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Marabese Guzzi V8


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..remake di quella famosa anni '50

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Nell'ottobre del ‘54, che Carcano, con l'approvazione del patron della Moto Guzzi, Enrico Parodi, iniziò la progettazione di un V8 a 90º, che presentava una forma compatta - in effetti di circa 15 cm più stretto di un 6 in linea - ed un ottimo bilanciamento. La configurazione studiata per i cilindri poneva di fronte alla scelta fra due tipi di albero a gomiti; uno con manovelle complanari, e l’altro, il più comune, con i quattro perni di manovella su due piani a 90º.

In entrambi i casi, naturalmente, ciascun perno avrebbe collegato due bielle affiancate, una per ogni banco di cilindri, e l'ordine di scoppio avrebbe avuto intervalli regolari. Il primo tipo, simile a quello di un 4 cilindri in linea, fu scelto inizialmente per la semplicità di costruzione; il fatto che non si arrivasse al perfetto bilanciamento ottenibile con le manovelle su due piani perpendicolari, non fu considerato importante. Nonostante ciò che si scrisse all'epoca, i problemi con l'albero scelto all'inizio avevano poco a che fare con le vibrazioni di ordine secondario ad alta frequenza, anche se alla fine fu adottato un albero con manovelle a 90º, come vedremo più avanti.

I primi commenti della stampa specializzata fecero credere, erroneamente, che l'albero con manovelle a 180º (e perciò complanari) fosse stato preferito per permettere l'impiego di un blocco motore limitato in altezza ed in una sola fusione, nel quale l'albero completo con le sue 8 bielle poteva essere inserito dal lato sinistro, e poi bloccato in sede in corrispondenza dei 3 cuscinetti di banco centrali, prima della chiusura con il semi-carter della trasmissione primaria. Per contro, come si diceva, un albero con manovelle a 90º avrebbe richiesto un monoblocco più alto, tagliato orizzontalmente, per un assemblaggio dalla parte inferiore. In realtà, il blocco motore, estremamente compatto e in elektron (lega d'alluminio e magnesio) del V8 Guzzi, era egualmente adatto ad entrambe le configurazioni, ed il suo disegno era influenzato da ben altre considerazioni. Innanzitutto, per evitare un passo troppo lungo, oltre che per ridurre le oscillazioni della catena, Carcano propose di incentrare l'asse del forcellone posteriore in una sede ricavata nel carter; di conseguenza questo doveva essere molto robusto, e ciò ne imponeva la forma compatta e scatolata. Poi, ancora per limitare il passo, il blocco doveva essere quanto più corto possibile; e ciò fu ottenuto con una trasmissione primaria ad ingranaggi che comandava direttamente il primario del cambio (coassiale alla frizione), con il secondario posto sotto di esso e non dietro. Un carter motore in due parti, diviso sul piano orizzontale, avrebbe obbligato ad allineare questi tre elementi (albero motore, primario e secondario del cambio) rendendolo troppo lungo ed escludendo la possibilità di incorporare il perno del forcellone. Pertanto questi ebbe la sua massiccia sede, irrobustita da 4 profonde nervature ed ospitante una boccola di bronzo per lo snodo del forcellone.

A onor del vero, la pubblicazione di informazioni errate era conseguente alla totale novità del motore ed al suo sviluppo intensivo, che non lasciava tempo per contatti con la stampa e che risultò in interpretazioni condite spesso di troppa immaginazione. Poiché l'albero motore veniva lavorato a partire da un singolo pezzo forgiato in acciaio al nickel-cromo, i 3 cuscinetti di banco centrali erano, di necessità, tagliati sul piano orizzontale. Sorprendentemente, però, Carcano li volle del tipo a rulli ingabbiati, con la metà superiore degli anelli esterni di scorrimento alloggiata in sedi ricavate nelle nervature che irrobustivano all'interno la fusione del blocco motore; questa soluzione aveva, tra l'altro, il pregio di richiedere minor lubrificazione. Il movimento fra i due semi-anelli era impedito da spine, e i relativi cappellotti di ritegno erano assicurati con due bulloni ciascuno, con teste allungate per facilitarne il serraggio. I supporti esterni dell'albero comprendevano un cuscinetto a rulli alloggiato nella parte interna del semi-carter della trasmissione primaria, ed un cuscinetto a sfere nella parte interna del semi-carter della distribuzione.

Piuttosto che montare un volano relativamente pesante ad un’estremità dell'albero, per aumentarne il momento d'inerzia rischiando però sensibili flessioni torsionali, Carcano adottò spalle di manovella a disco pieno. In questa maniera si ottenevano, in pratica, quattro coppie di volani, con momento d'inerzia distribuito sull'intera lunghezza dell'albero. Il fattore di bilanciamento che ne risultava era del 50% del peso reciproco totale associato a ciascun bottone di manovella; ed i contrappesi avevano forma di elementi a coda di rondine, in metallo pesante, integrati nei volani in posizione opposta ai bottoni di manovella. Per inciso, l'angolo fra i banchi di 90° assicurava che gli stessi pistoni contribuissero all'inerzia totale dell'albero, permettendo così di alleggerire i volani stessi. Ciò era dovuto al fatto che, quando un pistone si trovava in corrispondenza dei punti morti, il suo omologo dell’altro banco - cioè quello collegato allo stesso bottone di manovella - viaggiava alla massima velocità lineare. Il raggio di calettatura dei perni di manovella era di 20,5mm, e ciò assicurava una corsa del pistone di 41mm; con un alesaggio di 44mm ne risultava una cilindrata unitaria di 62,3cc ed una capacità totale di 498,4cc. Differenti dimensioni furono provate durante lo sviluppo del motore, ma non furono mai usate né in corsa, né per i tentativi di record. Come i 3 cuscinetti di banco centrali, anche quelli delle teste di biella erano in due parti, con i rulli tenuti in sede da gabbiette in duralluminio. I rulli scorrevano a diretto contatto dei bottoni di manovella e dell'interno delle teste di biella, mentre delle bronzine erano pressate nei piedi di biella per accogliere gli spinotti di tipo flottante. Con una lunghezza fra i centri di 90mm (2,2 volte la corsa), le bielle erano un po' lunghe rispetto alla norma, ma ciò contribuiva a ridurre, oltre le forze di inerzia secondarie, anche le fluttuazioni cicliche della velocità rotazionale dei cuscinetti (dovute al grado d'oscillazione delle bielle rispetto all'asse del cilindro), e a diminuire la pressione laterale del pistone sul cilindro.

I pistoni, a mantello intero, presentavano una cupola marcata, con incavi pronunciati per i funghi delle valvole, e il rapporto di compressione che ne risultava era di 10,5:1. Le fasce elastiche sul mantello erano convenzionali - due di tenuta ed un raschiaolio - ma al posto delle classiche mollette di ritenuta dello spinotto (troppo piccole per non dare guai) furono previsti dei tappi in metallo tenero. Mentre le metà inferiori di entrambi i blocchi dei cilindri erano parte integrante del carter motore in elektron, ciascuna metà superiore, comprendente le camicie dei cilindri (di tipo “umido”), la testa, la metà inferiore (in pezzo singolo) dei due alloggiamenti degli alberi a cammes ed anche i 4 coperchi separati delle punterie, erano fusi in lega d'alluminio ad alta resistenza (contenente rame, nickel e manganese). La parte superiore di ciascun blocco veniva fissata al basamento da 10 prigionieri passanti, e i cilindri erano formati da camicie in ghisa fortemente alettate all'esterno che si avvitavano nelle teste, dove erano a contatto diretto del liquido di raffreddamento per una miglior dissipazione del calore. Le valvole, inclinate ciascuna di 30º rispetto alla verticale della camera di combustione sferica, avevano diametri di 23mm per l'ammissione e 21mm per lo scarico, e chiudevano direttamente a contatto del materiale della testa, senza le convenzionali sedi riportate. Il vantaggio di questa soluzione consisteva, più che in un quasi irrilevante risparmio di peso, nel miglior raffreddamento dei funghi delle valvole di scarico; sorprendentemente, nessun trattamento termico delle sedi risultò necessario dopo la loro lavorazione.

Per evitare di indebolire gli esili steli delle valvole con le tradizionali svasature per i due semi-coni di ritenuta dei piattelli delle molle elicoidali, questi venivano bloccati da un ingrossamento della parte superiore degli steli, con la conseguenza, però, di impedire l'uso di normali guida-valvola in un sol pezzo. Costruite in bronzo-alluminio, le guide erano pertanto tagliate longitudinalmente, esternamente coniche come la loro sede, e mantenute in loco dalla pressione delle molle su un piattello inferiore. A differenza del 4 cilindri a cardano, il Guzzi V8 non aveva bisogno del sistema di polverizzazione del carburante, che serviva principalmente a ridurne l'ingombro frontale. Inoltre, poiché i cilindri erano molto piccoli, le minime quantità di carburante da polverizzare e la complessità delle tubazioni sarebbero state sicuramente fonte di guai. Di conseguenza i cilindri venivano alimentati da 8 carburatori Dell'Orto da 20mm, disposti inclinati ed incrociati, su due file di 4 ciascuno, e collegati da una tubazione continua servita da due grandi vaschette sulla sinistra. Sin dall'inizio comunque, a dispetto di qualsiasi posizionamento delle stesse, fu praticamente impossibile mantenere un livello corretto del carburante in curva ed eliminare i fenomeni dovuti alla sua inerzia durante accelerazioni e decelerazioni. Questi problemi furono risolti soltanto nel ’57, quando vennero impiegati dei carburatori (da 21mm) con vaschetta individuale.

Quando la Guzzi decise di ritirarsi dalle corse, l'unico aspetto della carburazione che rimaneva da perfezionare era quello dell'isolamento dal calore irradiato e condotto dal motore, che disturbava l'efficienza volumetrica all'aspirazione. Da un pignone sul lato destro dell'albero motore, appena dopo il cuscinetto di banco esterno, il moto della distribuzione veniva trasmesso ad un'enorme ingranaggio intermedio, prima di passare a quelli degli alberi a cammes di ammissione e poi a quelli lato scarico. L'accoppiamento fra gli alberi a cammes e i relativi ingranaggi avveniva con dischi a verniero per permettere una fasatura accurata della distribuzione. Ciascun albero a cammes aveva 3 supporti, con cuscinetti ad aghi alle estremità ed una bronzina aperta al centro. Il comando delle valvole era attuato da punterie a bicchierino rovesciato, alleggerite e svasate al centro, che inglobavano le doppie molle elicoidali ed agivano guidate dalla sede ricavata nella testa. La regolazione del gioco si effettuava con spessori variabili tra la parte terminale dello stelo valvola e il bicchierino di punteria. All'estrema sinistra di ciascun castello degli alberi a cammes di ammissione era collegato un complesso a 4 ruttori della CEV (con condensatore incorporato) per ciascun banco; i ruttori erano azionati da un singolo eccentrico montato a pressione sull’estremità dell'asse (questo complesso era stato provato al banco per più di 100 ore senza inconvenienti). La corrente veniva fornita da 2 batterie a 6 volt poste ai lati della sella, e le 8 bobine trovavano alloggiamento (in due gruppi di 4) ai lati, fra motore e radiatore. Non era previsto nessun sistema di rigenerazione della corrente poiché la carica delle sole batterie era sufficiente per l'impiego in corsa. Le candele, naturalmente, erano da 10mm, e molto inclinate verso l'esterno, per un accesso più facile e rapido. Un altro pignone, calettato sull'albero motore all'interno del cuscinetto di banco lato distribuzione, impegnava una grande ruota dentata inferiore per comandare la doppia pompa dell'olio (ad ingranaggi) posta all'esterno del semi-carter della distribuzione. La sezione di mandata, alimentata per gravità dal trave superiore del telaio (a sezione circolare e di grandi dimensioni, come in parecchie Guzzi da corsa, che fungeva da serbatoio separato dell'olio), inviava il lubrificante, a base di ricino, ad una diramazione a T situata nel mezzo della parte superiore del blocco motore, fra le due bancate; da qui si dipartivano due circuiti, uno per le testate del motore, e l'altro per il basamento.

Poiché sarebbe stato impossibile, con un albero motore in un singolo pezzo e a volani pieni, lubrificare direttamente i 5 cuscinetti di banco, il circuito inferiore distribuiva l'olio ai 3 cuscinetti centrali attraverso fori nelle flange dei supporti di banco; e l'olio che emergeva dai 2 cuscinetti centrali esterni (il 2 e il 4) veniva convogliato in canali anulari ricavati nelle pareti interne dei dischi-volano, dai quali centrifugava verso i perni di biella (come negli ultimi NSU RennMax bicilindrici).

I vapori d'olio presenti all'interno del carter motore erano sufficienti per lubrificare (spinti dai flussi d'aria al suo interno) i 2 cuscinetti di banco esterni. La parte interna dei pistoni e dei cilindri, e l'intero blocco degli ingranaggi del cambio erano raffreddati e lubrificati dall'olio espulso dai cuscinetti di banco, olio che finalmente ricadeva sul fondo del carter per essere poi rinviato - dalla sezione di ritorno della pompa - al serbatoio. La circolazione dell'olio risultava di 100 litri/ora, al regime di 12.000 giri/minuto, mentre la capacità totale del circuito di lubrificazione era di 4 kg.

Nel circuito superiore, la tubazione collegata alla diramazione a T portava l'olio ai cuscinetti a guscio degli alberi a cammes, da dove entrava all'interno degli assi per riuscire dai fori in corrispondenza delle superfici di contatto delle cammes, e da qui lubrificare a getto la superficie d'attrito dei bicchierini delle valvole. Dagli alloggiamenti degli alberi a cammes d'ammissione, il lubrificante passava per gravità, attraverso canalizzazioni nella testa, a quelli di scarico e da questi, tramite tubazioni esterne, ritornava nel carter motore, dove ricominciava il ciclo. Con l'adozione dell'albero motore composito, il circuito di mandata della parte inferiore fu modificato, e l'invio dell'olio avveniva direttamente alle estremità dell'albero da dove, attraverso canalizzazioni, raggiungeva tutti i perni di banco e quelli di manovella.

Anche la pompa dell'acqua (di tipo centrifugo) era montata all'esterno della cartella della distribuzione, e veniva comandata da un accoppiamento sull'asse del grande ingranaggio intermedio della cascata. Il liquido di raffreddamento veniva pompato alla base di entrambi i blocchi cilindri, all'estrema sinistra del blocco motore, e fuoriusciva dalla parte superiore opposta, appena dietro il carter della distribuzione. Da qui, passava al radiatore che si trovava in basso, di fronte al motore; la capacità totale del circuito di raffreddamento era di circa 4,5 litri.

All'inizio, nel caso le caratteristiche delle curve di potenza e di coppia erogate dal motore fossero state troppo ruvide, fu progettato un cambio a 6 marce. La disposizione prevedeva un primario ed un secondario, con entrata e uscita del moto sullo stesso asse del primario, e con la 6ª marcia in presa diretta. Come già detto, l'albero del secondario, per mantenere la lunghezza del motore entri i limiti del progetto, si trovava sotto quello del primario, e poiché la trasmissione primaria era ad ingranaggi, ne risultava che il motore ruotava in senso contrario alla direzione del moto. Entrambi gli alberi del cambio giravano su cuscinetti a rulli, e quelli sul lato destro erano alloggiati nella piastra di chiusura ad anello (smontabile in maniera che i rapporti potessero essere variati senza disturbare l'albero motore).

La riduzione primaria era di 2,75:1 e come mezzo di fissaggio del pignone all'uscita dell'albero motore non fu utilizzato né un innesto rastremato, né la classica chiavetta. Invece, per ottenere un accoppiamento sicuro senza indebolire l'albero, la sua parte finale era a forma quasi triangolare, con superfici arrotondate, e leggermente conica. La frizione, del tipo a secco, con 8 molle di carico, 4 dischi in acciaio e 4 d'attrito, era montata all'esterno del coperchio della trasmissione primaria (che era invece a bagno d'olio), per ragioni di miglior raffreddamento.

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V8??????? ammazza

  • Ieri: Fiat Panda 900 Young (1998) - AB Y10 II Avenue (1993) - Fiat Panda 1.2 DynamicClass (2004) - Fiat Punto Evo 1.4 GPL (2010)
  • Oggi: Ford Focus SW 1.6 Tdci 90cv (2009) e Lancia Ypsilon 1.2 (2016)
  • Ieri: Aprilia Rally II L.C. 50cc (1996) - Piaggio Vespa PX 150 (2002) - Honda Hornet 600 II (2006)
  • Oggi: Honda Hornet 600 III (2007) e Piaggio Vespa PX 150 (2000)
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