da repubblica.it
Intervista: parla il grande stilista italiano, che in 50 anni
di attività ha cambiato il modo di progettare e costruire l'auto
"Il design è come la musica"
Giugiaro, l'uomo dei sogni
dai nostri inviati VALERIO BERRUTI e VINCENZO BORGOMEO
MONCALIERI - Mette la cravatta su una camicia jeans, ma come gli sta bene. La giacca blu è sbottonata e "casca" perfettamente. Così i pantaloni, un po' stretti in fondo. Ha le scarpe di camoscio e si muove con grande agilità. È davvero in forma Giorgetto Giugiaro, classe 1938, il miglior fantasista dell'auto, lo "stilista" più invidiato nel mondo. In questi giorni festeggia i suoi primi 50 anni di attività. Che a lui piace definire "con la testa nelle nuvole, ma con i piedi per terra". "Industrial design" lo chiamano. Certo è che Giugiaro oggi è la vera primadonna dell'auto. Tutti lo vogliono, tutti lo cercano. Basta guardare quello che ha fatto per capirlo: dalla fortuna della Volkswagen (l'ha sdoganata dal fatto di produrre solo il Maggiolino regalandole la Golf) a quella della Fiat (con la prima Punto, con la Thema) passando per quasi 200 prototipi e indimenticabili vetture di serie.
E oggi, dopo la Grande Punto, la Croma, l'Alfa 159 e la Brera che sembrano aver ridato fiato alla Fiat ci sono anche i cinesi che darebbero via la Muraglia per averlo con loro. Insomma, a Moncalieri, c'è la fila. E Giugiaro come se non avesse nulla da fare trova anche il tempo di disegnarsi una Ferrari, la GG50 (sta per Giorgetto Giugiaro 50 anni di attività), come pezzo unico.
Ma come si arriva a definire una modello del genere?
"Io lavoro in modo particolare, spiega Giugiaro, parto da un disegno dallo stile talmente semplificato da rendere difficile immaginare che ne nascerà poi una macchina vera. Così do a chi fa il modello le linee guida. Il resto si fa tutto a occhio. Come vedete (e ci mostra il primo disegno della GG50 e la versione definitiva, n. d. r.) la macchina non è cambiata affatto".
Sembra facile...
"E lo è. Faccio tutto nel mio studio, in grande tranquillità, almeno quando sono solo io a decidere. Quando ci sono invece i clienti di mezzo cambia tutto: bisogna fare tanti bozzetti, tante prove... Va detto però che quello che sembra solo uno schizzo in realtà è qualcosa di molto diverso. Io disegno in modo molto preciso, faccio "scarabocchi" vicini alla realtà. Vedete qui? Ci sono due indicazioni della 'boccà della macchina, ci sono gli spoiler, un muso più lungo un muso più corto, e tante piccole modifiche che si fanno su ogni modello".
E dopo il disegno, qual è il passo successivo?
"Da qui si sviluppa subito quello che noi chiamiamo "la matematica", ossia la verifica su carta del rispetto di alcune misure intoccabili. E subito dopo si passa alla realizzazione del prototipo. Tanto per capirci, la GG deriva strettamente dalla 612 Scaglietti, al punto che non sono cambiate neanche l'intelaiatura delle porte, la meccanica, l'impianto di scarico, la trasmissione e molti altri dettagli. Il vano porta, per esempio, è lo stesso, ho cambiato solo la 'pelle esterna'". Fabrizio Giugiaro, figlio d'arte e direttore dell'area stile del Gruppo Italdesign-Giugiaro, prende la parola: "La nostra forza sta proprio qui: il passaggio dal disegno al modello vero è velocissimo, 15 giorni appena. Un record".
Ma quanto lavoro c'è dietro il primo schizzo? Quanto ci mette Giugiaro a immaginare una nuova macchina?
"Uno schizzo del genere lo faccio in un quarto d'ora. Guardate qui. Prendete il cronometro" - Giugiaro afferra carta e penna e in pochi minuti realizza un meraviglioso schizzo di una nuova coupé. E fa veramente impressione perché è un disegno che già rispetta i canoni base per essere poi realizzato in poco tempo - "La mia prima macchina l'ho fatta alla Fiat. E, vi assicuro, non è stato così semplice. Quando devi fare una vettura di serie il procedimento è complicato: devi assecondare i gusti del cliente. Ed ecco perché oggi all'Italdesign siamo tanti: dobbiamo fare un sacco di proposte. E dobbiamo far vedere la nuova macchina sotto mille diversi aspetti".
Quindi con le grandi aziende è tutto più complicato?
"Il fatto è che oggi nelle grandi aziende ci sono troppe persone, che ti chiedono perché questo è così, e perché quello è in quest'altro modo. Cosa volete che vi dica, il disegno a certi livelli è musica, non posso spiegarti una sensazione. Fra l'altro tutti chiedono tutto. Anche i grandi personaggi e i generali d'industria che ormai si occupano soprattutto d'estetica. Alla fine tutti ci vogliono mettere il naso".
Come si capisce se un prototipo è giusto o sbagliato?
"Guardandolo realizzato: il disegno e i computer non bastano. L'intuizione può essere anche sbagliata. Quando mi chiedono un giudizio su una macchina, io dico sempre: un momento, fammela vedere su strada, nel suo habitat naturale, poi ti dico".
E qual è l'errore che fanno tutti davanti a un prototipo?
"Sicuramente quello di andare a cercare le differenze con qualcosa che già conoscono. A me ricordano quelli che non fanno nessuno sforzo per ascoltare la musica. Quelli che confondono Bach con Beethoven".
Però fra una macchina bella e una brutta c'è un abisso...
"Le auto sono come le donne: la differenza fra una meravigliosa e una normale è solo una questione di dettagli".
Quindi la GG è il suo capolavoro: l'ha fatta senza nessuna pressione...
"Non lo so. Comunque l'ho fatta come piace a me: con le ruote un po' fuori e una carrozzeria aderente. Qui io non avevo nessun cliente se non me stesso".
Anche la Brera l'ha fatta così, poi però è entrata in produzione.
"Quando si fanno disegni su ordinazione, è chiaro che chi paga ha diritto di chiedere. La Brera però fa eccezione. L'ho fatta per me, senza il conforto di nessuno. E' stato un lavoro un po' egoistico, ma poi è piaciuta talmente tanto... Come dicevo la Brera è stata un'eccezione, e le eccezioni non si replicano, però vedremo...".
Ma sono davvero così duri i vincoli tecnici per un design?
"Si, durissimi. Quando facciamo un modello siamo obbligati a mettere il piantone dello sterzo in un certo punto, poi c'è l'angolo dello specchio, quello del cofano. Insomma, i tecnici misurano tutto. E se trovano un angolo strano, diverso, subito chiedono modifiche".
Ci faccia qualche esempio.
"Dal posto di guida devi vedere fino a un certo punto, è tutto scientifico. Avendo fatto tante vetture però io ormai lavoro a occhio. Poi vedo se gli angoli corrispondono. Ma non è stato sempre così".
E allo ci racconti l'inizio.
"All'inizio nessuno seguiva troppo lo stile, le auto avevano un'estetica ingegneristica. Poi è venuto fuori l'esteta che si allenava a dialogare con il suo capo. Che è un ingegnere. Il periodo ingegneristico non illuminato arriva fino agli anni Sessanta. Poi si arrivò alla specializzazione dei capi dei centri stile, ai capi del marketing, che vanno a grattare il potere degli ingegneri. Il mondo dagli anni Settanta si divide invece in chi fa lo stile, in chi fa la progettazione e in chi deve decidere tutto".
E qual è stato il tecnico che l'ha fatto più innervosire?
"Hurska, sicuramente. Quando abbiamo fatto l'Alfasud mi portava posizione ruote, posizione passaggio ruota, scarico. Mi diceva, la vedi questa misura? Questa è una misura matematica, non si tocca. Solo che era tutto matematico... Allora gli dissi: ma dov'è lo stabilimento? Non c'è mi confessò. E il motore? Nemmeno. Però prese un foglio a quadretti e mi disegnò come doveva essere fatto".
Altri ricordi?
"Peggio ancora l'ingegner Satta. Quando feci la 1750 (ero da Bertone), lui mi diede delle misure precisissime, ma io ero uscito di 5 mm dal suo modello e non gli dissi niente. Facemmo il master, lui si prese i disegni originali e calcolò che la macchina così come l'avevo fatta io aveva una sezione maestra diversa e avrebbe perso 2 Km/h di velocità massima. E mi fece rifare tutto. Un incubo".
La realtà è che gli artisti non vogliono regole.
"Sicuramente, ma è una lotta continua. Una volta, in Fiat arrivo con una forma di parafango bellissima, che mi aveva suggerito un prodotto giapponese. L'ingegnere di turno mi fa "così non si può stampare". No? Allora gli feci vedere il pezzo già stampato e lui mi disse: se lo faccia stampare dai giapponesi. Alla fine si convinse, però fu dura, perché per fare una macchina devi diventare un esperto mondiale di tutto, altrimenti non riesci a dialogare con nessuno".
Come è arrivato invece a entrare nel cuore della Volkswagen per fare la Golf, la prima auto di successo del dopo Maggiolino?
"Era il 1970. Il presidente e lo staff erano appena tornati dal salone di Ginevra e selezionato alcuni modelli quando mi chiamano per fare la Golf. Gli dissi: perché avete scelto proprio me? Loro risposero: "perché dei 7 prototipi che ci sono piaciuti di più a Ginevra 4 li ha fatti lei". L'altra sorpresa fu poi scoprire che la Golf la volevano piccola. Gli dissi perché? "Perché non riusciremo mai a fare una macchina della qualità e delle prestazioni della Fiat 128". Subito convocai i tecnici per conoscere le loro necessità. Rimasero sbalorditi, perché non immaginavano che un ragazzo potesse sapere tante cose sulla produzione. Pensavano di trovarsi davanti a una specie di disegnatore".
Quali sono stati i suoi modelli più importanti?
"Sicuramente la prima auto di grande serie, l'Alfa Sprint, una macchina di lusso, non posso dimenticarla. Poi la Giulia GT, la Iso Rivolta Grifo, la Maserati Ghibli, la DeTomaso Mangusta, ma anche la Fiat 850 Spider. Una volta ci vidi dentro Anna Magnani, mi sono chiesto per anni come aveva fatto ad entrarci... Il resto è storia dei nostri giorni, con la Golf, la Panda... ".
E poi?
"La prima Panda era un po' come un frigorifero, disegnata per il massimo sfruttamento dello spazio. Era appena arrivato De Benedetti, che voleva una macchina sulla quale potesse infilare i motori che arrivavano dalla Polonia, ma un po' alla francese, spaziosa, grande e pratica. De Benedetti mi diede la commessa a luglio, nel 1976, lavorai tutto il mese di agosto, ma quando tornai a Torino, lui era già andato via. Ma mi arriva la telefonata del nuovo amministratore delegato, Tuffarelli che mi dice di andare avanti. Viene a vedere con Umberto Agnelli il modello e mi fa: "Ha i vetri dietro piccoli". Io gli rispondo che "il vetro costa". Ma Agnelli fece allargare lo stesso il lunotto. La macchina era semplice e geniale. Aveva cerniere esterne, saldature del tetto sempre esterne. Quando arrivò a Ginevra, mi sembrava una macchina russa. Però piacque molto. Dopo la Panda fu la volta della Delta, che è stata presa esattamente come l'avevo progettata, senza cambiare nulla".
Cos'è quello che proprio non le piace in una macchina piccola?
"L'orrore che in una macchina piccola ci debba stare tutto. E' un controsenso, che porta a fare auto tutte uguali. Invece bisogna avere il coraggio di fare scelte, di rinunciare a qualcosa".
E come dovrebbe essere l'utilitaria di oggi?
"La risposta ce l'ho, e l'ho tradotta in un prototipo: è una macchina piccola, 2 metri e novanta ma più abitabile della Panda, con 4 posti. Il resto è un segreto".
Torniamo all'auto del futuro.
"Il concetto è semplice: la macchina la compra chi sta al volante, quindi bisogna sacrificare chi sta dietro. Io dico sempre ai tecnici che se raggiungete tutti i punti di eccellenza la macchina viene brutta. Se vuoi una bella macchina devi rinunciare a qualcosa. Oggi la parte estetica è prioritaria, la macchina deve piacere".
E quindi?
"Vedo un futuro fatto di macchine alte: abbiamo sempre più bisogno di spazio ma di ingombri minori".
Quali sono le auto di oggi che le piacciono?
"Sicuramente la Toyota Prius, una rivoluzione".
Intendevamo macchine veramente belle...
"Mi piacciono le Bmw e le Audi ma non le Mercedes. Le trovo troppo ammorbidite, con un design sbagliato per quello che la gente si aspetta. Con Bmw è diverso: Bangle, malgrado abbia fatto cose troppo coraggiose, è riuscito a fare macchine che non hanno perso la grinta. Un bel lavoro. Poi c'è la Peugeot che con la 206 ha guardato molto bene ai giovani o la Toyota che è riuscita a fare una Yaris migliore della vecchia. La Clio non mi piace (della Punto non parlo, l'ho fatta io...), ma forse andava fatta così, chissà".
Qual è un'auto che le piacerebbe disegnare?
"Non ho mai fatto veicoli militari, e mi sarebbe piaciuto molto. Però non si sa mai...".
(18 ottobre 2005)