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PaoloGTC

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HALL OF FAME

HALL OF FAME (8/8)

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Reputazione Forum

  1. Infatti, quando guardi lo sketch frontale dove sembra un'Aston vien da dire wow... poi dal vivo sembrava un criceto col rossetto.
  2. La vista piena frontale della rossa con la boccona tra l'altro mi sembra una rielaborazione (by CS indubbiamente, ricordo anche io le immagini su A&D) di una delle prime foto ufficiali della GP originale... comunque io la trovo più carina della EVO con quell'apparecchio per i denti che aveva su... fui ben contento del fatto che sulla mia Street bianca comprata nel 2013 fosse sparito tutto Riguardo l'Opelume all'interno beh, credo che sulla EVO/post EVO fosse rimasta la struttura del prosciutto... la chiave d'accensione "in diagonale" in comune con la Corsa D era rimasta... o sbaglio?
  3. Been thinking for a while when I found the pictures Max, because I can't read well the number on the dash (116 or 118?), but: - it seems to me that that dashboard was mounted on that mock-up of the cockpit... - whose doors are practically identical to those of the Alfetta (I have never seen a 118 style model with those doors: no styling proposal that we know of had them) and... - it's the same model that we see in the pic of the open trunk... and that's the Alfetta rear end shape... Then.... I don't know if they were making a mess trying the same ideas (about dash) here and there, but the photographs were part of the official documentation released by Alfa, so... I'm with 116
  4. Ho finito Anzi no... augurandovi buona cena mi congedo... nel mio stile. Cercando di mantenere l'anonimato p.s. se questo vi è sembrato corposo, sappiate che quando attaccheremo con le ESV Fiat vi toccherà prender ferie GTC
  5. Ormai siamo in fabbrica, l'Alfetta è una realtà ed è pronta ad essere replicata in migliaia e migliaia di esemplari. Ragion per cui la smetto di tediarvi col bla-bla e vi lascio a questa carrellata di romantiche immagini, in bianco e nero e pure di qualità così-così, tipiche della stampa dei tempi. (le foto sono tante, per cui riaggiornate la pagina ogni tanto: le sto caricando tre/quattro alla volta) In ricordo di tutti coloro che hanno passato la loro vita lavorativa là, in quel posto ove oggi andiamo a comprare vestiti firmati, libri, gioielli e a riempirci la pancia al Signorvino o in Dispensa Emilia.
  6. Prove aerodinamiche (questa parte è molto tecnica, oltre ad essere corredata da diagrammi in tedesco.... la riporto interamente per il desiderio di appiopparvi tutto il malloppo , ma ad alcuni potrà risultare un po' noiosa) Appena definita una prima forma della carrozzeria, fu riprodotta in scala 1:4 per le prove in galleria del vento effettuate quasi tutte presso il Politecnico di Torino. Dalla prima serie di prove risultarono troppo elevati sia il coefficiente di resistenza che quelli di portanza (l'anteriore in particolare). Per ovviare agli inconvenienti aerodinamici del primitivo studio di forma, si decise di affinare la pianta del muso, di rendere più sfuggente il parabrezza ed elevare il profilo del baule. Lo studio in galleria dell'entità da dare a queste modifiche condusse, attraverso aggiornamenti successivi, alla forma attuale; risultandone un comportamento aerodinamico soddisfacente sia riguardo la resistenza che la distribuzione della portanza e la sensibilità al vento laterale. Un rilevamento più preciso delle caratteristiche aerodinamiche della forma esterna definitiva fu poi fatto su un esemplare di pre-serie dell'Alfetta, nella galleria in scala naturale del Politecnico di Stoccarda. A quest'ultima serie di foto di prove si riferiscono sia i diagrammi (conformi all'originale tedesco) che le fotografie di visualizzazione del flusso con angoli d'imbardata varianti da -35 a +35 gradi. (torno subito ) Nello specifico, qui sotto vediamo: (mi fido eh... io il tedesco non lo so e i grafici non li so interpretare, vi lascio il tutto... se voi ci capite, beati siete ) variazioni della portanza (totale A, parziale sull'asse anteriore Ar e posteriore Ah) con l'incremento di pressione dinamica e velocità del flusso simmetrico; variazioni delle sei componenti aerodinamiche fondamentali – vettori di portanza (CA), spinta laterale (CS) e tangenziale (CT); momenti di rollio (CL), beccheggio, (SM) e imbardata (con) nonché della distanza del centro di pressione (e1:1) dal punto O a metà passo, al variare dell'angolo d'imbardata. variazione del coefficiente di resistenza (CW) con l'incremento di pressione dinamica, velocità del flusso simmetrico e numero di Reynolds; distribuzione delle pressioni sulla superficie esterna della carrozzeria nel piano di simmetria longitudinale. I principali risultati ottenuti si possono così riassumere: il coefficiente di resistenza si è ridotto dal valore di 0,490 del primo modello ad un valore di 0,405 sul modello nella versione finale (senza circolazione d'aria interna), e di 0,428 sulla vettura reale; il coefficiente di portanza anteriore (0,251) è ancora superiore al corrispettivo posteriore (0,114) ma in misura tale da non influire sul centraggio della vettura. Per quanto riguarda la sensibilità al vento laterale, sempre dall'esame comparativo dei grafici si deduce come la forma della coda, pur aumentando la spinta laterale, abbia diminuito il momento di imbardata. Infatti il centro di pressione risulta spostato verso il baricentro della vettura, e tanto più vicino al baricentro quanto maggiore è l'inclinazione del vento rispetto all'asse di moto. Quindi il braccio della forza laterale rimane contenuto per un notevole campo dei valori dell'angolo d'imbardata, così come il relativo momento. È interessante osservare che una coda ancor più alta avrebbe ulteriormente migliorato il coefficiente di resistenza, ma si preferì non forzare ulteriormente il compromesso raggiunto fra esigenze estetiche ed aerodinamiche. L'aerodinamica interna venne studiata sulla vettura reale; furono così definite posizioni e sezioni esatte delle bocchette di immissione e scarico aria dell'abitacolo. Le prove di regimazione termica del motore condussero infine al disegno ottimale della presa d'aria e degli scarichi relativi. Dopo tutto questo lavoro, arrivò il giorno in cui quest'Alfetta bisognava costruirla in uno stabilimento, per cui nei prossimi post ci trasferiremo sulla linea di montaggio. (pausa )
  7. Prima di passare alla fase delle prove strutturali, una breve parentesi dedicata agli interni: due proposte per la plancia. (secondo me nella seconda immagine non vediamo un modello di stile ma una vera plancia montata su qualche prototipo, sotto il piantone c'è troppa "roba" vera perchè si tratti di una semplice maquette...) Ora però torniamo alla tecnica. Prove strutturali statiche Definita sommariamente la struttura si analizzò, con opportune semplificazioni schematiche, la resistenza delle singole parti intervenendo con opportune modifiche ove più elevate risultavano le sollecitazioni che sarebbero insorte in seguito alle asperità della strada, o per effetto delle varie condizioni di contingenza. I disegni furono rimessi alle officine ausiliarie che provvidero alla costruzione dei primi prototipi. Questi furono sottoposti alle comuni prove statiche e dinamiche ed alle prove di pavè: si apportarono di volta in volta le dovute modifiche là dove se ne presentò la necessità o s'intravvide la possibilità di miglioramenti. Spesso, poi, le prove statiche di flessione e torsione furono fatte prima e dopo quelle di fatica al banco per vedere l'eventuale decadimento. Nelle prove di durata la scocca viene solitamente vincolata da una parte con due fissaggi tipo incastro, dall'altra con un attacco a cerniera mentre il carico pulsante è applicato alla ruota opposta mediante eccentrico variabile. I diagrammi che vediamo qui sotto, relativi a prove di flessione e prove di torsione al banco, mostrano l'andamento delle deformate e l'entità dei miglioramenti. (immagini dedicate a chi "ne mastica" un po' di più... io sinceramente ci capisco poco...) Le modalità di prova sono quelle usuali del Centro Sperimentale Alfa Romeo: Nella prova di flessione la scocca viene posizionata su un banco con le sospensioni irrigidite, in modo da avere due ruote appoggiate e due incernierate ad un supporto fissato al banco stesso. Vengono poi sistemati un certo numero di comparatori lungo i longheroni e in prossimità dei vincoli e la vettura, dopo un assestamento preliminare, viene caricata in mezzeria. I comparatori danno il valore della deformata. Nella prova di torsione la scocca viene preparata allo stesso modo con la sola variante dell'eliminazione di un appoggio e viene caricata con un momento di 240 kgm nella sezione degli assali posteriori. Come emerge dal diagramma qui sopra, la pendenza dei tratti è minore nella zona dell'abitacolo, conformemente all'esigenza di avere un abitacolo indeformabile e una struttura anteriore e posteriore deformabile. Entrambe le prove vengono ripetute e per ognuna vengono fatte due letture: il valore riportato in diagramma è la media dei valori letti. Prove di crash Fino ad oggi sono stati effettuati parecchi esperimenti d'urto frontale contro barriera fissa, sia sui prototipi che sulle Alfetta di produzione. Tutte le prove (tranne due al MIRA in Inghilterra) sono state effettuate presso l'impianto dell'Alfa Romeo a Balocco: alcune di queste si sono svolte in presenza di funzionari dell'UTAC e sono servite ad ottenere l'omologazione della vettura secondo il regolamento europeo relativo all'arretramento del volante. Tranne uno, effettuato con un'angolazione di 30° fra vettura e barriera, gli urti sono stati perpendicolari alla barriera, a velocità nominali di 30 Mph ed effettive fra i 48 ed i 52 Km/h. L'arretramento del volante è risultato conforme alle norme americane ed europee, così come non vi sono stati né perdite di benzina né distacchi del parabrezza. Inoltre, le porte sono sempre risultate apribili dopo l'urto e la riduzione dimensionale dell'abitacolo contenuta entro valori minimi. Alcune delle prove sono state fatte sistemando nei posti anteriori manichini del 50% M, trattenuti da cinture a tre punti, ed una (come già detto) è avvenuta con angolazione di 30° rispetto alla barriera, a 30 Mph; si è visto che gli effetti, sia sulla vettura che sui manichini, sono molto meno gravosi di quelli dell'urto perpendicolare. Alcuni particolari della carrozzeria – citiamo ad esempio la plancia portastrumenti, il volante, gli schienali dei sedili, le cerniere e le serrature – sono stati sottoposti alle prove previste dalle norme dei vari paesi (Stati Uniti, Australia, Svezia, Francia ecc.) (pausa )
  8. Torniamo ora alle pagine dei primi anni '70 e vediamo un pochino il modo in cui lo Stile Alfa passava... dalla teoria alla pratica. Divisione impannellatura Durante l'esecuzione del modello scala 1:1 definitivo da parte del Centro Stile si incominciano a fare delle ipotesi di scomposizione della carrozzeria in “parti mobili” (porte e coperchi cofani) e “impannellatura” o pannelleria fissa. Porte: è indispensabile che sul manichino di abitabilità interna – via via costruito, modificato e completato parallelamente al modello di forma esterna – vengano controllate sia qualitativamente che quantitativamente le modalità di ingresso e uscita dall'abitacolo. Tale ricerca è completata dalla definizione degli assi cerniera che determinano facilità e grado di apertura delle porte. Coperchio cofano motore: si stabiliscono a disegno, in base agli ingombri del gruppo motopropulsore e degli altri organi meccanici, le pareti longitudinali di contenimento e supporto (fianchetti del pianale/telaio) e si verifica l'accessibilità dalla parte superiore ai diversi vani di servizio, su un prototipo camuffato che serve per le prove sperimentali. Stabilito un taglio ipotetico minimo, si controlla la forma dei parafanghi anteriori: quindi – in accordo con le esigenze di stampaggio e assemblaggio e nel rispetto di quelle stilistiche – si traccia la divisione (con relativa aria) tra pannelleria fissa e mobile. Coperchio cofano portabagagli: si ricorre ancora una volta al manichino di abitabilità; completato anche nella parte posteriore, esso serve al controllo d'accessibilità e capienza del bagagliaio. In esso viene sistemata una serie di valigie formato standard: ovviamente a parità di classe con l'intera gamma di vetture concorrenti, il vano portabagagli “deve” risultare più capiente. Il suo dimensionamento si risolve perciò in un compromesso tra le esigenze di massima capacità di trasporto ed i vincoli d'ingombro sia interno (trasmissione, sospensioni, ruote, serbatoio e così via) che esterno. Anche la scomposizione in pannelli fissi e mobili – quindi taglio del coperchio baule – viene definita come nel caso precedente, tenendo in dovuta considerazione sia la funzionalità nelle operazioni di carico e scarico che l'integrità strutturale della scocca (ogni rinforzo d'irrigidimento si risolve in un aggravio di peso e di costi), sia le esigenze produttive che quelle estetiche. Impostazione metodi produttivi Una volta scomposto fondamentalmente il rivestimento esterno della carrozzeria in pannelli fissi e mobili, questi vengono esaminati uno per uno in funzione dei seguenti tre parametri principali: Esecuzione del singolo particolare per quanto riguarda la sua stampabilità; il pezzo deve cioè rispondere a precisi requisiti costruttivi in base alla tecnologia di lavorazione a freddo delle lamiere e l'impiego di vari tipi di stampi, siano essi per tranciare, piegare o imbutire. Unione del particolare in un sottogruppo che per le parti mobili rappresenta l'assieme finito, mentre per i pannelli esterni (fissi) costituisce l'unione, segnata dalle linee di assemblaggio, con pezzi di completamento. Nel primo caso occorre stabilire dove il particolare si può fissare alla relativa ossatura sottostante, e come ciò si possa eseguire con le attrezzature prestabilite; nel secondo caso va eliminata ogni possibile interferenza nelle operazioni di graffaggio o saldatura (che non deve risultare in vista) con le attrezzature previste per la produzione in serie. Montaggio dei sottogruppi sull'ossatura scocca; esso deve completarsi in linea d'assemblaggio schivando tutti gli ingombri delle varie attrezzature di posizionamento e saldatura. Bisogna evitare che per incapacità o difficoltà di esecuzione si debba ricorrere a qualsiasi altra operazione di saldatura che non sia quella per punti a pressione. Conclusa questa lunga e complessa fase di elaborazione del progetto con la definizione dei metodi di produzione, il lancio delle relative attrezzature inizia dalla costruzione del “master model” per la realizzazione degli stampi, come mostrano le fotografie qui sotto. (pubblicità )
  9. Abbiamo poi queste immagini da aggiungere alla lista... ... e non possiamo certo tralasciare queste, che riguardano la proposta di Bertone (come ho detto in principio, in questa fase stiamo più che altro "ripassando" ) (torno subito ) Ci sarebbero poi altri figurini, visti e stravisti, nonchè alcune immagini dei modelli in scala delle fasi iniziali di ricerca, alcuni dei quali conservati ancora oggi al Museo, ma per chiudere la parte dedicata al design in senso stretto mi soffermo su questi due: un "Nardiello" del 1967 che possiamo definire uno dei primi "esperimenti" e poi questo stupendo "Giugiaro" che ci riporta all'intervista fatta anni fa da Auto D'Epoca a Mario Favilla, nella quale venne fuori che alla fine il Giugi aveva lasciato qualcosa anche sulla berlina. Dopo questi, farò una breve (vera) pausa per lasciarvi metabolizzare il tutto (ho già visto dei like mentre ancora caricavo a spizzichi e bocconi per cui fermo un attimo, così vi stabilizzate) Pausa. (vera )
  10. Vado a tirar su un topic vecchio di 15 anni, pensate un po'... che mi fa provare un po' di nostalgia perchè leggo le parole di diversi amici che per un motivo o per l'altro non frequentano più. Non avendo però voglia di creare un nuovo titolo per un'auto che sicuramente aveva già dei topic dedicati, mi sono messo a cercare e oplà, eccolo qua. Si va quindi a leggere un dossier sulla genesi stilistica dell'Alfetta, il quale però non è semplicemente il racconto di come è stata creata la vettura (quali proposte, scartate e non, e via dicendo) ma è anche l'occasione per osservare più da vicino il metodo di lavoro secondo il quale il Centro Stile Alfa Romeo trasformava il disegno di una nuova vettura in qualcosa di tangibile. Facciamo allora un salto verso la fine degli anni Sessanta, cogliendo ispirazione dai testi di Style Auto del periodo in questione. Il tempo che andrete a leggere quindi sarà IL PRESENTE. A volte le immagini a corredo avranno un preciso legame con un certo punto del discorso, e di conseguenza lì le troverete. In altri casi, saranno random perché di varia natura e slegate dal testo. Quando il signor server mi dirà che non posso caricare altre foto, inserirò la pausa, caricherò il possibile e preparerò il post successivo... come sempre, se il tempo di attesa sarà breve, il forum mi unirà le risposte, per cui potrebbe capitarvi leggere “fine parte xxx” e poi vedere che continua In altri passaggi ci vorrà un po' di tempo. Abbiate quindi pazienza se vi capiterà di entrare e vedere che... la storia non è completa: io starò lavorando alla parte successiva. Ora però la smetto di blaterare, e lascio la parola... all'Alfa. ALFETTA 1972 La carrozzeria della nuova Alfetta è la prima realizzazione esplicitamente firmata dal Centro Stile Alfa Romeo (il relativo marchio appare sulla fascia interna copri-soglia porte anteriori). Il racconto di come fu disegnata e collaudata e di come viene attualmente prodotta, inizia in modo inconsueto: il progetto 116 nacque infatti “dal di dentro”, in funzione primaria cioè di un abitacolo spazioso, confortevole e di facile accesso per 4/5 persone, nonché un baule di forma e dimensioni adeguate alla quantità dei loro bagagli nei lunghi viaggi. Il tutto contenuto entro ingombri esterni ridotti il più possibile. Rispetto alla Giulia Super, il modello che un primo tempo era destinato a sostituire e di cui conserva la misura del passo (2,51 m), l'Alfetta è più larga di 6 cm e più lunga di 12 cm; l'abitabilità, soprattutto quella posteriore, ne risulta migliorata più nettamente di quanto non dica l'incremento delle misure esterne e ciò sia in senso trasversale con l'introduzione (per la prima volta in una berlina Alfa Romeo) dei cristalli laterali curvi, sia in senso longitudinale grazie anche alla nuova disposizione degli organi meccanici. Rispetto alla 2000 (la 1750 che aveva la stessa carrozzeria con passo di 2 metri e 57 centimetri non è più in produzione, sostituita appunto dal nuovo modello), l'Alfetta è più corta di 11 cm e più larga sempre di 6 cm. La carrozzeria della 1750/2000, infatti, deriva strettamente da quella delle Giulia con un restyling della pannelleria esterna anteriore e posteriore ed incrementi dimensionali soltanto longitudinali (passo + 6 cm e lunghezza + 23 cm); il parabrezza, l'ossatura porte anteriori e quindi la scarsa abitabilità trasversale sono tuttora sostanzialmente condivisi fra le due berline all'estremità inferiore e superiore della gamma Alfa Romeo. Anche se stilisticamente il design della carrozzeria di quella intermedia non può considerarsi altrettanto avanzato delle sue caratteristiche meccaniche, il progresso rispetto all'attuale produzione della Casa milanese è stato notevole sotto ogni punto di vista, ma soprattutto in funzionalità. I figurini che seguono, rapportati pari pari con le fotografie dei modelli in grandezza naturale, mostrano l'evoluzione della forma esterna. (qui ovviamente andiamo a rivedere anche immagini conosciute, grazie al topic delle mai nate... e troverete sicuramente le prime "pause" perchè le foto non sono poche) Iniziamo dalla proposta che possiamo considerare come la più vicina alla vettura definitiva. To be continued... (torno subito ) Tali figurini, tradotti in 3D con lo sviluppo hanno portato alla costruzione di una maquette che conosciamo bene. (torno subito ) Ora invece rivediamo insieme l'altrettanto conosciuta "cassata", tramite un esempio di figurino e la relativa maquette (asimmetrica) (torno subito )
  11. Vedi? Mi son scordato la più famosa, la "400" stregata, "regalata" da Amelia a Zio Paperone! (una storia - La vendetta di Amelia era il titolo, forse? - che rappresenta uno dei più bei ricordi d'infanzia legati a Topolino... ricordo ancora la targa "NA 1316" )
  12. Una cosina un po' vecchiotta, quasi quanto me che avevo trascritto molto tempo fa e poi è rimasta "in coda", fra i vari aneddoti che avevo preparato prima che il tempo diventasse troppo poco, per non dire inesistente. Speriamo di riuscire ora a riprendere in mano un bel po' di cose, col... tempo. Intanto qui si torna indietro alla fine del 1981. AutoSprint pubblicava questo articolo, scritto da Giulio Schmidt. (n.b. come ho sempre fatto in passato, anche mi preme sottolineare come vada fatta la tara a quanto si legge: non si tratta di una vicenda narrata oggi, con tutti i senni del poi, del perchè, del quando e del come. Se si leggono inesattezze, indiscrezioni strampalate o fatti che col passare degli anni si sono rivelati mai avvenuti, bisogna ricordare che ciò è semplicemente quel che si scriveva all'epoca ) L'ALFASUD PER I RALLY? Alla fine del 1980, fu il presidente Ettore Massacesi a dire: basta! L'Alfetta turbo, che con Verini e Pregliasco aveva imboccato la strada dei rally europei, aveva creato più danno all'immagine Alfa di quanto il più pessimista dirigente “anti-corse” potesse prevedere. Pochissimi i risultati positivi, purtroppo ottenuti in rally dell'Est, dove i rivali erano pressoché inesistenti e da dove le notizie arrivavano in redazione di quotidiani italiani affatto “sconvolti” dal successo. Tante le delusioni, troppe anche per i piloti che da buoni professionisti si erano cuciti la bocca, finché non fu evidente il “diabolico perseverare”. Non fu mai messa in discussione la potenziale qualità della vettura. A sconcertare, erano le approssimazioni, le frettolose rincorse negli allestimenti tecnici. È difficile dimenticare l'espressione di Pregliasco, al “Quattro Regioni”, quando la sua Alfetta arrivò a Salice Terme poche ore prima della partenza, e fu necessario sostituire il cambio, montato già rotto. C'era tanto sconcerto intorno a questa “avventura” Alfa nei rally (il Jolly Club, che ne gestiva l'operazione, era indenne da colpe: meglio essere chiari) che Ettore Massacesi preferì tagliar corto. In sostanza il presidente avrebbe detto all'ingegner Chiti: “Non possiamo spendere, e venir ripagati da risultati tanto sconcertanti. L'Alfa Romeo tornerà ai rally quando avrà la forza e la capacità di farli”. L'ingegner Chiti incassò bene (tra l'altro aveva ben altri problemi in Formula 1). Diede poi la sua versione, “hovvia, i rally non si fanno, perché i soldi non si hanno....”. Eppure qualcuno, in Alfa Romeo, sa che i rally sono le gare che più di ogni altra eccitano la fantasia e le convinzioni di chi usa l'automobile tutti i giorni. I rally si fanno con vetture che, almeno esteriormente, assomigliano a quelle di un lavoratore che va in fabbrica o in ufficio con la sua Fiat 131 Mirafiori, o con una Ford Escort, o con una Opel Kadett. Una grande casa automobilistica, di spiccata personalità sportiva, non può trascurare i rally. L'ingegner Chiti lo sa ma non lo “sente”. Lui per struttura mentale, è per la pista. Il presidente, Ettore Massacesi, anche lui lo sa, e vorrebbe avere crediamo, qualcuno capace di gestire con successo un rilancio dell'Alfa nei rally. Poteva essere Giorgio Pianta, l'anno scorso irrequieto, in casa Abarth. Ma tutto svanì forse nell'ufficio dell'ingegner Chiti. Ora i rally ritornano d'attualità in casa Alfa. La spinta viene dai “commerciali”, dagli esperti di promozione sui mercati, insomma dai “marketing men”. L'Autodelta ha preparato per i rally una Alfasud Sprint, motore 2500 6 cilindri, in posizione posteriore. Trazione anch'essa posteriore. Della vettura, esiste un solo esemplare in Autodelta, appena finita. Fra pochi giorni, se non l'ha già fatto mentre si scrive questo articolo, Giorgio Francia la porterà al primo collaudo in pista, a Balocco. L'Alfasud Sprint da rally ha in coda uno “spoilerone” tipo Audi Quattro; una grossa presa d'aria sul muso. Dovrebbe pesare meno di 1000 kg. Quando correrà? Per farla omologare in Gruppo B, bisogna costruirne 200 esemplari. Se le previsioni, per la Fiat, si possono azzardare, con un buon margine di successo, per l'Alfa Romeo è bene non fare ipotesi. Come per la Giulietta 2000 turbo (il suo fantasma aleggia in ogni discorso Alfa) anche per la Sprint potrebbe finire in una bolla di sapone. A meno che.... L'idea è partita da Pomigliano d'Arco, ed è più di un'idea. Come la Lancia sta preparando a marce forzate lo sviluppo di una Delta “turbo” a trazione integrale, anche l'Alfasud potrebbe avere la sua Sprint a quattro ruote motrici. Di questo progetto siamo certi dell'esistenza. Nel 1983, assisteremo alla grande sfida rally tra Lancia e Alfa Romeo, nel Gruppo A e cioè il più popolare e vicino alle auto di serie? È una prospettiva che potrebbe piacere a Ettore Massacesi: l'occasione per un'immagine sportiva direttamente collegata all'utenza normale; uno strumento di indubbio valore per una maggior penetrazione sui mercati esteri nel segmento “medio-piccolo” su cui probabilmente tutte le Case giocheranno il loro avvenire. Non è un caso che nel primo bimestre del 1981 le vendite Alfa Romeo (Alfette, Giuliette, ecc. )siano diminuite rispetto allo stesso periodo del 1980, da 19400 a 16000 unità; mentre l'Alfasud sia cresciuta (in piena crisi di mercato) da 13800 a 15500 unità. Nei prossimi mesi, l'Alfa Romeo si troverà ad un bivio “strategico”, da una parte la via di una Sprint 2500 a motore posteriore con prospettive di mercato estremamente ridotte (pensate a quante Stratos o Renault 5 Turbo sono state vendute....), dall'altra la possibilità di una Sprint a trazione integrale, da impiegare nel Gruppo A e da vendere bene anche all'utenza normale.” Fine
  13. Una cosina, così, mentre passo di qua. Ricordo che Tigra A è stata trattata ampiamente in passato, ma sul momento mi sfugge se questo bozzetto sia già stato condiviso oppure no. L'ho ritrovato poco fa, e mi piace molto. Se è un doppione, chiedo venia (il mio pc è molto lento, mi incasino sempre quando cerco di andare a rivedere le pagine precedenti...) Direi che a questo punto s'era già deciso "quale" Tigra produrre, anche se alcuni dettagli (anche molto carini secondo me, come la freccina che fa da spigolo al faro principale e nasce da un incrocio di linee) non combaciano.
  14. Buongiorno a tutti e un imponente grazie ad Angelo, perchè quando si tratta di analizzare dettagli e differenze tra i vari modelli nati durante lo sviluppo di un progetto, pochi sanno andare in profondità come lui!! Col passare del tempo, man mano che le immagini delle varie "formaggine" si aggiungevano all'archivio digitale (avendo costruito la biblioteca negli anni, tramite i mercatini, una delle costanti è stata quella di tornare più volte ad aggiungere materiale, dopo aver recuperato "cartaccia" del tal periodo) mi feci l'idea che in Fiat dovevano averne costruite diverse, forse anche di più di quelle che abbiamo visto tra esposizioni e collaudi. Notai che la "formaggina" aveva subìto delle modifiche, e pensai ciò fosse dovuto al fatto che era passato parecchio tempo dalla prima presentazione ai giorni in cui diverse riviste l'avevano "pizzicata" sulla strada. Ammetto però che a quel punto, preso da altri misteri, non le dedicai molto tempo. Oggi riparto proprio da questa parola: tempo. Sì, perchè così come ai tempi non mi misi a studiare le varie differenze - ragion per cui ringrazio ancora Angelo di averlo fatto ora - nemmeno feci caso a QUANTO tempo era passato. Davvero tanto... Per fare un esempio, noi sappiamo che la vetturetta viene presentata per la prima volta al Salone di Torino del 1972. Bene: tanto per dirne una, la foto-spia con "dida" che ho caricato l'altro giorno in chiusura del post fu pubblicata il 13 gennaio del 1976, ed in base a ciò che vado a scrivere posso dire che non era nemmeno una delle ultime. Riassumendo ciò che ho ritrovato ieri, torniamo al 1972: la "formaggina" viene presentata e - altra cosa che non avevo notato ai tempi - in quel momento non ha nemmeno un nome. Non si chiama "X1/23", anzi... non si chiama e basta. Nata da uno studio del CS Fiat focalizzato su design e sicurezza (gli stessi uomini si erano cimentati da poco sul grande progetto ESV, di cui a breve parleremo in maniera così prolungata che... riuscirò a farvi addormentare davanti allo schermo ) rappresentava la possibile riduzione in scala "minima" del concetto di vettura ANCHE sicura, come la si immaginava ai tempi. Le grosse fasce protettive ed il massiccio... come chiamarlo, sopracciglio? sul frontale si rifacevano infatti ad alcuni dettagli tipici delle tre ESV gialle, così come varie soluzioni adottate all'interno, che non sto a citare ancora perchè già descritte nel post precedente, erano tutte studiate per proteggere i passeggeri. Ma torniamo al nome: in quel momento ancora non ne aveva uno. La vetturetta parve interessante a molti, ma una volta spente le luci della ribaltà tornò da dove era venuta e fu in quel momento che venne, non dico "archiviata" ma almeno inserita fra i progetti di cui Fiat si stava occupando o che comunque "aveva lì". Fu in quel momento che le venne affibbiato il suo bel "23". Risalgono a quei giorni anche le prime info certe su quella che era la sua propulsione: al di là di quanto era stato lasciato intendere attraverso studi come quello della plancia dotata di strumentazione per una vettura elettrica, nulla di preciso era stato dichiarato. A quel punto invece trapela la notizia che dopo il Salone la piccolina viene impostata come una elettrica con motore anteriore da 13,5 cavalli. Poi... anni di silenzio, o quasi.... perchè là dentro ogni tanto a questa "formaggina" buttano un occhio. Abbiamo infatti visto che all'inizio del 1976 gironzola sulle strade torinesi. Nel 1978 il neonato Centro Ricerche Fiat la prende in carico, continuando a chiamarla "23" e trasformandola in maniera percettibile per chi - come noi - ha buon occhio. In mano al CRF il progetto progredisce in maniera più rapida: gli studi più recenti sulle batterie e sulle nuove tecnologie forniscono al giocattolino nuovi accumulatori al nichel-zinco con una capacità 1,75 volte superiore di quelli al piombo-acido adottati in precedenza. Arrivano addirittura alcuni dati sulle performances: velocità massima di 75 km/h, autonomia di 70 km alla velocità costante di 50 km/h. Inoltre - e qui arriviamo forse al "nocciolo" dell'interessante questione proposta da Angelo - il CRF la modifica in varie parti della carrozzeria. Il motivo? Eh... in quel momento si sta veramente pensando di metterla in produzione ad un costo ragionevole, e tutte le modifiche relative alla carrozzeria sono studiate - secondo quanto dichiarato - per poter produrre le varie parti tramite il classico stampaggio utilizzato per i modelli di normale produzione. In definitiva, l'esistenza di due diverse X1/23 (o magari anche più di due...) dovrebbe essere dovuta questo. Da una parte il classico concept, dall'altra il risultato di un'evoluzione messa in atto da qualcuno che per un momento ci aveva creduto davvero. La fine della storia la conosciamo... fu la stessa Fiat a dichiarare che al di là di tanti buoni propositi e tanti "oooh, interessante!!" espressi dagli spettatori, analisi di mercato compiute dalla Casa stessa sentenziarono che al momento di tirar fuori i soldini e adattarsi ad una nuova mobilità, fatta soprattutto di cambiamenti di abitudine che sempre suonano come fastidi, la macchinetta elettrica non l'avrebbe comprata nessuno. (mi ricorda qualcosa, tutto ciò...) In chiusura, due immagini serie ed un "pasticcino" che si ricollega alle mie interruzioni pubblicitarie disneyane e pure alla definizione "becco da papera" data da Angelo al frontale della versione modificata. Iniziamo dalla tecnica: ho recuperato queste due immagini, la prima penso molto comune perchè ricordo di averla pescata sul web tanto tempo fa. Lo spaccato della "papera". Qui invece, nelle due viste, insieme ad alcune quote vediamo espressi - in maniera più semplice - i "fondamentali", e credo che si tratti della prima versione. Ma ora passiamo dal serio al faceto... devo ammettere di non ricordare su quale social ho già condiviso in passato questo divertente aneddoto, se qui oppure su FB. Nel caso la mia fosse una replica, mi scuso (sto invecchiando, la memoria a volte...) ma visto che in questi giorni ci siamo concentrati sulla "formaggina", mi pare giusto riproporre il contenuto in questa sede. Insieme ad una Montreal guidata "a tutta birra" da un incredibile contadino-pilota che concede un passaggio a Paperino e nipoti e ad una Fiat 850 oggetto di un vero e proprio "spot" con protagonisti i Paperi tutti, la X1-23 è una delle poche italiane ad essere comparsa su Topolino. E' Paperina ad andarla a recuperare, per conto di Zio Paperone che sta completando la sua collezione di automobili di ogni epoca (nascosta sotto il Deposito) nella storia "Zio Paperone e i 100 Anni dell'Automobile". (Topolino n.1614-1615, Novembre 1986 - Disegni di Guido Scala) (nemmeno Zio Paperone voleva l'elettrico )
  15. Avevo pensato di usare anche "Mostro Bindo! E anche tu puoi fare zingo!" , ma poi sono finiti i break
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