LONDRA - No, non è mai esistito. Non c'è mai stato il Regno di Logres, e nemmeno il Castello di Camelot. Nessuno si illuda, scrive l'autorevole studioso di Oxford, perché Re Artù non ha mai cavalcato per le brughiere di Britannia. È solo un'invenzione, consolatoria e vagamente autoingannevole, di quei celti umiliati dai Sassoni e dai Normanni che nel corso dei secoli hanno cercato, attraverso di lui, di elaborare il lutto della sconfitta.
NESSUN DUBBIO - Thomas Green, che insegna presso l'Exeter College della più famosa università del suo paese, non ha dubbi. E scrive, impietoso nella sua fredda lucidità di esperto, che nemmeno le ultime teorie a favore della sua reale esistenza reggono all'esame della scienza. Ad essere demolita per prima è la scoperta di una tegola nel castello di Tintagel, in Cornovaglia, dove Artù sarebbe stato dato alla luce da Ingerne, sedotta da Uther Pendagradon grazie ad un inganno di Merlino. Quella tegola cita un nome, scrive Green in un articolo, che «non si riferisce per niente ad Artù, al contrario di quanto è stato detto e sostenuto pubblicamente». Quanto alla ricostruzione, di per sè affascinamente, per cui Artù si sarebbe chiamato Riotamus ed avrebbe davvero combattuto su suolo francese, «non regge nemmeno se si considera che Artù poteva essere il nome e Riotamus il titolo onorifico».
IL MITO - Cosa resta, allora, del mito di Camelot? Ben poco, soprattutto se si va a demolire, come fa Green, anche il resto delle prove documentali e letterarie delle sue gesta, dalle dodici battaglie contro i Sassoni a quella, finale e terribile, delle Piane di Salisbury. «Innanzitutto la croce di Glastonbury, unica prova archeologica a favore dell'esistenza di Artù, è da tempo stata provata come una frode del XII Secolo». Ma è soprattutto l'analisi dei testi medievali a dimostrare che Artù è «una figura mitica rappresentata come storica esattamente come, nelle pagine di Beda il Venerabile, i capi sassoni Hengest ed Horsa». «Non si può assumere che un personaggio della letteratura sia un personaggio storico solo perchè una fonte d'epoca medievale asserisce che lo sia» come invece fa Goffredo di Monmouth, sostiene ancora il professore, «le poche fonti effettivamente utilizzabili nello studio di questa materia possono molto facilmente parlarci o di una figura leggendaria successivamente storicizzata, o di una tradizione distorta».
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