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Ciao a tutti! In occasione delle festività voglio condividere con voi un progetto personale che ho ultimato di recente. La Giulia Codatronca, un omaggio al design italiano e al DNA Alfa Romeo reinterpretato in chiave moderna. Questa coupé a due posti, ispirata allo stile Zagato e alla leggendaria Alfa Romeo TZ, è costruita su un'ipotetica piattaforma totalmente elettrica (STLA Large in questo caso). Il design, con l'iconica "Coda Tronca" e il tetto Double Bubble di Zagato, fonde raffinatezza e funzionalità aerodinamica. Il progetto si concentra su un posteriore caratterizzato dalla cosiddetta "Coda Tronca", una scelta aerodinamica ispirata alle vetture storiche del marchio come l’Alfa Romeo TZ, caratteristica che fornisce un notevole vantaggio Aerodinamico ed allo stesso tempo una linea con un carattere prettamente sportivo. Questo progetto rappresenta una visione futura di come Alfa Romeo possa evolversi nel segmento delle Supercar Sportive, mantenendo intatto il suo DNA. Fatemi sapere cosa ne pensate! 😄28 punti
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Io capisco le critiche contro la Junior e ci possono anche stare. Ma io mi meraviglio ogni volta, che la maggior parte, quando si parla di Alfa, si tirano fuori le lenti d'ingrandimento e viene cercato ogni singolo pelo storto e ogni motivo per criticarla. Roba che e' stata sempre cosi, anche con l'adesso santa Giulia. Ehh ma le finiture, ehh ma i LED, ehhh ma l'infotainment, ehh ma le tedesche (o giapponesi). Qui adesso si parla di 13 altoparlanti, volante riscaldato ecc.. e poi quelle due volte all'anno quando vengo in Italia (a mio parere la nazione piu feticista delle Audi) tutti girano con i soliti A3/Q3 e A4 (guada caso neanche una Lexus) base con sedili di stoffa e "Infotainment" mignon senza neanche il navigatore. La Giulia e' stata risa dietro perche anziche di fermarsi a 250km/h si ferma a 240km/h, poi qui si dice "ehhh ma che differenza fa, tanto piu di 130 non si puo andare". Ce non capisco sempre questo assalto. Perche quando si vedono le RS6 con plastica rigida sui pannelli porta in parte alta, tutti zitti. L'A5 nuova con la sua plastica rigida lungo la plancia, che se gli dai due colpi balla anche, tutti zitti. Come anche la differenza dei colori tra cruscotto e pannelli porta, tutti zitti. La Junior la potevano anche fare che si guida quasi come una Giulia e che come allestimento e qualita' arriva quasi alla Lexus, ma poi sarebbe stata troppo cara per il segmento b e anche li poi tutti a criticare. Poi come so io, secondo chi ha sviluppato le sospensioni, l'auto con quel ponte dietro va meglio. Io non sono ingegnere, puo essere vero o falso ma cosi dicono. Molte crtiche verso la Junior ci stanno e forse se le merita anche, pero con questa cultura, che ormai non sembra mai di cambiare, questa Alfa ve la meritate. Mi Dispiace.27 punti
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Sono presenti in un'unica foto tutte le Gran Turismo prodotte nel 2024?😍26 punti
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Buonasera e Buona Vigilia a tutti innanzitutto! Volevo riaprire la discussione sul mulo di Ferrari 4porte, ovvero questo Frankenstein qui: di cui @PaoloGTC ha già parlato ampiamente, e di cui ho da poco reperito alcune informazioni. Innanzitutto facciamo un salto indietro rispetto a quando le foto vennero scattate, tornando più o meno al 1980. In questo anno la Ferrari Pinin viene presentata al Salone dell'Auto di Torino con un accoglienza entusiasmante, stesso effetto che farà in tutti i saloni in cui sarà mostrata nel tour espositivo che fece fra 1980-81. Intanto però in Ferrari sappiamo che la macchina verrà scartata, dicesi non approvata da Ghidella che non volle investirci, nonostante il parere positivo del Drake e del Direttore Generale Alzati (fonte, quest'ultimo) che avevano dato l'autorizzazione precedentemente a Pininfarina per realizzare il modello statico. Ciò che però non è noto è che di questo progetto, chiamato F113AL, oltre alla Pinin (priva di meccanica con solo un manichino del dodici cilindri nel vano motore) fu realizzato un secondo esemplare, marciante ma con l'estetica raffazzonata tipica dei mulotipi Ferrari (pensiamo al primo mulo bianco di 348 "Mariana", che sembrava una mini Testarossa), che è proprio quella che Paolo ci ha mostrato, e che nonostante il progetto venne cassato già nell'80, continuò a girare fino all'87 circa con motore Testarossa, per poi alla fine essere demolita. Lo scopo di questo mulo fu quello di collaudare soluzioni tecniche, soprattutto degli ammortizzatori regolabili Koni, difatti nel video-intervista di Forghieri, a proposito della Pinin, egli accenna a delle sospensioni auto-livellanti. Comunque fino all'83 circa Sergio Pininfarina cerca di convincere Enzo Ferrari a dar proseguito al suo progetto, e comprendendo l'infattibilità di una versione berlina, la propone in versione coupè (fonte Car Design Archives), anche questa scartata. Ora, non so voi, ma guardando quest'ultima proposta, mi ha rimandato ad una Ferrari di cui si parlò molto un lustro dopo ma che poi fu cassata. L'auto in questione non ha un nome, ma un semplice codice progetto F116AL e poi BL, dove la AL aveva un cambio a 4marce automatico, e la BL una trasmissione manuale a 6 marce abbinato al futuro V12 che monterà la 456 di serie (chiamato anche lui F116B). Qui due bozzetti realizzati dal maestro Giorgio Alisi per Quattroruote del Dicembre 1988, più una foto bonus reperita su internet di una rivista britannica datata circa fine 1989, con una linea più morbida e moderna (probabilmente la BL). La macchina in questione venne soprannominata da 4R "512 GT America", e si ipotizzò l'adozione di sospensioni a controllo elettronico (che fino al 1987 venivano testate proprio sulla F113AL). La rivista inglese invece, nell'89 già parla di una questione spinosa. Difatti secondo ciò che poco tempo fa ha dichiarato Pietro Camardella, il debutto al Salone di Francoforte della BMW E31 indispettì la dirigenza Ferrari (P.C. cita Montezemolo, che però arrivò nell'91 a Maranello) che giudicò troppo simile la GT tedesca alla F116 in sviluppo: Da qui la scelta di cambiare totalmente le sembianze all'auto. A partire da Ottobre del 1989 si ripartì da zero per la parte estetica, con codice F116CL, in cui prevalse stavolta la proposta del succitato Camardella (la sua prima proposta nell'85 era stata bocciata in favore dello stile delle AL/BL), che porterà man mano alla 456 che noi conosciamo, con forme più slanciate e ma al contempo rotonde, che uscirà nel '92. Ripresero i test su strada, con muli ancora camuffati da F116BL, ma se fate bene attenzione alla fiancata, l'andamento del finestrino non mente, si tratta di F116CL.17 punti
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Thanks a lot Max for this file! I should remember, each time I find a "behind the scenes" sheet, to ask you because you always have a better quality one! About full load cars... I see nothing about that in these specs. I read the different weights only (net, gross, etc. etc.), nothing about the way the car have been tested. As I remember, performances were tested with driver, fluids, and maybe a bit of weight on the trunk (I don't remember how much, something like 20 kg). Am I wrong? (asking to guys here, in english, to wake them up in this early saturday morning ) Back to italian... Come scrivevo ieri, mi piacerebbe continuare il topic spostandomi nel settore delle foto-spia e quindi... cercando di riproporle (per quanto possibile, chè non ho tutte le date, vado a memoria) nella stessa sequenza in cui comparvero sulla carta stampata, inizio col dire che... la prima foto di un prototipo della Dedra fu pubblicata prima all'estero che in Italia. Strano questo fatto, dato che ai tempi nel nostro Paese c'erano due testate molto attente a quanto il Gruppo mandava in strada a fare i collaudi... eppure il primo a pubblicare una foto-spia della Dedra fu un periodico spagnolo. La foto in realtà era la stessa che poi fu pubblicata da Quattroruote all'interno del primo servizio dedicato alle future medie italiane. Evidentemente lo scatto di un fotografo indipendente che vendette le immagini a più testate. Gli spagnoli però, confezionarono il servizio più velocemente. Questa è la prima foto-spia di un prototipo della Dedra. Quattroruote la utilizzò nel corso del 1986, anno in cui i servizi dedicati alle nuove medie furono più di uno. In estate (il numero di Luglio,con la copertina gialla e la Regata II Atto in copertina) l'articolo mostrava un po' tutto quel che c'era su strada in quel momento (quindi anche l'Unone-Tipo 2), inclusa questa immagine, e poi tornava con un servizio dedicato solo alla Dedra sul numero di Dicembre l'Audi 80 in copertina. Però... la rivista Motor 16 l'aveva già pubblicata sul numero del 5 Aprile. Ricordando che la costruzione del prototipo "0" inizia nel settembre del 1985 e che solo dopo quello step inizia la costruzione delle vetture sperimentali, penso di poter dire che ci si trovi davanti ad una delle prime, primissime Lancia Tipo 3 costruite. Ecco la stessa vettura in altre due immagini. (da notare il paraurti posteriore che non ha nulla a che vedere con quello della Dedra... è della Thema, forse?) Qui una molto simile (ma non credo sia lei, siamo sempre nel gruppo dei primi proto ma ci sono troppe differenze a livello di camuffo... mi sembra di leggere pure una F sul parabrezza, mentre sulla precedente non leggo nulla: saranno state denominate A-B-C-D- ecc. ecc.? ) A volte la differente qualità di stampa e la variazione di tonalità che prendevano i colori da una rivista all'altra non aiutano ad individuare il proto, ma analizzando i dettagli - ho proprio niente da fare stamattina, eh? - penso di poter dire che questa sia la stessa delle due foto qui sopra. Le hanno solo cambiato i cerchi, durante i numerosi "smonta-rimonta". Tuttavia non credo si tratti del prototipo del primo scoop: molte differenze a livello di camuffatura (mi sembra strano che si siano messi lì a togliere il nastro dai telai delle porte...) ed il paraurti posteriore è diverso. Da notare invece l'anteriore, che ha due rigonfiamenti nella zona dei fendinebbia ma sembra già quello definitivo, e gli specchi retrovisori già pronti. La vediamo qui in un'altro scatto che fu pubblicato da più riviste (sicuramente Auto, forse pure AutoSprint). Ma la cosa che mi sorprende maggiormente in questi due prototipi è il fatto che siano stati assemblati con la mascherina definitiva, nemmeno troppo coperta. Insomma, era facile capire che si trattava di una nuova Lancia. La cosa buffa? Nei prototipi costruiti in seguito la calandra scompare. Tornando a Quattroruote infatti, nel primo mega-servizio dedicato alle T2-3, oltre alla foto di apertura troviamo anche questa. La calandra è scomparsa, la zona dei fari è più pulita (anche se non mi sembrano definitivi) e oplà, pure lo specchio retrovisore pare ora un pezzo di recupero. La stessa auto la vediamo qui (fonte: non ricordo ma vista la grafica potrebbe trattarsi di Rombo o AutoSprint... Gente Motori non usava quei caratteri e Quattroruote non applicava disneyane "patacche" sulle foto) e possiamo vedere meglio il frontale privo di calandra (e sì, forse i gruppi ottici sono definitivi, frecce a parte). Questa "si chiama" 9 (e possiamo leggerlo anche nella foto di QR). Prima lettere, ora numeri. Mi arrendo16 punti
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A scanso di equivoci: Giulia/Stelvio II sono sviluppate tra Modena, Torino, USA E come detto e ribadito sono un affare legato alla parte FCA, dove i francesi non hanno messo bocca, a differenza di quanto avvenuto nei segmenti bassi/medi di gamma16 punti
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........ ma....solo a me fa cagarissimo 'sta firma luminosa?16 punti
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Any spy photos? Does anyone live near a river or lake?15 punti
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Un altro scatto della "4 fari uguali" (realizzato nello stesso momento) Un'altra, molto simile, che qui vediamo in corsa. Il "navigatore" si è appena reso conto che... ci siamo svegliati presto anche noi. La plancia c'è già, i poggiatesta ancora no, così come non ci sono sulla gran parte dei proto visti fino ad ora. Ma perchè questi poveri collaudatori venivano mandati in giro senza? Noi li avevamo ormai dappertutto. Se i sedili fossero già stati quelli definitivi, beh non credo che il design dei poggiatesta fosse il GRAN SEGRETO da proteggere. Se fossero stati provvisori.... beh si potevano anche montare completi. Le foto di altri due esemplari, pubblicate da Gente Motori. A quei tempi servizi più completi (in stile Marin ) avevano già detto tutto sulla nuova Lancia. Qui le foto venivano pubblicate insieme a brevi paragrafi che si limitavano a ricordare che i collaudi della nuova Prisma andavano avanti. Sono arrivati i poggiatesta, almeno su uno dei due proto. Piuttosto curioso l'effetto che fa questo paraurti completamente nero. E' praticamente "lui", ma senza la parte in tinta sembra un altro. Lo so che mi sto perdendo in dettagli inutili ma noto anche che il proto della prima di queste due foto ha sul parabrezza il portabollo/assicurazione, il secondo no. In primis avevo pensato l'avesse sul lunotto, ma poi ho capito che quello che si vede attraverso il parabrezza è della 127 parcheggiata dietro Niente portabollo ma un bel numero 4 sul parabrezza. Il primo proto sembra avere la calandra, il secondo no. Poi in un bel giorno 4R sgancia una piccola bomba. In una di quelle pagine con le "brevi scoop" che stavano dopo le anteprime principali, racconta di essere riuscito a sbirciare nella zona in cui le scocche vengono scaricate per andare all'abbigliamento prototipi e ci mostra che forma avrà la fanaleria definitiva. La forma generale della coda la conoscevamo già dal 1986 ma nella vista posteriore del prototipo quasi pulito "beccato" alla Mandria (l'unica immagine del bagagliaio, pubblicata da Gente Motori) la fanaleria era in parte coperta dal nastro. Ora sappiamo che avrà una forma particolare. Altra piccola "bomba" sganciata da 4R, in un articolo corredato da uno splendido disegno di Giorgio Alisi in apertura, che ci mostra la Lancia "Tre" sul prato davanti ad un edificio in costruzione che ospita al primo piano una Thema che fa da madrina. Spero di trovare il file, mi piacerebbe condividerlo per sottolineare ancora una volta la magia insita nelle mani di Alisi. La "bomba" invece (capirai che bomba, si vede quasi niente... ma ai tempi ci facevamo andar bene anche questi scampoli) nasce dal fatto che 4R è riuscito ad affiancarsi ad un proto fermo al semaforo, e a dare una sbirciatina alla plancia.15 punti
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No, con la Junior non può competere con la Lexus. Non è che se un'automobile ha su uno stemma di una casa che ha fatto la storia dell'automobile allora deve per forza essere super figherrima, seriamente, basta una foto degli interni della LBX per far capire di cosa stiam parlando, senza contare la qualità costruttiva.... Manco la Junior avesse qualcosa di tecnicamente pregevole oltretutto, è una comunissima SUV B come gli altri vari cloni CMP. P.s. ho preso una foto nemmeno da cartella stampa. Comunque, detta fra i denti, Lexus ha sia il prestigio che la storia (nel suo piccolo) ed ha una qualità che ormai anche i tedeschi si sognano, purtroppo in Europa ed ancor più in Italia siamo coi paraocchi, intanto nel resto del mondo ormai ci ridono tutti dietro.14 punti
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Niente P piccolo, ho riguardato la foto che gli ho fatto 😅 Comunque era andato pure lui a far la spesa, mi ha stupito vederla uscire dal parcheggio 😆 Vista di lato la sua porca figura la fa, forse il retro soprattutto nelle viste da 3/4 mi fa un po' strano dato che la volumetria del paraurti (compresa la parte che si apre) è superiore a quella a fianco ai fari o al vetro.14 punti
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A me comunque, specialmente in versione cabrio, piaceva. Era molto elegante. Ovviamente la 456 è un capolavoro (forse un po' cicciona dietro ) ma io avrei visto bene anche questa, bella erede della 412. Eccola alle prime uscite. Non fa strano anche a voi vedere una Ferrari tutta nuova che esce in prova fin dai primi giorni così "pulita", con tanto di fanaleria posteriore ben definita? (non sarà stata tanto originale, ma non mi sembra affatto un montaggio raffazzonato con quel che c'è in casa... certi muletti Testarossa giravano con fanali dell'Alfetta 2000 e del GT Veloce...) Mi sembra una vettura a fine collaudi, altro che ai primi giri di prova... La data dell'Auto Oggi dalla cui cover proviene la terza foto ci aiuta a definire il periodo. Poi la "pizzicano" a Nardò e ancora a Fiorano... e già ai tempi chi ha buon occhio si accorge che è successo qualcosa... il frontale è cambiato (forse quella cabrio un po' "spettinata" era già il presagio) e soprattutto dietro è ingrassata un po'. Qui l'ultima foto del muletto "ibrido"... ... e poi, un giorno...14 punti
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Il GC come modello non se l'è cagato nessuno fino a quando non è diventato un muletto 🤩13 punti
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Non hai capito il genio, sono edizioni speciali limitate, c'è la Panda Pandina (con lo stemma ma senza terzo vetro), la Pandina Panda (col terzo vetro ma non lo stemma), la Panda Panda (2a generazione, già è assai se ti montano le ruote qui) e la Pandina Pandina (col terzo vetro, tutti gli stemmi, gli specchietti colorati ma col colore a sorpresa), con ognuna di queste verrà consegnato un certificato di autenticità che attesta l'unicità dell'esemplare, ma per distinguersi da quello che consegnano per la Ypsilon, che è pur sempre il prodotto primium di Stellantis, qui ti danno un foglio scritto a mano da Pepp o meccanic, sul retro di un foglio già stampato, per essere sostenibili e risparmiare carta (pure perché qua le risme sono aumentate, i soldi mica crescono sugli alberi?)13 punti
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Nemmeno poi tanto tempo, stando a quanto ho appreso grazie ad un grande amico che ci segue dal Canada il quale mi ha inviato l'altro giorno tre pagine di un testo inglese (che onestamente non ho riconosciuto, non so se si tratti di un volume dedicato ad I.DE.A., alla carrozzeria italiana o ad Ercole Spada) sul quale ho lavorato un po' ieri per tirarne fuori il doppiaggio italiano Una volta finito il lavoro, mi son detto "Cioè, si sta ribaltando la situazione!!" (cit.) Vabbè, con questa citazione ho un po' esagerato: che lo stile della Dedra fosse stato il primo ad esser definito e "congelato" lo sapevamo già, così come il fatto che fosse stata la prima a mettere le ruote in strada, seguita a poca distanza dalla Tempra, mentre la Tipo ancora vagava per le strade torinesi col volto dell'Unone. Però... questo testo aggiunge alcuni aneddoti che, a distanza di 40 anni, fanno sembrare ancor di più la Dedra come la "mamma" di tutte. Da qui in poi leggete la traduzione, il più fedele possibile. Parole scritte dall'autore, quindi, non pensieri miei. Qui e là si inserisce un dialogo con Spada, e di conseguenza, il virgolettato, pensieri suoi. --- Nonostante le imponenti risorse umane, il primo tentativo da parte di I.DE.A di proporre un veicolo innovativo non è molto incoraggiante. Il VSS, una sorta di co-design con Fiat, che vuole essere una proposta di vettura compatta con carrozzeria in plastica. “La filosofia insita era probabilmente intelligente, ma non era bello da vedere. Proprio no.” Sorprendentemente, il CEO Fiat Vittorio Ghidella apprezza idee simili. Partendo da una base comune, vuole creare una serie di vetture dall'aspetto decisamente diverso, da vendere in segmenti differenti e/o anche con vari marchi. Dopo tutto, la Fiat possiede Lancia da un bel po' di tempo. Questa acquisizione ha senso solo con una maggior collaborazione. Perché non condividere una piattaforma ed altri componenti, quindi? E' una buona idea. Troppo buona, forse. Non sorprende infatti, che quasi tutti all'interno della Fiat si oppongano. Anche se il piano di Ghidella può far risparmiare una grossa parte della spesa per lo sviluppo e la produzione. O è forse proprio questa la ragione che sta dietro questo rifiuto? “Il reparto acquisti Fiat preferiva mantenere le cose come erano. Dopotutto, più fornitori avevano, maggiori erano le possibilità di avere... le mani in pasta.” Con la mancanza di supporto da parte del suo stesso staff, Ghidella non ha altra scelta che rivolgersi a I.DE.A, dove alla fine questo importante progetto arriva sulla scrivania – fresca fresca – di Ercole Spada. L'ambizioso, innovativo programma è davvero una delizia per Ercole. Soprattutto perché Ghidella vuole affidare sia la parte di design che quella di sviluppo interamente a I.DE.A. A parte un primo telaio con la struttura dei finestrini e posizionamento delle portiere, da Fiat non ricevono altro. Fondamentalmente, Ercole deve fare da solo, che è esattamente il modo di lavorare che preferisce. Al fine di sviluppare una manciata di nuovi modelli che sembrano totalmente diversi, anche se le parti sottostanti sono completamente intercambiabili, prima elabora una tipografia specifica per ciascuno di essi. Quindi progetta forme e silhouette corrispondenti, assicurandosi che si adattino alla struttura e al layout che Fiat gli ha dato. Non è facile. In effetti, è davvero difficile. Soprattutto le porte sono un notevole ostacolo da superare. Sono unità molto complesse ed Ercole trascorre settimane per bilanciare il tutto, per assicurarsi che i finestrini scendano correttamente, per capire come possano inserirsi nella struttura senza problemi, e molto altro. Ma nel momento in cui arrivano ad avere il pacchetto vincente per un modello, sono già pronti per tutti gli altri. Dopo un avvio difficile, il progetto evolve in maniera sorprendentemente veloce. “Iniziai all'I.DE.A nel settembre del 1983, e il nostro primo modello era pronto alla fine dell'anno. Sarebbe diventato la Lancia Dedra.” Nel frattempo, in Fiat hanno una serie di prototipi pronti per il nuovo modello denominato Tipo 2, il modello destinato a diventare l'erede della Ritmo. Cosa piuttosto strana, la sua piattaforma è quasi identica a quella della Dedra, ma il passo è più corto. Ercole propone quindi di usare la stessa piattaforma, le stesse strutture laterali e le stesse portiere. Non è un problema spingere un po' le ruote posteriori all'indietro, è una modifica che va tutta a vantaggio dello spazio interno, e rende anche più dinamica la vista laterale. Ad un certo punto, Ghidella decide di rottamare tutti i prototipi realizzati in Fiat e di seguire il consiglio di Ercole per la Tipo 2, interamente basata sulla struttura della Lancia Dedra, che era già stata approvata, chiedendogli di disegnare un'erede della Ritmo tutta nuova. Il risultato è una forma molto avanzata, con superfici molto pulite e proporzioni che ricordano la sorellina Uno, un approccio estremamente funzionale e un pizzico di modernità che la rende decisamente più contemporaneo della successiva Brava. Offre un sorprendente compromesso tra lunghezza generale e usabilità giornaliera, uno spazio interno enorme e un facile accesso attraverso il generoso portellone posteriore. “Accettare” e “capire” la filosofia insita in questo progetto potrà aver richiesto uno sforzo considerevole da parte di Fiat, ma all'improvviso l'apertura nei suoi confronti è totale. Anzi, a Torino vedono spazio per altri sviluppi, i quali includono la Tipo 3. Questa berlina a quattro porte, con frontale e coda specifici ma con le portiere della Tipo, diventerà la Tempra. Dopo un avvio difficile, Ercole deve ammettere che dal punto di vista tecnico la collaborazione con Fiat è diventata sorprendentemente proficua. Nonostante sia la prima ad essere pronta, per ragioni commerciali la Dedra arriva sul mercato un anno dopo la Tipo, lanciata nel 1988. Più o meno un anno dopo la Dedra, è il momento di lanciare sul mercato la Tempra e la Tempra Station Wagon, due modelli che sono stati sviluppati più o meno simultaneamente. E la famiglia non è ancora al completo. Pochi anni prima, nel 1986, la Fiat aveva comprato l'Alfa. Anzi, a dire il vero l'aveva avuta più o meno gratis. Una Casa dal grande nome, che aveva un problema ancora più grande. La sua tecnologia era obsoleta, così come la gamma di modelli. La 33 era basata sull'Alfasud di inizio anni '70, e la 75 sulla Giulietta nata sul finire della stessa decade. Avevano urgentemente bisogno di altra tecnologia e di una nuova piattaforma. Quindi, perché non dare un'occhiata fra quanto era disponibile in Fiat? Era il meglio che si potesse fare in quel momento. Non c'erano soldi da investire in qualcosa di simile ma completamente specifico. E sicuramente non c'era nemmeno il tempo. In breve tempo, Ghidella ha un'altra idea, decisamente meno brillante delle precedenti. Chiede ad Ercole di disegnare un frontale Alfa Romeo e applicarlo, insieme ai dovuti badge, sulla Tempra. Egli sostiene che dovrebbe essere un “trucco” sufficiente. La Tempra non è ancora stata lanciata, ma è pronta e sta aspettando dietro le quinte. Con estremo rispetto per le idee di Ghidella, Ercole comunque non vuole che questo accada. Conosce lo spirito Alfa troppo bene, date le sue precedenti esperienze, per pensare che la questione possa essere risolta così facilmente. “Una Alfa Romeo ha un carattere totalmente differente da una Fiat. Non puoi semplicemente sostituire il logo.” Ercole quindi disegna ancora un'auto sulla ormai conosciuta piattaforma, usando lo stesso carry over, ma con un carattere completamente diverso, più “Alfa Romeo”. Ci vuole molta creatività per gestire la vista laterale. Ercole si concentra in maniera approfondita sulle cinque fasi in cui è suddivisa la costruzione delle portiere, nel reparto stampaggio, e sviluppa una forma che permette di mantenere le prime tre fasi di stampaggio in comune con la Tempra, mentre le altre due sono quelle che rendono diverse le portiere della 155. La forma a cuneo e la scanalatura sul fianco mirano alla precedente 164. Frontale e coda sono completamente diversi, col primo che scende maggiormente verso l'asfalto rispetto alla Fiat. Nonostante le molte differente, le Fiat, Lancia e Alfa hanno una cosa in comune, decisamente legata alla filosofia di Ercole: un'ottimo Cx. Aiuterà la 155 a dominare il German Touring Car Championship in seguito. Ed ancora, l'orchestra italiana non ha ancora finito di suonare. Lancia ha bisogno di una nuova Delta e vede spazio anche per una variante station wagon della Dedra, entrambe costruite sulla stessa piattaforma e dalla forma principale assimilabile a quella della berlina originale. “Non sono orgoglioso della Delta. Per quale motivo dovevamo fare un'altra due volumi a cinque porte se avevamo già la Tipo?” Avrebbe avuto più senso, secondo Ercole, sviluppare la nuova Delta direttamente come due porte. Cosa che accadrà alcuni anni dopo, in maniera piuttosto curiosa. L'incipit infatti arriverà dal Brasile. Avendo realizzato una struttura con due portiere più lunghe per la Tempra, ebbero la possibilità di usarla anche per la Delta. Modello che ebbe scarso successo, comunque. A quanto pare, la clientela non aveva trovato molto interessante la versione a quattro porte sul mercato già da tempo. La soddisfazione più grande di Ercole è riguardo la Dedra. “Perché aveva l'aspetto di una vera Lancia. Io l'avrei chiamata Aprilia, comunque. Dedra suonava come 'topo morto' in inglese...” Ercole adora ancora oggi questo progetto in tutta la sua complessità. E' completamente l'opposto rispetto al suo lavoro alla Zagato, quando si parla di carattere delle auto, professionalità dei collaboratori, tempo speso sui vari dettagli, budget a disposizione, l'infinita ricerca del compromesso fra costi, fabbricazione, ingegnerizzazione e tutto il resto. Offre l'esatto mix tra design e tecnica, creatività e praticità, e chiaramente tra bellezza e contenimento dei costi che è la parte che lui adora di più. In poche parole, è “design” nel vero senso del termine. E inoltre, in un modo o nell'altro, vicino allo spirito Zagato: la ricerca della maggior efficienza possibile. Ercole ha apprezzato molto anche la piacevole e calorosa collaborazione con Ghidella, che ogni sera lasciava Fiat per andare a vedere come procedevano le cose in I.DE.A., quando tutti se n'erano andati. Lui, Ercole e nessun altro. Vittorio preferiva decisamente non essere accompagnato da altri membri del management o della progettazione Fiat, stanco delle solite risposte tutte uguali alle sue domande: sì, sì, sì... Ghidella ha sempre sostenuto che gli “yes men” non gli fossero di nessun aiuto nella sua missione di riportare Fiat ad alti livelli di profittabilità. “Col senno di poi, Ghidella era decisamente troppo intelligente per la Fiat.” La brillante idea di Ghidella e l'intelligente esecuzione di Spada hanno rivoluzionato la produzione di massa. Non soltanto salvando una grossa fetta dei costi di sviluppo e fabbricazione, ma permettendo anche di “aggiustare” la produzione in base alle richieste, in maniera praticamente giornaliera. Il fatto che tutti i modelli potessero essere costruiti nella stessa fabbrica risolveva uno dei più grandi crucci dell'industria. Se le vendite di un modello scendevano, la sua quota produttiva poteva velocemente essere compensata da quelle degli altri, assicurando che la fabbrica lavorasse sempre al pieno delle sue capacità. --- Finito. Onestamente, che gli Unone avessero il passo più corto non l'avevo mai saputo. Sempre pensato che sotto quella carrozzeria un po' "scarsa", derivata dall'evoluzione (by CS Fiat) della "Due" di Giugiaro ci fosse il vero e proprio pianale Tipo 2. Sono anche un po' confuso: la prima delle parti che ho sottolineato perchè secondo me salienti, è quella che cita l'arrivo da Fiat di pianale e struttura di base. Vien da pensare quindi che Spada lavori su quel passo. Però vien fuori che in Fiat si sta lavorando alla Tipo 2 su un pianale "molto simile ma col passo più corto". Questo avvalorerebbe la tesi secondo cui in Fiat NON VOLESSERO AFFATTO realizzare tante auto con la stessa base. Pianale e struttura consegnati a Spada, sui quali nasce la Lancia, saran ben nati in Fiat, no? Quindi stavano studiando due auto diverse, magari parenti, ma non così tanto come quelle andate in produzione? La spinta sembrerebbe tutta di Ghidella, con Ercole al suo fianco, il quale un giorno dice "ma scusate, perchè non fate anche la due volumi Fiat con la struttura della Lancia che ho già disegnato?" Passati 40 anni, ok, oggi queste sono sfumature che non cambiano la storia. Come detto in principio, che la Tipo ad un certo punto molla l'aspetto dell'Unone e cambiando forma acquisisce il carry over della Dedra lo sapevamo già. Però, che avesse anche un altro passo... resta un'opzione: che il Tipo 2-3 fosse un antesignano di quei pianali modulari tipo VW che possono anche variare in quanto a distanza fra le ruote, mantenendo inalterati gli altri elementi (engine bay, parafiamma, parte posteriore con vasca ruota di scorta ecc.), ma... perchè? Per quei pochi cm di differenza sul passo ruote che ci potevano essere fra una "C" in crescita, post-Ritmo, ed una "D" che comunque doveva stare sui 4,30-4,40 metri? Forse siamo ancora una volta alle prese con le incomprensibili scelte sabaude p.s. Ora sappiamo anche perchè sulla maquette della Dedra c'era scritto "Aprilia".13 punti
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Riuppo il topic Dedra per condividere con voi questo testo (tratto da un numero della rivista Automobilismo, purtroppo non ricordo quale) che racconta dei giorni in cui la nuova media Lancia e la sua design story furono protagoniste in una location... beh, inconsueta. IL DESIGN “DEDRA” IN MOSTRA A LONDRA Muovendosi alla volta di una mostra che ripercorre l'iter del design “Dedra”, due percorsi vengono idealmente a sovrapporsi: quello del divenire grafico dei disegni, esposti al londinese Victoria & Albert Museum, e quello dell'essere che si concretizza nella realtà della “2.0 i.e.” che accompagna il nostro viaggio. Si ricreano, cioè, le migliori condizioni per riflettere e comprendere a freddo – lontano dai clamori della presentazione ufficiale nel 1989 – quella “pulizia” ed eleganza del disegno della media Lancia, dote che oggi viene considerata la principale motivazione all'acquisto per il 40 per cento dell'utenza. I temi chiave posti ai designer dell'I.De.A. Institute nell'ormai lontano 1983 (all'atto della definizione del “cahier des charges”) si infulcravano sulla volontà di ricucire una filosofia di design votata all'eleganza e dispersa negli ultimi anni su prodotti fini a sé stessi e non ben inseriti in una logica di marchio. Si ricercava, in particolare, un design razionale ed essenziale; privo di fronzoli che avrebbero appesantito l'insieme; morbido e ad un tempo teso nelle sue linee fondamentali; ispirato alla tradizione Lancia di modelli prestigiosi quali l'Aprilia e l'Aurelia; indirizzato all'aerodinamica, ma non asservito ad essa. L'impostazione estetica privilegiava un taglio monolitico spezzato da una serie di diedri, in modo da non nascondere e banalizzare i leggeri spigoli che affermano oggi una personalità invidiabile. Proprio il diffuso impiego di spigoli, sulla zona del cofano e lungo tutta la fiancata, crea nella berlina Lancia un effetto di tensione in piacevole contrasto con l'andamento più morbido del padiglione. Il trattamento del frontale riduce l'altezza dei fari a favore di una calandra che torna “importante”, allontanandosi dalle sintetiche rappresentazioni Delta e Thema, e muovendosi su tagli che, piuttosto, ricordano appunto l'Aprilia e l'Aurelia. Il cofano trae imponenza da due pieghe che si dipartono dagli spigoli della calandra e divergono verso l'abitacolo ad abbracciare la base del parabrezza. I fari sottili – del tipo a doppia parabola – completano un volto basso e slanciato, immediatamente riconoscibile nel traffico, seguendo una tendenza che avrà larga diffusione sulle auto di domani. La cellula abitativa, di abbondanti proporzioni, si raccorda ad un lunotto molto inclinato e ad una coda alta per caricare otticamente la massa posteriore, per lo spazio bagagli e per l'aerodinamica. Il concetto estetico dei primi schizzi veniva sviluppato su bozzetti a colori che individuavano chiaramente la carrozzeria: da questi nasceva all'I.De.A. Institute il piano di forma, cioè il disegno tecnico in scala 1:1 che individua ogni punto della carrozzeria nelle tre coordinate cartesiane, sulle indicazioni del quale veniva costruito nell'ottobre del 1984 il modello definitivo in epowood (uno speciale materiale sintetico che ha la consistenza del legno) contemporaneamente alla maquette di abitabilità. Due mesi dopo, anche la maquette degli interni veniva completata. Nel settembre del 1985 iniziava la costruzione del prototipo “numero zero” in lamiera e nel febbraio 1987 prendeva avvio il processo di industrializzazione. Fine prima parte.13 punti
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La storia non è mai stata molto chiara e anche la stampa del settore design non ha mai approfondito molto, limitandosi a riportare gli step principali dello sviluppo così come dichiarati dalla Casa... che riporto aggiungendo qualche commento personale . La fase di ricerca formale era iniziata già nel 1987, con Maioli in cattedra e durò tre anni, il CS e la "solita" I.De.A., madre della proposta che verrà carrozzata. A quei tempi il progetto si chiamava Trino per via della comunione di componenti che avrebbero dovuto avere le nuove Uno, Panda ed Y10. Si decise poi di eliminare la nuova Panda, perchè "troppo diversa": con queste parole Fiat intendeva dire che le modifiche al carry over, necessarie per rendere differente e "molto meno" la piccolina rispetto alle altre due segmento B, sarebbero state troppo costose ed il vantaggio economico di proporre un trio non poi così... vantaggioso. (La realtà, secondo me? Ben più commerciale. La corrente Panda era una miniera d'oro, perchè costava poco farla e vendeva sempre un botto. Infatti, andò avanti ancora... qualche settimana ) Il progetto divenne quindi Bino, e a dirla tutta Bino fu, perchè la Y di Fumia era un derivato Punto. Nel 1990 però si chiamava già "Tipo B", come si legge sul posteriore di alcune maquettes. A quel punto la storia ufficiale narra che ad essere coinvolti sono il CS, Pininfarina e Giugiaro. I.De.A è fuori. Resta il mistero riguardo il ribaltone stilistico e qui le cose si fanno più curiose, ma andiamo anche nel campo delle supposizioni Non è nemmeno chiaro se i prototipi carrozzati con lo stile cassato furono realizzati appositamente per non correre rischi di spionaggio (la loro evoluzione mi sembra un po' troppo, come dire, "completa", col passare del tempo ed il crescere degli avvistamenti...) oppure fossero già stati realizzati in un momento in cui si pensava di produrre davvero quella e poi furono utilizzati perchè erano pronti... perchè in effetti escono in strada in un periodo in cui, secondo le notizie ufficiali, Fiat ha già deciso quale sarà la vera Punto. (in base alle dichiarazioni di Maioli, Giugiaro vince la sfida nel 1990) A quel punto si inserisce un'altra ipotesi: Fiat stava costruendo e collaudando comunque quella "Tipo B" che non sarebbe stata la Punto, perchè pensava di farla diventare una segmento B economica che vien dall'Est o dal Brasile... insomma un embrione di quella che sarebbe poi stata, molto più avanti, la Palio. Infatti diverse riviste, col passare tempo e dell'arrivo di nuove indiscrezioni, iniziarono a scrivere "attenti però che questa non sarà la vera 'nuova Uno', bensì...", aggiungendo che il progetto iniziale aveva preso un'altra strada nel momento in cui Giugiaro aveva avuto "un'illuminazione" presentando una nuova proposta (chè i suoi primi studi non erano mica tanto la Punto che conosciamo: c'erano una "quasi Ibiza" - che poi arriverà - e una "grossa Matiz" che della vera Punto aveva solo il frontale, a grandi linee). La cosiddetta "illuminazione" è la parte più oscura, e qui si va nel campo delle teorie ancor più personali, dove mi fermo, perchè quando propongo la mia teoria molti mi dicono "eeeh, figurati, te vedi scottanti dietro le quinte ovunque...". Alla fine, come ben sappiamo, con quella carrozzeria si fece un bel nulla... e onestamente, non credo ci sia da lamentarsi... non era certo un gioiello, secondo me. Chissà, forse venne portata in strada perchè nata in un periodo in cui la partnership Fiat/I.De.A pareva intoccabile e sembrava che tutto il prodotto Fiat dovesse uscire da là (e qui ci si addentra nuovamente nel campo dei dietro le quinte assai curiosi... )13 punti
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Ma non mi è troppo chiaro come gestiscono l'HQ europeo e la parte R&D... Praticamente fanno trasloco Parigi-Torino? Comunque leggo molte critiche : Slide fatte male, promesse vane, pandina portata troppo in la, Maserati morta,motore 1.2 applicato alle segmento D ed E ,Gian Filippo cacca. Sicuramente Fca ha una grande tradizione di slide spesso in parte disattese, però praticamente oramai qualsiasi cosa faccia Stellantis viene criticata. Almeno sulla carta mi sembra un piano che potrebbe aiutare a far lavorare di più gli impianti/dipendenti italiani ... sicuramente più di quanto faceva con Manley o con Tavares.. non dico che c'è da santificare Imparato, però nemmeno sputare ogni volta su qualsiasi cosa che viene fatto. Qui si parla di presidiare anche in futuro i segmenti più bassi, oltretutto con produzione locale. Di avere tutte le piattaforme a disposizione in Italia, di provare a ridare un senso a Maserati e non uccidere Alfa e Lancia destinandole al solo elettrico puro. Non mi sembrano cose da poco, considerando la situazione in cui versa l'industria automotive europea e nostrana13 punti
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Airflow muta costantemente. Assume una nuova forma ad ogni comunicato stampa Stellantis.12 punti
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Svegliaaaa!!! I collaudatori si alzano presto, e noi dobbiamo fare altrettanto, altrimenti ci seminano! Iniziamo con un'altra immagine b/n della vettura vista nel post precedente. Credo fosse la stessa situazione, in cui il paparazzo ebbe un attimo per girarci attorno. Questo b/n mi piace, fa molto "mattina torinese con quella nebbiolina che chissà forse non è nebbiolina" Oltre ai classici fari posticci, notiamo un tubo di scarico provvisorio. Questo invece è il secondo scatto della vettura vista ieri davanti alla mitica edicola, il cui proprietario se le guardava tutte. Probabilmente pensò subito che se avesse scattato ed inviato delle fotograrie, Fiat avrebbe immediatamente capito di chi si trattava, dall'inquadratura, e qualcuno sarebbe uscito a dirgli qualcosa Infatti non abbiamo mai visto una foto che potesse essere stata scattata dall'edicola. Peccato per lui, sarebbe stato un carparazzo col lavoro pronto davanti agli occhi ogni giorno. In queste due immagini alcuni pezzi di nastro adesivo nero non combaciano, altri invece si. Potrebbe essere la stessa vettura. Qui invece abbiamo un prototipo caratterizzato dalla lunga striscia di nastro nero sui fianchi e da un frontale completamente anonimo, privo di calandra e dotato dei gruppi ottici della Delta HF, il che ci può dare l'idea di come sarebbe stata la Dedra con un frontale "old style" Curioso comunque il fatto che col passare del tempo il frontale anzichè passare da provvisorio a quasi definitivo stesse facendo esattamente il contrario Il numero dei prototipi costruiti è salito parecchio... sul parabrezza mi sembra di leggere un 40/40 e qualcosa. Gente Motori nello stesso servizio pubblicava anche questa... e al primo impatto poteva sembrare la stessa, vista da dietro. In realtà è un'altra vettura: questa non ha la striscia nera sul fianco. E non cellà perchè.... è un'altra "quattro fari". Questa. Che li ha tutti dello stesso diametro. Saranno di una Bmw? Ogni tanto spuntano queste frecce dalla forma che pare quella definitiva, ma di colore arancio (si vedono bene in quella davanti all'edicola postata ieri, e si vedevano anche sulla "pulita" sorpresa da 4R sullo sconnesso della Mandria). Le aveva la maquette del 1984, ma sul prototipo "0" con targhe e tutto non c'erano più. Poi spuntano nuovamente sui primi proto camuffati... ne realizzarono un po', di quelle frecce definitive di color "basic", e trovo la cosa piuttosto curiosa, dato che la vettura che questa sarebbe andata a sostituire, la Prisma, le frecce arancio non le aveva mai avute. Volevano imitare il 190?12 punti
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Dai su, l'unica risposta è Giulia. È 1 cm più corta di 159 quindi è "più piccola".12 punti
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È vero che le Case automobilistiche non siano enti di beneficenza e che, in un’ottica puramente manageriale, Tavares abbia portato a casa risultati importanti per gli azionisti grazie a una strategia di riduzione dei costi e di aumento sensibile dei listini. A volte, nell’immediato, generare utili “a badilate” può sembrare la scelta più logica. Tuttavia, qualsiasi azienda che operi in un settore così competitivo deve anche riflettere attentamente sul rischio che una strategia troppo focalizzata sull’utile a breve termine finisca per erodere la percezione di valore e la fiducia del cliente nel lungo periodo. L’aumento dei listini in modo indiscriminato, senza un contestuale incremento di contenuti tecnici e qualitativi, rischia di alienare una fascia di clientela che non percepisce il valore aggiunto. È qui che entra in gioco la necessità di un equilibrio: fare utili senza trascurare gli investimenti sul prodotto, sulla rete di assistenza e soprattutto sulla reputazione. La strategia della condivisione di piattaforme e componenti tra i vari marchi del gruppo per aumentare i margini da un lato può effettivamente generare significative sinergie e garantire economie di scala, utili per tenere sotto controllo i costi e fornire standard qualitativi più alti su tutta la gamma ma dall’altro è fondamentale che questa condivisione non faccia scomparire l’identità e la qualità percepita dei diversi brand: ogni marchio ha una storia e un pubblico di riferimento con aspettative precise. Se si esagera nella standardizzazione senza adeguati investimenti in ricerca, sviluppo e design, si rischia di livellare verso il basso, con possibili impatti negativi sulla fidelizzazione del cliente. Gli utili derivati esclusivamente dal rialzo dei prezzi e dai tagli ai costi di produzione non sono una strategia sostenibile nel lungo periodo se non vengono reinvestiti in ricerca, materiali di qualità e miglioramenti concreti. Un’azienda solida non può basarsi solo su mosse di breve termine ma deve costruire un rapporto di fiducia con il consumatore. Non bisogna dimenticare che il mercato auto è sempre più trasparente: online si confrontano prezzi, caratteristiche, esperienze d’acquisto e di possesso. Questo genera una pressione costante sulle Case perché garantiscano qualità e valore reali, non solo percepiti. Mantenere il giusto bilanciamento tra risultati economici e soddisfazione del cliente è essenziale: solo così un Gruppo automobilistico può confermarsi un leader di mercato, capace di prosperare nel presente e costruire un futuro sostenibile.12 punti
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Questo è quello che pochi giorni fa si autodefiniva “pilota sui cordoli” intendendo che “lui si prende dei rischi”; Sì, il rischio di distruggere l’identità di una decina di marchi storici appiattendo i contenuti al ribasso, e uniformando tutto il possibile, sempre al risparmio, alla ricerca del maggior margine anche a fronte di numeri di vendita scarsi. Strano che la pedata nelle terga non sia arrivata molto prima…12 punti
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Io, non sono un acquirente potenziale di questo genere di auto. Comunque, spero che questa macchina non la compri nessuno, che venda il meno possibile. Perchè è quanto di più sbagliato per Alfa Romeo. Un' auto costruita in Polonia, sviluppata in Francia su telaio francese, con motore ridicolo sviluppato a Poissy. Alfa Romeo è un semplice badge da attaccarci sopra. Se questo modus operandi passa al resto, Alfa Romeo per me, e spero per gli altri, è meglio che chiuda e scompaia. Non avrebbe senso continuare e ci godiamo le oldtimer. Opinione personale.11 punti
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In casa Kardashian è appena entrata una Tipo SW 1.6 Mjet km 0 pagata meno di 20 mila euro 😂 I miei volevano un qualcosa da battaglia ma tra le schifezze PSA col 1.2 a cinghia a bagno d’olio e la brutta Fiat 600 km 0 han preferito la più razionale e spaziosa Tipo.11 punti
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Passata qualche settimana dall'ultimo upload riguardo i raid di Gente Motori (che son tantissimi, motivo per cui col tempo riprenderò la serie saltando però avanti e indietro, in base a ciò che mi capita fra le mani) torno ora, finalmente con un po' di tempo libero, ad ammorbarvi con le mitiche avventure vissute da Gianni Marin in giro per il mondo, al volante di vetture di ogni tipo, epoca e marca. Lo stile del mitico Gianni lo conoscete già. I suoi articoli forse non erano i primi da prendere in considerazione se l'intento era quello di analizzare in maniera fredda e imparziale una vettura (specialmente quando era italiana) perchè i complimenti erano sempre tanti, le critiche poche e fra le righe si leggeva sempre l'intenzione di far contenti tutti , ma non c'è dubbio che se non ci avesse pensato lui, a trasformare questi "sogni" in realtà, se avessimo dovuto affidarci soltanto al freddo, rigoroso Quattroruote, queste avventure che restano nella storia dell'auto italiana non le avremmo mai vissute, seppur indirettamente. Restano quindi oggi - per chi li ha in casa, come il sottoscritto , e per chi naviga in posti ove il sottoscritto si lascia andare su pagine e pagine di ricordi - dei documenti eccezionali, testimoni di un mondo dell'auto, specialmente quella italiana, che non tornerà più. Va bene, termino qui la pomposa introduzione: scusatemi, ma quando guardo le foto di auto italiane in luoghi in cui probabilmente non sarebbero mai arrivate se non fosse stato per lui, sento il desiderio di celebrare ancora una volta il lavoro di quel dinamico, furbacchione, mondano e affabile "diretùr". Grazie, Gianni. PONY EXPRESS RAID DUE DELTA SUI SENTIERI DEI COWBOYS DI “OMBRE ROSSE” Di Gianni Marin Collaborazione tecnica: Carlo Massagrande Ricerche storiche e turistiche: Bruna Marin Servizi fotografici: Vanni Belli “Cercansi giovani, magri, robusti, tenaci, che non abbiano superato i diciott'anni d'età, esperti cavalieri, disposti, ogni giorno, a rischiare la vita. Sarà data la precedenza agli orfani.” Cartelli con questo annuncio comparvero nelle città del Sud degli Stati Uniti nel marzo del 1860. Aveva provveduto a diffonderli la “Pony Express Company”, una società che si proponeva di avviare un collegamento postale tra St. Joseph, nel Missouri e Sacramento, in California, dalle cui banchine la posta sarebbe stata poi imbarcata alla volta di San Francisco. Come molte altre conquiste e avventure umane, il “Pony Express” (questa la denominazione ufficiale dello storico servizio di posta) nacque dal senso di frustrazione e abbandono che aveva colpito i pionieri spintisi sino all'Oceano Pacifico con il miraggio dell'oro. Già nel 1860 circa mezzo milione di persone viveva oltre le Rocky Mountains, la maggior parte nell'Oregon e in California. L'esaltazione per l'oro trovato e per le magnifiche e ricche scoperte non avevano sopito quell'ideale cordone ombelicale che legava queste genti alle loro terre e agli affetti lasciati. C'era il desiderio di avere notizie da casa, dei propri cari, di sapere cosa stava succedendo nel loro paese lontano là, a est del fiume Missouri. 1980 miglia, cioè 3168 chilometri, ottanta cavalieri, 429 cavalli: questo, in cifre, il “Pony Express”, il cui primo cavaliere prese il via da St. Joseph il 3 aprile 1860 con la sacca della posta. Nei punti più difficili uomini e cavalli venivano sostituiti anche ogni dieci miglia; ma tutto restava estremamente arduo e infido. Tra l'altro, prima che il “Pony Express” compisse due mesi di vita, una guerra indiana esplose lungo centinaia di miglia di percorso nello Utah: vennero distrutti i depositi e le stazioni di riposo e diciassette dipendenti della “Pony Express Company” vennero uccisi. Il più giovane non aveva ancora compiuto quattordici anni. Si può ben capire come questi giovani cavalieri fossero personaggi di tempra formidabile. Tra gli altri c'era anche un certo William F. Cody, di quindici anni, che proprio con il “Pony Express” firmò il primo capitolo delle sue imprese leggendarie, quelle di “Buffalo Bill”. Un altro postino, James Butler, si guadagnò il soprannome di “Wild Bill” (Selvaggio Bill) in occasione di un violento scontro con gli indiani. “Eccolo, sta arrivando. Vola al limite della prateria, un punto nero che si staglia contro il cielo, come un piccolo uccello che abbia perso il suo stormo.” Sono parole di Mark Twain che mitizzano la figura di questi uomini e del loro servizio postale. Ma questa favolosa pagina del vecchio West durò soltanto diciannove mesi. Il cuore di un cavallo e il coraggio di un uomo nulla poterono contro l'avanzare della tecnica. Lungo la stessa strada percorsa dai cavalieri del “Pony Express” fu installato il primo servizio telegrafico intercontinentale. Fu una gara allo spasimo tra due squadre di tecnici: l'una partì dal Pacifico e puntò verso est, l'altra partì dal Missouri e puntò verso ovest. L'obbiettivo era quello di arrivare per primi a Salt Lake City, punto d'incontro a metà strada. Vinse la squadra che proveniva dal Missouri, che vi giunse il 18 ottobre 1861; quella proveniente dalla California arrivò sei giorni dopo. L'avvenuto collegamento fu festeggiato con l'invio di un messaggio al Presidente Abramo Lincoln. In pochi minuti un breve testo, contenente una professione di fede all'annessione della California agli Stati dell'Unione, attraversò quelle regioni che i cavalieri del “Pony Express” percorrevano in giorni e settimane. Il “Pony Express” era finito. Non gli restava che entrare nella storia, con i suoi William F. Cody, i suoi “Wild Bill”, i suoi Nick Wilson, non prima però di aver dato ai suoi ideatori fama e povertà: in diciotto mesi e mezzo essi chiusero il bilancio con 200.000 dollari di passivo. Centoventi anni dopo, nel mese di giugno del 1980, “pionieri” italiani non più giovani, certamente non magri, forse robusti, sicuramente tenaci, hanno voluto ripercorrere questo magnifico sogno di congiungere la strada, scegliendo la stagione più pericolosa per il caldo mortale delle regioni da attraversare e utilizzando due automobili che sul piano europeo rappresentano il meglio in fatto di stile e di tecnica, tanto da essersi aggiudicate il titolo di “vettura dell'anno” per il 1980. I non più giovani erano il sottoscritto e i componenti della solita collaudata équipe; le automobili: le Lancia Delta, che ancora non avevamo avuto occasione di provare su lunghe distanze, in condizioni ambientali particolari e sotto sforzo prolungato, condotte sempre al limite delle loro e delle nostre possibilità. E' nata così l'idea del “Pony Express Raid”; una denominazione piena di fascino, già in partenza avventurosa, eccitante proprio per la storia di cui vi ho raccontato una sintesi all'inizio. In redazione abbiamo scelto un tracciato che avrebbe toccato sei Stati americani: la Louisiana, il Texas, il New Mexico, l'Arizona, lo Utah e la California, con partenza da New Orleans e arrivo a San Francisco. Un totale di 5500 chilometri (il dato esatto risulterà alla fine 5537,400 km) da compiersi in otto giorni. Sulla carta tutto sembrava sì avventuroso ed eccitante, ma sostanzialmente facile. Avendo percorso l'Amazzonia da Caracas a Manaus con le Fiat Ritmo pensavamo di avere già raggiunto l'apice delle difficoltà ambientali. E gli Stati Uniti non presentavano certo i problemi amazzonici. Louisiana - Stadio "Superdome" Le avventure di guerra e morte del vero “Pony Express” appartengono alla storia: oggi vi sono autostrade, meravigliose strade statali, velocissime tangenziali per attraversare paesi e città. L'unico “intralcio” è rappresentato dalla Polizia statunitense, che colpisce severamente, e con ragione, chi supera i limiti di velocità. E noi, che negli Stati Uniti abbiamo viaggiato in auto svariate volte, ne sappiamo qualche cosa. Pensavamo quindi che sarebbero bastate un po' di resistenza fisica, nelle tappe più lunghe, la scrupolosa osservanza dei limiti e nulla più. Invece anche in questa occasione le nostre previsioni si sono rivelate troppo ottimistiche; soprattutto una cosa non avevamo ben valutata: il caldo. Un caldo che nel mese di giugno è divampato su tutto il Sud degli Stati Uniti, causando oltre duecento morti, innescando incendi paurosi (di uno siamo stati anche testimoni a El Paso, al confine con il Messico), uccidendo animali e piante, rendendo incandescenti paesi, cittadine, strade e autostrade. Già alla partenza da New Orleans avevamo avuto qualche temibile avvisaglia: 35 gradi all'ombra, con una umidità relativa intorno al 40-45 per cento. Una temperatura che è andata aumentando sempre più, fino a toccare, nel deserto dell'Arizona i 47 gradi all'ombra. Scritta così, sulla carta, questa cifra non può dare l'esatta idea di quel che significhi nella realtà; bisogna essersi trovati in una situazione del genere per poter capire appieno cosa sia il caldo. Non avevamo aria condizionata a bordo e abbiamo dovuto ricorrere agli espedienti più vari, fino al ghiaccio sistemato in sacchetti intorno al collo. Vanni Belli temeva che quel caldo potesse addirittura “sciogliere” le sue pellicole fotografiche. E poi vi era la fatica di ore e ore di guida: 15 ore e 02' nella terza tappa, da Sonora a Las Cruces; 14 ore e 33' nella quarta tappa, da Las Cruces a Kayenta; 14 ore e 27' da Kayenta a Phoenix, e così via. Mai un giorno di sosta o un'ora di riposo, sempre chiedendo il massimo alle due nostre meravigliose (oggi lo posso dire) Lancia Delta e a noi stessi, giunti stremati a San Francisco otto giorni dopo. Oltretutto, il passaggio repentino dalla fredda primavera-estate italiana alla torrida primavera-estate americana aveva ulteriormente ridotto le nostre risorse fisiche. Ma procediamo con ordine. Cominciamo dal momento della partenza, quando a New Orleans, dal locale concessionario Fiat entriamo in possesso delle due Lancia Delta che avevamo spedito dall'Italia via mare. Carlo Massagrande si accorge subito che qualche cosa non va. La Delta affidatagli non ha la sospensione posteriore a posto. La guido anch'io per qualche chilometro e mi rendo conto che effettivamente i rumori provenienti dal retrotreno non sono certo forieri di buoni presagi. Marcia indietro e ritorno dal concessionario. Mettiamo l'auto sul ponte e constatiamo che la vettura, durante il trasporto via mare, è stata evidentemente ancorata in un punto non idoneo a reggere gli sforzi di trazione conseguenti al rollio della nave. Esaminiamo quindi anche l'altra vettura ma scopriamo che in questa il danno è per fortuna minore. Per poter partire subito, l'unica soluzione è intervenire empiricamente; attendere l'arrivo dei ricambi necessari dall'Italia ci farebbe perdere troppo tempo. Carlo Massagrande non è d'accordo con questo genere di “far da sé” ma il mio dispotismo di capo prevale. Del resto, quello di arrangiarsi è sempre stato, volenti o nolenti, il nostro destino. E finora ci è sempre andata bene. Con un robusto bastone cerchiamo di raddrizzare ciò che si è piegato, ben consapevoli che così facendo la geometria delle ruote andrà a farsi benedire. Ma non c'è altro da fare. Lavoriamo qualche ora. La vettura ridiscende dal ponte e Carlo, sempre poco convinto, accetta di ripartire. Osservo la Delta da dietro: è leggermente fuori posto come assetto ma non sembra che la cosa sia grave. L'unico problema riguarderà il rilevamento del consumo dei pneumatici, i Pirelli P3 che sulla vettura di Massagrande (quella di color blu) denunceranno inevitabilmente una usura anomala. Prenderemo quindi per buoni solo i consumi rilevati sull'altra, quella rossa, guidata dal sottoscritto. New Orleans - Hotel Hyatt Regency New Orleans - "Piazza d'Italia" (vi chiedo scusa per la qualità delle immagini... ho fatto il possibile ma è un dato di fatto che Gente Motori fosse spesso stampato in maniera mediocre, e che questo rovinasse il bel lavoro realizzato da Vanni Belli) Otto mesi erano passati dalla presentazione della Delta e quindi era importante verificare subito alcuni aspetti di questa nuova Lancia. Premetto subito che avevamo optato per la versione da “un litro e mezzo”, quella più accessoriata (mancava soltanto l'impianto di condizionamento e quanto lo abbiamo rimpianto!). Inserita nel traffico americano, dove prevalgono ancora i grossi macchinoni e in cui si fanno sempre più numerose le auto giapponesi, la Lancia Delta spicca per i suoi caratteri somatici ben definiti, propri di una razza purissima. Giorgetto Giugiaro, un autentico mago dello stile, ha ancora una volta centrato l'obbiettivo. Quando vidi la Delta tanti mesi prima della sua nascita ufficiale, in verità mi lasciò perplesso. Era senza finizioni, senza modanature, quasi un manichino. Avevo avuto l'impressione di un qualche cosa di già visto, di già noto. Era una “Giugiaro” che mi ricordava altre realizzazioni dello stesso stilista. Poi è venuta la sua presentazione. La vettura mi è apparsa in una luce completamente diversa, l'ho vista dotata di personalità come ben poche altre. Quella prima volta mi ero evidentemente sbagliato. L'ho vista poi sulle strade europee, emergere nel traffico per eleganza e snellezza. La Delta è un prodotto indovinato a cui il mercato ha risposto adeguatamente. Ed eccola ora nel traffico americano, a confronto con i grossi “barconi USA”, che chiudono un'epoca e ne aprono un'altra. Grandi, ingombranti, arzigogolati, con tanti fregi, modanature, cofani imponenti; poi, quando ci sali sopra, con valigie da sistemare, ti accorgi come tutta quella esteriore ostentazione di spazio sia soltanto apparenza. Nella Delta non c'è nulla di apparente, c'è solo sostanza. Due taxi americani, dall'albergo all'aeroporto di New Orleans, per portare i cinque partecipanti al “Raid del Pony Express”; due Delta per attraversare con gli stessi uomini e le stesse valigie gli Stati Uniti: ma quanto più comfort, quanto più spazio a disposizione sulle vetture italiane. Allo svantaggio di un bagagliaio non eccezionale si può sempre sopperire con l'abbattimento di uno dei due schienali, (o magari di tutti e due) dei sedili posteriori. E allora sulla Delta si può trasportare di tutto, anche le ingombrantissime sacche da golf che avevamo portato da casa nella vana illusione di concederci qualche attimo di svago. Le finizioni interne non fanno una grinza e così pure quelle esterne. L'unico appunto che ci sentiamo di muovere riguarda la qualità dei tessuti: in condizioni climatiche come quelle da noi incontrate il panno dei sedili accentua la sensazione di caldo causando una maggiore sudorazione. Abbiamo dovuto ricorrere all'interposizione di asciugamani per dare un po' di sollievo alle parti a contatto con il sedile. Per il resto non vi è nulla da obbiettare. La plancia semplice e completa, con tutti gli strumenti a diretta portata di sguardo, i cassetti capaci, i boccagli per l'aerazione idonei ed efficienti in qualsiasi condizione ambientale (insufficienti solo nelle condizioni infernali in cui ci siamo trovati a vivere e a guidare). Ci inoltriamo in New Orleans, in quella che da sempre viene considerata la capitale del jazz. Ancora oggi il festival del jazz che vi si svolge ogni anno in aprile è un grande appuntamento musicale, oltre a essere una vera e propria sagra popolare in cui tutti, per nove giorni, vivono da protagonisti. Si tiene nel Fair Grounds Race Track, un vasto spazio erboso che sorge alle porte della città e che ospita abitualmente l'ippodromo, tra vecchie querce e laghetti costruiti dai francesi durante il periodo coloniale. Il ritmo crescente delle decine e decine di bande jazzistiche si fonde con il profumo delle magnolie (simbolo di questa città) e dei gamberi fritti. La città si scatena. Giungono al Fair Grounds Race Track i poveri che abitano nel quartiere di Algiers insieme ai ricchi che abitano la Bourbon Street, una strada famosa per i suoi locali notturni e per i bar dove ancora si può ascoltare dell'ottimo jazz. Vengono dimenticati i vecchi rancori razziali, quelli che vedono a tutt'oggi i n...i (ndGTC: ometto la n-word con la “g” che ai tempi veniva usata anche senza cattive intenzioni – compariva anche nelle vignette di Topolino - ma che oggi è giustamente vista in altro modo) banditi da certi luoghi e impiegati soltanto in lavori umili e pesanti. Meravigliosi pezzi di “ragtime” si fondono con il “boogie-woogie”, i “blues” con i “gospel”, con i “rhytm and blues” e con tutta quella jazzistica che proprio qui, nel distretto di Storyville a New Orleans, nacque agli inizi del Novecento. Con le due Lancia Delta anche noi ci avventuriamo in Bourbon Street, dalle case basse, con i balconi in ferro battuto e colonne all'ingresso: antiquari, negozi per turisti, tanti bar, cabaret e locali di strip-tease. Mi guardo attorno ed ecco spuntare un personaggio fantastico, che sembra uscire dalla storia del vecchio e originario dixieland, ai tempi in cui il jazz, una musica afroamericana, frutto dell'humus di una razza trapiantata a viva forza da un continente all'altro, rappresentava quasi una preghiera e un atto di rivoluzione assieme. Vecchio, nero, ballerino: aveva dato la vita per il jazz e la vita ora lo ripagava con povertà e privazioni. Al suono di un'orchestrina, Don Ellis, questo il suo nome, ci improvvisa un ballo. L'accompagnamento è perfetto; il violinista non è certamente Gatemounth Brown e il pianista non è Dave Brubeck; non c'è un chitarrista come B.B. King, o un vibrafonista come Lionel Hampton. Ma è come se ci fossero e Don Ellis balla, con il sigaro in bocca e un vecchio ombrello in mano, motivi che ricordano la sua giovinezza, quando lavorava per la grandissima Dixies Davis (tuttora sulla breccia a onta dei suoi ottantaquattro anni) o per l'ineguagliabile B.B. King. È l'occasione per Vanni Belli di scattare le sue fotografie, forse le più belle, le più umane. (fotografie che purtroppo non possiamo ammirare, perchè per chissà quale motivo al momento della "confezione" dell'articolo rimasero fuori dal corredo fotografico... tranne una che però fu pubblicata su due pagine, con Don Ellis piazzato proprio nel mezzo, quasi invisibile) Ma il tempo incalza. Dobbiamo completare la documentazione fotografica della “stazione di partenza”, da cui daremo inizio all'avventura che ci porterà nel giro di otto giorni da New Orleans a San Francisco, via Houston, El Paso, Albuquerque, la Monument Valley, il Grand Canyon, Phoenix, Los Angeles e la splendida, indimenticabile penisola di Monterey. Partiamo, lasciando alle nostre spalle New Orleans e puntando su Houston, dove abbiamo fissato la sede della nostra prima tappa. Fa caldo ma in modo ancora sopportabile. Lasciamo dietro di noi anche il Mississippi, il grande fiume che avevamo risalito in occasione di un nostro precedente raid. Complessivamente percorriamo 586,7 chilometri, impiegando dalla partenza all'arrivo 10 ore e 04', di cui 6 ore e 33' di guida effettiva. Per le soste (rifornimenti, fotografie, colazione) abbiamo perso 3 ore e 31 minuti. Carlo Massagrande, con la precisione che lo contraddistingue, mi comunica la media: 90,946 chilometri all'ora. Rapidamente calcola anche i consumi: la mia Delta, quella di color rosso, ha bruciato 51,40 litri di carburante; la sua, di colore blu, 48,60 litri. Veloce lavoro con la calcolatrice e stabiliamo che la Delta rossa ha percorso 11,589 chilometri con un litro; quella blu 12,257 chilometri. Il piede del “regolarista” Massagrande si è fatto sentire ancora una volta. Girare per Houston non un'impresa facile. La circolazione è caotica e, per la prima volta negli Stati Uniti, troviamo che le indicazioni stradali sono scarse, poco chiare. Fatichiamo un po' prima di trovare la strada che ci condurrà a Pasadena, al “Johnson Space Center”, dove la NASA ha fissato il suo quartier generale e dove Vanni Belli vuoi ripetersi in fotografie sensazionali, come quelle già scattate a Cape Kennedy nel nostro raid di un paio d'anni fa, quando da Montreal (in pieno inverno) siamo andati con due Ritmo a Miami. Il “Johnson Space Center” ci accoglie all'imbrunire, dopo che avevamo costeggiato la Galveston Bay, con i suoi pozzi petroliferi oceanici, visibili sullo sfondo ma troppo distanti per essere fotografati. Le ombre della notte sono già scese e quindi decidiamo di rimandare all'indomani ogni cosa. Andiamo a dormire; “mettiamo a letto” anche le due Lancia Delta che non hanno mai perso un colpo, che hanno assecondato benevolmente anche le repentine (e non sempre azzeccate) decisioni di un “capo” come il sottoscritto, soggetto a mutare opinione a ogni momento. Ma fra i due equipaggi regna l'affiatamento e finora tutto è andato sempre per il meglio. Fine prima parte11 punti
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Basta prendere una 500x e una 600 per capire l'involuzione fatta nei materiali portiere in pochissimi anni; fra aspettarsi finiture di una Rolls e non raggiungere neppure il minimo sindacale ci sono tante vie di mezzo virtuose. Da che mondo è mondo se pago di più pretendo di più.11 punti
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Esattamente - e quante persone (anche qui dentro) che sanno esattamente come dovrebbe essere un'Alfa e che criticano il fatto che alcune persone trovano sempre motivi per non comprare un'Alfa, guidano poi loro stessi auto giapponesi, francesi o tedesche?11 punti
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"Per Giulia e Stelvio stiamo valutando la possibilità di motorizzazioni anche ibride oltre che elettriche". Speriamo non siano troppo precipitosi, che valutino bene.11 punti
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