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copco

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  1. Ciao j, benvenuto di nuovo. Non ti spaventare, era solo uno scherzo provocato dalla tua apparente avversione all'uso di più di una parola per volta. Ciao, e buona permanenza in questo posto.
  2. Ciao j, benvenuto. Senti, ma sei di poche parole o sei di poche lettere? Mi raccomando, non fare come certi, che si iscrivono ma poi non si fanno mai semtire, perché il creatore ci ha donato l’uso della ragione e della parola, nonché le dita e i soldi per accattarci un PC e collegarlo in rete cosicchè noi si possa chiacchierare un pochettino. Toccai di già codesta questione col frazionato (126/131) nel discorso che diedi alle stampe in questo posto oramai parecchi mesi addietro, riguardo al metodo per ben condurre la propria ragione e cercare la verità. Non allo scopo di trattarne allora veramente a fondo, ma solo come di sfuggita, a fine di apprendere, per mezzo del giudizio, che se ne farebbe, in qual modo avrei dovuto trattarne in appresso. Esse infatti mi sono sempre sembrate di tale importanza, che giudicai ben fatto parlarne; ed il cammino che io percorro per spiegarle è così poco battuto, e così lontano dalla via ordinaria, che non ho creduto che fosse utile mostrarlo tutto, ed in un discorso che potesse essere letto da tutti, per paura che gli spiriti deboli credessero che fosse loro permesso di tentar questa via. Ora, avendo pregato in quel discorso tutti quelli che avessero trovato nei miei scritti qualcosa degna di censura di farmi il favore di avvertirmene, non mi si è nulla obbiettato di notevole se non due cose, su ciò che avevo detto riguardo a queste due questioni, alle quali obbiezioni voglio rispondere qui in poche parole, prima d'intraprendere la loro spiegazione più esatta. La prima è che, dal fatto che lo spirito umano, riflettendo su sé stesso, conosce di non essere altro che una cosa che pensa, non segue che la sua natura o la sua essenza sia solamente il pensare, in guisa tale che questa parola solamente escluda tutte le altre cose di cui si potrebbe forse anche dire che appartengono alla natura dell'anima. Alla quale obbiezione io rispondo che, in quel luogo, non era mia intenzione di escluderle secondo l'ordine della verità della cosa (della quale non trattavo allora), ma solo secondo l'ordine del mio pensiero. Così che il mio sentimento era che io non conoscevo nulla che sapessi appartenere alla mia essenza, se non che ero una cosa che pensa, o una cosa che ha in sè la facoltà di pensare. Ora farò vedere qui appresso come, dal fatto che io non conosco null'altro che appartenga alla mia essenza, segue che non vi è neppure niente altro che in effetti le appartenga. La seconda obbiezione è che, dal fatto che io ho in me l'idea di una cosa più perfetta di quel che io sia, non segue punto che questa idea sia più perfetta di me, e molto meno che quello che è rappresentato da questa idea esista. Ma io rispondo che in questa parola Idea v'è qui dell'equivoco. Poiché, o essa può esser presa materialmente come una operazione del mio intelletto, ed in questo senso non si può dire che essa sia più perfetta di me; o essa può essere presa oggettivamente per la cosa che è rappresentata da quell'operazione, la quale, benché non si supponga che esista fuori del mio intelletto, può nondimeno essere più perfetta di me, secondo la sua essenza. Ora, nel seguito farò vedere più ampiamente come, da ciò solo che ho in me l'idea di una cosa più perfetta di me, segua che questa cosa veramente esiste. Di più, ho visto anche degli scritti abbastanza ampi su questa materia, ma che non combattevano tanto le mie ragioni, quanto le mie conclusioni, e ciò con argomenti tratti dai luoghi comuni degli atei. Ma poichè questa sorta d'argomenti non possono fare nessuna impressione sullo spirito di quelli che intenderanno bene le mie ragioni, e poiché i giudizi di parecchie persone sono così deboli e così poco ragionevoli che si lasciano molto più spesso convincere dalle prime opinioni, per quanto false e lontane dalla ragione possano essere, che da una confutazione solida e vera, ma sentita solo in appresso, non voglio rispondere qui, per paura di essere innanzi tutto obbligato a riportare certe obbiezioni. Dirò solamente in generale che tutto quel che dicono gli atei per impugnare l'esistenza di Dio dipende sempre, o dal fingere in Dio affezioni umane, o dall'aver attribuito ai nostri spiriti tanta forza e saggezza da far presumere di determinare e comprendere ciò che Dio può e deve fare; di guisa che tutto quello che essi dicono non ci darà nessuna difficoltà, purché soltanto ci ricordiamo che dobbiamo considerare i nostri spiriti come cose finite e limitate, e Dio come un essere infinito e incomprensibile. Ora, dopo aver in certo modo conosciuto i giudizi degli uomini io affronto da capo le questioni di Dio e dell'anima umana, e insieme prendo a gettare le fondamenta del pensiero primario; ma senza attendere lode alcuna dal volgo, nè sperare che io sia letto da molti. Al contrario, io non consiglierò mai a nessuno di leggermi, se non a quelli che vorranno con me meditare seriamente, e che potranno staccare il loro spirito dal commercio dei sensi, e liberarlo interamente da ogni sorta di pregiudizi; e questi io so anche troppo che sono in piccolissimo numero. Ma per quelli che, senza curarsi molto dell'ordine e del legame dei miei ragionamenti, si divertiranno a cavillare su ognuna delle parti, quelli, dico, non trarranno gran profitto dalla lettura di questo trattato. E benché forse possano trovare occasione di fare delle osservazioncelle minute in parecchi punti, a gran pena potranno obbiettare qualcosa di urgente, o che sia degno di risposta. E poiché io non prometto agli altri di soddisfarli a prima vista, e non presumo tanto di me da credere di poter prevedere tutto quel che potrà presentare delle difficoltà a ciascuno, esporrò dapprima gli stessi pensieri, pei quali son convinto di essere pervenuto ad una certa ed evidente conoscenza della verità, a fine di vedere se, per mezzo delle stesse ragioni che mi hanno persuaso, potrò anche persuaderne degli altri. Dopo, risponderò alle obbiezioni che mi faranno persone d'ingegno e di dottrina, ecco perché supplico, quelli che desidereranno leggermi di non formarsene alcun giudizio, senza prima essersi data la pena di leggere tutte quelle obbiezioni e le risposte che vi ho fatte. Già da qualche tempo, ed anzi fin dai miei primi anni, mi sono accorto di quante falsità ho considerato come vere, e quanto siano dubbie tutte le conclusioni che poi ho desunto da queste basi; ho compreso dunque che almeno una volta nella vita tutte queste convinzioni devono essere sovvertite, e di nuovo si deve ricominciare fin dai primi fondamenti, se mai io desideri fissare qualcosa che sia saldo e duraturo. Questa tuttavia sembrava essere un'opera assai impegnativa, ed aspettavo dunque un'età che fosse così matura da non doverne aspettare un'altra più adatta per impadronirsi di tali discipline. E perciò ho atteso tanto da essere poi in colpa se, quel tempo che rimane per agire, lo consumassi nel prendere decisioni. E perciò opportunamente oggi ho liberato la mente da tutte le preoccupazioni, mi sono procurato una quiete totale, me ne sto solo, e quindi avrò tempo di distruggere totalmente, con serietà e libertà, tutte le mie antiche opinioni. Per ottenere questo risultato non sarà d'altra parte necessario dimostrare che 'quelle opinioni' sono tutte false, cosa che forse non riuscirei mai ad ottenere; ma poiché ormai la ragione mi persuade che bisogna tenere accuratamente lontano ogni assenso dalle convinzioni che non sono assolutamente certe e indubitabili, non meno che dalle proposizioni che sono apertamente false, basterà questa considerazione per respingerle tutte, se troverò in ciascuna un qualche motivo di dubbio. Non le dovrò esaminare quindi tutte in maniera particolareggiata, cosa che richiederebbe un lavoro infinito. Ma poiché, tolti i fondamenti, tutto quello che è edificato sopra questi principi cadrà da sé, affronterò subito proprio quei principi sui quali poggiava ciò che un tempo ho creduto. Tutto ciò appunto che fino ad ora ho ammesso come vero al massimo grado, l'ho tratto dai sensi o per mezzo dei sensi; tuttavia mi sono accorto talvolta che essi ingannano, ed è atteggiamento prudente non fidarsi mai di quelli che ci hanno ingannato anche solo una volta. Ma, sebbene i sensi talvolta ci ingannino riguardo ad alcuni particolari minuti e marginali, tuttavia vi sono moltissime altre opinioni delle quali non si può chiaramente dubitare, sebbene siano desunte da essi; come ad esempio che io sono qui, sto seduto davanti al monitor, indosso la mia vestaglia, digito sui tasti, e cose simili. Ma in che modo si potrebbe negare che proprio queste mani, e che tutto questo corpo sia mio? A meno che non mi consideri simile a quei pazzi il cui cervello è turbato e offuscato da un vapore così ostinato, proveniente dalla bile nera, che essi affermano con tenacia di essere dei re mentre sono poverissimi, oppure vestiti di porpora mentre sono nudi, o di avere un capo fatto di coccio, o di essere delle enormi zucche, o di essere fatti di vetro. Ma costoro sono pazzi e, se adattassi a me un qualche esempio preso da loro, non sembrerei meno pazzo io stesso. Benissimo dunque; come se non fossi un uomo che è solito dormire la notte, e nei sogni provare tutte quelle immagini, e talvolta anche meno verosimili di quelle che provano costoro da svegli. Quante volte poi il riposo notturno mi fa credere vere tutte queste cose abituali, ad esempio che io sono qui, che sono vestito, mentre invece sono spogliato e steso tra le lenzuola! Eppure ora vedo con occhi che sono sicuramente desti questo monitor, questo mio capo che muovo non è addormentato, stendo questa mano con pienezza di sensi e di intelletto e percepisco: chi dormisse non avrebbe sensazioni tanto precise. Come se poi non mi ricordassi che anche altre volte nel sogno sono stato ingannato da simili pensieri; e mentre considero più attentamente tutto ciò, vedo che il sonno, per sicuri indizi, non può essere distinto mai dalla veglia con tanta certezza che mi stupisco, e questo stupore è tale che quasi mi conferma l'opinione che sto dormendo. Orsù dunque, immaginiamo di sognare e che non siano veri questi particolari - che cioè noi apriamo gli occhi, muoviamo la testa, stendiamo le mani - e che forse non le abbiamo neppure le mani, e nemmeno tutto questo corpo. Tuttavia di sicuro bisogna ammettere che quel che ci appare nel sogno richiama alcune immagini dipinte, che non hanno potuto essere rappresentate se non ad immagine delle cose vere e reali, e perciò almeno queste cose generali, gli occhi cioè, il capo, le mani e tutto il corpo, non sono oggetti immaginari, ma veri e reali. E infatti anche gli stessi pittori, anche quando si adoperano a rappresentare nelle forme più inusitate le Sirene ed i Satiri, non possono loro assegnare delle forme naturali completamente nuove, ma si limitano a mescolare insieme le membra di diversi animali; se poi si dà il caso che essi escogitino anche qualcosa di così nuovo che niente di simile sia mai stato visto, o che sia completamente artefatto e falso, tuttavia devono essere veri almeno i colori, con i quali compongono questa loro immagine. E per un uguale motivo, sebbene anche tutte queste cose generali, cioè gli occhi, il capo, le mani ed altre cose simili, possano essere immaginarie, tuttavia bisogna ammettere necessariamente che vi sono ancora delle cose più semplici e universali, che sono vere ed esistenti, dalla mescolanza delle quali, così come dalla mescolanza dei colori veri, sono formate tutte queste immagini delle cose che sono nel nostro pensiero, siano esse vere e reali, oppure finte e immaginarie. Di questo genere sembrano essere la natura corporea comunemente intesa e la sua estensione; allo stesso modo la figura delle cose estese; ed allo stesso modo la loro quantità, la loro grandezza ed il numero; allo stesso modo il luogo nel quale si trovano, il tempo in cui durano e simili. E perciò da questo potremo con qualche ragione concludere che la fisica, l'astronomia, la medicina e tutte le altre discipline che dipendono dalla considerazione delle cose composte, sono certo dubbie; mentre l'aritmetica, la geometria ed altre scienze di tal genere, che non trattano se non di cose semplicissime ed oltremodo generali, e poco si curano se esse si trovino nella natura o no, contengono qualcosa di certo e di scevro da ogni dubbio. Infatti sia che io sia sveglio, sia che dorma, due più tre fanno cinque e il quadrato non può avere più lati di quattro; e non sembra che possa accadere che verità tanto evidenti cadano in sospetto di falsità. Tuttavia è ben fissa nella mia mente una opinione assai inveterata, cioè che esiste Dio che può ogni cosa, e dal quale sono stato creato così come sono. Ma quale prova ho che egli non abbia fatto in modo che non esista alcuna terra, alcun cielo, alcun corpo esteso, alcuna figura, alcuna grandezza, alcun luogo, e tuttavia tutte queste cose mi appaiano esistere non diversamente da ciò che ora mi appare? Ed inoltre, allo stesso modo in cui giudico che talvolta gli altri si sbagliano riguardo a ciò che ritengono di sapere perfettamente, non può accadere che mi sbagli ogni qual volta sommo insieme due e tre, o conto i lati di un quadrato, o giudico di qualche cosa ancora più facile, se si può immaginare qualcosa di più facile di questo? Ma forse Dio non ha voluto che fossi così ingannato, ed infatti viene definito come sommamente buono. Ma ammettiamo che sia contrario alla sua bontà l'avermi creato tale che mi inganni sempre: da questa stessa bontà sembrerebbe anche essere alieno il permettere che mi inganni talvolta; e quest'ultima cosa tuttavia non si può affermare con sicurezza. Vi potrebbero tuttavia essere delle persone che preferirebbero negare un Dio tanto potente, piuttosto che credere che tutte le altre cose sono incerte. Ma non ci mettiamo in contrasto per ora con loro, e ammettiamo pure che sia una favola tutto ciò che viene detto di Dio. Immaginino pure queste persone che io sia pervenuto al punto in cui sono o per destino, o per caso, o per una ininterrotta serie di eventi, o in qualsiasi altro modo; e dal momento che essere ingannati ed errare è una qualche imperfezione, quanto meno potente sarà l'autore della mia origine che esse mi assegneranno, tanto più probabile sarà che io sia così imperfetto da sbagliarmi sempre. Certo non so che rispondere a questi argomenti, ma infine sono costretto a confessare che non c'è niente, tra le cose che un tempo ritenevo vere, di cui non sia lecito dubitare, e ciò per motivi non futili, ma validi e meditati; e quindi debbo sospendere ogni assenso da questi principi, non meno che da principi apertamente falsi, se voglio trovare qualcosa di certo. Ma non basta avere intuito ciò; bisogna fare in modo che ne serbi memoria; infatti le opinioni consuete continuamente ricorrono, e si impadroniscono della mia credulità come soggiogata dalla lunga consuetudine e da una sorta di diritto nato dalla familiarità con esse, quasi anche senza che io lo voglia davvero. Non smetterò mai di assentire e di aver fiducia in esse, finché riterrò che siano quali sono in realtà, e cioè in qualche modo dubbie, come già si è mostrato, ma tuttavia molto probabili e tali che sia molto più ragionevole il crederle che non il negarle. E perciò, come ritengo, non farò male se, avendo rivolto la volontà in tutt'altra direzione, mi ingannerò da me stesso, e per qualche tempo le considererò del tutto false e immaginarie, almeno fintantoché nessuna cattiva abitudine faccia più deviare il mio giudizio dalla retta percezione delle cose, come se si fossero equilibrati dall'una e dall'altra parte i pesi dei pregiudizi. E infatti so che da questo procedimento non deriverà più alcun pericolo di errore, e che non posso cedere più del giusto alla mia diffidenza, dal momento che ora mi occupo non di problemi pratici, ma soltanto di problemi conoscitivi. Supporrò dunque che non Dio, sommo bene, fonte di verità, ma un genio maligno, sommamente potente ed astuto, abbia posto ogni suo sforzo ad ingannarmi; riterrò che il cielo, l'aria, la terra, i colori, le figure, i suoni e tutto il mondo esterno non siano altro che inganni di sogni, con i quali ha cercato di ingannare la mia credulità. Considererò di non aver mani, nè occhi, nè carne, nè sangue, nè altri sensi, ma di credere falsamente di avere tutto questo; rimarrò ostinatamente fisso nella meditazione di ciò, e così, anche se non è in mio potere di conoscere qualcosa di vero, almeno - e ciò dipende da me - mi guarderò con costanza di ragionamento dall'assentire al falso, e cercherò che questo ingannatore, per quanto potente e per quanto scaltro sia, non possa impormi nulla. Il risultato di questo inganno alla prossima puntata: così, giusto perché esiste la parola che il creatore ci ha donato, e giusto perché qualcosa dobbiamo pur farcene. Si è fatto tardi. Alla prossima puntata dunque. Oh j! Guarda se non ti va non mi offendo. Sia chiaro!
  3. L'erba del vicino è sempre più verde. Tu sogni l'azzurro infinito del mare spezino come antidoto all'inquinamento ed alle rotture di palle; il Fusi sogna di sorbirsi un caffè mentre, affacciato alla finestra dell'appartamento di un amico, si guarda cosa succede nell'area del Portello.
  4. Frallog, se ben ricordo, Prius recupera l'energia cinetica e le trasforma in energia elettrica che ricarica la batteria non solo in fase di frenata, ma anche in discesa ed in fase di decelerazione.
  5. copco

    BMW Serie 1

    Quasi 300 posts per parlare di un cesso! Niente di meglio da fare?
  6. copco

    Il laureato,il duetto,audi e nuova A6.....

    Sono messi davvero molto male: un chiaro sintomo che mentre AR sta pian pianino risorgendo, quegli altri sono in piena decadenza. A mio avviso AR dovrebbe trovare il modo di sfruttare il film originale per far vedere ai tedeschi su quale kakkio di auto Dustin Hoffman attraversò gli USA: facendo questo farebbe capire a tutti loro quanto male sia messa Audi.
  7. Per quanto riguarda il prezzo costano tutte troppo. L'immagine di AR, oggi, non è inferiore alle tedesche. Non ho quindi motivi per preferire una tedesca ad una AR, se non forse BMW. Ma dico "forse". 147 oppure MB. 156 oppure Serie 3. La mia classifica è: 1. Alfa Romeo 2. MB 3. BMW 4. VW 5. Audi
  8. C'è gente pagata profumatamente per essere ottimista. Ho riportato la cosa per rifletterci un pò sopra. De Rita è uno di questi ottimisti; fa parte del suo mestiere. E' ottimista nonostante non riesca a spiegarsi come kazzo è mai possibile che l'Italia stia ancora in piedi. Questo è un mistero che si prefigge di affrontare e svelare quando non avrà niente di meglio da fare, ma fintanto è occupato a pappare se ne strafotte di impegnarsi per svelare l'arcano dall'alto delle sue statistiche. Il suo discorso non fa una piega: stiamo in piedi, quindi stiamo bene. Saremo poveri solo quando annegheremo nella merda. E nella merda non ci siamo ancora: non si trova ancora in giro un cane che muoia di fame! Quando la gente comincerà a crepare di fame allora potremo cominciare a chiederci se per caso saremo diventati poveri. Io conosco una marea di gente che a causa della situazione descritta da il Fusi non si sposa e non fa figli. Non se lo può permettere. E conosco qualcuno che quando finalmente si è potuto permettere di fare figli ha scoperto che era oramai troppo tardi. Mi chiedo pure quanto sia realistica e vera la sua affermazione che la grande impresa in Italia è morta. Non vorrei che anche questa affermazione rientri nei suoi compiti istituzionali adeguatamente retribuiti. Quando si cominciano a fare questo tipo di affermazioni vuol dire che qualcosa di brutto bolle in pentola, e che qualcuno dovrà ingollarsi quello che verrà scodellato. E' cominciata la campagna di educazione? Bisogna fare le cose per bene: quando si cominciò a smantellare il sistema delle assunzioni con contratti a tempo inderterminato chi ne doveva subire le conseguenze era stato adeguatamente educato per tempo anche in quel frangente. Difatti non c'è stata alcuna rivoluzione.
  9. "L'Italia non è spacciata, ci sono segnali di vita" Secondo Giuseppe De Rita il paese è fermo ma non senza speranze. Se la grande impresa non c'è più, c'è però una pattuglia di medie imprese dinamiche e, soprattutto, c'è una nuova fenomenologia legata alla qualità della vita che potrebbe trasformarsi in un nuovo motore della crescita. di Giuseppe Turani Da "Affari & Finanza" di Repubblica del 22/3/2004 Milano. "Fra una storia e l'altra siamo ormai in crisi da sette anni. Però, nonostante questo, il sistema ha tenuto, non si è sfasciato tutto. Il fiuto e l'esperienza mi dicono che, se abbiamo tenuto, vuol dire che si sta preparando, da qualche parte, qualcosa di nuovo". Giuseppe De Rita è uno dei più attenti esploratori (e conoscitori) della società italiana e è anche un ottimista praticamente indistruttibile. "Riconosco che sono cambiate molte cose, che ad esempio non abbiamo più una grande industria, ma non sono convinto che questo paese si sia incagliato definitivamente, che si sia arenato". Non mi dica che da qualche parte ha già scoperto un altro sommerso, un'altra Italia che va controcorrente e che si muove [85] "No. Quelli erano gli anni Settanta. Allora era più facile. Mentre il grande dibattito era sul nuovo modo di fare l'automobile, sulla divisione internazionale del lavoro, si andava in giro per i distretti e si scopriva che c'era un'altra Italia, vitalissima e con delle cose da dire. Soprattutto c'era molto fare, molta vivacità. Ma allora, ripeto, anche se eravamo in pochi a girare per la provincia italiana era facile vedere il "nuovo" che si muoveva ai bordi della società, era tutto più semplice". E oggi non è più così? "Non so se lei va ancora in giro per distretti, negli anni Settanta ci incontravamo spesso. Ma se oggi va ancora da quelle parti avrà visto che i distretti non esistono più. In un certo senso tutto si è fatto ancora più nascosto, più disseminato sul territorio. E, se vuole, aggiungiamo anche che, insieme ai distretti, è finita anche la grande industria. Questo è un paese che non ha più una grande industria. Tutti hanno scoperto il fascino delle utilities, insomma delle bollette a fine mese. C'è solo Umberto Agnelli che si ostina a voler fare industria, per una questione di rivincita sul 1980, quando lo costrinsero a lasciare la Fiat. Ma per il resto, ripeto, non c'è più niente, sotto questo aspetto si è davvero chiusa un'epoca [85]". E questo non le sembra un segnale che il paese si è incagliato, definitivamente? "Io sono un ottimista, ma non per questo mi rifiuto di vedere le cose. Vedo anch'io che il paese è incagliato, arenato. Il mio problema, e sto cercando di capire, è se siamo fuori gioco per sempre o se, invece, da qualche parte, qualcosa si muove. Mi rendo conto che sono cambiate delle cose. Negli anni Settanta l'attivo commerciale di Prato e di Sassuolo copriva i disavanzi di meccanica e chimica. Oggi non è più così. Quei "grandi numeri" non ci sono più. E questo è un fatto sul quale non si può discutere. Però [85]". Lei ha il sospetto che sotto questa specie di grande rassegnazione italiana ci sia del movimento? "Sto cercando di capire che cosa sta succedendo. E ci sono almeno quattro aree che vorrei esplorare meglio, dove sospetto che si nasconda la vita, in un certo senso". Quali sono? "La prima è certamente data dall'esistenza di 200-300 medie aziende che non sono così lontane dal mercato, così fuori gioco come verrebbe facile di pensare. Non sono tante, 200-300, ma sono sufficienti a lasciar immaginare un futuro meno rassegnato. Penso a Merloni, che può diventare il numero uno del mercato europeo degli elettrodomestici o comunque un protagonista importante. Penso a Bombassei della Brembo, che non fa solo i freni per la Formula 1, ma che ormai ha una sua posizione importante sul mercato. E potrei andare avanti, ma non la voglio annoiare con tutto l'elenco. Queste aziende, comunque, ci sono e sono vitali. Qui non abbiamo morte e desolazione, ma aziende che vanno avanti". La seconda area? "E' quella che chiamo "la colata lavica" dei distretti. I distretti, quelli specializzati nel fare in genere una cosa e solo quella, sono andati distrutti, non ci sono più. Ma c'è stata come un'eruzione vulcanica. Quello che c'era dentro, e che oggi non più rintracciabile in aree limitate e circoscritte, si è allargato sul territorio, si è diffuso. E quindi è più difficile vedere queste realtà e capire che cosa sta succedendo. Tutto è diventato più invisibile. Ma sappiamo che non è andata persa la "cultura di nicchia", che era tipica dei distretti. La piccola e piccolissima azienda italiana, insomma, è ancora qualcosa che conta, che esiste. Rispetto agli anni Settanta facciamo più fatica a vedere e a contare quello che avviene in questo mondo, ma sappiamo che lì c'è vita. Certo, bisognerebbe rifare un lungo giro in questi mondi per capire esattamente con che cosa abbiamo a che fare. Ma, per ora, e in attesa di riprendere le esplorazioni, diciamo che questo è un continente dal quale arrivano molti segnali di vita". La terza area? "Si tratta di capire che il paese è cambiato molto più di quello che noi pensiamo. Io credo che oggi almeno un terzo della gente viva di redditi in parte misteriosi, che non hanno a che fare con il giro della grande economia, dell'industria, della finanza". E di che cosa vive, di contrabbando? "No. Vive altrimenti. Vive di piccole cose. Pensiamo, ad esempio, a tutta l'esplosione dell'agriturismo, un'area che sfugge quasi completamente alle rilevazioni tradizionali. E lì c'è tutto un mondo collegato. Abbiamo la vendita dei prodotti tipici attraverso canali particolari. Abbiamo tutto il recupero di antichi borghi e , alla fine, queste operazioni, che magari cominciano per divertimento e come ricerca di una migliore qualità della vita, si trasformano in investimenti veri e propri. E c'è anche tutto un turismo minore molto vasto, quasi invisibile e comunque non rilevato, enormemente sommerso. Uno può anche pensare che tutto questo sia un mondo minore, irrilevante, marginale, ma sarebbe un errore. La "qualità del vivere" è una cosa importante, e sta diventando sempre più importante nel mondo moderno. E può diventare un'area non dico strategica, ma molto interessante. Essere capaci di mettere sul mercato una diversa e superiore qualità del vivere non è cosa da poco. E questo comincia a diventare una cosa grossa, in Italia, importante. Da non trascurare". Quarto punto? "C'è questa questione dell'impoverimento dei ceti medi". Cosa a cui lei, mi sembra di capire, non crede. "No, non credo. Secondo me non c'è l'impoverimento dei ceti medi. C'è una cosa nuova e diversa: la paura di diventare poveri. Paura che fino a qualche tempo fa non c'era. E, per carità, so benissimo che la paura di diventare poveri è una cosa seria e che può avere conseguenze gravi. Ma non c'è l'impoverimento. Quello che c'è è che i redditi dei ceti medi non crescono più con la stessa progressione di una volta. Da qui i segnali di allarme, di paura, di preoccupazione. Io però penso che anche qui potrebbe accadere qualcosa di nuovo e di interessante". Ad esempio? "E' vero che la crescita dei redditi dei ceti medi si è fermata (o è molto rallentata), ma è anche vero che questi stessi ceti sono tutti molto a posto dal punto di vista patrimoniale. In genere dispongono, tanto per dirne una, di interessanti proprietà immobiliari. Solo che finora hanno gestito il mix reddito-patrimonio da ex-poveri (mi compro la casa così poi non pago l'affitto). Il modello di gestione di questa ricchezza (reddito più patrimonio) non si è rinnovato, è ancora quello di vent'anni fa. Io penso che questa situazione durerà ancora un paio d'anni al massimo. Poi la gente scoprirà di avere comunque alle spalle dei patrimoni consistenti e imparerà a gestirli in modo moderno, insomma a ricavarne dei redditi. E questo vorrà dire maggiori consumi, un'economia che gira meglio, con tutto quello che segue. Insomma, anche nell'area dei ceti medi (oggi descritta in crisi, con foto sui giornali da Mezzogiorno degli anni Cinquanta, la famiglia intorno al tavolo del tinello che dichiara di non farcela a arrivare a fine mese) si sta muovendo qualcosa. Non siamo affatto alla fine di tutto, alla proletarizzazione dei ceti medi". In conclusione, lei rimane ottimista. "Io sono ottimista, ci mancherebbe". Però ammette che siamo incagliati? "Certamente. Però non sono convinto che siamo diretti verso un declino inarrestabile. Stiamo andando verso un'Italia diversa da quella che abbiamo conosciuto. Un'Italia senza grande industria e senza distretti, ad esempio. E quindi anche un'Italia difficile da capire e da mettere a fuoco perché molto diversa da quella che abbiamo conosciuto e frequentato fino a oggi. Però, ci sono alcune cose che rimangono. Un ceto medio, ad esempio, che è più forte di quello che si è abituati a pensare e che tale rimane, forte, nonostante quello che si è letto di tremendo sui giornali negli ultimi sei mesi. Abbiamo una piccola e piccolissima industria che continua a esistere e a lavorare, anche se ormai è diventata di fatto invisibile persino agli occhi di quelli che negli anni Settanta erano pure riusciti a coprire il sommerso. Ci sono 200-300 medie aziende ben inserite sui mercati internazionali, competitive, radicate all'estero, e con buone carte da giocare. C'è il vivere altrimenti, il vivere di qualità, che sta crescendo. Insomma, forse ci sono più segni di vita di quello che vogliamo pensare. Certo ne sta venendo fuori un'Italia diversa da quella che immaginavamo negli anni Settanta e Ottanta. Un'Italia che magari ci risulta persino un po' estranea. Ma probabilmente è un'Italia che non è definitivamente incagliata. Diversa, strana, forse addirittura incomprensibile, ma non incagliata definitivamente. Ripeto: se il sistema ha tenuto, nonostante sette anni di crisi, questo vuol dire che da qualche parte c'è vita, da qualche parte sta maturando qualcosa di positivo, di nuovo".
  10. Un altro caso di tramortimento di un'industria manifatturiera (semplifico) a causa della corsa verso i servizi? Ste privatizzazioni serviranno pure per ridurre il debito pubblico, ma hanno di già distrutto l'industria nazionale. Tutti a correre per accaparrarsi le bollette e le tariffe. In questo panorama, se Umberto Agnelli, deciderà di tenersi l'auto sarà un caso controcorrente e sarà un vero eroe nazionale.
  11. Credo anch'io che sia così: dovrebbe trattarsi di quei soldi che Fiat ha sempre detto che avrebbe trovato se GM non li avesse tirati fuori.
  12. Mah, spero che tu abbia torto, altrimenti siamo punto e a capo. Comunque, a parte le considerazioni sulle auto fotocopia, credo che Demel abbia dato il suo contributo a fare di Audi quel marchio che è oggi, ossia un marchio che è percepito come auto di qualità. Credo che Martin Leach non fosse male, solo che Ford non lo ha mollato. Certo, credo anch'io che trovare gente disposta ad imbarcarsi su una nave che stava colando a picco era difficile.
  13. Dovendo riportare Alfa Romeo a Milano io lo farei riportando a Milano un'Alfa Romeo, non una Fiat. Sarebbe fantastico: il primo modello Alfa Romeo del nuovo millennio che avrà nuovamente la trazione posteriore vedrà la luce nel suo brodo naturale che non può che essere Milano. Rinascerà l'antico mito? Ma se il Fusi dice "nulla di inedito" allora la cosa si sgonfia parecchio.
  14. Ho ancora da capire che razza di pesce sia Demel. Io credo che conosca bene il mondo dell’auto, ma non è solo per questo che mi piacque il suo arrivo. La cosa che mi entusiasmò fu quando si disse che lui lasciava un’azienda florida come Magna Steyr per venire in Fiat Auto solo perché aveva ricevuto carta bianca, ossia quella carta bianca che mancò ai suoi predecessori, che furono dei meri contabili senza voce in capitolo e che non seppero ribellarsi e non seppero dimettersi mandando tutti a quel paese quando videro che l’auto veniva spolpata senza essere foraggiata, ossia quando videro che si pretendeva che il mulo lavorasse e producesse senza mangiare. Vedremo se Demel sarà attaccato alla poltrona o se avrà le palle di convincere l’insulsa proprietà che i futuri utili dell’auto andranno reinvestiti nell’auto e non per scalare miraggi di facili guadagni. Questa volta dietro a Demel c’è un Morchio che indubbiamente sembra avere le idee chiare. Il cupo spettacolo di un Testore che si fece cavalcare da un’accoppiata di brutti ceffi quali erano Cantarella e Fresco non c’è più. Non c’è più un’accoppiata che espropria le funzioni dell’AD di Fiat Auto ed illude la proprietà facendogli brillare il dollaro facile nella pupilla. Fra Demel e la proprietà c’è un Morchio che sembra stare coi piedi per terra e che non cerca di vendere fumo alla proprietà al solo scopo di tenersela buona illudendola. Certo, io mi aspettavo che Demel sapesse convincere Morchio e la proprietà che Lancia è un grande affare. Così non è stato e la cosa non è incoraggiante. Quindi Demel, ai miei occhi di ignorante uomo della strada che non conosce come si gestisce una grande azienda, sta partendo col piede sbagliato. Spero solo che lo standby in cui è stata relegata Lancia duri molto poco. Io dico che per rilanciare Lancia, Morchio e Demel avrebbero dovuto chiedere alla proprietà di vendersi ancora qualche altra robetta. E comunque, non riuscendoci, non avrebbero dovuto gettare la spugna. Sempre da ignorante ed incompetente, sostengo che se Demel preparasse un serio piano di rilancio di Lancia, potrebbe trovare sul mercato i soldi necessari per metterlo in atto, perché il mercato è assetato di progetti seri in cui investire, e perché è meglio una Lancia viva che porta soldi nelle tasche di nuovi investitori che una Lancia da purgatorio di cui si rischia di perdere la memoria. Insomma non vorrei che Demel si sia di già stravaccato nella comoda bambagia delle regole semplici ma perdenti della rigida architettura gestionale sabauda. Quello che si sente dire è: quando avremo i soldi faremo dei progetti ed investiremo anche in Lancia. Demel dovrebbe invece fare un sano progetto per Lancia e darlo in pasto ad un mercato famelico chiedendo in cambio solo una giusta tangente. Lancia rimarrebbe viva, ci sarebbero degli investitori che potrebbero tentare di costruire e guadagnare qualcosa, e Fiat Auto potrebbe tentare di riappropriarsi pienamente di quel qualcosa quando e se mai avrà i soldi necessari per farlo.
  15. Tentando di ripetere all'estero quello che Valletta fece in Italia, ossia motorizzare un intero paese, Fiat Auto mise la sua pianta in Brasile, Argentina, Polonia, Turchia, Russia ed India. Non credo che gli sia andata malissimo, ma così facendo è rimasta esclusa dalla competizione nei mercati ricchi e stabili come quello europeo ed nordamericano. Oggi si sente parlare di Cina e nuovamente di Russia. Io ci andrei cauto:esiste il serio rischio di una dispersione delle risorse con conseguente debolezza nella capacità di penetrare e mantenere tutti questi mercati. Senza contare l'instabilità di alcuni di essi. A mio avviso occorre puntare sì in Brasile vista la tradizione e la posizione di leadership che oramai Fiat ha in quel paese, ma se Fiat continuerà ad essere debole in Europa allora resterà sempre in balia delle onde. Inoltre, investire nei mercati di prima motorizzazione sottintende che quegli investimenti sono diretti solo sul potenziamento delle capacità di produzione e vendita ma non verso una maggiore competizione con i concorrenti sul piano tecnologico e dell'innovazione. Rimango dell'idea che l'obiettivo strategicamente più importante è di diventare forti in Europa e dopo viene il resto. Quanto agli USA il discorso è molto complesso. Da una parte mi verrebbe da dire che Fiat Auto non ha ancora i modelli adatti, ma dall'altra vedo che giapponesi e coreani hanno avuto un enorme successo in USA. Forse quindi il problema vero consiste nell'enorme sforzo economico rischiesto per sbarcare in USA. La pregressa esperienza Alfa Romeo forse dimostra che in USA o ci vai alla grande oppure te ne stai a casa tua. Ed inoltre: che probabilità di successo hai in USA se lo consideri solo come un mercato di consumo? Così facendo non troverai mai nessuno disposto a spianarti la strada. Prova ne sia che con CNH, che sviluppa e produce in USA, le cose non sembrano andar male.
  16. Esatto! Secondo alcuni conticini pare che il nucleare (quello attualmente in uso) sia economicamente conveniente solo se non si mettono in conto i costi di un serio smaltimento delle scorie. Se si calcola il costo dello smaltimento delle scorie allora il costo per kilowattora diventa simile a quello di un kilowattora prodotto da una centrale termoelettrica convenzionale. Comunque il discorso è davvero molto complicato e francamente è difficile trovare degli studi seri che non siano influenzati da interessi di parte. Fra Italia e Francia assistiamo ad un traffico di energia, di soldi, di interessi, di ipocrisia e di omertà politica (italiana, francese ed europea) incredibile. L'Italia, in base alla sindrome NIMBY, votò contro il nucleare, credendo che il nostro cortile fosse Caorso o Montalto di Castro o Trino Vercellese. Eppure l'incidente di Cernobyl comunicò chiaramente che il nostro cortile poteva stare in capo al mondo. La nostra classe politica, invece di darsi da fare perchè si prendesse una decisione comunitaria, preferì martellarsi le palle per meri scopi elettorali e politici che nulla avevano a che fare con la difesa dell'ambiente e della sicurezza dei cittadini. La situazione che ne è venuta fuori è quella che abbiamo sotto gli occhi: abbiamo le centrali nucleari francesi non solo in Francia, ma anche sul confine italofrancese, cioè non nel cortile di casa, ma in salotto ed in camera da letto. Poi c'è un giro di contrabando allucinante. L'EDF (Electricitè de France) non solo vende l'elettricità del suo nucleare all'Italia, ma sta tentando di monopolizzare la produzione e distribuzione di energia elettrica in Italia (e non solo). Cioè osserviamo un monopolista pubblico francese come EDF che esercita il monopolio non solo in Francia, ma che tenta di farlo anche in Italia. Siamo o no una repubblica delle banane? Per scongiurare questo pericolo il governo italiano ha fatto un decreto che impedisce ad EDF di avere voce in capitolo nel consiglio di amministrazuione di Italenergia. Cosicchè se un domani EDF diventasse proprietaria della maggioranza assoluta di Italenergia, il suo voto nel consiglio di amministrazione conterebbe solo il 2%. Ma la cosa non mette affatto al sicuro la repubblica delle banane, perchè i francesi di EDF sono potenti e pieni di soldi, e quello che potrebbero tentare di fare è di trovare in Italia un cavallo di Troia da usare per realizzare la loro aspirazione ad eserciatre il loro monopolio anche in Italia. Se loro non potranno contare nel CDA di Italenergia allora si potranno ingegnare per crearsi un prestanome italiano che dia l'apparenza di essere italiano al 100 %. Fino a poco tempo fa si sospettava fortemente che il cavallo di Troia di EDF potesse essere Fiat, ed alcuni lo pensano ancora oggi. Una Italenergia controllata da Fiat. Una Fiat in rapporti idilliaci con EDF. Una Italenergia che compra l'elettricità a caro prezzo da EDF (ossia dalla Francia), ci aggiunge la sua tangente, e la rivende a carissimo prezzo ai cittadini della repubblica delle banane. E come mai Italenergia può trovare più conveniente comprare l'elettricità da EDF invece di prodursela in casa? La risposta sembra semplice ma non lo è: la risposta ufficiale è che l'elettricità di EDF, proveniendo dal nucleare è più economica. Ed è vero. Ma non perchè l'elettricità prodotta dal nucleare sia veramente a più basso prezzo, bensì perchè l'elettricità prodotta col nucleare da EDF è un'energia elettrica speciale: non conteggia il prezzo dello smaltimento delle scorie radioattive, perchè dello smaltimento di quelle scorie se ne occupa lo stato francese a spese dello stato francese. Vedete quanta ipocrisia e quanto contrabando. In primis da parte dell'Europa. Perchè, a parte i temi riguardanti l'ambiente e la sicurezza, questo sporco gioco dello stato francese è chiaramente contrario a qualsiasi regola di leale concorrenza, e si gioca ai danni non solo dell'Italia ma anche di altri paesi europei ai quali EDF vende la sua brava elettricità dal prezzo drogato al ribasso. In pratica lo stato francese prende per il kulo tutti quanti e l'Italia sta a guardare ed anzi sembra contenta di impoverirsi per arricchire i vicini di casa. In realtà il governo italiano chiude gli occhi per non rompere alcuni equilibri di interesse e di potere. OK: l'Italia è una repubblica delle banane. Ma possibile che gli interessi in gioco siano talmente immensi ed intoccabili da trasformare l'intera Europa in un grande paese delle banane?
  17. copco

    [RISOLTO] Uomini:pregi e difetti

    Stando qui su questo scranno Seppi d’uno compleanno Doman, Toffee, ci fè sapere Sarà festa pel messere Quel messer di nome Artemis D’auto e donne un gran rais Urge indi un gran poemetto Pien d’augur nonché d’affetto Lo facciamo questa sera Brindo a lui con del barbera Poiché andrò doman lontano Verso un bel lido lucano L’artemis ci è molto caro Di sto posto un vero faro Donne attente a non sciuparlo Fate piano nel palparlo D’una cena qui s’è udito Vino poco solo un dito Birra buona ma non molta D’allegria una cena folta Huei Artemis! Mi raccomando! Non agir con far nefando Sia diman per te un bel giorno Gaio sia lo tuo dintorno Sia per te doman felice Gaio e d’allegria duplice Ché tornar poi tu dovrai A studiar sui libri assai Fosse Aeris ricca sfonda Ti regalerebbe un’Honda Non di certo una a pila Ma una bell’esseduemila Ma tu sei lo Artemis E vicino avrai Aeris Hai di già la tua fortuna T’accontenti d’una Duna Mal che vada hai il tuo cinquino Bello gaio e biricchino Avrai poi fortun gioconda Avrai Maserati ed Honda San Giuseppe è pur domani Un bel giorno pei cristiani I miei augur ti faccio qui Sia doman per te un bel dì.
  18. copco

    [RISOLTO] hihihi guardate che carina

    Mah, quindi per "une Seat Leon" non si intende la macchina ma piuttosto un posto a sedere al ristorante Leon? Se è così, la cosa diventa ancora più complicata e mi sfugge ancora di più.
  19. Ragazzi, anch'io critico Alfa Romeo, ma intendiamoci: per me Alfa Romeo oggi fa delle gran belle macchine. Smettiamola di vedere ancora assemblaggi e qualità scadenti. Magari ci vorrebbe qualche cambio nuovo, ma l'unico vero inconveniente è che le attuali Alfa Romeo hanno perso l'alone di esclusività che avevano una volta, compreso il periodo in cui arrugginivano al primo vento di scirocco. Almeno per quel che riguarda la mia percezione personale della situazione. Bialbero, io credo che lo si possa dire chiaramente: quando si decideranno a rimettere su Alfa Romeo lo schema transaxle allora le BMW, che oggi indubbiamente sono delle gran macchine, potremo dire che saranno dei catorci. E' questo "quel certo non so chè" che manca ad Alfa Romeo.
  20. copco

    [RISOLTO] hihihi guardate che carina

    Carrera4, grazie. Trovo questa foto di una bellezza mozzafiato.
  21. La "macchina" è stata inventata da Rob White e l'ha battezzata DUNNY RACER: può raggiungere una velocità massima di 15 Km/h grazie a un motore elettrico che le assicura un'autonomia di 5 ore. Rob White ne ha due di queste toilette motorizzate: una 'normale' e una da corsa, che usa per correre nel parco della città con i suoi amici http://www.repubblica.it/2004/c/motori/gallerie/scattomattoo/1/6.html
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