventa ancora più pericoloso. Temiamo per le nostre auto. Cambio, motore, freni, carrozzeria, telaio, sospensioni, mai collaudo più probante è stato condotto sulla Ritmo. Il risultato?
Siamo qui a raccontarvi le nostre avventure, mentre le due Ritmo 65 sono già rientrate in Italia. Saranno esposte in varie città e poi, pulite, ritoccate, riviste continueranno la loro vita in mano a qualche utente. È l'unico mio rimpianto: non riavere con me le vetture che per cinque giorni sono state la nostra ancora di salvezza.

 

CippoEquatore(vedididatesto2).jpg.203959412872f6250f35e3e86447c281.jpg

Il cippo all'Equatore.

 

Anche l'ultima fatica è stata superata ed ecco, dopo quasi sedici ore, le prime casupole di Manaus. Ci viene incontro l'Hotel Tropical, costruito in piena giungla sulle rive del Rio Negro. In stile coloniale, ma modernissimo, super attrezzato con tre ristoranti, bar, night-club, campi da tennis, giardino tropicale con un magnifico zoo, due piscine.
È il punto di partenza per conoscere gli “igarapé”. Fiordi, canali, lagune nella giungla sulle rive dei quali sorgono i villaggi degli indios.
Una giungla non addomesticata dove si incontrano ragni grossi come tartarughe, serpenti, scimmie e tanti altri animali. Manaus oggi è zona franca. Vi arrivano nord-americani e brasiliani dalle grandi città per acquistare radio, televisori, impianti Hi-Fi e cento altre cose.
Ma i prezzi, almeno per il nostro metro, non sono fra i più favorevoli. La città, oggi, ha perso tutto il suo splendore.

 

Manaus.jpg.8d88ad60821a4d5fe3c719fdf321257d.jpg

Manaus.

 

Manausteatrodellopera.jpg.d00f7d6c9a0b584f32f97543c28f616b.jpg

Manaus. Teatro dell'Opera.

 

Manausbidonville.jpg.f4254bf168751a6d963c39ccabb450b7.jpg

Manaus. La bidonville.

 

Laggiù, verso il fiume, la bidonville, poi un centro eguale a quelle di tante altre città sudamericane, resti di un passato fascinoso e affascinante e su tutto, come un meteorite caduto in mezzo alla città, il teatro dell'Opera, costruito portandolo pezzo per pezzo dall'Europa. Ci venne a cantare, arrivando via fiume, persino Enrico Caruso.

La nostra avventura è terminata. La tabelle realizzate con le annotazioni di Massagrande contengono tutte le indicazioni tecniche sulle tappe, i consumi, le velocità medie.. ma io che cosa posso aggiungere?
Di tanti test questo è stato il più probante. Abbiamo usato due berline di serie, costruite per le strade europee, alla stregua di due fuoristrada. Non le abbiamo risparmiate.
Come si sarebbero comportate altre auto? Non lo sappiamo e non lo sapremo mai. Una cosa comunque è certa. Si è trattato di una prova irripetibile condotta al limite, in una situazione ambientale difficile. È questa la migliore garanzia di qualità per la Ritmo.

 

Fine

 

A seguire, alcune immagini "bonus" che non sono riuscito ad inserire nel testo (come sempre, erano troppe).

 

Ispirandomi al sommo, l'intento non era quello di annoiarvi, ma se ci fossi riuscito, credetemi, l'ho fatto apposta. :D

 

GTC

 

 

MonumentosoldadopioneroaPasodeelDanto100kmdaLaClarita(territoriovenezuelano).jpg.0687f3fd65ed4b32e443037fcb576126.jpg

Paso de el Danto. Monumento al "soldado pioniero".

 

TraghettoRioNegro.jpg.27561a61e12fb03f1c11d24acf2ff2a3.jpg

Traghetto sul Rio Negro.

 

VistaAlegreBrasileRioBranco1.jpg.4ab78da55b0aaf2a59aa175be6f33a1b.jpg

VistaAlegreBrasileRioBranco2.jpg.88f9d2426d880be47a0d0a100a2bfb8e.jpg

VistaAlegreBrasileRioBranco3.jpg.20f92d2bbdfe41f9ea6cced03d5d9d0a.jpg

Vista Alegre. Rio Branco.

 

 

Modificato da PaoloGTC
  • Mi Piace 1
  • Adoro! 1
  • Grazie! 4

"... guarda la libidine sarebbe per il si, ma il pilota dopo il gran premio ha bisogno il suo descanso... e poi è scattata la regola numero due: perlustrazione del pueblo e ricerca de los amigos... ah Ivana, mi raccomando il panta nell'armadio, il pantalone bello diritto. E un po' d'ordine in stanza... see you later!" (Il Dogui, Vacanze di Natale)

Inviato

Chissà  chi si è  comprato l'usato sicuro...

"Non si preoccupi , l'usanza solo una vecchietta per andare a Messa la domenica...a Manaus ;) ".

Archepensevoli spanciasentire Socing.

Inviato
2 minuti fa, stev66 scrive:

Chissà  chi si è  comprato l'usato sicuro...

"Non si preoccupi , l'usanza solo una vecchietta per andare a Messa la domenica...a Manaus ;) ".

 

L'ho pensato pure io :D

Se non ricordo male, in fase di trapasso c'era una nuova immatricolazione solo in caso di cambio di provincia... o sbaglio?

Le avranno mandate lontano :D perchè immagina di essere un torinese secondo proprietario, e di avere in famiglia o fra i conoscenti un lettore di Gente Motori :D

 

"Scusa Giangiuseppe, non è la tua macchina questa?" 

 

:D

 

Comunque accadde in tempi successivi, che una vettura usata da GM per un raid tornasse a far parlare di sè e della sua seconda vita, tramite una lettera pubblicata nelle pagine dedicate ai lettori.

Non ricordo bene i dettagli, ma l'auto in questione era l'Espace usata da GM per il viaggio "Sulle orme di Francis Drake", tutta bardata di adesivi Gente Motori, ricchi premi e cotillons.

Rientrata in rete come usato (non so se GM l'avesse comprata e rivenduta, oppure l'avesse avuta in comodato da Renault Italia) rimase in vendita con tutti gli adesivi attaccati, e un pazzoide lettore che aveva bisogno di un monovolume decise di comprarla e tenerla proprio così.

 

  • Wow! 1
  • Ahah! 1

"... guarda la libidine sarebbe per il si, ma il pilota dopo il gran premio ha bisogno il suo descanso... e poi è scattata la regola numero due: perlustrazione del pueblo e ricerca de los amigos... ah Ivana, mi raccomando il panta nell'armadio, il pantalone bello diritto. E un po' d'ordine in stanza... see you later!" (Il Dogui, Vacanze di Natale)

Inviato (modificato)
49 minutes ago, PaoloGTC said:

Non ricordo bene i dettagli, ma l'auto in questione era l'Espace usata da GM per il viaggio "Sulle orme di Francis Drake", tutta bardata di adesivi Gente Motori, ricchi premi e cotillons.

 

 

ce l'hai questa prova? non la conoscevo e avendo avuto un'Espace sarei curioso...

 

per quel che riguarda questo viaggio, andare in quei posti con una Ritmo era da incoscienti. altro che avventura, con niente sarebbero rimasti bloccati e niente reportage.

 

PS: Curioso che un direttore di una rivista di auto dica tranquillamente che di motori non ci capisce niente :-D Per il resto da un giornalista mi sarei aspettato molta più cura con i nomi stranieri (accenti che ogni tanto ci sono, ogni tanto no, incongruenze tipo "Porto" Ordaz ma "Ciudad" Guayana, ecc.)...

Modificato da v13
Inviato
1 ora fa, stev66 scrive:

Chissà  chi si è  comprato l'usato sicuro...

"Non si preoccupi , l'usanza solo una vecchietta per andare a Messa la domenica...a Manaus ;) ".

Hahah l ho pensato subito anch'io.

Toyota Corolla Hybrid HB

Fiat panda 4x4 twinair 

Inviato (modificato)
1 ora fa, v13 scrive:

 

ce l'hai questa prova? non la conoscevo e avendo avuto un'Espace sarei curioso...

 

per quel che riguarda questo viaggio, andare in quei posti con una Ritmo era da incoscienti. altro che avventura, con niente sarebbero rimasti bloccati e niente reportage.

 

PS: Curioso che un direttore di una rivista di auto dica tranquillamente che di motori non ci capisce niente :-D Per il resto da un giornalista mi sarei aspettato molta più cura con i nomi stranieri (accenti che ogni tanto ci sono, ogni tanto no, incongruenze tipo "Porto" Ordaz ma "Ciudad" Guayana, ecc.)...

 

Sì sì da qualche parte in archivio c'è, la incontreremo. Dovrebbe essere del 1986.

Per gli accenti, ti dico, posso aver combinato qualche pasticcio io nella trascrizione. I nomi invece, alzo le mani.

Ammettendo di non essere una cima in geografia riguardo quella parte del mondo, li ho ripresi tali e quali.

A volte i suoi testi denunciano l'età, sia per qualche imprecisione dovuta magari ad una ricerca meno approfondita di quelle che si possono fare oggi (o più semplicemente una certa frettolosità) sia per lo stile.

 

Ad esempio sono stato io, in un'altra occasione, a cambiare in "New York" tutti i suoi "Nuova York"... modo di chiamare la Grande Mela decisamente obsoleto, al punto da farmi pensare "no, dai, va bene riportare l'esatto documento, ma se scrivo 'Nuova York' mi mandano a stendere :D"

Modificato da PaoloGTC
  • Mi Piace 1

"... guarda la libidine sarebbe per il si, ma il pilota dopo il gran premio ha bisogno il suo descanso... e poi è scattata la regola numero due: perlustrazione del pueblo e ricerca de los amigos... ah Ivana, mi raccomando il panta nell'armadio, il pantalone bello diritto. E un po' d'ordine in stanza... see you later!" (Il Dogui, Vacanze di Natale)

Inviato

Quella della seconda vita di queste macchine, intendo quelle usate per le prove su strade delle riviste o per qualche servizio, mi ha sempre incuriosito. ACI Space ovviamente non restituisce niente né per le Ritmo né per le Delta del reportage precedente, in quarant'anni potrebbe aver cambiato targa e quasi sicuramente saranno diventate un cubetto di metallo.

  • Mi Piace 1

«Ognuno è un genio. Ma se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi sugli alberi, lui passerà tutta la sua vita a credersi stupido.>> Albert Einstein.

Crea un account o accedi per lasciare un commento

Devi essere iscritto per commentare e visualizzare le sezioni protette!

Crea un account

Iscriviti nella nostra community. È facile!

Registra un nuovo account

Accedi

Sei già registrato? Accedi qui.

Accedi Ora
×
×
  • Crea Nuovo...

 

Stiamo sperimentando dei banner pubblicitari a minima invasività: fai una prova e poi facci sapere come va!

Per accedere al forum, disabilita l'AdBlock per questo sito e poi clicca su accetta: ci sarai di grande aiuto! Grazie!

Se non sai come si fa, puoi pensarci più avanti, cliccando su "ci penso" per continuare temporaneamente a navigare. Periodicamente ricomparità questo avviso come promemoria.