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Vigilia del GP della Malesia: allarmi! Allarmi!
nella discussione ha aggiunto copco in Sport Motoristici
Frank Williams, boss della scuderia inglese, lancia l'allarme alla vigilia del Gp di Malesia, secondo appuntamento del Mondiale. "Un altro anno di dominio Ferrari rischierebbe di uccidere la Formula 1". Frank Williams, boss dell'omonima scuderia, lancia l'allarme alla vigilia del Gp di Malesia, secondo appuntamento del Mondiale 2004 di Formula 1. "I vertici delle case automobilistiche -dice Williams al settimanale tedesco 'Auto, Motor und Sport'- perderebbero interesse per il circus. Abbiamo bisogno almeno di poter competere per il primo posto". Se le vetture di Maranello non dovessero incontrare ostacoli, anche il pubblico comincerebbe ad annoiarsi. Se diminuiscono le persone che guardano le gare, diminuiscono anche i soldi". Una situazione da evitare, soprattutto in un momento nel quale i costi per i team rimangono elevati. "Le spese ci stanno strangolando, il denaro sta diventando un problema per tutte le squadre. C'è solo un'eccezione, la Toyota. Questo mi preoccupa, perchè nonostante la casa giapponese sia ancora dietro di noi, sta avanzando a passi da gigante. Ridurre i costi, però, è indispensabile. Altrimenti questo sport morirà". Il modello da seguire, secondo Williams, è la Renault. "Sono molto impressionato dal modo in cui è gestita. Ad essere onesti, mi fa star male. Hanno cominciato a provare le loro vetture due settimane dopo di noi e sono già più veloci". Proprio la Renault è stata costretta a smentire le voci relative ad un interessamento per Ralf Schumacher, pilota in scadenza di contratto con la Williams. "Ho un'ottima opinione di Ralf. Ha molto talento ed è lucido in gara. E' una persona molto intelligente". Nonostante un simile giudizio, Frank Williams non ha ancora trovato un accordo con Schumi jr per rinnovare il contratto. (17 marzo 2004) http://www.repubblica.it/2004/c/motori/marzo04/williamsvsferrar/williamsvsferrar.html -
Si, esatto... ciao ciao!
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E' questa?
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Ford vuole l'ibrido benzina-elettrico della Toyota.
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By Edward Lapham Automotive News / March 16, 2004 Every time that U.S. gasoline prices rise, the way they are now, consumers grumble and automakers start thinking about diesel engines. Diesels are more fuel efficient and nearly half the cars sold in Europe do have diesels. But most Americans still think of diesels as dirty engines for work vehicles. And it's not certain that diesels will be able to meet federal clean air regulations that take effect in 2007. At least one supplier has faith in diesels. Automotive News Europe reports that German parts maker Robert Bosch is so confident that it can meet the standards that Bosch is trying to convince U.S. automakers to design cars with engine compartments that can accept diesels. But it's a tough sell. And automakers are developing other alternatives to gasoline engines. Ford’s deal to license Toyota's technology for gasoline-electric hybrid engines suggests that diesels are still a long shot. -
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Ad un certo punto, in preda alle manie espansionistiche e di onnipotenza di Fresco, già sommersa dai debiti, Fiat voleva scalare Fondiaria. Il cavaliere disse: con quali soldi? Da quel momento la storia di Fiat è cambiata. Forse ora è la volta buona che o fanno gli imprenditori veri, oppure chiudono battenti. Silviuzzo non mi sta molto simpatico, ma qualche merito glielo devo riconoscere. -
Il corpo vettura è un cuneo che si incunea in un altro cuneo che è il cofano. Lo trovo disarmonico.
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Non mi piace. Il posteriore sembra risicato e copiato da qualche Peugeot CC. La parte anteriore, con quei fari, mi ricorda ancora una Peugeot. Quel gradino che scende dal profilo superiore del cofano alla base del finestrino della portiera rende l'insieme disarmonico. Lo sbalzo posteriore troppo corto. Il posteriore un pò gonfio. Insomma, non c'è armonia. Si riconosce come Mercedes Benz solo per la stella a tre punte.
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Abbiamo una miriade di casi brillanti, ma tutti nella piccola e media impresa. Se parliamo di grande impresa privata abbiamo Luxottica e Benetton, il resto non brilla affatto. Il sistema bacato di cui parlavo è quello della grande impresa privata, dove il vertice della piramide di scatole cinesi è occupato da qualcuno che detiene piccole quote di proprietà e nonostante ciò controlla grandi imperi. In un siffatto sistema chi controlla non rischia o rischia poco, non solo, ha anche la tentazione di fare i propri interessi personali piuttosto che gli interessi dell'impresa. Per intenderci, se controlli un gruppo che vale un milione ma tu possiedi solo mille sei tentato di derubare l'impresa. Se invece controlli un gruppo che vale un milione e tu possiedi 800.000 la tentazione cessa, perchè se derubi l'impresa derubi te stesso, il che non ha senso. Il sistema è poco pulito anchè perchè il sistema delle scatole cinesi è talmente farraginoso e barocco che manca totalmente di trasparenza. Non a caso Parmalat era considerata un'impresa che godeva di ottima salute fino al giorno prima del disastro. Non a caso Fiat scalava la Montedison mentre era piena di debiti fino al collo; e nessuno si chiedeva con quali kakkio di soldi Fiat potesse farlo. Nessuno si chiedeva con quali soldi potesse farlo perchè a nessuno era chiaro quanto Fiat era nella merda. Se fosse stato chiaro, il governatore della Banca d'Italia Fazio si sarebbe adoperato per impedire quella scalata invece di adoperarsi per incoraggiarla. E se la cosa non era chiara a Fazio figurati quanto poteva esser chiara ai piccoli azionisti. Questo significa che per i piccoli azionisti giocare in borsa in Italia è come tentare un terno al lotto: se hai kulo becchi le azioni giuste, se non hai kulo becchi quelle sbagliate. L'unico strumento di lavoro che hai è il kulo, quando invece dovrebbero essere dei bilanci semplici e trasparenti. Quelli che conoscono come stanno le cose sono i grandi azionisti. Grandi azionisti che a volte controllano grandi imprese. Il guaio è che se i bilanci fossero semplici e trasparenti, tutti potrebbero controllare i controllori. Ma forse i controllori (ma poco possessori) delle grandi imprese non amano essere controllati, perchè se possono essere controllati forse non possono speculare. Quello che è avvenuto spesso in Italia nella grande impresa privata è stato che i controllori sono stati controllati da gente pagata in ultima analisi dai controllori stessi, che così facendo hanno potuto controllare chi controllava i controllori. E' così ancora oggi. Quando intervengono le agenzie di rating internazionali e per caso si permettono di fare dei declassamenti, allora incomincia sui media il walzer per scoprire chi è che complotta contro chi, e si tenta di farla finire a tarallucci e vino. Ricordiamoci che l'informazione è controllata a tutti i livelli. Non dobbiamo assolutamente sapere come funziona il sistema nel suo intimo. Ricordiamoci che confindustria comprò una intera edizione di un libro che Sylos Labini scrisse per denunciare le magagne del sistema della grande imprenditoria italiana. -
Non vi preoccupate, hanno inventato un semplice aggeggio infila calzini. http://images.google.it/imgres?imgurl=www.dirittoindustriale.com/images/mostra/infilacalzini.gif&imgrefurl=http://www.dirittoindustriale.com/vendita/calzini/&h=350&w=231&sz=10&tbnid=2kD_0Hspg58J:&tbnh=115&tbnw=76&prev=/images%3Fq%3Dcalzini%26start%3D40%26hl%3Dit%26lr%3D%26ie%3DUTF-8%26oe%3DUTF-8%26sa%3DN
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Beh, io conosco personalmente una società americana che ha comprato molti anni fa una azienda italiana in crisi leader in Italia per la produzione di beni ad altisssimo contenuto tecnologico. E' successo che la ricerca e sviluppo, da quando sono arrivati gli americani, è stata potenziata. Non solo: per fare questo, gli americani hanno penalizzato la struttura di ricerca e sviluppo che avevano di già in USA nello stesso settore. Per loro l'importante è fare profitti, e se si possono fare più profitti in Italia che in USA non ci pensano due volte; investono in Italia. Tutto questo crea ricchezza non solo per gli americani, ma anche per l'Italia. La ricchezza spettante agli americani è rappresentata dai profitti prodotti dalla società e che poi gli americani reinvestono dove gli pare (l'azienda stessa in primis). La ricchezza per l'Italia consiste nei posti di lavoro e nelle tasse che l'azienda ed i suoi dipendenti pagano all'erario nazionale. Sarebbe stato auspicabile che a comprare la società italiana fossero stati degli italiani, ma se la gente italiana disposta a intraprendere non si trova allora benvengano gli imprenditori esteri. Il governo dovrebbe prendere due tipi di provvedimenti: 1) Incentivare ancora di più gli investimenti stranieri in Italia. 2) Fare qualcosa per spezzare il marciume esistente nel sistema imprenditoriale italiano. In Italia assistiamo ad una imprenditoria che aborrisce il rischio. Quando si tratta di intraprendere veramente non si trova più un imprenditore disposto a rischiare di suo. Questo succede perchè in Italia è possibile costruire delle piramidi societarie fatte di scatole cinesi addentrandosi nelle quali ci si perde, ma che permettono ad un Tronchetti Provera di controllare un grande impero economico rischiando di tasca propria solo una percentuale risibile del valore di quell'impero. Che l'azienda vada bene o vada male, l'imprenditore manager rischia ben poco di tasca propria. Fintanto il sistema consente di diventare un imperatore sensa rischi non si troverà mai un imperatore disposto a rischiare. Il sistema è marcio anche sul piano dell'individuazione delle responsabilità. Occorre fare un immane lovoro certosino per individuare un responsabile, e se si ha fortuna si riesce a beccare un individuo o un gruppo di individui con responsabilità limitate. Assistiamo a situazioni in cui la famiglia Agnelli detiene il 50 % dell'IFI, l'IFI controlla il 53 % dell'IFIL, IFI ed IFIL detengono quasi il 30 % di Fiat, e Fiat detiene l'80 % di Fiat Auto. Alla fine ci si chiede: ma chi kakkio è realmente il proprietario di Fiat Auto? Tutti sanno che l'azionista di riferimento è la famiglia Agnelli, ma sulla carta sembra che se la famiglia Agnelli si mette le mani in tasca per risanare Fiat Auto, lo fa per puro spirito di carità cristiana e gli dobbiamo anche baciare le mani. -
Per quanto riguarda lo stile ho anch'io messo 156 al primo posto. Siccome sia serie 3 che 156 hanno velleità sportiveggianti credo che serie 3, avendo la TP, ha le carte più in regola. OK, sulle 156 i motori sono superiori per potenza, ma forse proprio per questo 156 necessiterebbe, a maggior ragione, della TP. Che senso ha mettere motori potenti sulle TA se poi si è costretti a dotarle di colli di bottiglia per impedire di lasciare i copertoni sull'asfalto ad ogni colpo di acceleratore?