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angeloben

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  1. Cercando di fare un po' di chiarezza nella storia dei colori di Punto 176, possiamo dire che questa era la gamma iniziale, al lancio nel 1993: Scusate la pessima risoluzione, è uno screenshot preso da internet di un depliant italiano stampato 9/1993, di meglio non ho trovato... Quindi riscrivo qui: Pastello 129 Rosso Swift (1) 210 Bianco 258 Giallo Ginestra (2) 451 Blu Capri (3) 601 Nero Metallizzati 121 Rosso Etna (1) 132 Rosso Bright 237 Giallo Exploit (1) 350 Green Valley (1) 369 Verde Garden (4) 426 Blu Midnight 645 Grigio Trend (1) 647 Grigio Steel 653 Grigio Carbon (1) (1) non per Cabrio (2) solo per Cabrio (3) non per GT e Cabrio (4) non per S, ED, GT Nel 1995, in occasione di un primo aggiornamento della gamma, che vide anche l'introduzione della versione Sporting, la gamma colori divenne in sostanza quella postata da @Nick for Speed: In pratica, sparirono: 121 Rosso Etna met. 645 Grigio Trend met. ...ed entrarono: 135 Rosso Anemone met. 329 Verde Champion met. Due particolarità di questa gamma colori di Nick rispetto ad altri cataloghi coevi (sempre fine 1996, ma stranieri): - l'aggiunta del colore 168 Rosso Corsa (specifico per Cabrio, che invece non poteva avere il Rosso Swift) - il cambio codice del Bianco, che da 210 diviene 249 Poi si arriva al 1997, con la nuova gamma Punto. E' quella del motore 1.2 16v 85CV al posto del 1.6 e della TD60 al posto della D aspirata, ma anche dei nuovi rivestimenti e di ulteriori piccole modifiche, spesso quasi invisibili. Tra le novità ben visibili, invece, ecco la nuova tavolozza dei colori: In sostanza, mentre colori nuovi (ben otto) ne sostituivano altrettanti andati in pensione, si confermavano le seguenti vernici (sette): Bianco (ormai confermato codice 249) Giallo Ginestra (per cabrio e "sportive") Nero Verde Champion Blu Midnight Grigio Steel Rosso Corsa (sempre riservato alle sole Cabrio) Onestamente non ho dettagli sulle successive gamme (1998 con gli allestimenti Sole, Star, Stile; e poi le serie speciali di fine produzione come la Team), ma non ricordo nuovi colori e posso invece immaginare una progressiva riduzione della scelta...
  2. Dalla menzione delle cosiddette hardtop sedan, mi è venuto un collegamento abbastanza naturale ad un dettaglio estetico moooolto vintage: il rivestimento del tetto in vinile. Al di là delle origini e della diffusione nel mercato statunitense (dove si è anche chiusa la parabola dei tetti in vinile, a metà anni Novanta...), nell'Europa della mia memoria era ancora una dotazione relativamente diffusa negli anni Settanta, caratteristica soprattutto di certi marchi/modelli, in special modo inglesi o con forti connessioni con il mercato anglosassone: Rover, Jaguar, Rolls Royce, ma anche le più normali Austin o i vari marchi della galassia Rootes/BMC/Leyland. Erano della partita poi i marchi di proprietà americana che operavano in Europa, Ford e Opel; del resto entrambe avevano grossi interessi in Inghilterra, Ford con la sua filiale locale, Opel per la collaborazione con i "cugini" inglesi di Vauxhall... Era un dettaglio il cui successo si legava all'immagine "americana" e "di lusso" al tempo stesso, un elemento di distinzione per gli allestimenti/modelli più costosi, sia eleganti che sportivi. E infatti erano numerose le coupé dotate di questo elemento estetico. Oggi è del tutto scomparso, ma ancora nei primi anni Ottanta era un avvistamento possibile persino in Italia, dove pure non era mai stato esattamente in cima ai gusti della gente comune. Tra gli ultimi modelli che si vedevano da noi con il tetto in vinile, io ne ricordo alcuni in particolare: Ford Granada, qui in una bella collezione di esemplari inglesi della prima serie, in tutte le sue varianti di carrozzeria Ma ancora nei primi Ottanta, anche la Ford Taunus TC3 (dalla prova di Quattroruote del 1980) All'entrata negli anni Ottanta, anche Opel proponeva ancora il tetto in vinile, ormai solamente su alcuni modelli in via di dismissione: Opel Manta B Opel Ascona B Ma anche la Opel Rekord E1 Tra i modelli puramente inglesi che ricordo ancora con il tetto in vinile nei primi anni Ottanta in Italia, anche un classico della decadenza anglosassone... Austin Allegro 3 Ma uscendo un po' da questi marchi più affezionati al vinile, qualche outsider arrivava anche dalla Francia: Citroen GS Citroen CX Prestige (ancora nel 1986...) Mentre in Svezia, il tetto in vinile fu un tratto caratteristico di un modello pensato negli anni Settanta guardando al mercato nordamericano e arrivato così anche nel decennio successivo: Volvo 262 C Infine, il vinile perdurò nel modello vintage per eccellenza di Volvo, la 240 Station Wagon che arrivò perfino agli anni Novanta!
  3. Faccio il temperasupposte... ...per specificare che al momento la quota Geely in Proton è 49,9%, ma la maggioranza (il restante 50.1%) è in mano alla holding malese DRB-HICOM. Colgo l'occasione per aggiungere una [MAI NATA] Kia, con delle interessanti origini italiane. Si tratta della KIA ARV, il cui prototipo fu presentato come anteprima al 2° Salone dell'Auto di Seoul, nel 1997. Era chiaramente un modello inteso per essere messo in produzione e sul mercato a stretto giro, ma la crisi finanziaria asiatica del 1997 che travolse anche Kia, portandola al fallimento, determinò la prematura cancellazione di questo modello. Per quanto stilisticamente non affascinante, per me rappresenta comunque un interessante sviluppo del concetto MPV in stile "Citroen Berlingo" originale, quello del 1996. Qui con un tocco un po' meno commerciale e più automobilistico: vedasi in generale le finiture esteticamente più curate e le portiere normali anziché a scorrimento. In qualcosa della vetratura mi sembra abbia anticipato anche la successiva Skoda Roomster. Alcuni dettagli curiosi, a partire dal nome: - la sigla ARV stava per "Asia Motors' Recreational Vehicle" - dalla sigla si vede quindi che nonostante il marchio KIA che appare sul cofano, il progetto era partito da Asia Motors, sussidiaria di Kia ormai defunta, che i meno cciofani ricorderanno per il piccolo fuoristrada Rocsta... - aggiungiamo poi, di particolare interesse per noi italiani, che lo sviluppo fu affidato da Asia Motors all'italiana Bertone. - Bertone arrivò a realizzare il prototipo marciante in soli 6 mesi, da Settembre '96 a Febbraio '97. Presero come base la Kia Pride del periodo, allungando il passo di 5 cm fino a 2,395 m, per arrivare alle seguenti dimensioni: 3,88 m di lunghezza, 1,62 m di larghezza, 1,59 m di altezza. Quindi un modello decisamente compatto, adatto alle esigenze e aspettative dei mercati orientali di quei tempi. A questo link si trova un'interessante intervista di quel periodo ai designer del progetto.
  4. [mod Precisino ON] Scusate, un paio di commenti su questa Kia: Non so se potremmo proprio definirla una [MAI NATA], era piuttosto una concept car che KIA presentò per anticipare la versione a marchio Kia della Elan M100 che sarebbe entrata in produzione (e poi sul mercato) nel 1996. Voglio dire cioè, che non credo sia mai stato neppure pensato di andare in produzione con questo aspetto, cioè con tutte quelle modifiche che caratterizzano questo concept rispetto alla versione di serie. Era piuttosto il solito modo di solleticare l'interesse del pubblico con un concept che è una sorta di preview di un prodotto a venire. Non esattamente, appunto... La Kia Elan di produzione (1996-99) era piuttosto diversa da questa concept. Purtroppo, dico io, ma ovviamente è un giudizio personale. In sostanza era quasi identica alla Elan (M100) originale, con le uniche differenze sostanziali costituite all'esterno dai nuovi gruppi ottici posteriori e dai cerchioni specifici. Dentro cambiava un po' di componentistica. Infine cambiava il motore, dal 1.6 turbo ISUZU ad un 1.8 Kia. Siamo proprio sicuri? A me non risulta che Kia abbia mai acquistato Lotus, né nel 1994 né mai... Come diceva @KimKardashian, Kia acquisì "solamente" diritti e macchinari di produzione di Elan M100, portando tutto in Corea dopo il termine della produzione della seconda serie avvenuto nel 1995. Era il 1995-96 e Lotus a quei tempi era di proprietà di Romano Artioli. Il quale l'aveva rilevata nel 1993 da General Motors, e che proprio a fine 1996 avrebbe rivenduto una quota di maggioranza (80%) alla malese Proton. La quale completò l'acquisizione nel 2003 rilevandone il 100% delle azioni. E per finire la storia, visto che ci siamo, nel 2017 Proton ha venduto il 51% di Lotus al gruppo cinese Geely. [mod Precisino OFF]
  5. Dicevo sopra della sigla M80: secondo le informazioni riportate nel libro "A Life in Car Design" da Oliver Winterbottom, designer Lotus per lunghi periodi nei decenni Settanta-Ottanta, il progetto M80 identificò il primo tentativo di Lotus di dare una prosecuzione alla Elan originale. L'idea sarebbe nata nella prima metà degli anni Settanta, utilizzando come base la stessa piattaforma - opportunamente modificata e accorciata - dell'ultimo modello sviluppato allora da Lotus, vale a dire l'originale e controversa Elite (M50) del 1974. Il progetto però non ebbe seguito per mancanza di fondi, ormai totalmente drenati dai costosi e impegnativi progetti per Elite ed Esprit, nell'impresa di Lotus (o meglio, pare proprio di Colin Chapman...) di portarsi dalla nicchia delle kit-car al ben più stabile e remunerativo mercato delle sportscar (GT sportive e di lusso).
  6. Portiamo avanti la discussione con altro materiale decisamente meno spettacolare, anche se di genere squisitamente Volvo: famosa per le sue Station Wagon, ci mise però diversi anni prima di proporne una anche nel segmento delle compatte, cosa che avvenne solo con la V40 del 1995, quella sviluppata in collaborazione con Mitsubishi. Ma prima di lei, come sempre qualche tentativo era stato fatto... Iniziamo allora con questo prototipo di Station Wagon basato sulla Serie 300. Le notizie in merito sono scarsissime e non è dato sapere con certezza né l'anno né la provenienza, anche se pare fosse uno sviluppo interno. Il risultato onestamente non mi pare dei migliori, soprattutto il portellone dà l'aria di una integrazione non ottimale, con quel lunotto (senza tergi...) dalle cornici antiquate e la soglia di carico rimasta sopra i fari! Mah... Molto più interessante poteva essere invece una proposta che arrivò a Volvo dalla francese Heuliez, per estendere il successo delle grandi wagon svedesi anche al segmento inferiore, basandosi sulla Serie 400. Nelle foto (sempre riprese dal sito Volvotips) il prototipo è all'esame degli svedesi, in un confronto con una serie di possibili rivali del periodo (io riesco a riconoscere Citroen BX Break, VW Passat Variant, Peugeot 405 station...) Secondo me un risultato di tutto rispetto, forse con qualche vaga reminiscenza Montego Estate, ma soprattutto una somiglianza troppo spiccata con le sorelle maggiori, che a quanto pare avrebbe impensierito il management Volvo a tal punto da fermarsi lì. Del resto, come station "low cost", Volvo stava ancora sfruttando l'onda lunga della vecchia, immortale 240/Polar...
  7. Tiro su questa discussione per riaggiornare il primo messaggio, di cui si sono perse le immagini: A queste immagini e a questo progetto del 1979-80, di cui si trovano info/foto complementari in questo post di CDA, qua e là nella rete si trova spesso associato anche questo disegno: ...che invece, al di là delle 4 porte, niente ha a che spartire con quei lavori di Paolo Martin! Come giustamente è specificato in altro post dedicato da CDA, che ha recuperato l'originale dal libro "Lotus Heritage" by Ian Adcock, la firma del disegno parla di un designer e di un periodo totalmente differenti: Harris Mann e 1984. In effetti si trattava di un nuovo progetto (qualcuno indica il codice M80, che però era già stato utilizzato a metà anni Settanta per una possibile sostituta della Elan... boh?) per una sorta di limousine a 6 posti ed alte prestazioni, con un V8 4 litri e tutte le ultime tecnologie su cui Lotus aveva messo le mani in quel periodo: monoscocca in kevlar, sospensioni attive, persino blindature... Il nome "Eminence" era piuttosto chiaro nell'indicare il target di quest'auto! Rimasta solo in quel disegno...
  8. Per tornare in tema.... https://www.facebook.com/autoarchiwum/videos/319103679298932/ E' in polacco, ma facciamo finta di capire lo stesso, siamo eshpettissimi di disain, noi forumisti
  9. Discussione "solo leggermente" divagata dal tema "Genesi, design story" del titolo... ...ed ecco anche la mia dose di OT ! Allora... la questione non è obiettivamente chiarissima, ma di certo - a partire dall'aggiornamento del 1997 - la configurazione completa di quella pulsantiera era la seguente: In sostanza, l'ultimo pulsante era a disposizione per la spia dell'antifurto, quello originale montato dalla casa e disponibile tra gli optional (non roba aftermarket intendo). Dicevo però che questa schiera di pulsanti ha sempre istillato qualche dubbio anche a me... Perché? Be', perché in origine (cioè dal '93 a inizio '97) il pulsante del condizionatore non era previsto lì come nella foto sopra, bensì nella plancetta clima assieme a quello del ricircolo elettrico: Quindi, prima del '97, i pulsanti "liberi" erano due! E diciamo pure che uno poteva essere usato per l'antifurto (che proprio un pulsante non è però...). Ma l'altro? Inoltre, parzialmente legato a questa storia dei pulsanti liberi, mi sono sempre chiesto perché questa "modernissima" Punto avesse ancora il pulsante hazard sopra il piantone del volante, nonostante fosse nata quando ormai tale posizione era una critica costante su cui insistevano da anni le riviste di settore (diciamo pure Quattroruote, almeno per l'Italia ). Avrebbero potuto metterlo comodamente in quella pulsantiera lì, posti gliene avanzavano... Comunque, non volendo pensare che in FIAT abbiano messo pulsanti in eccedenza senza alcuna motivazione, l'unica scommessa su cui metterei 1000 Lire è che in fase di progetto fosse stata prevista la possibilità di dotare la Punto dei sedili anteriori riscaldabili come optional, e che i relativi pulsanti dovessero stare proprio lì, uno per sedile. Poi questo accessorio certamente non si è materializzato, ma chissà... Per la questione appoggiatesta posteriori, invece, è stato giustamente ribadito che erano una dotazione da sempre disponibile su Punto 176. In effetti, però, anche io ho sempre avuto la curiosità di come davvero venissero gestiti per l'allestimento "S", che prevedeva ai sedili anteriori quelli forati in materiale schiumato. Quelli forati, dietro, non li ho mai visti su Punto. La storia che in caso di richiesta dell'optional appoggiatesta posteriori su allestimento S, montassero quelli "sellati" (cioè quelli imbottiti e rivestiti in tessuto), l'avevo letta anche io da qualche parte, ma mi è sempre parsa una "eccezione" produttiva poco sensata, soprattutto considerando i numeri prevedibilmente bassissimi di un tale allestimento. Cerca cerca, però, ho trovato in rete questa foto, che temo confermi proprio che quella era la scelta che aveva fatto Fiat. Infine i pannelli porta e i braccioli. Punto 176 è stata una delle ultime rappresentanti dell'epoca in cui gli allestimenti si differenziavano in primis per le finiture e poi - eventualmente - per la dotazione di accessori. Ora non è più così o quasi, ma per decenni l'allestimento si riconosceva a prima vista, da fuori e/o da dentro. Come diceva appunto @Tony ramirez. Generalizzando (cioè senza riferimento diretto a Punto), ecco quindi cromature, dettagli nel colore della carrozzeria, frecce arancio o bianche, cerchioni e altre amenità per l'esterno. E dentro i rivestimenti in senso lato, dal pavimento (con o senza moquette) all'imperiale, dalle forme/imbottiture dei sedili ai loro tessuti, persino la forma della plancia e della console e, appunto, i fianchetti porta: versioni base spesso con porzioni di carrozzeria a vista, rivestimenti minimali e un semplice appiglio per aprire/chiudere la portiera, versioni più ricche che arrivavano a utilizzare preformati completamente imbottiti e rivestiti, con ampi braccioli e accessori come tasche, altoparlanti, ecc ecc... Punto era ancora così, le versioni basso di gamma (S e SX, ma anche le sportive...) con fianchetti più semplici, diritti, tutti in tessuto/skai, con braccioli e tasche avvitati; le versioni di punta ELX con fianchetti specifici, realizzati con un pannello preformato con porzioni rivestite nel materiale della plancia a dare continuità di materiale e forma, e porzione in tessuto con bracciolo e tasche perfettamente integrati.
  10. Dicevo che Volvo ha delle storie molto interessanti in tema di progetti per grandi coupé. E sembra muoversi a scala decennale... - anni '80: la 780 di Bertone e la cugina del progetto Galaxy appena vista - anni '70: la 262C, con il prototipo su base 164 di Coggiola - anni '60: ...eccoci all'argomento di oggi, il progetto P172 ! A metà anni Sessanta Volvo sta provando il grande passo verso il lusso. Ha messo in cantiere un nuovo motore 6 cilindri in linea di 3 litri per la futura berlina d'alta gamma, la 164 che uscirà nel 1968, e la sua coupé P1800 sta riscuotendo un successo planetario. Perché non cogliere la palla al balzo e pensare anche ad una grande GT da equippaggiare col futuro 3 litri? Pare che Volvo fosse particolarmente attirata dalle coupé del marchio di lusso francese dell'epoca, Facel-Vega. Tra l'altro aveva fornito il motore della P1800 proprio alla più piccola delle coupé francesi tra il '63 e il '64. Le storie raccontano che per tramite di un concessionario Volvo di Linköping, nell'autunno 1964 acquistarono a Parigi una Facel-Vega Facel II (il tipo HK2), coupé di gran lusso con motore americano V8 di oltre 6 litri. Portata in Svezia presso quel concessionario, la vettura suscitò molto interesse e nella primavera del '65 questo esemplare fu portato a Goteborg, dove finalmente fu a disposizione del centro stile Volvo. L'allora giovane designer Jan Wilsgaard ne risulta particolarmente ispirato e nel 1966 il nuovo progetto Volvo P172 per la coupé Gran Turismo inizia a prendere corpo con maquette a scala 1:1. Evolve con sempre più dettagli... ...in studio: (qui a colori): ...ma anche per essere portata in esterno: Vengono anche provate modifiche di dettaglio, come questo frontale differente: Tutte maquette che però rimasero rigorosamente "statiche", dato che mai ricevettero alcun sistema meccanico, tantomeno il motore 3 litri ancora in sviluppo. Non fecero a tempo. Pare che Wilsgaard avesse disegnato anche una versione convertibile: rimase sulla carta. Già un anno dopo, nel 1967, il progetto fu interrotto per via di previsioni sui costi di produzione (e quindi di vendita) troppo alti, e i prototipi distrutti. Per chiudere, al di là della storia interessante sull'ispirazione Facel-Vega, io trovo in questi prototipi uno stile molto "italiano", qualcosa che riporta a Maserati, a Frua e persino Pininfarina. Ma devo anche ammettere che molte delle auto che mi ricordano questi prototipi Volvo, sono in effetti successive a questo progetto...
  11. Queste grandi coupé Volvo sembrano avere storie interessanti, in effetti... Già questo prototipo è curioso, perché presumibilmente non è stato mai pensato per uscire così, col frontale a fari rotondi della 164, visto che la serie 200 era già prossima alla produzione. Semplicemente, dall'idea del CEO Volvo del periodo, Pehr Gyllenhammar, il capo designer Jan Wilsgaard fece alcuni disegni che furono tradotti in "realtà" saltando la fase della modellazione, e passando direttamente ad un prototipo realizzato artigianalmente dal "carrozziere di fiducia" di Volvo, Sergio Coggiola. Portarono infatti a Torino un esemplare delle berlina 164 che era stato usato per testare i nuovi interni, e fu trasformato dai maestri torinesi nella due porte con tetto ribassato e parabrezza più inclinato, come immaginata dal designer svedese. E per essere strasicuri che piacesse agli ammerregani, coprirono pure il tetto con un bello strato di vinile nero, esteso anche ai massicci montanti posteriori, sui quali apposero come distintivo le tre corone simbolo della monarchia svedese. Da qui il nome in codice di questo progetto, "Tre Kroner" in svedese. Che in origine fosse proprio una 164, a quattro porte appunto, è testimoniato dalla scritta mantenuta sul fianco: Ed è curioso, giusto come testimonianza della capacità artigianale in questo lavoro, l'adattamento dei fari posteriori originali (quelli a 4 riquadri del '73), dandogli l'apparenza del gruppo ottico a 6 riquadri introdotto nel '75 per le ultimissime versioni di 164 (e poi per 264). Sappiamo poi che la coupé definitiva, la 262C, benché disegnata da Volvo e "prototipata" da Coggiola, fu costruita negli stabilimenti di Bertone. Mentre per la sostituita, la 780 degli anni '80, il coinvolgimento di Bertone incluse il disegno e sviluppo, continuando poi con la produzione. Però è il momento di introdurre qui una nuova protagonista delle [MAI NATE] Volvo... Siamo nella prima metà degli anni '80, e Volvo sta lavorando ad un mega progetto chiamato Galaxy, in sostanza il futuro a trazione anteriore di Volvo. Parte di questo progetto è ciò che porterà alla 850, ed agli inizi del 1985 il solito Wilsgaard ha creato queste due maquette, a quanto pare sviluppate mentre egli era in Italia proprio per affinare il progetto: - la due volumi già postata da @PaoloGTC ...e la sorella a tre volumi (immagine chiaramente ripresa dal solito sito Volvotips): Ecco, queste due maquette mostrano una parentela stilistica molto significativa con un altro prototipo, evidentemente in sviluppo in quel periodo: Cos'è? Purtroppo le fonti che ho trovato non aiutano a confermare con chiarezza, ma si può definirla una coupé "parallela" alla 780, con sviluppi diversi, ma per certi aspetti curiosamente vicini a quelli di quella 164 coupé... Pare infatti che il prototipo sia stato realizzato ancora una volta in Italia, ma non da Bertone che stava sviluppando la 780, bensì dal solito Coggiola. Studio per una alternativa a 780? Quindi basato su serie 700? Oppure in effetti un modello nuovo, associato al progetto Galaxy - come l'estetica sembra suggerire - e quindi da ritenere una versione coupé per il futuro modello 850 a trazione anteriore?
  12. Quasi cinquant'anni fa, prima metà anni Settanta, qualche pezzo grosso di Volvo deve aver detto che anche loro dovevano avere una compatta col portellone, che era un po' la novità del periodo in Europa. Gli ingegneri svedesi si misero a lavorare a testa bassa, e dopo mesi di duro lavoro, questo fu il risultato: In sostanza, altro non riuscirono a inventare che questa versione accorciata del loro unico modello in gamma, la serie 200... Era il 1975-76, ed evidentemente, questo era quanto di più "compatto" potesse essere concepito internamente a Volvo a quei tempi! E non si pensi che fosse stato un progettino minore, fatto a scappatempo. No, era una cosa talmente seria che non si limitarono ad un solo prototipo, sviluppando invece entrambe le versioni possibili: la lussuosa 263 (la scura a sinistra) e la più popolare 243 (quella gialla in primo piano): Purtroppo quest'ultima non ho idea di che fine abbia fatto, ma la esclusiva 263 GL fa tuttora "bella" mostra di sé nel museo Volvo: Scherzi a parte, questa misconosciuta Volvo 263 potrebbe più realisticamente essere un tentativo di risposta a quei buontemponi di Saab, che facevano sempre gli originali e a inizio '74 avevano tirato fuori la 99 Combi-coupé, nuova versione 3 porte con portellone che subito si impose per immagine moderna e sportiva. Non so chi e cosa abbia bloccato questo progetto, ma un paio d'anni dopo uscì la 262C di Bertone, coupé dallo spirito decisamente più conservatore. E adatto al pubblico americano... Mentre per entrare nel mercato delle "vere" compatte, Volvo andò per le vie brevi. Tra il 1972 e il 1975 aveva acquisito l'olandese DAF, e molto pragmaticamente decise che le nuove DAF in uscita, dal quel momento, avrebbero cambiato marchio. Punto. Così, per sostituire la vecchia DAF 66, la prevista nuova DAF 77 si trasformò ed ecco nascere nel 1976 la nuova Volvo 343!
  13. Proprio così Kim, giustissima considerazione. Essendo però le hardtop sedan un ulteriore genere specifico di design automobilistico, l'avevo tenuto fuori da quel messaggio, limitandomi ai modelli con il montante centrale... E quindi, chi vuole, si scateni adesso con le hardtop sedan di tutti i tempi e continenti!
  14. Menzionare la Mazda 323 mi ha innescato un'associazione d'idee giunta fino ad un particolare di design automobilistico piuttosto noto - e un po' esclusivo - ma stranamente non ancora segnalato. Eccolo appunto su Mazda 323 F (Lantis) del 1994 Parlo ovviamente degli sportelli con finestrini privi di cornice, una soluzione in uso da tempo immemore, ma comunque destinata a pochi modelli, e che su di me ha sempre esercitato un fascino notevole. Un classico sulle coupé a due porte, quasi un obbligo sulle cabriolet, assai più rara sulla auto a quattro porte, come appunto la Mazda Lantis in foto... Adesso è divenuta più frequente rispetto ai decenni passati, per la moda delle cosiddette coupé 4 porte lanciata dalla Mercedes-Benz CLS nel 2004 Di nuovo, escludendo le classiche cabriolet e coupé 2 porte (includo qui anche le piccole sportive tipo la Mini moderna o l'Alfa Romeo Mito) oggi contiamo perciò vari modelli 4 porte con questa soluzione: non solo Mercedes come CLA, o AMG GT coupé, ma anche da altri marchi come Volkswagen con Passat CC e poi Arteon, Audi con A7 e A5, o BMW con le varie GT e Gran Coupé e chissà quante altre... Guardando indietro però, prima di questo fenomeno, le 4 porte così erano vere mosche bianche, soprattutto considerando il nostro mercato europeo. Tra le più recenti, quasi contemporanea alla prima CLS, ma decisamente non una coupé, c'è stata la Citroen C6 del 2005 La quale voleva riproporre in tal modo un tratto caratteristico della gloriosa antenata DS (1955) Negli anni Novanta invece, appena un anno dopo Mazda Lantis, nel 1995 arrivò la Chrysler Neon. Esperimento coraggioso, pur con intenti diversi rispetto a Mazda (su Lantis voleva essere un tocco esclusivo tipo coupé, su Neon seguiva un'idea piuttosto estrema di semplificazione, eliminazione di peso, costi etc). Durò solo cinque anni, già la seconda serie tornò ai finestrini con le cornici. A questo punto però, son certo che molti hanno già pensato ad una casa automobilistica che di questo dettaglio ha fatto per decenni una sorta di "marchio di fabbrica". Ovviamente è Subaru... ma quando iniziò? La capostipite è lei, la Subaru Leone berlina del 1972, sia in versione 2 porte che 4 porte come questa: Poi Subaru continuò con tutta la serie Leone, ma anche le varie Legacy, Impreza e Forester. A partire dalla terza generazione di Impreza del 2007, è iniziato l'abbandono di questa soluzione, che ha visto come ultimo modello Subaru a 4 porte senza cornici ai finestrini la Legacy/Outback, durata fino al 2009.
  15. Dopo una lunga pausa, risollevo questa discussione per un paio di aggiornamenti su temi discussi in passato. Il primo è quello dei tergicristalli. Nella lista dei casi più curiosi, dobbiamo aggiungere un modello che sarebbe già un pezzo di storia a sé per mille ragioni, ma che nel nostro caso si distingue per il record di complessità dei tergicristalli. E' la Bugatti EB110 degli anni Novanta, quella della rinascita italiana per intendersi: Già dalla foto sopra si intuisce una certa "confusione" in zona tergi, ma è guardando nel dettaglio che si capisce il livello di complessità di questo componente: In sostanza si tratta di un tergi monobraccio, ma con pantografo, spruzzatori integrati e soprattutto con ben 3 spazzole (dico... tre! ) attaccate al medesimo braccio. Roba mai vista... L'altro aggiornamento è assai meno nobile, ma sempre teso a dare un tocco di esclusività ad un'auto altrimenti ordinaria. Si torna ai lunotti "sdoppiati", con vetro anche sulla parte verticale della coda, ed ecco anche la Mazda 323 C (1994), sorta di sorella a 3 porte della coeva 323 F (o Lantis), sebbene basata su piattaforma diversa. Arrivò in Europa con questa sigla (anche se mi pare che Italia non sia mai stata commercializzata), ma era nota con nomi diversi in altri mercati (Familia Neo in Giappone, 323 Neo in Canada, persino rebadge Ford, etc). Infine, per i portelloni dipinti di nero trattati a pagina 87, ho aggiunto in quel messaggio due esemplari: la coppia Renault 20/30 e un Fiestino anni '80...
  16. La parentela stilistica tra Fuego e R25 è cosa che il risultato finale di produzione è riuscito a contenere entro limiti decisamente ridotti, nonostante le idee originarie di stile fossero assai più vicine tra loro. Basta confrontare i prototipi di R25 postati da Rohypnol: ...con queste maquettes di Fuego di poco precedenti (1-2 anni): Lo sviluppo delle due auto, in effetti, è stato più vicino nel tempo di quanto faccia pensare la distanza temporale della presentazione al pubblico (inizio 1980 per Fuego, fine 1983 per R25, quasi 4 anni). Aggiungo poi la curiosità di questa tavola a firma dello stesso disegnatore della Fuego, Michel Jardin: Ipotesi intrigante - e decisamente avanti nel tempo! - di una possibile coupé 4 porte. E una somiglianza davvero forte col disegno per R25 visto sopra! La cosa più strana però, è la data del disegno, maggio 1980, quando Fuego era già stata presentata e R25 era già avanti nello sviluppo. Quasi da far pensare che una simile idea sia venuta al designer "a ritroso", a seguito degli sviluppi di R25... Comunque R25 prese la sua strada, molto positiva a mio avviso e ben distinta da Fuego, pur con dei rimandi evocativi come il lunotto curvo o la linea dei paraurti.
  17. Sempre nell'ambito giardinette, NSU aveva altri scheletri nell'armadio... Pawel72 ha ricordato che la meteora VW K70 ebbe in realtà i suoi prototipi-preserie con il marchio originale NSU: Della stessa K70, però, NSU aveva progettato e prototipato anche una versione giardinetta che non vide mai la luce, neppure sotto il marchio di Wolfsburg. A partire dal 1965 cominciarono con questa maquette: Che poi fu evoluta fino al prototipo completo, che evidenziava una ricerca molto razionale del massimo sfruttamento dello spazio:
  18. Più o meno contemporaneamente agli studi quasi visionari di Pio Manzù con la serie Autonova, con un curioso rinterzo NSU chiedeva a Bertone di sviluppare una molto più prosaica versione giardinetta della Prinz 4. Nel 1965 fu infatti l'importatore italiano di NSU, Ignaz Vok (di origini slovene e tra i primi datori di lavoro di Abarth...), a contattare Bertone per questa richiesta, dato che la casa madre aveva rotto i rapporti con il carrozziere per altre ragioni. E questo fu il prototipo che venne inviato a Neckarlsum: Notare la targa italiana (PD...) del prototipo, che non arrivò in produzione per comprensibili questioni di distribuzione dei pesi: la carrozzeria giardinetta aggiungeva ulteriore peso al posteriore, là dove già era sistemato il motore. La cui presenza era la ragione anche di un portellone che non sembra dei più ampi... E mi chiedo anche quali reali vantaggi potesse portare questa soluzione, se, come pare, l'ingombro del motore rimaneva identico alla berlina, occupando tutto lo spazio dietro ai sedili posteriori.
  19. Nella discussione sui minivan mai nati di Ford, a un certo punto è saltato fuori anche questo concept dalle origini un po' fumose... Ecco, studiando un po' gli sviluppi del fenomeno minivan/MPV/monovolume (in effetti è difficile anche solo dare un termine unico...), la cosa più sorprendente di quella Ford Ghia Mini-Max, è la sua straordinaria somiglianza con un altro concept di molto precedente e che niente dovrebbe averci a che fare: Mitsubishi Commuter (Tokyo Motor Show, 1969) Aldilà di quanto riportato nel sito da cui provengono le foto, altre info su questo concept io non sono in grado di reperirle. Ma è sorprendente quanto le idee su queste formule di carrozzeria fossero già così avanzate in Giappone, ben oltre un decennio prima! Se è vero che questo concept non ebbe decisamente seguito produttivo, non sarà un caso, forse, che proprio Mitsubishi alla fine sia stato il primo costruttore a proporre sul mercato il primo MPV (7 posti e 3 file di sedili) moderno: la Chariot/Space Wagon del febbraio 1983, che batté sul tempo sia il classico minivan americano Chrysler (di pochi mesi) che l'europea Renault Espace (di oltre un anno). E che venne anticipato già nel 1979 dal prototipo SSW, sempre al salone di Tokyo:
  20. Nella parallela discussione su Ford, ha preso uno spazio importante l'argomento dei suoi progetti anni Settanta per il nuovo segmento dei minivan. Tra le varie ragioni ricordate per la loro mancata produzione e apparizione sul mercato, ce n'è una implicita, non citata ma altrettanto fondamentale: il segmento dei minivan "poteva aspettare", per il semplice fatto che General Motors non aveva ancora modelli del genere in commercio. E se non li aveva il leader, gli "inseguitori" non vedevano certo motivi per avventurarsi in simili scommesse, soprattutto in tempi di crisi. Ma questo non vuol dire che GM non ci avesse ancora pensato. Anzi... 1973: maquette GM per minivan 1973: altro prototipo per minivan, in questo caso una proposta a livello più avanzato di sviluppo, marchiato Chevrolet e con tutti i dettagli del caso: vetratura, interni, tergi, specchi... La cosa interessante di questi prototipi, soprattutto se confrontati con quelli Ford, è la loro maggior aderenza (almeno apparente) ai concetti più moderni dei minivan. Ad esempio, rispetto al coevo Ford Carousel, l'aspetto "automobilistico" della linea è ben più spiccato: cofano motore più basso e allungato, addirittura un profilo quasi da monovolume nel prototipo qui sopra. Nessuna somiglianza con furgoni o derivati. Questo al di là dell'impostazione meccanica, che non mi è nota. E rispetto al Ford Mini-Max invece, è fondamentale la differenza nelle dimensioni e quindi nel numero di porte e di posti: il compatto Mini-Max aveva solo due porte e 4 posti su due file; qui invece c'è la caratteristica porta posteriore scorrevole lato passeggero, e tre file di sedili. Volendo forzare un po', io ci vedo addirittura qualche idea primordiale dei futuri (e futuristici) minivan GM del 1990 (i vari Trans Sport, Lumina, Silhouette), soprattutto nel secondo esemplare. Quindi è chiaro che in USA l'idea di minivan si stava sviluppando più o meno in contemporanea da più parti. Solo che nel 1973, mentre gli altri ancora portavano avanti i progetti, GM era già arrivata alla conclusione che non era ancora tempo per i minivan. Ancor prima della crisi petrolifera intendo. E si era fermata. Troppo probabile la cannibalizzazione ai danni delle grandi station wagon, sempre sulla cresta dell'onda. Ford invece era arrivata alle stesse decisioni solo in seguito, ed è assai probabile che lo avesse fatto "a cuor leggero", sapendo che il leader di mercato GM aveva già preso la stessa decisione (l'industria automobilistica è pur sempre un mondo ristretto, i segreti non reggono a lungo...). Ma non è finita qui. Perché non sono ancora terminati gli anni Settanta e GM già riprende il discorso minivan. Sulla base della nuova piattaforma X-body a trazione anteriore - sviluppata per la nuova compatta Chevrolet Citation in uscita per il 1980 - GM realizza anche un nuovo minivan, praticamente pronto per la produzione: la Nomad II del 1979. Qui la tendenza verso uno stile e un'impostazione automobilistica è ancor più evidente, pur rimanendo fedele all'impostazione con singola porta posteriore lato passeggero (presumo scorrevole...), che a lungo ha distinto i minivan USA dai monovolume/MPV di scuola euro-giapponese. Ancora una volta però, nonostante gli studi di mercato favorevoli e una piattaforma già pronta, il progetto non arriva sul mercato. Non sono note le cause della cancellazione e chissà se la seconda crisi petrolifera, quella del 1979, ebbe un ruolo. Comunque sia, i giapponesi ormai erano alle porte, e Lee Iacocca aveva dato avvio al piano di rilancio di Chrysler...
  21. Beh, beh, beh... qui ci sarebbe da aprire una discussione interminabile, perché Espace, o meglio il suo progetto, non passò "semplicemente" da PSA a Renault... Lo sviluppo partì in realtà dalla collaborazione di Matra con Simca, per sostituire il mitico Ranch(o) con un modello tutto nuovo. E Simca a quei tempi non era ancora PSA, bensì... Chrysler! E chiudo qui, perché altrimenti si andrebbe Off Topic per pagine e pagine. Magari sarà per un'altra volta. E in altra discussione. Rimanendo invece su Ford, dicevo sopra che la casa di Dearborn non era stata certo l'unica a lavorare su una simile idea negli anni Settanta. Forse, però, se ne resero conto un po' in ritardo... Perché una volta passati a Chrysler Sperlich e Iacocca, e visto ciò che altri (soprattutto giapponesi) cominciavano a presentare qua e là in forma di concept nei vari saloni, a Ford doveva essere venuto il sospetto che fosse il caso di rispolverare l'argomento, perché l'unica Mini-Max mai resa nota ufficialmente da Ford, è un ulteriore studio fatto realizzare sempre da Ghia nei primissimi anni Ottanta: Chiaramente un concept da salone, ma in realtà, come il resto del progetto Mini-Max, è anch'essa una [MAI NATA]! Nel senso che alla fine non era stata presentata al pubblico neanche questa show car, di cui neppure è documentato l'anno esatto di realizzazione. Solo nel 2002 è divenuta di dominio pubblico con l'asta di prototipi e concept bandita da Ford stessa. Sebbene dal 1976 (anno di stop del progetto originario) al 1982-3 (periodo indicativo di questo concept) l'evoluzione sia evidente, sembra però limitarsi all'ambito prevalentemente stilistico e aerodinamico, perché al di là dell'altezza più ridotta, il concetto di una vettura compatta e a sole 3 porte era rimasto il solito... Ma più di questa show car mai nata, chi mi dà l'impressione di essere la reale evoluzione del progetto Mini-Max, è un altro concept coevo e sempre realizzato da Ghia, presentato al Salone di Detroit del 1982. La Ford Aerovan: Attaccato alla impostazione originaria di van a 3 porte, compatto e sviluppato in altezza, pur con le novità dei 7 posti su tre file di sedili e della linea aerodinamica monovolume, sembra una proposta più concreta, basata su una vera piattaforma a trazione anteriore (quella di Ford Escort). Fatto interessante (dal libro Secret Fords di Steve Saxty), prima di divenire una "concept da salone", questa auto era già nata tale e quale nel 1978, come proposta interna di Ghia indicata come Hi-Cube nell'ambito del programma Erika, appunto. Comunque, mentre altri finalmente aprirono il segmento dei minivan moderni, Ford aveva continuato a girare intorno all'argomento con numerosi studi e concept, e nel mercato dei minivan si era presentata solo nel 1985 con l'Aerostar, rimasto legato però ad un'impostazione un po' tradizionalista e con riferimenti ancora evidenti ad un'origine "commerciale": telaio, trazione posteriore, linea e proporzioni, finiture e allestimenti. Il che però, ci rimanda ancora una volta indietro nel tempo, e all'altra affermazione fatta alla fine del post precedente: Mini-Max non fu l'unico progetto su cui Ford lavorò negli anni Settanta per un minivan. E si ritorna sempre ad Hal Sperlich e ai primissimi anni Settanta. Nella divisione Truck Operations, di cui egli è Vice Presidente, si avvia il progetto Nantucket per la sostituzione del veicolo commerciale full-size della gamma Ford USA, l'Econoline (o Club Wagon per la versione passeggeri). Il lancio è previsto per il 1975. Tra la caratteristiche del progetto, il solito aumento delle dimensioni, portando l'altezza a toccare i 7 piedi (oltre 2 metri). Una misura al limite per l'accessibilità di garage privati, che rischia perciò di allontanare la clientela privata e familiare da una tipologia di veicoli di impronta sì commerciale, ma che negli Stati Uniti di quel periodo stanno prendendo piede come mezzi alternativi per attività ricreative e grandi famiglie. Nasce qui l'idea/necessità di un cosiddetto "garageable van", supportata da analisi di mercato e dalle convinzioni del duo Hal Sperlich - Lee Iacocca, che nel 1972 danno mandato al Ford Light Truck Product Planning di avviarne il progetto. Forse - dico così perché non è un dato verificabile o documentato, ma solo una mia speculazione - è in questa fase che dentro agli uffici Ford si discute sulla situazione e sul concetto di "family/garageable van" e si determina la biforcazione dell'idea originaria in due filoni: uno più innovativo e compatto (che sarà il Mini-Max...), l'altro più conservatore e spazioso: il CAROUSEL. E anche la storia di quest'ultimo progetto è altrettanto interessante e significativa, reperibile da numerose fonti anche su internet. Soprattutto la fine è la stessa: MAI NATA. In breve, da una costola del programma Nantucket viene derivato nel 1972 il progetto Carousel, basato sulla medesima struttura, ma accorciata e abbassata (a circa 6 piedi - 180 cm). E se la meccanica rimane simile, l'estetica deve cambiare invece in modo riconoscibile, con uno stile e finiture meno commerciali e più automobilistiche, sia fuori che all'interno. Il lavoro sullo stile viene assegnato al Light Truck and Tractor Design Studio, dove tra i numerosi disegni vengono selezionati quelli di Jim Grey (Studio Manager) e quelli del designer Dick Nesbitt. Di quest'ultimo ecco alcuni schizzi datati Ottobre 1972, con alcune varianti: E' evidente l'intento di Nesbitt di imprimere dinamismo con montanti e nervature inclinati, e di alleggerire la linea riducendone l'altezza apparente tramite l'uso di profili scanalati scuri sulla parte bassa della fiancata e del portellone. Caratteri che vengono parzialmente abbandonati quando (novembre '72) viene realizzata una prima maquette in scala 1:1, asimmetrica. Frontale e lato guida per la proposta di Jim Grey: Lato passeggero (e coda, purtroppo non visibile) per quella di Dick Nesbitt: Qui un'altra foto che combina il frontale di Grey e la fiancata di Nesbitt. Anche sul "lato Nesbitt" la maquette ha chiaramente perso elementi chiave di dinamismo in favore di uno stile più classico e posato, certamente più adatto all'allestimento "woody" richiesto dal Marketing, probabilmente nell'intento di associare il più possibile questo modello alle grandi station wagon tradizionali. Il progetto riscuote favori universali all'interno di Ford, dal marketing appunto, a tutti i personaggi chiave dell'azienda, compresi i grandi nomi come Iacocca e lo stesso Henry Ford II. E' addirittura indicato come progetto a massima priorità nel New Product Strategy Review Meeting che si tiene nel 1973 a Boca Raton, amena località balneare della Florida. Uscita prevista nel 1975 come MY 1976. I clinic test indicano comunque una preferenza verso la proposta di Nesbitt, che guida la realizzazione del prototipo marciante per il 1974, assieme a George Peterson (responsabile del progetto nel Light Truck Advanced Engineering, ritratto qui sotto con il prototipo). Rispetto alla maquette, ulteriori modifiche sono intervenute, soprattutto nel frontale ora molto più lineare, alleggerito dall'eliminazione del "power dome", della vasta grigliatura cromata avvolgente e dei doppi fari. E la fiancata, pur seguendo la versione Nesbitt, assottiglia la scanalatura alla base dei finestrini posteriori e ispessisce invece lo scalino sotto la linea di cintura, adottando quello della "fiancata Grey" della maquette. Siamo ormai in pieno 1974 e nonostante tutti i buoni auspici e il supporto di cui gode il progetto, gli effetti della prima crisi petrolifera nel frattempo intervenuta stroncano anche il convinto ottimismo del meeting vacanziero di appena un anno prima. Nell'intento di ridurre al massimo i rischi aziendali, Ford decide di interrompere qualsiasi progetto che non riguardi la sostituzione diretta di modelli già esistenti in gamma. In questa nuova situazione di crisi, il segmento cui il Carousel darebbe origine viene considerato una potenziale minaccia per le tradizionali station wagon full-size (Ford Country Squire e sorelle), una linea di prodotto ancora fondamentale per numeri e profitti. Così, nonostante l'investimento previsto di appena 67 milioni di Dollari per portare in produzione il nuovo modello, il 1974 vede l'improvvisa e definitiva chiusura del progetto Carousel. Cosa ne rimase? Be', da un crudo punto di vista materiale, il prototipo ebbe una sua curiosa, ma breve, storia... Non essendo stato evidentemente distrutto, nel tardo 1976 si trovava ancora in un magazzino nei sotterranei degli uffici del Light Truck Advanced Design, mezzo sepolto da materiali di vecchi progetti abbandonati. Quando un annetto dopo fu necessario liberare il magazzino, il prototipo del Carousel fu inizialmente spostato nell'adiacente garage riservato ai dirigenti, dove ricevette una nuova batteria e una gonfiata alle gomme; e una volta riempito anche il doppio serbatoio, fu messo nel parcheggio esterno e da quel momento usato come mezzo di trasporto aziendale per un paio d'anni. Raccontano che in quel periodo (attorno al '78-'79) ancora poteva capitare che qualcuno al semaforo chiedesse al guidatore se era un modello di prossima uscita... Dopo di che se ne sono perse le tracce, facendo pensare ad una probabile demolizione. Da un punto di vista più concettuale, rimane un protagonista del dibattito sulle origini del minivan. E per molti, un'occasione persa da Ford per stabilire una nuova leadership. Ancor più del Mini-Max, infatti, il Carousel è considerato il vero antesignano del moderno concetto di minivan, di cui in effetti anticipava le principali caratteristiche estetiche e funzionali. In un veicolo vero, persino marciante, non un disegno o una maquette... Rimaneva però legato ad un'origine commerciale con relativa architettura a trazione posteriore e telaio a longheroni; che al di là dei vantaggi - costi ridotti, robustezza, capacità di carico e di traino - rappresenta comunque la principale differenza tecnica con i minivan moderni.
  22. Avevo accennato sopra agli studi Ford anni Ottanta per nuove soluzioni di design che fondevano idee o impostazioni classiche, nella direzione di maggior sfruttamento dello spazio e aumento della vivibilità delle vetture. Era del resto la novità del momento: "minivan" e "monovolume" erano il segmento appena nato e già proiettato verso un successo planetario. La questione è che non era la prima volta che Ford lavorava intorno a simili idee. A Chrysler e al suo presidente di allora, Lido Iacocca (sì, è Lee...), è universalmente riconosciuto il ruolo di promotore di questo fenomeno, con il lancio del Dodge Caravan/Plymouth Voyager nel 1983. Però è altrettanto noto che, discutendo sulle origini dell'idea di minivan, lo stesso Iacocca e il suo stretto collaboratore Hal Sperlich hanno spesso indicato il progetto Mini-Max sviluppato durante la loro precedente esperienza in Ford. Una indicazione cui bisogna dare sicuramente credito, anche se la storia, come spesso accade, è più intricata di come appare... Dicevamo comunque del progetto Mini-Max, che ci interessa qui perché ovviamente... non arrivò in produzione! Inizi anni Settanta: nel dipartimento Truck Operations di Ford, il Vice Presidente Hal Sperlich comincia ad elaborare l'idea di un van decisamente orientato all'uso familiare, qualcosa che combini la praticità e lo spazio di un furgone con il confort e l'aspetto di un'automobile. L'idea prende una piega particolare quando Sperlich, nella posizione di Vice Presidente del Product Planning and Design di Ford che ricopre dal 1972 al 1975, si occupa anche dello sviluppo della piccola Fiesta in Europa. In quel periodo passa 7 mesi in Europa e rimane impressionato dal modello considerato il riferimento per la futura Fiesta: eh sì, è proprio la nostra FIAT 127! In particolare è la sua trazione anteriore a intrigarlo e non è solo in vista della futura piccola Ford europea. La trazione anteriore gli pare infatti la soluzione perfetta per quel nuovo concetto di van familiare che sta sviluppando in USA, per via dei noti vantaggi di sfruttamento dello spazio, consentendo in particolare di raggiungere il requisito chiave del pavimento completamente piatto. L'idea di Sperlich trova in Iacocca, ormai Presidente di Ford dal 1970, un grande appoggio, con analisi di mercato che paiono dar loro ragione. Il concetto di un veicolo spazioso e al contempo compatto ed efficiente sembra rispondere esattamente ai cambiamenti portati dalla prima crisi petrolifera. Tra il 1973 e il 1976, almeno quattro proposte vengono realizzate con il contributo di Ghia come maquette a grandezza reale. Ed ecco qua sotto alcune di esse: La caratteristica che salta immediatamente all'occhio è l'assenza di portiere posteriori. Quindi un veicolo sicuramente compatto per gli USA (non mi sto riferendo alle classificazioni ufficiali che si basano sulla volumetria interna, che sicuramente era più ampia di una normale "compact"), che specialmente nella versione bianca delle prime due foto in alto mi ha ricordato in qualche modo lo stile e il mood delle coeve AMC Pacer di Dick Teague. Viste le date riportate, è possibile che il prototipo in basso a destra, quello bianco dalle linee più tese e moderne, sia quello che infine venne sottoposto nel 1976 al gran capo Henry Ford II. Che lo bocciò. Varie sono le motivazioni riportate, inclusi gli incipienti disaccordi tra Iacocca e HF II, o l'avversione viscerale di quest'ultimo per i modelli compatti e la trazione anteriore. Ma la cosa più plausibile è che alla fine Ford abbia bloccato il tutto per via degli investimenti necessari per sviluppare un progetto con tante e tali innovazioni, ivi compresa la trazione anteriore, ancora del tutto assente nella gamma Ford USA. Costi troppo alti per un periodo di crisi come quello. Sia come sia, forse non è un caso che nel giro di un paio d'anni, entrambe le anime del progetto Mini-Max andarono incontro allo stesso destino, licenziate senza tanti complimenti da Henry Ford II. Il primo fu Hal Sperlich, che nel 1977 si accasò presso Chrysler, anche qui come Vice Presidente Product and Design. Poi, nel 1978, anche il Presidente Lee Iacocca. Che curiosamente seguì le orme del suo collega, chiamato nel giro di pochi mesi dal CEO John Riccardo di Chrysler, per diventarne Presidente. E qui riprendiamo la storia del progetto Mini-Max. Perché il passaggio di Iacocca a Chrysler fu un terremoto che determinò grandi cambiamenti, inclusa una massiccia migrazione di dipendenti Ford chiamati via via da Iacocca in Chrysler. Tra questi vi era anche un certo Don DeLaRosa. Personaggio dai modi spicci almeno quanto quelli di Iacocca, era un anziano designer Ford ormai distaccato a Torino presso Ghia, dove aveva seguito anche il progetto Mini-Max. Ma al momento dello stop imposto da HRII, DeLaRosa aveva cercato in tutti i modi di evitare la distruzione delle maquette, intuendo il potenziale del progetto. E le aveva trasferite in un deposito farmaceutico di Detroit, pagando l'affitto tramite Ghia, per tenerle lontane da occhi indiscreti, soprattutto da quelli finanziari del gran capo, che pare avere un occhio su tutto. E' così che al momento del passaggio a Chrysler, quando Iacocca chiede a DeLaRosa di portarsi dietro il progetto Mini-Max, lui lo fa. Fisicamente, maquette inclusa! Così Chrysler guadagna di colpo un lustro di sviluppi sui minivan. E se qualcuno ha notato una certa somiglianza tra il prototipo Mini-Max del '76 e il minivan di Chrysler del 1984, forse non è un caso. Dicevamo però che la storia reale ha sempre molte più sfaccettature rispetto alla "vulgata". Perché la verità è che nell'America degli anni Settanta, all'idea di un simile mezzo non aveva lavorato solo Ford. Né, dentro la stessa Ford, il Mini-Max era stato l'unico progetto... Alla prossima.
  23. Quando avevo visto questa immagine, per me nuova con quel frontale, mi era rimasto come un senso di dejà vu che non mi spiegavo... Poi finalmente... ecco cosa mi ricordavano quei fari triangolari! Non uguali, certo, questi sono più appuntiti e con la freccia in diagonale, ma fari di questa foggia nettamente triangolare e piuttosto sviluppata in altezza non è che se ne siano visti molti a giro. Comunque non voglio dire che ci sia qualche collegamento reale a dieci anni di distanza tra i progetti, gli inglesi del centro stile Ford di Dunton dubito avessero visto quel modellino di Fumia...
  24. Dopo la Fiesta, allarghiamo lo sguardo a qualche Station Wagon. Un trend decisamente in ascesa negli anni Ottanta in Europa, ma stranamente la nuova ammiraglia di Ford of Europe, Scorpio/Granada del 1985, esce nella sola variante berlina 5 porte. Solo nel 1992 arrivò la versione giardinetta. Ritardo apparentemente incomprensibile, considerata la presenza costante della versione Station Wagon anche nella precedente Granada e il crescente successo di cui parlavamo sopra. Forse la presenza e le caratteristiche della Sierra Station Wagon (trazione posteriore e dimensioni tra le più ampie nel suo segmento) potrebbero aver giocato un ruolo in questa decisione. Anche in questo caso però, i tentativi interni non mancarono... Questa è una proposta Ghia del 1983, e ci dà qualche motivo sul perché non la si vide in produzione. Un carro da morto che fortunatamente ci è stato risparmiato, ma che dà alcuni spunti di discussione interessanti: - a me pare basata su un pianale con passo allungato - vedo poi una terza fila di sedili - il tetto va chiaramente a rialzare verso la zona posteriore - le porte posteriori sono specifiche - i fari posteriori sembrano specifici, allungati in verticale - il montante D è nero lucido, con effetto vetratura posteriore avvolgente (unico dettaglio che manterrà anche la SW '92...) In vari di questi aspetti elencati sopra, io ho visto un'ispirazione alle versioni Break/Familiale di Citroen CX. Ed evidentemente nello studio di design Ghia si stava anche provando a mischiare un po' i concetti di giardinetta, multispazio, minivan, monovolume... Ginevra, 1984: Ghia presenta il concept Ford APV (disegnato nel 1983, quindi coevo con la maquette sopra): Un paio d'anni dopo, al Salone di Torino '86, è la volta dello studio Ford Vignale TSX-6: E' chiaro che somiglianze concrete con quella maquette di Scorpio SW sono assenti, ma sono alcune idee e concetti che mi sembrano vicini: il tetto rialzato, le vetrature estremamente ampie e i montati neri a creare effetto continuità, l'impostazione finalizzata a rendere visibili e concreti lo spazio a bordo e la vivibilità. Di questa TSX-6, tra l'altro, mi incuriosisce lo scalino alla base della vetratura, perché nella pessima foto della maquette di Scorpio SW il mio occhio "vuole" vedere una piega simile a metà della portiera posteriore... (lo so... sono ) Poi qualcosa di questa maquette è finito comunque nella versione Station Wagon della cugina australiana di Scorpio, la Ford Falcon (serie EA) del 1988. Da Scorpio a Sierra Station Wagon; ecco un'altra foto scattata nei capannoni Ghia, nel 1986. Si tratta di una lavorazione molto preliminare per un possibile restyling di Sierra SW per il 1990. Modifiche in puro stile anni Ottanta, e comunque progetto evidentemente abbandonato, forse perché Mondeo sarebbe arrivata poco dopo? Notare che pur essendo ormai pronto il restyling '87, lavoravano ancora sul corpo della primissima serie. Pare non avessero disponibilità di modelli già ristilizzati. Ancora anni Ottanta, altro modello: Escort. Sul modello '80 (Erika) Ford creò la sua prima cabriolet europea moderna. Eccone però una prima versione dall'aspetto diverso, curiosamente anacronistico con quell'andamento Coke bottle della linea di cintura molto anni Sessanta-Settanta. Infine un salto agli anni Novanta. qualcuno ha parlato del linguaggio "New Edge" che Ford coraggiosamente portò avanti in quegli anni. Bene... era la fine del 1994, e per la sostituta di Escort, la futura Focus, cominciarono così! Un disegno decisamente più radicale di quello che vedemmo su Focus nel 1998, e forse vagamente più vicino a Ka (che infatti uscì nel 1996). Maquette molto interessante comunque. Le linee ad arco, i tagli e gli incroci su fiancata, paraurti, fari, calandra... la vetratura e gli altri dettagli di forma lenticolare... ma soprattutto la decisa somiglianza della zona di coda alla (ancora) bellissima Mazda Lantis, uscita un anno prima.
  25. Nel design Ford dei decenni passati la Fiesta è stato un momento fondamentale e molti conoscono il progetto Bobcat che dette origine alla prima Fiesta del 1976: aveva il portellone e per tutta la vita della prima serie, fu disponibile solo a 3 porte. Non fu una scelta senza esitazioni, comunque. Tra le cose interessanti che recentemente sono venute fuori, ci sono infatti due varianti di carrozzeria sviluppate nel 1974, nelle fasi finali del progetto, sulla base del disegno pressoché definitivo. L'impostazione due volumi era ormai una scelta certa, ma il portellone ancora in quegli anni era considerato una caratteristica "avanzata", per i costi e le criticità che si portava dietro (rigidità della carrozzeria in primis), ma anche per la percezione della clientela più tradizionale. E difatti anche Ford, come altri costruttori in quegli anni, pensò anche ad una soluzione tradizionale senza portellone: Alla fine però decisero di optare senza mezzi termini per la "modernità" e portellone fu. Ma da qualche altra parte tagliarono... vabbene il portellone, devono aver detto, ma allora si fa solo a tre porte! Così l'idea di un'ancor più pratica versione a 5 porte rimase solo ...una maquette. Peccato, l'assenza di una 5 porte credo sia stato uno dei limiti più significativi della prima Fiesta, ma sinceramente questo modello non mi pare che risolvesse nel modo esteticamente più felice il tema delle porte posteriori. Limite poi superato in modo egregio dalla erede del 1989, il progetto BE13, di cui a me è sempre piaciuta più la cinque porte. Andamento dei finestrini posteriori e del montante C li ho sempre trovati particolarmente indovinati. Risultato ancor più apprezzabile se rivediamo le alternative e gli sviluppi che hanno portato al modello finale. Da questa soluzione iper-classica, con la terza luce e il portellone dal disegno fin troppo scontato (e stondato)... ...a questa (di nuovo asimmetrica) che invece mi ricorda qualcosa di vagamente francese, soprattutto nel taglio del passaruota posteriore, ma che mostra dei gruppi ottci anteriori già piuttosto vicini all'idea finale: N.B. Materiale proveniente da fonti internet del designer Ford Steve Saxty
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