L’Italia di oggi, figlia degli ultimi sessant’anni di storia, dal punto di vista dei trasporti, è tutto quello che una nazione non dovrebbe essere.
Spinto da politiche attente al profitto, e sostenuto dallo spirito irrazionale che ci contraddistingue, il Bel Paese ha imboccato una via che, col senno di poi, si è rivelata poco conveniente. Per tutti.
Fino agli anni ’50, volendo fare un raffronto con la situazione attuale, avevamo poche strade e tante ferrovie. Vista la morfologia del Paese, sostenuto dagli Appennini e sovrastato dalle Alpi, qualcuno tempo addietro, capì che la soluzione migliore era un sistema intermodale tra strada e ferrovia. Fino al secondo conflitto, quindi, ci fu un intenso fiorire di linee locali, spesso a scartamento ridotto, che s’arrampicavano in punti inaccessibili. Molte di queste linee sono entrate nella storia delle ferrovie come esempi di grande coraggio e capacità progettuali. Ma erano altri tempi.
Finita la guerra, l’italiano aveva voglia di riscatto. Qualcuno aveva già avuto il piacere di correre sulle modernissime autostrade d’allora, fiore all’occhiello di passati regimi, a bordo di una Balilla o una Topolino. L’intenzione era quella di tornare a farlo... magari in tanti.
Quindi, la Ricostruzione e poi il Boom: la 600, l’auto a rate e il posto fisso. Cosa volere di più?!
Le ferrovie furono sempre meno utilizzate, e fino agli anni Ottanta furono smantellati migliaia di chilometri di linee secondarie, meritevoli di essere conservate solo per l’estremo valore ingegneristico, e si impose una crescita forsennata alla rete stradale. In pochi anni, gli italiani iniziarono a prendere contatto con il traffico. Alla congestione, si è aggiunto l’inquinamento e l’interruzione dello sviluppo autostradale.
Oggi, in molte aree metropolitane, la situazione sta collassando: il trasporto su gomma ha preso il sopravvento. In determinate fasce orarie i camion diventano padroni di interi archi stradali (il nodo di Bologna o la tangenziale di Mestre), e ci sono arterie al limite del collasso strutturale, vedi la Orte-Ravenna, il percorso più efficace per unire il Centro al Nord-Est, bisognosa di interventi immediati, ma impossibile da risanare a causa dell’intenso traffico.
È facile, con un clima come questo, fare del populismo, additare l’automobile e mettersi i paraocchi. Nascono come funghi proposte al limite dell’assurdo, oltretutto anche dalla dubbia legittimità, come i blocchi del traffico, dall’inutilità ormai conclamata, la tariffazione esagerata della sosta (sui cui vigilano zelanti gli ausiliari del traffico) e addirittura la tariffazione dei percorsi stradali. “In questo modo ogni automobilista diventa cosciente di quanto costa per la società”, dicono. Sappiamo che non è vero.
La soluzione è un’altra e, in parte, dobbiamo cercarla dentro noi. Bisogna imparare a riconoscere i due aspetti dell’automobile: quello utile e quello emozionale.
Chi cerca l’auto per le emozioni – e quindi tutti gli appassionati – dovrebbe attribuirle la stessa funzione edonistica che ha la moto: la si usa per piacere e quando si può. Per chi l’automobile è una necessità, ma si riduce a un mero mezzo di trasporto, è bene che ne comprenda l’inutilità della proprietà.
Possedere un’automobile per andare quotidianamente da un punto A ad un punto B, e viceversa, dovendosi sobbarcare le spese di carburante, tasse e manutenzione, è realmente un concetto arcaico che va, questo si, contro ogni proposta di sviluppo sostenibile della società. La risposta di chi si vede coinvolto in questo ragionamento è essenzialmente una: “i mezzi pubblici non funzionano”.
Ma l’alternativa all’auto di proprietà non è limitata al solo trasporto pubblico; esiste anche un’altra realtà e si chiama car pooling.
È un ibrido tra il car pool, ovvero “l’auto condivisa”, in cui più persone utilizzano la stessa auto per coprire lo stesso percorso, e il car sharing, una forma di noleggio semplificata in cui l’utente usufruisce, per i propri spostamenti, di automobili che può reperire in determinate aree, disseminate nella città. Con il car pooling, quindi, più persone utilizzano la stessa auto, noleggiandola, dividendone i costi. I vantaggi sono realmente tantissimi. Il più ovvio riguarda la congestione della rete e l’impatto ambientale che, ipotizzando una diffusione di massa, si ridurrebbero per un coefficiente pari alla media passeggeri/veicolo. Si guadagnerebbe in praticità, rispetto al trasporto pubblico, visto che la libertà di movimento garantita dall’auto in uso privato è mantenuta; si risparmierebbe tanto in termini di costi: a fronte del pagamento di un canone non ci sono spese extra e, altro punto a favore dell’ecologia, circolerebbero soltanto mezzi di ultima generazione, magari alimentati con carburanti alternativi. Non è fantasia, è realtà. Non da noi, ma in paesi che da tempo hanno capito che il clima inquisitorio contro l’auto e l’automobilista è sostanzialmente inutile alla società.
In Svezia sono già quattro anni che la Volvo, la Hertz e la SunFleet propongono un programma di car sharing ecologico. Le auto sono reperibili in numerose “stazoni”; l’utente, che paga una quota di iscrizione e una tariffa “a consumo”, può prenotare l’auto via SMS. Il sistema telematico, installato in ogni vettura, permette di aprire ed avviare con il telefonino l’esemplare prenotato. L’auto, in genere berline Volvo in allestimento Bi-Fuel, comunica costantemente con una banca dati in cui esiste per ogni abbonato un “profilo” continuamente aggiornato. Per gli utenti del car pooling, la SunFleet, in collaborazione con le amministrazioni locali, ha previsto anche aree di parcheggio riservate e gratuite. Nulla di fantascientifico, solo una soluzione intelligente ai problemi di mobilità.
In Svezia, il car pooling, seppur dalla diffusione ancora molto limitata, è cresciuto del 175% in un anno. Da noi non lo conosce nessuno. Riflettiamo.
da omniauto.it