Roma, 27 lug. - (Adnkronos) - La Cassazione apre ai gay, riconoscendo che "l'omosessualità va riconosciuta in quanto espressione del diritto alla realizzazione della propria
personalità".
Insomma, sottolinea piazza Cavour, ognuno ha il diritto di vivere "senza condizionamenti".
Un unico passaggio di una sentenza (la 16417 della prima sezione civile) nella quale la suprema Corte si è occupata del caso di un senegalese che sostenva di essere gay che chiedeva di non essere espulso nel Senegal poiché nel suo paese d'origine l'omosessualità era punita con la reclusione.
L'extracomunitario, come prova della sua omosessualità, adduceva il fatto di essersi iscritto a due associazioni omosessuali, una delle quali l'Arcigay, subito dopo il suo ingresso in Italia.
Per la verità la suprema Corte, pur non decidendo sul caso specifico in quanto sottolinea che la semplice iscrizione ad una associazione gay non è di per se indice dell'omosessualità della persona, in un passaggio della sentenza concorda in pieno con il giudice di pace di Torino che nel dicembre del 2004, dando ragione al senegalese Cheick F., aveva sostenuto che l'omosessualità va riconosciuta "come condizione dell'uomo degna di tutela, in conformita ai precetti costituzionali".
Assunto ritenuto pienamente "condivisibile" da piazza Cavour che sottolinea come "la libertà sessuale va intesa anche come libertà di vivere senza condizionamenti e restrizioni delle proprie preferenze sessuali, in quanto espressione del diritto alla realizzazione dellla propria responsabilità tutelato dall'art. 2 della Costituzione".
La difesa dell'omosessualità, dunque, come principio generale perché nel caso specifico la suprema Corte deve invece mettere in guardia sul fatto che la dichiarazione di omosessualità per evitare un'espulsione "potrebbe dare adito a strumentalizzazioni e ad agevoli elusioni della disciplina generale".
Nel caso in questione, infatti, la prova della omosessualità del senegalese era stata dedotta dal giudice di pace torinese sulla base del fatto che l'uomo, "in tempi non sospetti, subito dopo il suo ingresso in italia" si era iscritto all'Arcigay e ad un altro club riservato agli omosessuali.
A tale riguardo la suprema Corte ricorda che "la semplice iscrizione ad un club di omosessuali non" rappresenta "una prova sufficiente a dare dimostrazione di una omosessualità dichiarata dell'iscritto".
Detto questo, il relatore Carlo Piccininni al giudice di pace di Torino al quale ha rinviato il caso accogliendo il ricorso della Prefettura torinese, ricorda che "ai fini dell'accertamento della ravvisabilità o meno di un fatto persecutorio occorre stabilire se la legislazione senegalese preveda come reato il fatto in se
dell'omosessualità (ipotesi che certamente varrebbe in se ad integrarne gli estremi), ovvero soltanto l'ostentazione delle pratiche omosessuali non conforme al sentimento pubblico di quel paese atteso che, in tale ultimo caso, il divieto non si sottrarrebbe al principio di ragionevolezza".
In conclusione, gli 'ermellini' ricordano che solo nella prima ipotesi "sarebbe ravvisabile un fatto persecutorio, alla stregua dei principi generali di libertà e dignità della persona" che vogliono che anche l'omosessualita' vada riconosciuta "in quanto espressione del diritto alla realizzazione della propria personalita'" tutelato dalla Costituzione stessa.
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