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PaoloGTC

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  1. Concordo. A me esteticamente non dispiace. Nulla per cui strapparsi le vesti, tuttavia un qualcosa di misurato ed elegante (soprattutto rispetto a certi carrozzoni vecchio stile che, va ricordato, sul finire degli anni 80 erano ancora in vendita eccome, negli States). La metto assieme ad Allantè in una scala di valori estetici, anzi, forse questa mi appaga un po' di più. Un po' più morbida, mentre Allantè, di cui apprezzavo ed apprezzo il frontale semplice ed elegante, vista di coda diventava pesantina e un po' più americaneggiante. Questo parlando di esterni. L'interno per entrambe le auto era di stile prettamente americano dell'epoca, sinceramente disgustoso per linee, colori ed abbinamenti. Imho. Questa TC esteticamente a mio modo di vedere fa parte di un ristretto gruppo di americane nate in quegli anni, che io trovavo piacevoli perchè un po' più normali, secondo l'occhio europeo. Questa, l'Allantè appunto, la Buick Reatta, alcune Chevy Cavalier e Lumina, e anche alcune Ford. Oggi ho scordato una foto, parlando di quel che si vedeva in giro per Lambrate. Come si legge nella descrizione della meccanica di questa TC, il 2.200 arrivava dalla Daytona. Così, giusto per amore delle curiosità, inserisco anche questa fotografia, scattata in un periodo leggermente antecedente alla nascita della TC, che mostra una Daytona, probabilmente senza motore vista l'altezza da terra del muso rispetto alle ruote, buttata lì in un qualche parcheggio dello stabilimento. Partendo da questa foto le riviste, ai tempi, cominciarono a spiegare che probabilmente stava accadendo qualcosa di amerrecano alle porte di Milano. Qualcuno diceva che Maserati stava preparando un motore speciale per la Daytona, poi venne fuori che in realtà c'era altro in ballo. Facile che quella Daytona sia stata depredata del motore per un qualche esperimento.
  2. Eee allora agevoliamo a Nicketto e agli altri ccciovani qualche ricordo su codesta simpatica autovettura. Peschiamo a caso fra le varie cose... questo può andar bene. (si ringrazia Auto Oggi) Tanto per cambiare, la storia di oggi comincia in un momento in cui... le cose non vanno bene. Abbiamo appena scritto di questo abbraccio “caro amico mio da quanto tempo, ti ricordi, in Ford con la Pantera... che bello rivederti, dai facciamo qualcosa insieme”... e qui già le cose vanno male. Chissà come mai... cioè, parlando seriamente, ora mi sfugge quale fosse il motivo per il quale sul finire degli anni '80 ANCHE con Iacocca ci fossero dei problemi, tuttavia, considerando il carattere dell'altro, mi vien da dire "siamo alle solite" L'AMERICANA DI LAMBRATE Nonostante l'allontanamento della Chrysler dal capitale azionario della Maserati,nello stabilimento di Lambrate prosegue il programma di costruzione della sportiva TC. Diamo uno sguardo alla catena di montaggio che lavorerà fino al 1992 per un totale di 19.000 unità. Accade fortunatamente in alcuni divorzi (ma in questo caso ci pare più corretto parlare di un “fidanzamento in crisi”) che i figli finiscano per proseguire la loro strada, senza risentire della maretta esistente fra i genitori. Così, in un momento di relativa freddezza tra il Gruppo De Tomaso e il colosso americano Chrysler – tema lungamente trattato dalla stampa specializzata e non – è proprio la figlia naturale di questa unione, la sportiva TC By Maserati (che era stata presentata, a livello di prototipo, nell'inverno del 1985) a mostrare una inaspettata vitalità, con interessanti prospettive per la produzione nello stabilimento di Lambrate, alle porte di Milano. La TC, questa sigla significa Turbo Convertible, non solo esiste (ne abbiamo “beccata” una in un'uscita di collaudo) ma viene prodotta al ritmo di 30 unità al giorno, in una linea di montaggio che tutto sembra fuorché destinata ad una prematura chiusura. Anzi, per questa vettura che solo da poco tempo è stata introdotta negli Stati Uniti (ne sono già state consegnate circa 250) il contratto esistente tra Maserati e Chrysler prevede una produzione di circa 19.000 unità, fino al 1992, con l'impegno della casa americana per 7.300 da vendere negli USA. Così, incuriositi dalle molte voci intrecciatesi sulla vicenda Iacocca-De Tomaso, siamo andati a Lambrate, per vedere da vicino qual'è, oggi, la realtà industriale della TC. La fabbricazione avviene in una linea indipendente, a fianco di quella destinata alle Mini. Un impianto moderno (anche se non robotizzato) dotato, tra l'altro, di attrezzature di “collaudo in linea” richieste dalla legislazione americana per il rilascio di certificazioni singole di omologazione (è il caso dell'impianto frenante). Le scocche, provenienti da un fornitore esterno torinese, subiscono a Lambrate gli stessi trattamenti di finitura e verniciatura predisposti per le “cugine” Maserati. Oltre alla convertibile, la TC viene prodotta anche con hard-top. Analoghe cure sono dedicate all'arredamento interno che prevede l'uso di rivestimenti in pelle e moquette. Molti, anzi quasi tutti i componenti meccanici arrivano, in speciali container, dagli Stati Uniti, ma l'assemblaggio (a cui sovraintendono “osservatori” della Chrysler) è realizzato con quella cura tipicamente artigianale che contraddistingue la produzione Maserati. La TC, dunque, è una realtà e i suoi programmi di produzione – recentemente confermati dallo stesso De Tomaso – possono portare tranquillità anche per le maestranze della Innocenti-Maserati. Vediamo ora nel dettaglio alcune immagini (pessime, sono spiacente; di meglio non ho riguardo a questa linea di montaggio, credo fossero estrapolate da un vecchio video) Qui c'è lo stoccaggio delle scocche in arrivo da Torino L'abbigliamento degli interni L'inserimento della meccanica I motori turbo in arrivo dagli USA E per finire alcune immagini di “fine linea” con il controllo finale eseguito anche da supervisori Chrysler Per completezza, inserisco una scheda tecnica della TC Motore anteriore trasversale, 4 cilindri in linea Alesaggio per corsa 87,5 x 92 mm Cilindrata 2213 cc Potenza max 176 CV a 4800 giri/min Coppia max 27,7 kgm a 3200 giri/min Distribuzione a un asse a camme in testa con cinghia dentata Alimentazione a turbocompressore, iniezione elettronica, intercooler aria/aria Trazione anteriore, cambio a 5 marce (a richiesta cambio automatico a tre rapporti con convertitore idraulico) Sospensioni anteriori a ruote indipendenti, schema McPherson Sospensioni posteriori ad assale rigido, con bracci longitudinali, barra Panhard, molle elicoidali, ammortizzatori telescopici Barre antirollio anteriori e posteriori Freni a disco sulle 4 ruote (anteriori autoventilanti) con ABS Sterzo a cremagliera con servocomando Serbatoio carburante capacità 53 litri Lunghezza 4,46 metri Larghezza 1,74 metri Altezza 1,32 metri Peso a vuoto 1375 kg Velocità massima 200 km/h (con cambio automatico) 210 km/h (con cambio manuale) Consumo medio 6.9 km/litro Prezzo 33.000 dollari nel 1989 La vettura era basata sulla piattaforma (accorciata) della Dodge Daytona, dalla quale riprendeva anche il motore 2.200 appartenente alla serie K dei motori Chrysler. In seguito, nei model year 1990 e 91 il motore K fu rimpiazzato dal un V6 Mitsubishi di 3000 cc, aspirato, abbinato all'automatico che da tre rapporti passò a quattro. E' esistita comunque una versione un po' più particolare di quest'auto. 501 esemplari furono prodotti con un cambio manuale Getrag abbinato ad una versione con testa a 16 valvole del 2.200 serie K. Queste teste a 16 valvole erano fuse in Inghilterra dalla Cosworth e lavorate poi in Italia dalla Maserati. I pistoni erano della Mahle, mentre gli alberi a camme, disegnati in America dalla Crane, venivano prodotti dalla Maserati. Per questi motivi, questa versione del motore viene da tutti ricordata come il “2.2 Maserati” (con tanto di scritta sulle teste). La potenza arrivava a 200 cv. Ultima curiosità, le ruote in lega erano prodotte dalla Fondmetal. Considerazione: se per l'Allantè, altra vettura frutto di un'operazione che oggi pare tremendamente cervellotica, il marchio Pininfarina in America poteva essere in tutto e per tutto interpretato come un “plus”, un qualcosa di premiummmmm, così non fu per il marchio Maserati abbinato a questa convertibile Chrysler. I tempi erano, semplicemente, TREMENDAMENTE sbagliati. Il marchio Maserati in USA non se la passava affatto bene come fama, anzi: erano d'attualità i casi delle Biturbo catalizzate che prendevano fuoco. Sicchè, quello che doveva essere un plus dell'auto diventò invece un motivo di grande perplessità e scarsa fiducia. Inoltre, l'auto fu accolta con perplessità e molte critiche anche dalla stampa specializzata, che sottolineava come “un'auto costruita da Maserati e motorizzata da Chrysler riunisse il peggio di entrambi i costruttori”. Questi elementi, uniti al fatto che le prestazioni dell'auto erano deludenti non permisero di raggiungere gli obbiettivi di vendita prefissati e riportati dal testo che avete appena letto. La vettura andò in vendita effettivamente nel 1989 ma nel 1991 finì tutto, dopo 7300 esemplari in tutto. Questa immagine che ci viene fornita dal web e ce ne mostra una danneggiata da un uragano, è simbolica della fine che fece la TC. Probabilmente ai lettori più attenti ora avranno una domanda che gli gira in testa. "Ma chi le faceva le scocche a Torino?" NON LO SO. Ho cercato ovunque ma non sono riuscito a trovare uno straccio di nome. Magari chi del forum vive in zona sabauda ha qualche ricordo di ciò. Sior Abbarthzerotreee? Dove è probabile che le costruissero queste vasche da bagno?
  3. Sono spiacente di creare un lieve impiccio temporale, purtroppo questo materiale mi è finito tra le mani solo oggi. Si parla sempre di De Tomaso, nello specifico di Maserati, ma siamo in un periodo antecedente all'intervista stile “Le Iene”, che è del 1980. Qui siamo nel 1979, e la Maserati ha qualche problemino. CAPITALE RIDOTTO AD 1 MILIARDO! Per la Casa modenese momento difficile, sembrano i giorni del disimpegno Citroen. Modena – La Maserati Automobili si trova in un momento molto difficile che può quasi essere paragonato al periodo in cui la Citroen manifestò il suo disimpegno con la casa del Tridente. Mentre allora i magazzini della ditta straripavano di esemplari invenduti, ora la situazione è inversa con i clienti che aspettano “bramosamente” di arrivare in possesso delle vetture ordinate e pagate da parecchio tempo. Questa situazione potrebbe sembrare un indice di buona salute; invece la notizia di questi giorni ci sembra paragonabile al freddo polare presente in zona. A seguito delle perdite d'esercizio dei conti economici '76, '77, '78, la società che detiene il pacchetto azionario della Maserati ha deciso la riduzione del capitale sociale da 5 miliardi ad 1 miliardo. Riduzione che prevede l'impegno a procedere ad una nuova sottoscrizione che permetta di coprire i debiti congelati e una adeguata gestione finanziaria dell'azienda. Questa nuova situazione è stata notificata da Alejandro De Tomaso che è attualmente il Presidente e amministratore delegato della società. All'incontro hanno presenziato le rappresentanze sindacali che sono state le uniche parti a notificare, in modo molto chiaro e corretto, le risultanze dell'incontro, ed i rappresentanti del comitato “Pro Maserati” che è presieduto dal sindaco di Modena. Assente più o meno giustificato il rappresentante del pacchetto di maggioranza, la GEPI, che sembra totalmente e costantemente disinteressata a questa ditta. Il rappresentante della Direzione, sig. De Tomaso, ha fornito un quadro della situazione che viene definito sufficientemente articolato con contenuti piuttosto realistici per un possibile programma di risanamento finanziario, produttivo e occupazionale, a condizione che gli impegni vengano pienamente realizzati. Nel prossimo mese di febbraio è fissato l'impegno che prevede la definizione dell'operazione finanziaria con la suddivisione delle quote fra i soci. A tale proposito vogliamo ricordare che le ultime notizie relative alla suddivisione delle quote sociali vede il 30% controllato dalla De Tomaso e d il 70% controllato dalla GEPI*. In funzione di questo rapporto societario le organizzazioni sindacali auspicano un aumento dell'impegno finanziario della parte privata onde poter garantire una maggiore credibilità nei programmi produttivi. *senza voler fare il professore, perché io stesso ne so ben poco, ma con l'intento di agevolare nella lettura i più giovani che magari quando leggono “GEPI” si chiedono “sarebbe la GEPI?”, inserisco parte della descrizione che ci viene agevolata da wikipedia. (segue il link) La GEPI, acronimo di Società per le Gestioni e Partecipazioni Industriali, è stata una finanziaria pubblica costituita nel 1971, con capitale posseduto per il 50% dall'IMI e per l'altra metà suddiviso in parti uguali tra IRI, ENI ed EFIM. Il compito istituzionale della GEPI doveva essere quello di entrare nel capitale di aziende private in crisi e di agevolarne la ristrutturazione, per poi uscirne; nelle intenzioni doveva trattarsi di interventi esclusivamente temporanei, anche se in effetti in molti casi la GEPI si trovò gestire aziende in crisi irreversibile e difficilmente risanabili. Per questo motivo nel linguaggio giornalistico la GEPI fu descritta come "lazzaretto", "reparto di rianimazione", "ambulatorio", "rottamaio di aziende". GEPI - Wikipedia Questa asserzione ci lascia per lo meno perplessi visto che, stante quanto asserito sino a poco tempo addietro, ogni decisione relativa ai programmi Maserati era da interpretarsi come l'espressione della volontà del Presidente. Ora la situazione vuole essere invertita anche di fatto con un maggior impegno economico che lascia presupporre una modifica nello sviluppo della ideologia, professata finora, da parte dei sindacati. Un ritorno alla privatizzazione degli impegni di capitale con una conseguente maggiore capacità decisionale, rispetto alla presenza del capitale pubblico nelle imprese. A rendere precaria la situazione della Maserati vi è anche il mancato finanziamento della legge 464 che era fissato in 5 miliardi di lire. Tracciato il consuntivo del passato si è voluto parlare anche del futuro. Per il '79 l'azienda ritiene di realizzare risultati economici che siano vicini al pareggio finanziario. Un'asserzione questa che avevamo già sentito nel '77 e che poi è scaturita nella situazione attuale. “E' vero”, ci dice un esponente sindacale presente ai colloqui, “già nel '77 si era parlato della possibilità di arrivare ad un pareggio del conto economico verso la fine dell'anno, nel mese di novembre. Purtroppo ci sono stati dei ritardi che non hanno consentito di sviluppare il settore dei programmi automobilistici. Se il programma '4 porte' avesse seguito un normale iter la situazione attuale si sarebbe difficilmente realizzata*. Alla base dell'accordo del '75 già da parte nostra si era presa coscienza della possibilità di un certo periodo in cui i conti economici sarebbero stati negativi. La situazione attuale però non ci sembra debba essere paragonata decisamente alla situazione Citroen. Vi è una volontà ed un impegno, da parte dell'azienda, per risolvere la situazione con un piano che ci sembra abbastanza ponderato.” * Casualmente si tocca un argomento che l'altro giorno abbiamo trattato parlando di motore PRV, ossia la Quattroporte-Citroen-Bertone-PRV, costruita in pochi esemplari e poi messa in un angolo da Peugeot dopo l'acquisizione di Citroen, per via del presunto bagno di sangue che avrebbe rappresentato. Era il momento in cui i francesi sceglievano di liberarsi del cadavere Maserati, smenandoci cinque miliardi con la firma di una fideiussione a favore di Maserati con due banche italiane: pagarono a fondo perduto tre miliardi ad una banca e due ad un'altra, per liberarsi delle obbligazioni. Al che la GEPI, su interesse del Ministro dell'Industria italiano Donat Cattin, prese in mano il Tridente individuando in De Tomaso colui che l'avrebbe rimessa in piedi. Tornado alla Quattroporte incriminata, Citroen ne costruì sei esemplari, mentre gli altri sette furono realizzati da De Tomaso tra il 1975 ed il 1978... e qui si arriva al punto che descrive il rappresentante sindacale. I problemi di Quattroporte come uno dei motivi delle cattive acque in cui naviga Maserati. Ovviamente come per tutte le ditte del settore anche la Maserati ha nell'esportazione il suo maggiore sfogo commerciale. Il 75% della produzione varca i confini nazionali con una suddivisione percentuale che vede il 50% negli USA, il 12% in Inghilterra mentre Austria, Germania e Svizzera sono a valori del 4-5%. La grossa novità del '79 riguarda l'inizio della utilizzazione della catena di produzione della 4 porte*. Per questa vettura è prevista una produzione di 300 esemplari, per l'anno in corso, che hanno già trovato una collocazione presso i clienti. *qui si parla della terza generazione di Quattroporte, sotto progetto già dalla fine del 1975 mentre la seconda generazione di cui si è parlato sopra viveva le sue peripezie che portarono a nulla. La terza generazione fu appunto presentata nel 1979. Con l'inizio di questa produzione verranno aumentate le unità di mano d'opera impiegate di 40 persone, mentre si vedrà ridurre la produzione alternativa che riguarda i telai motociclistici onde trasferire nuovamente queste persone all'interno del ciclo produttivo primario. Se i programmi continueranno secondo lo studio sviluppato la base di lavoro, nei prossimi anni, dovrebbe raggiungere le 600 unità. Il ciclo produttivo della 4 porte prevede la lavorazione dei telai, motori, parti meccaniche, montaggio e collaudo finale mentre le parti relative alla carrozzeria saranno realizzate alla Innocenti. Come si può notare i numeri previsti per la 4 porte potranno favorire un incremento della produzione di circa il 90%. Sempre nell'incontro tenutosi in municipio si è parlato della nuova vettura da 2000 cc che entrerà in produzione alla fine del 1980. Per questa vettura l'interesse Maserati è riservato al 10% delle lavorazioni con la fornitura del solo motore. Viene accantonato il progetto relativo al 3 ruote. La carenza di spazio rispetto ai programmi automobilistici e il basso valore aggiunto del prodotto rispetto alle caratteristiche produttive Maserati sono i due argomenti di base per cui vi sono perplessità sulla realizzazione di un progetto che è definito molto valido dalle stesse rappresentanze sindacali. Ogni decisione definitiva rimane sospesa in attesa che si possa verificare la reale portata dei programmi relativi al settore auto per il '79. La definizione di mancanza di spazio per il progetto del 3 ruote sembra essere molto realistica e concreta visto che il prototipo viene lasciato all'esterno del reparto esperienze nel cortile della Maserati. Non chiedetemi di più su questo Ape Maserati non so cosa sia e non so dove cercare. Prossimamente salteranno fuori altre "schegge", come l'abbraccio "dopo tanto tempo" tra Alejandro e Iacocca che tra l'altro ci regalò...
  4. E' un piacere, Bud Questa è la dimostrazione di ciò che scrivevo l'altro dì riguardo la decisione di raccontare tutti i raid, anche quelli con le auto meno ricordate. Qualunque modello sia, ci son sempre persone che hanno ricordi speciali al riguardo. Nessuna auto merita di essere scordata. Prendiamo questa Chrysler. Quanti di noi se la ricordano in giro per le nostre strade? Pochi, penso. Io non l'ho mai vista, per esempio. Certo, appartengo ad una generazione troppo giovane per ricordarmela su strada (se c'era), come tanti altri qui dentro. Comunque, è probabile che anche le persone più mature (in tutti i sensi ) di me, se la ricordino "di striscio" se va bene. Nonostante questo, oggi con Lantanio esce fuori una famiglia che ha avuto a che fare con quest'auto, e che serba dei ricordi su di lei. Dimostrazione che non era il caso di richiudere quel Gente Motori e rimetterlo a scaffale, pensando "no beh questo farà poco audience, passiamo ad altro".
  5. Grazie a tutti, ma sono io che ringrazio voi per la lettura e la partecipazione a questi topic-amarcord. Per me questo è molto bello, perchè quest'anno col quarantennale della nascita di Gente Motori mi fa piacere avere il tempo di riproporne alcune gesta che dai più sono dimenticate. Gente Motori è una rivista che già molti anni fa iniziò la sua fase calante, con la perdita di importanza nel settore della stampa automobilistica, e questo ha fatto sì che sia stata dimenticata più in fretta. Ad esempio, è molto più difficile trovarla ai mercatini, rispetto a Quattroruote. Non sono stati conservati. Di conseguenza molte "imprese" come quelle che riproporrò quest'anno, dai più sono dimenticate o non sono mai state lette proprio. Però io trovo che siano meritevoli di attenzione e quindi ho cominciato questo lavoretto, e per questo sono contento che abbia un seguito. Ci sono tante storie interessanti da raccontare. Parlando di raid, è vero, Quattroruote fece qualcosa di analogo, qui e là. La Montreal se non ricordo male andò a Lubecca (dovrebbe essere il numero con l'Alfetta rossa in copertina), mentre con la Beta non ricordo sinceramente. La due volumi Lancia comunque sarà protagonista di uno dei raid più interessanti di Gente Motori. Con una sorpresa finale.
  6. Mi unisco a vanny nel dire che la questione è interessante, sia per le condizioni che hai modo di constatare (speriamo che tu riesca a paparazzarla un giorno) sia per la versione, perchè so mica quante ce ne possano essere in giro ancora di SL. Probabilmente in altre zone era differente, ma se i ricordi sull'occhiometro di allora non mi ingannano, non è che ce ne fossero moltissime in giro allora qui, di SL. Sbaglio o una delle sue caratteristiche estetiche era la presenza delle pinnette sotto i longheroni, davanti alle ruote posteriori?
  7. Si si, è una R12, e quello che si vede attraverso il lunotto, tenendo conto anche dell'assetto, credo proprio sia un rollbar. Tipica vettura da "rientro in bollino rosso"
  8. La vettura aveva targa francese perchè l'iniziativa era di Chrysler France. La carovana era composta da giornalisti di un po' tutte le testate europee, che guidarono le auto a turno (per questo motivo GM prese parte solo al ritorno, tutti parteciparono in maniera parziale) insieme ad altre 180 guidate dai collaudatori della Casa. Una plateale iniziativa promozionale direi. "Voi avrete un articolo interessante per la vostra rivista, noi un po' di pubblicità. Ovviamente le nostre auto saranno FANTASTICHE ed andranno BENISSIMO, non c'è bisogno di sottolinearlo..." La tipologia di servizio credo sia quella che poi il Gianni ebbe il modo di conoscere-sperimentare a sua volta-utilizzare per gran parte del tempo, ossia... "uè capo, la TizioCaio organizza un evento per pubblicizzare la TricTrac 2500 e ci invita, andiamo?" "beh, non è che la TricTrac 2500 come evento del mese ci farà sfondare nelle edicole...." "ma che te frega, è tutto spesato hotel pranzo cene cognachino omaggi ricchi premi cotillons e anche la meringa..." "ah beh allora dì che accettiamo e andate.... anzi... 'spetta un po'... CI VADO IO" (e lì il Gianni prese la giacca dall'appendino e nessuno in redazione lo vide mai più )
  9. Ebbene no, non è il Gianni. Lui a quei tempi aveva appena avviato il macinino era ancora in redazione a controllare che tutti i pezzi stessero attaccati. I reporter erano Ottavio Lissoni presente anche in veste di fotografo, e l'altro mi sfugge al momento. Lo metterò nel prossimo Raid, perchè, debbo dire, cominciando a curiosare in quelli che verranno, che il Gianni all'inizio se ne stava A CASA. I primi Raid furono realizzati da Lissoni e... appunto non mi ricordo.
  10. Eccoci dunque ad iniziare il racconto (che durerà un'eternità) dell'epoca d'oro di Gente Motori, durante la quale furono realizzati innumerevoli viaggi e raid con svariati modelli di automobile. Ma questa non è una novità, ne abbiamo parlato ancora di recente. L'idea è quella di raccontarli tutti, uno alla volta, a partire dal primo (per questo l'altro giorno dicevo che sarò impegnato per tutto il 2012 ), nessuno escluso. Certo, alcuni saranno indubbiamente più interessanti per il parerista medio:razz: perchè magari coinvolgono un Paese in cui è stato in vacanza, oppure perchè l'auto utilizzata ha un significato particolare, oppure perchè la storia è più avvincente, più pericolosa o più esotica. Avrei potuto fare quindi delle scelte, dicendo "no beh questo non è che sia poi tanto interessante..." però, prima di tutto, per me erano tutti interessanti e poi mi son detto "e se magari questo sarebbe piaciuto a qualcuno?". Sicchè, li leggeremo insieme tutti. (o meglio, chi vorrà ) Perchè dico questo? Perchè dopo anticipazioni su viaggi eroici nei paesi più scorbutici, iniziamo col primissimo Raid di Gente Motori, che non fu organizzato dalla rivista stessa (nata da pochi mesi) ma fu frutto di un invito da parte di Chrysler France a partecipare ad un raid il cui percorso intero era Parigi-Fez e ritorno, a bordo di alcune Chrysler 180. Agevolo un piccolo riassunto sul modello per chi non lo conoscesse, appoggiandomi alla wiki. Chrysler 160 e 180 - Wikipedia Il viaggio di Gente Motori però fu più breve del raid totale. I giornalisti della rivista presero in mano una 180 sulla via del ritorno, in quel di Casablanca, per riportarla fino a Parigi. Un viaggio abbastanza tranquillo e un'auto che a molti farà dire "cos'è che è quella roba lì??" Beh, abbiam detto di farli tutti. Questo è il primo. Non vi lamentate. Altrimenti modifico la mia rotta e mi metto a postare i prototipi camuffati della Favorit (guardate che li ho). Ne approfitto per specificare che d'ora in poi, come da accordi presi con la moderazione riguardo la maniera migliore di postare questi topic, i vari raid avranno una discussione ciascuno, che sarà titolata "I Raid di Gente Motori" e di seguito nel titolo spiegherà luoghi ed automezzi. E ora basta spiegare. Andiamo nel 1972. DAL SAHARA ALLA TOUR EIFFEL Era un giovedì mattina. Ci hanno affidato una Chrysler 180 a Casablanca e ci hanno detto: “Ci vediamo domenica sera al ristorante Chiberta di Parigi, a due passi dall'Etoile”. Siamo arrivati in tempo per il Pernod, dopo aver attraversato Marocco, Spagna e Francia. 1° GIORNO: CASABLANCA-MARBELLA KM 512 Strade buone – poco traffico extraurbano – tempo impiegato 11 ore – consumo carburante litri 41 (12,5 chilometri con un litro) – voto 7,5 Alle otto del mattino Casablanca brulica di gente. Il traffico è caotico. Automobili di grossa cilindrata si mischiano con carrettini, asinelli, biciclette. I vigili, in tenuta verde, si sbracciano per tenere un po' d'ordine. Donne velate camminano a passo svelto; più lenti e paciosi ci sembrano gli uomini in caffettano. L'urbanistica manca assolutamente di uniformità: da una parte c'è l'antica moschea, dall'altra un palazzo di dieci piani; qui la vecchia “casbah”, lì il modernissimo hotel “Marhaba”. Indugiamo a notare questo stridente contrasto, ci chiediamo se Casablanca debba essere considerata una città antica o moderna, quando un ragazzo ci richiama alla realtà. Arriva in bicicletta, da sinistra e attraversa l'incrocio “sparato”, senza pensarci neppure un attimo. Ce lo vediamo già sul cofano, chiediamo un miracolo ai freni della Chrysler e loro ci esaudiscono: in pochi metri la vettura si blocca, senza una sbandata. Il giovane marocchino passa a pochi centimetri dal cofano, poi si gira, alza un braccio dal manubrio, sorride, saluta e se ne va. Noi sorridiamo ai freni e torniamo bruscamente alla realtà del nostro raid: ricordiamo di avere un appuntamento dopo cinque ore all'imbarcadero di Tangeri, da dove salperemo in nave per Algeciras, attraversando lo Stretto di Gibilterra. C'è da correre, dunque, perché non sappiamo quali strade ci attendono, quanto traffico, quali difficoltà. E, inoltre, dovremo fermarci qua e là per scattare qualche fotografia. Via allora, verso nord, in direzione di Rabat, una città tre volte più piccola di Casablanca (380.000 abitanti contro 1 milione 200.000), ma molto più importante, in quanto sede del Palazzo Reale e capitale del Marocco. Lasciamo la periferia e d'improvviso svanisce il traffico. Le strade sono abbastanza ampie, ma il fondo è irregolare, a dorso di mulo (o di cammello?). La segnaletica orizzontale è gialla. La Chrysler comincia con grinta il suo viaggio. Siamo su un percorso dove si deve fare buon uso della terza e dal momento che questa è indubbiamente la marcia migliore della vettura, rileviamo che il motore “canta” che è una bellezza. Si potrebbe andare anche un po' più in fretta, se non ci fossero da attraversare mille paesini, dove la velocità massima non deve superare i 40 all'ora. A indicarcelo sono dei cartelli alti due metri. Sono tutte così grandi le indicazioni verticali. Un freccione enorme per dire che c'è una curva pericolosa, un segnale enorme per avvertire dell'incrocio. Uno qui non può certo dire :”Non avevo visto il cartello.....” Niente piede “a tavoletta” allora. I rilievi sulla velocità massima li faremo in seguito. Per ora accontentiamoci di toccare i 140 orari, e per tratti brevi oltretutto. La Chrysler comunque fa già intuire quali sono le sue reali possibilità. Non è eccezionale la partenza da fermo, ma come “tira” la seconda! (l'abbiamo portata fino a 90 all'ora senza che il motore “sfarfallasse”). In terza poi si va d'incanto: 130 all'ora di tachimetro e non è certo cosa di tutti i giorni. E quando c'è bisogno di un sorpasso veloce scalando dalla quarta alla terza, basta dare un po' di gas mentre si è in folle (la “doppietta” o, se preferite, la “debraiata”) e la marcia inferiore entra sempre, senza fatica. Un po' più duro invece l'innesto della seconda. Non sempre l'ingranaggio accetta la marcia di primo acchito e si è costretti a fare una certa pressione sulla leva del cambio (questo per quanto riguarda la nostra vettura. Abbiamo sentito altri partecipanti al raid che si lamentavano invece dell'innesto della prima e trovavano molto docile la seconda). La tenuta di strada è eccellente; dei freni abbiamo già detto. Piuttosto ci pare un po' carente la visibilità. Il fatto è che la Chrysler ha i poggiatesta di serie e questi saranno sì utili per la sicurezza (scongiurano il pericoloso “colpo del coniglio” in caso di tamponamento), saranno sì confortevoli per il passeggero che può riposare la cervice, ma indubbiamente tolgono una bella fetta di visibilità esterna. Quando si vuol guardare a destra, per immettersi in una corrente di traffico, si vede pochino, non ci sono storie. Comunque, così è se ci pare, visto che le norme di sicurezza consigliano il poggiatesta. A Rabat, dopo 92 chilometri, portiamo la Chrysler davanti ad una moschea, poi di fronte alla residenza del Re Hassan II: è il pedaggio che bisogna pagare alla curiosità e al turismo. Ma il raid ha fretta. C'è un battello a Tangeri che aspetta. Addio alle cupole, dunque, ai mosaici di mille colori, alle guardie vestite di rosso; addio alla sala del trono, allo sfarzo di questo angolo regale e alla miseria dell'altra parte della città. Ad Asilah (350 chilometri) finalmente la strada costeggia il mare e proprio qui, sorpresa, incontriamo i cammelli. Non all'interno, non verso il Sahara, ma a due passi dall'acqua, sulla spiaggia. La Chrysler si ferma, fa una foto ricordo e se ne va. Arriviamo a Tangeri in tempo per fare il pieno prima di imbarcarci. Abbiamo coperto 409 chilometri e dal nostro serbatoio mancano soltanto 32 litri. Non è molto, bisogna convenirne, ma c'è anche da dire che non abbiamo mai spinto a fondo. Consumerà nella stessa misura quando toccheremo le velocità massime in autostrada o quando cambieremo marcia ogni venti metri? Vedremo. Intanto imbarchiamo la vettura, attraversiamo lo Stretto di Gibilterra, salutiamo l'Africa e, dopo tre ore di navigazione calmissima, poggiamo le ruote ad Algeciras, sul suolo europeo. E di qui proseguiamo verso Marbella. Cala la sera, le strade sono strette ma l'illuminazione della Chrysler è eccellente e l'ultimo tratto non presenta difficoltà. Così finisce la prima tappa del raid. Mentre beviamo sangria, pensiamo ai voti da dare alla nostra vettura. LA PAGELLA DEL PRIMO GIORNO Velocità 6 (non per colpa sua ma del tracciato) Accelerazione 6 Ripresa 7 Tenuta di strada 9 Freni 10 Visibilità 5 Sterzo 9 Comfort 7 Rumorosità 8 Consumo 10 2° GIORNO: MARBELLA-VALENCIA (MONTE PICAYO) KM 727 Strade brutte – traffico medio – tempo impiegato 14 ore – consumo carburante litri 80 (9 chilometri con un litro) – voto 7 Nella hall dell'Hotel Andalusia la Plaza, a Marbella, il “capo spedizione” Jacques Rousseau, responsabile tecnico dell'ufficio “Pubbliche relazioni” della Chrysler fa il piano di viaggio. Le vetture da portare a Parigi sono undici: una la guidiamo noi; le altre sono in mano di giornalisti belgi e tedeschi. I colleghi francesi hanno fatto il viaggio di andata, da Parigi a Fez (una città a 300 chilometri da Casablanca, a due passi dal Sahara) e sono tornati a casa in aereo lasciandoci il volante. Le auto, dunque, hanno già sul groppone 3000 chilometri dell'andata. La nostra, inoltre (che in totale ha fatto 11.745 chilometri) viene addirittura da Amburgo per via di un test precedente. E i meccanici ci dicono che non ha consumato una goccia d'olio. Il livello è sempre quello, dal giorno in cui ha lasciato Parigi. Jacques Rousseau ci preannuncia che la tappa sarà dura; la spezza in due parti e ci dà appuntamento per il pranzo a Puerto Lumbreras, dopo 380 chilometri, tra le 13 e le 13,30. Ebbene, il primo equipaggio ha messo i piedi sotto il tavolo alle 15,30. Come mai questo ritardo? Be', diciamo che la Costa del Sol è incantevole, che la Sierra Nevada è fascinosa, ma l'una e l'altra poco si addicono ad un raid veloce. Da Malaga ad Almeria (218 chilometri) è uno stillicidio di curve e traffico. La strada è tutta a zig-zag, scende al mare, sale in collina, ancora sul mare, di nuovo in collina. La Chrysler scalpita, ma è costretta a stare in coda. La quarta marcia si prende una mezza giornata di ferie; seconda e terza invece fanno gli straordinari. Fa caldo, più di quanto ce ne fosse in Marocco. La vettura non ha i deflettori e questo – per noi italiani – è uno degli handicap più antipatici. I sedili per fortuna non scaldano e sono comodi ed avvolgenti. Ogni volta che il passeggero cerca il portacenere si scontra con la leva del cambio, che gli sta proprio davanti. Ce ne accorgiamo oggi perché la leva è sempre in movimento (e perché fumiamo più del solito per vincere la noia della marcia a 40 all'ora). Finisce la Costa del Sol e l'indicatore della benzina è incredibilmente spostato verso il basso. Riusciremo ad arrivare a Puerto Lumbreras senza fare rifornimento? Rousseau ha detto di si. Lasciamo il mare ed incontriamo i primi contrafforti della Sierra Nevada. Non c'è quasi più traffico. La “carretera” è larga e infida. Ogni tanto, infatti, offre un rettilineo, ma guai ad affrontarlo a tutta velocità: il fondo è tutto a saliscendi, con continui balzelli. Ad un certo punto ce ne dimentichiamo e, a 150 orari, la Chrysler plana... Il fotografo va a picchiare violentemente la testa contro il tetto, noi ci attacchiamo al volante e, per fortuna, la vettura “atterra” in perfetta linea, senza spostare di un centimetro la sua traiettoria. Questo ci consola perché in precedenza le sospensioni non ci avevano convinto proprio del tutto. Ci erano apparse un po' rigide, basate su un sistema un po' vecchiotto (appunto a ponte rigido e non indipendenti). Invece, dopo il gran balzo, complimenti a loro e agli ammortizzatori. Proseguiamo la marcia senza più schiacciare il pedale. Passiamo attraverso collinette brulle in uno scenario da west. Da un momento all'altro ci aspettiamo di vedere una diligenza assalita dai banditi; attendiamo l'apparizione di Sartana, o di “Trinità” o dei pistoleros messicani. In questa zona infatti, si girano tutti quei western, all'italiana o no, tanto di moda di questi tempi. La Chrysler passa in mezzo alla ricostruzione di un paesino del west, di fronte al fortino, alla stazione dell'acqua, ecc. Ma Sartana non c'è, oggi è di riposo. La spia della benzina ormai è accesa da tempo. Puerto Lumbreras però è vicina. Mancano 15 chilometri, 10, 8, 7, 6, 5... ed ecco un singhiozzo, un saltino e la vettura si ferma. Il serbatoio è secco, ci siamo illusi troppo. Chiediamo un passaggio per raggiungere la comitiva. Dopo due chilometri ecco un'altra Chrysler ferma ai bordi della strada. Ci consoliamo: non siamo stati gli unici imprevidenti, e la nostra vettura non è stata la sola a consumare molto: 65 litri per 522 chilometri! Molto di più del giorno prima. Il motivo è semplice ma sarà ancora più chiaro durante il pranzo, quando Rousseau ci dirà che negli ultimi 200 chilometri abbiamo affrontato ben 1974 curve. E oltre a parlare delle curve, tutta la comitiva racconta di un certo salto fatto con la vettura... Ci siamo cascati proprio tutti. E Ottavio Lissoni, il fotografo, ride toccandosi la testa. Si riparte con la speranza di trovare qualche rettilineo in più. E per fortuna la strada si fa più docile; lasciamo la Sierra e torniamo verso il mare. Siamo di fronte alle isole Baleari, corriamo in mezzo alle palme, il tempo ora è mite, il sole piacevole. La Chrysler è felice di poter correre in quarta, una marcia che al mattino sembrava dimenticata. Ma neppure sulla strada per Valencia si può provare la velocità massima; il traffico è aumentato e i paesini sono uno attaccato all'altro. Gli organi meccanici vengono continuamente sollecitati, dai freni al cambio, allo sterzo, alla frizione. E proprio quest'ultima merita una citazione particolare. Finora abbiamo schiacciato il pedale migliaia di volte (e fino a Parigi ancora molto dovremo schiacciarlo) e mai una volta c'è stato il minimo accenno a uno “strappo”. Sempre docile e pronta, davvero “a punto”. Ma torniamo al viaggio. Diventa buio, entriamo in Valencia e mancano 18 chilometri alla doccia. Incontriamo una Chrysler della comitiva che ci chiede aiuto. La guida un giornalista tedesco che è rimasto senza l'aiuto dei fari. Ha le luci di posizione, ma niente abbaglianti ed anabbaglianti. Ci mettiamo davanti a lui e lo scortiamo fino all'Hotel Monte Picayo. Dicono che l'inconveniente è dovuto ad un contatto. Niente di grave; domani mattina la Chrysler sarà a posto, pronta per la partenza. Ora merita di riposare quanto noi, in viaggio da 14 ore. LA PAGELLA DEL SECONDO GIORNO Velocità 6 Accelerazione 6 Ripresa 7 Tenuta di strada 10 Freni 10 Visibilità 5 Sterzo 9 Comfort 6 Rumorosità 7 Consumo 5 3° GIORNO: VALENCIA (MONTE PICAYO)-MONTPELLIER KM 741 Strade discrete – traffico medio – tempo impiegato 12 ore – consumo carburante litri 78 (9,5 chilometri con un litro) – voto 7- Al mattino la Chrysler 180 fa i capricci. Non vuole partire. Giriamo quattro o cinque volte la chiavetta d'accensione, ma non c'è niente da fare. Per fortuna la vettura è parcheggiata in discesa: basta lasciarla scivolare un po', innestare la seconda, poi mollare di colpo la frizione ed ecco che il motore gira. Perché questo piccolo inconveniente? Non è colpa dell'impianto elettrico, né del motorino. La batteria è a posto, con l'acqua distillata al livello giusto. La benzina c'è, l'olio pure. Forse il motore era soltanto un po' ingolfato. Questo comunque resterà l'unico inconveniente sofferto dalla nostra Chrysler 180 durante l'intero raid. Si parte, allora. La strada verso Tarragona è bella. Possiamo provare la velocità, sia pure con giudizio. Ed ecco che la lancetta sale. Siamo subito a 160, a 5.400 giri. Schiacciamo ancora, i giri aumentano, ma sale anche la rumorosità. Non è più tanto agevole parlare con il passeggero. Sfioriamo i 170 (senza comunque toccarli) e i giri sono 5800, poi molliamo. Proveremo ancora sull'autostrada, quando finalmente ne incontreremo una. Siamo in terra catalana, adesso. Entriamo a Tarragona a mezzogiorno. Non è l'ora delle corride ed infatti la Plaza de Toros non ha niente di suggestivo. Attorno all'arena è tutto un vespaio di automobili parcheggiate. Di fronte, in un'officina, c'è una vettura sul ponte con tre meccanici che vi curiosano sotto. Niente di affascinante. Forse Hemingway è passato di qui alla stessa ora prima di spararsi un colpo di fucile. Prima di Barcellona, finalmente una gradita sorpresa: l'autostrada. Si tratta di pochi chilometri ma sono tanta manna per noi e per la Chrysler. L'auto subito si distende, si sente nel suo ambiente preferito e schizza via veloce. Cerchiamo la velocità massima, ma restiamo un po' delusi, è la stessa toccata sui rettilinei che costeggiavano il mare: 170 scarsi. In realtà, ci aspettavamo qualcosina in più, perché questa vettura ha una cilindrata di 1812 centimetri cubici, un'ottima seconda, una terza eccellente e dà l'impressione di poter fare molto di più. Invece, per quanto si schiacci, i 170 non vengono mai superati. Entriamo a Barcellona, in un traffico oltremodo intenso. Le ampie circonvallazioni cittadine non bastano a smaltire la marea di automobili. Il deflusso, comunque, è veloce e bisogna tenere gli occhi aperti ed il piede “a portata di freno”. Schiacciamo quattro o cinque volte il pedale di mezzo e avvertiamo i primi sibili. I dischi cominciano a fischiare. Niente di preoccupante, intendiamoci, ma il classico fastidioso fischio dei freni. Restiamo nel traffico di Barcellona per una buona mezz'ora e bisogna dire che la Chrysler si comporta meravigliosamente bene. Lo sterzo è docile, il motore sufficientemente elastico, la frizione fa il suo lavoro senza strappi. Il cambio, infine, rivela una prima ottimamente sincronizzata, tanto è vero che, dopo un rapido arresto, talvolta preferiamo passare dalla terza alla prima saltando la seconda. Una vettura più da città che da autostrada, dunque, questa grossa e imponente Chrysler 180? No, non vogliamo dir questo, piuttosto la consideriamo una “granturismo” adatta ai grandi viaggi, con una notevole velocità di crociera, ma capace (nonostante i suoi 4 metri e 45 centimetri di lunghezza) di districarsi assai bene anche in mezzo al traffico. Lasciamo Barcellona e ci avviamo a percorrere gli ultimi 200 chilometri in terra spagnola. La nostra e le altre Chrysler sono tutte in gran forma. O meglio, sembrano in gran forma, perché proprio nel tratto che porta al confine se ne ferma una in mezzo alla strada. È improvvisamente saltata la cinghia del ventilatore. Al volante c'è un collaudatore francese. L'altro collaudatore, quello che ha sulla vettura i pezzi di ricambio, ha sbagliato strada e quindi non c'è speranza di un rapido soccorso. Ma per fortuna basta un budello di elastico per sostituire la cinghia rotta e arrivare tranquillamente al confine, per la riparazione definitiva. Scendiamo alla frontiera e ci assale un vento gelido e forte. Ecco perché la Chrysler ondeggiava un po', non erano sgonfi i pneumatici, come ci era venuto da pensare. Al contrario i Michelin XM hanno la pressione di 1.7 davanti e 1.9 dietro, come al momento della partenza. Copriamo gli ultimi chilometri della terza tappa, da Le Perthus a Montpellier, in terra francese, al buio e in mezzo al vento. Non è propriamente una gita... le strade sono alquanto strette e anche qui a saliscendi. Molto spesso si corre tra due file di alberi e se appena appena si va un po' allegri c'è il rischio di farsi spostare dal vento. Fa freddo, adesso: l'escursione termica dal giorno alla sera è notevole. Apriamo il riscaldamento e la Chrysler denota un ottimo comfort. I chilometri scorrono lenti, siamo decisamente stanchi e adesso ci innervosisce anche il fischio dei freni. Peggio di noi, però, stanno due belgi. Anche loro, infatti, come il collega tedesco la sera prima, sono rimasti con le sole luci di posizione: niente fari. Ma allora è un vizio! A fare strada alla vettura “cieca” questa volta è un collaudatore della Chrysler. Chiediamo il motivo di questo guasto e la risposta è la stessa della sera precedente: soltanto un contatto. Ci auguriamo che non capiti anche a noi e, fortunatamente, dopo aver costeggiato il Mediterraneo (di fronte al Golfo del Leone) per 23 chilometri, giungiamo a Montpellier. LA PAGELLA DEL TERZO GIORNO Velocità 7 Accelerazione 6 Ripresa 7 Tenuta di strada 6 Freni 8 Visibilità 5 Sterzo 9 Comfort 8 Rumorosità 7 Consumo 6 4° GIORNO: MONTPELLIER-PARIGI KM 852 Strade buone – traffico intenso – tempo impiegato 10 ore – consumo carburante litri 82 (10,3 chilometri con un litro) – voto 7+ La giornata si inizia con una parola sulla bocca di tutti: autostrada! La comitiva è gioiosa. Non credevamo che il miraggio di una strada dritta, senza né incroci né semafori, potesse rendere tanto felici. Benedetta, allora, la nostra Italia che di autostrade è zeppa... Le automobili si preparano per la galoppata finale; fanno il controllo dell'olio (perfetto), dell'acqua (perfetto), delle gomme (perfetto). Riempiamo per l'ultima volta il bagagliaio e constatiamo per l'ennesima volta quanto è grande. Nonostante la presenza della gomma di scorta in posizione verticale, il vano è molto ampio. I dati tecnici dicono che ha una capienza di 400 decimetri cubi. Noi diciamo, per essere più chiari, che le nostre due valigie ci ballano dentro e che per riempire il baule con vari pacchi e pacchettini di souvenirs avremmo dovuto comprare un intero negozio... Dunque, si parte, verso l'autostrada. Tranne 63 chilometri, tra Nimes e Bollene, ne troveremo fino a Parigi. Ma la nostra gioia dura poco. Non facciamo in tempo a pagare il pedaggio (costano più o meno quanto in Italia) che ci accorgiamo che la Chrysler 180 non può andare a più di 140 chilometri all'ora. Qualcosa non va nel motore? Gira forse a tre cilindri? Macché! Niente di tutto questo. Il fatto è che soffia un fortissimo vento trasversale. Sembra di essere in barca. Ogni tanto la vettura “fa la mossa”, ancheggia, viene letteralmente spostata di lato. Per prudenza è bene non schiacciare a fondo, ma anche quando ci proviamo la Chrysler proprio non va. Il vento non sa leggere e non può capire quanta voglia abbiamo di arrivare in fretta a Parigi. E così comincia una marcia ossessionante. E non siamo solo noi, si badi bene, ad andar piano. Basti dire che da Montpellier a Nime non ci supera nessuno. A Nimes lasciamo l'autostrada. Incontriamo due ragazze americane con il volto quasi “spaccato” dal vento. Sono addirittura violacee. Offriamo loro un passaggio. Si chiamano Anna e Silvia, sono di Washington e studiano all'Università Internazionale di Avignone. Le portiamo con noi per 20 chilometri, durante i quali i loro lineamenti si distendono. Poi siamo costretti ad abbandonarle ancora in balia del vento. Riprendiamo l'autostrada. Di fianco a noi scorre il Rodano. Lo risaliremo fino a Lione. L'andatura è lenta, tutta la carovana avanza stringendo le mani sul volante; non è ammessa la minima distrazione, con questo vento traditore che ogni tanto sembra voler guidare personalmente la vettura. Dobbiamo aspettare che sparisca (nel pomeriggio) per vedere fin dove arriva la potenza di questa Chrysler 180 che da quattro giorni ormai è la nostra casa e ancora non ha potuto esprimersi al massimo delle sue possibilità. E allora via, tira fuori tutti i cavalli! Avanti con la seconda fino a 85, poi con la terza fino a 130 e poi giù tutto: la vettura accelera, supera una due tre quattro dieci auto e la lancetta del contachilometri sale. Arriva a 170, li supera ma non fa molto di più. Poi, finalmente c'è una lieve discesa e tocchiamo, a 6000 giri al minuto, i 180 chilometri orari. Questo per quanto concerne il tachimetro, ma in realtà bisogna togliere 3-4 chilometri orari per trovare la velocità reale. Proviamo qualche altra volta ed il risultato è identico. E così arriviamo a Parigi. O meglio, arriviamo a 50 chilometri da Parigi, quando mettiamo da parte qualsiasi velleità corsaiola. Il fatto è che oggi è domenica e sono le 6 del pomeriggio, ragion per cui a 50 chilometri dalla capitale si forma già la coda del grande rientro dal weekend. Ci rassegniamo ad adoperare soltanto prima, seconda e frizione mentre il fotografo scalpita perché vorrebbe arrivare in tempo per poter fare una fotografia, con il sole, davanti alla Torre Eiffel. Grazie agli splendidi raccordi cittadini ce la facciamo e possiamo concludere questo raid con una foto-cartolina. L'avventura è finita. Dobbiamo percorrere ancora qualche chilometro in mezzo al traffico per raggiungere l'albergo, ma la vettura ormai è rodatissima a qualsiasi genere di circolazione. I freni fischiano, è vero, ma la meccanica della Chrysler non denota alcun segno di stanchezza. Sopporta il traffico di Parigi, così come aveva sopportato il vento dell'autostrada, le strade a dorso di mulo del Marocco, i salti “a trampolino” della Spagna. E' ancora fresca e pimpante e quando, al ristorante Chiberta, a due passi dall'Etoile, ci dicono di consegnare le chiavi e abbandonarla, un po' ci dispiace. Lanciamo una battuta: “Perché non proseguiamo per Oslo?”. Ma quelli della Chrysler la prendono sul serio. Dicono: “Va bene, partiamo domattina”. La Chrysler strizza l'occhio. Lo strizziamo anche noi, ci avviamo all'aeroporto e torniamo a casa. LA PAGELLA DEL QUARTO GIORNO Velocità 8 Accelerazione 6 Ripresa 7 Tenuta di strada 6 Freni 8 Visibilità 5 Sterzo 9 Comfort 8 Rumorosità 7 Consumo 8 LA CHRYSLER 180 IN CIFRE (costi riferiti all'anno 1972) Cilindrata 1812 cc 4 cilindri Trazione posteriore 5 posti Velocità massima 170 km/h Consumo medio 10 litri per 100 km Prezzo di listino 1.689.000 lire Prezzo su strada 1.750.000 lire Tassa di circolazione 59.195 lire Assicurazione annua 100.750 lire FINE E questo era il n.1, niente di pazzesco. Il primo viaggio di Gente Motori, realizzato su invito e non di tasca propria. Nei mesi ed anni seguenti le cose cominciarono a farsi più complesse. GTC
  11. @ Gimmo: Beh, in quel caso la plastica era indubbiamente molto evidente ma con una funzione importante. Gli scudi facevano bene il loro mestiere. A parte quelli, tolto lo specchietto integrato e le maniglie tonde, non c'era molto altro. Diverso è il discorso dell'ultima 127 e credo anche il concetto che intende angeloben, e cioè riguardo la plastica messa lì fine a sè stessa, nel tentativo (patetico) di modernizzare un qualcosa che prima era più vecchio ma anche più coerente. Ritmo più che altro è un esempio del pessimo plastichismo applicato all'interno, di un'auto. (i pannelli porta delle prime Ritmo parvero osceni praticamente a tutti quanti...)
  12. C'entra niente ma... Fra amiche: "Ciao, ti piace il mio vestito nuovo? Che ne pensi della scollatura? E' troppo bassa?" "Beh no, non direi, però... scusa se te lo dico, però hai dei peli sul petto, dovresti raderti.." "Ma... non sono peli del petto!" "Allora sì, la scollatura è troppo bassa..." Comunque MaicolNait di tutto doveva preoccuparsi meno che della peluria sul petto (forse un po' più leggera di quella di Magnum). Io mi sarei preoccupato più che altro di certe pettinature cofano-cotonate che per entrare nella Pontiac era meglio togliere il t-top forse , presenti soprattutto nella prima serie del telefilm, 1982-83. Ci stava dentro anche la merenda, cacchio.
  13. Vedete, che saltano fuori testimonianze riguardo ragazze che se la cavano bene? Sarà interessante tirare fuori questi discorsi al prossimo raduno, con le consorti presenti. "Sai cara, il tuo tato un giorno sul forum ha scritto che alle pompe te la cavi male".
  14. Vista la qualità della vernice, io credo che la 127 sia almeno stata riverniciata. Le Uno invece posso confermare che sono original. La 55S è di una signora che conosco abbastanza, ricordo quando la comprò, io facevo le elementari e l'ha sempre avuta lei. Non è mai deperita, è conservata. (la Uno intendo ) L'altra pure, che io ricordi è sempre stata bella così, senza passare momenti difficili e poi tornare in ordine, sintomo di restauro. Però ragazzi, mi notate i parasputi e mi sorvolate su un'altra chicca TREMENDAMENTE ottantesca, sulla Uno 45. Gli antiturbo Parimor (o similia) sulle porte anteriori!
  15. Ebbbasta con questi luoghi comuni che le donne non sono capaci con le pompe.
  16. Probabilmente pensava che la gente avrebbe scambiato la panza per il pacco
  17. Si si come ho scritto le due Uno fanno parte dell'arredamento urbano di tutti i giorni I parasputi sai, oggi non si usano più nemmeno qui, ma sulle vecchiette sono molto frequenti qui in giro. Retaggio dei tempi andati. Una volta ce li avevamo tutti*, perchè la neve d'inverno era una costante anche in bassa Valle (oggi non più), i chiodati erano permessi (che ricordi, il Ritmo 130 Abarth in piazza del mercato coi chiodati e 30 cm di neve ... mio padre si è divertito tanto, e io anche ) ma se avevi i chiodati dovevi avere per legge i parasputi... così alla fine qui si vedono ancora sulle vintagemobile *i barbonz avevano quelli neri anonimi, i più fighi avevano il tipo premiummm con le scritte bianche preciso preciso per la marca dell'auto se non addirittura per il modello babbo li montò al primo inverno con la Ritmo (sul 127 non li aveva perchè non aveva manco i chiodati) ma all'arrivo della primavera, prima era convinto di tenerli su, poi guardò il Ritmo Abarth coi lega lucidi a 4 razze e i parasputi... non era il caso . Così li metteva quando era ora.
  18. La domanda che avete letto nel titolo la troverete solo in fondo al malloppo che vi puppate quest'anno per la Befana. Si tratta di alcune "schegge", come si dice di solito quando si pesca qui e là nell'ambito di un vasto... casotto . Più semplicemente, col passar del tempo mi son venuti in mano questi articoli, che hanno un'età che va dai 30 ai 40 anni e mostrano una piccola parte dell'uomo-De Tomaso. Buona lettura (a chi ha voglia di sorbirsi il papiro ed in seguito vorrà porre considerazioni in merito; ricordo come sempre che il tutto va contestualizzato. Se ci sono inesattezze col senno di poi, ricordate che questo veniva scritto in quegli anni là, non è redatto oggi.) Questa prima parte non ha un titolo, tuttavia, credo che potremmo chiamarla... TENTATIVO (NON RIUSCITO) DI CONDURRE UN'INTERVISTA DA PARTE DEL MALCAPITATO GIORNALISTA TROVATOSI ALLE PRESE CON ALEJANDRO (insomma, De Tomaso a ruota libera) (vorrei farvi notare un attimino quella tovaglia che ha al posto della cravatta... mio padre ha riso per 20 minuti) Una quindicina di unità al giorno, tutte Pantera (delle diverse razze), e quattro Quattroporte alla settimana. La Ghia, la Vignale, la Benelli: ecco l'impero motoristico De Tomaso, un impero a sei ruote. Lo regge lui, l'argentino di Modena che sta ritrovando gusto al primo amore, alle corse: che avrà Stewart, un giorno o l'altro, al volante. Ma che per adesso deve accontentarsi di meno. Anche se sarà a LeMans con tre (o quattro) vetture, anche se a LeMans, nelle prove preliminari della 24 ore, la “SuperPantera” da trecento e passa all'ora ha suscitato sensazione. Sta ritrovando gusto al primo amore anche in campo motociclistico, ha fatto provare la 350 Benelli al finlandese Saarinen sul circuito di Modena: “Ma è cascato quasi subito, non si è potuto capire”. Ha capito, intanto, che non è ancora giunto l'attimo del rientro (per lui un esordio): “Siamo troppo impegnati, non possiamo portare la Benelli al macello. Abbiamo parecchia carne al fuoco, ci saremo quando saremo pronti. Anche con la 500. Ai piloti abbiamo pensato fra il sì e il no. Saarinen va, è un giovane che farà strada; ma da noi lavora Walter Villa, un collaudatore sicuro. E, in zona, c'è anche Cocchi.” Usa sovente il plurale maiestatico che è rifugio di quasi tutti i poliglotti: ma senza sentirsi obbligato a osservarne in eterno le regole, anzi: quando si lascia andare a qualche confidenza, ritrova il tu dei box, degli antichi affetti, di quella dimestichezza con la gente dell'altro ieri che gli ha fatto ripescare Roberto Bussinello, adesso suo number one in assoluto. Rincorre da sempre la novità, ha la vocazione di épater, quando presentò la Pantera GTS e qualcuno gli eccepì che poteva aspettare Ginevra, replicò che a Ginevra avrebbe avuto qualcos'altro da mettere in mostra. E fu il turno della 290, la Panterina. Si sa che a Pesaro è in... corso di stampa la Benelli 750 a sei cilindri. Si sa che “per fine maggio abbiamo in serbo qualche altra sorpresa”.Con le automobili siamo più avanti, si capisce. Abbiamo cominciato prima.” Lo ricordo tanti anni fa, quando preparava la sua prima creatura dentro un'officina da tre soldi: sempre acceso in volto, proteso a sbalordire, meravigliato che gli dessero così poco credito. E avviato, lo ammetto, a meritarselo, il credito. Ha LeMans per la capa, adesso, anche se ha un programma più diffuso. Dice che toccherà a Muller (o un italiano: ma chi?) il rango di pilota ufficiale; anche se Muller non ha proprio confermato di starci. “Ma ci saranno tre clienti assistiti (o privati protetti, come dite voi), stiamo discutendo, fra pochi giorni sarà tutto chiarito, ci sono questioni di peso. No, non avrò Stewart a LeMans, lo avrò senz'altro; ma non so quando. Ci sono i calendari: e lui è impegnato in Formula Uno e nella Can-Am. Ha intenzioni precise, me l'ha detto e confermato: ma le date sono in grembo a Giove. Noi continuiamo nei nostri lavori, contiamo di poter vendere la Pantera al di sotto dei cinque milioni di lire; ma sarà una lotta. Sarebbe un grosso boom a quel prezzo, un bel giochino, nessuna macchina equivalente può farle concorrenza a quel prezzo.” Come gli è abituale, parla di tutto e di tutti, gli sprizzano le scintille dagli occhi, le scintille della gente di casa: “Con una monoposto De Tomaso sono rimasto in testa al Gran Premio degli Stati Uniti nel 1959. Era una 1500. Poi rimasi senza freni.” “Non è vero che due anni fa ho piantato grane a Montecarlo per far vedere che c'ero; volevo soltanto che fosse rispettata la parità di diritti fra tutti i conduttori e tutti i costruttori, che non ci fossero privilegi.” “ Mi sono dedicato, quando cominciai, alle vetture di formula, alle monoposto, alle junior, ho un sacco di vittorie nell'albo d'oro, dal campionato europeo della montagna (con Casoni) al titolo italiano delle due litri (con Bernabei).” Un travolgente zibaldone entro il quale converrebbe mettere ordine, il personaggio è irrequieto e imprevedibile ma c'è, battagliero e scontroso, ferocemente denigrato e rabbiosamente esaltato: con ruote (e rotelle) in eterna agitazione per la testa. Baciato dal successo, anche: un successo che pare aver tratto profitto dagli stessi errori commessi, dalla grinta, dalla benedetta certezza di avere avuto (e di avere) sempre ragione, i torti e le colpe sono degli altri. È un personaggio, dicevo: ha corso in automobile, è costruttore; benché viva in Italia da quasi vent'anni, conserva la cittadinanza argentina e non ha ancora preso casa, vive in eterna alternativa alberghiera fra Torino e Modena (e Pesaro, adesso). Ma vola a Detroit due volte la settimana, non manca a Ginevra, non manca un appuntamento, seppure riesca ad osservare gli impegni soltanto in ritardo. È figlio di un uomo importante che fu amico di Enrico Ferri e del quale i giornali sudamericani parlano ancora. È uomo-Ford attraverso la mavelleria dell'oriundo beneventano Lido Jacoca: e il colosso lo lascia fare, affascinato dalla sua incapacità di stare fermo un attimo, di disciplinarsi comunque, dall'urgenza degli “ulteriori sviluppi” che lo condiziona, forse anche dall'idiosincrasia verso i giapponesi, motivo non ultimo dell'acquisto-Benelli. GUARDA AL FUTURO Non serba fotografie di nulla, non vuole documenti, afferma di guardare al futuro e solo al futuro. Lasciamolo dire, dimettiamo i propositi di porre ordine. Verrà fuori, alla fine, la traccia, il profilo. “Credo nel futuro delle due ruote a motore e delle industrie che le producono. Non mi pare che sia una moda, né un boom della moda: nella situazione di traffico attuale, con i limiti di velocità e tutti i problemi di sicurezza, con l'inquinamento atmosferico, la motocicletta è quasi l'unico mezzo meccanico che possa permettere ancora il piacere e l'ebbrezza della guida. È proprio questo il fattore psicologico che fa presa sui giovani.” L'ho chiamato a processo; continua in chiave di autodifesa: “La tecnica motociclistica, oltretutto, è addirittura più avanzata di quella automobilistica. Parenti lo sono senz'altro e anche strette. Un motore raffreddato ad aria offre, fra l'altro, enormi vantaggi per le macchine di piccola cilindrata. Almeno per i prossimi 10 anni non sarà sostituito. Il motore Wankel è sì una gran bella cosa, ma il motore a combustione interna ha settantacinque anni abbondanti di esperienze: non si bruciano settantacinque anni abbondanti di esperienze in quattro e quattr'otto. Le aziende che possiedo e dirigo sono venute così, una dopo l'altra. Arrivato in Italia alla fine del '54, quando correvano Fangio, Gonzales, Campos, Marimon, Pian, Menditeguy, quando noi argentini eravamo di moda, ho fatto dapprima la carriera di corridore con i fratelli Maserati verso i quali nutro più che un affetto. Li considero gente di famiglia. Soprattutto Ernesto, una delle persone più corrette, oneste e serie che io abbia conosciuto. Perché ho conservato la cittadinanza argentina e non ho mai pensato alla doppia nazionalità? L'Italia è per me una seconda patria, ma sono nato altrove. Sono anche campanilista, lo riconosco, ho una preferenza per Modena. L'Italia è l'Italia ma casa mia è Modena.” “Mio padre fu il primo ministro democratico eletto nella repubblica argentina attraverso libere consultazioni. Libere ed autentiche. Morì molto giovane, nel '33 quando aveva trentotto anni di età. Io sono nato nel '28, avevo allora poco più di cinque anni. Lo ricordo molto bene, però; ricordo molto bene anche Peron, allora assistente del ministro alla Guerra Generale Rodriguez, un uomo colto a tutti i livelli, di grandissimo valore, intimo amico di mio padre. Mio padre è stato ministro dell'Agricoltura, del Commercio, del Lavoro, della Previdenza, della Cultura. Figlio di un muratore e di una lavandaia napoletani, ma nato in Argentina, ha lavorato dapprima assieme a mio nonno, una specie di capomastro. Fino a dodici anni ha scaricato e caricato mattoni nel porto di Buenos Aires, ma aveva altre ambizioni e decise di studiare. È divenuto avvocato e poi si è laureato anche in medicina. Quando è scomparso era candidato alla presidenza. Se non fosse morto, sarebbe stato certo presidente. Non ha lasciato nulla: o meglio, una poesia e qualche debito. Mia madre sì, era ricca. La sua famiglia, spagnola di origine, è argentina dal 1570, discende dal primo vice re spagnolo.” “Ho cominciato la carriera, se ricordo bene, a diciannove anni. La mia prima macchina è stata una Bugatti a quattro cilindri. Poi mi sono fatto le ossa sulle monoposto raffazzonate in Argentina, su un'Alfa Romeo otto cilindri con compressore, bellissima. Ho conosciuto mia moglie Isabel Haskell a Modena negli uffici della Maserati. Assieme abbiamo vinto due volte la 'Mille Chilometri' di Buenos Aires, poi la '12 Ore' di Sebring e tante altre gare.” De Tomaso con la moglie. Una monoposto di Formula Junior, categoria nella quale corse l'argentino. “Si, sono un lavoratore febbrile. Almeno lo dicono. Ma cos'è lavorare? Io mi diverto, facendo quello che faccio. C'è anche l'ambizione, si capisce, la voglia di emergere. Fondamentalmente credo che il successo sia legato all'educazione, cioè alla cultura. Io sono stato allevato secondo un sistema molto vicino a quello inglese, una base importante. Leggo moltissimo, sono appassionato di storia, di storia dell'arte anche. Credo che in nessun paese ci possa essere una vera evoluzione se non c'è una cultura profonda.” “CREDO NELL'ITALIA E L'HO DIMOSTRATO” “Quanto alla mia attività, ritengo che l'obbiettivo dell'industriale sia manifestare coraggio nel fare nuovi investimenti. Per superare l'attuale pessimismo, anche. Credo nell'Italia e l'ho dimostrato. Credo in quella caratteristica degli italiani che per me ha del sensazionale, l'essere capaci di arrangiarsi, il saper creare qualcosa dal nulla. Parlo un po' tutte le lingue: francese, inglese, spagnolo e portoghese. Ma preferisco l'italiano perché in Italia sono nato come costruttore.” Una Vallelunga del 1966. “Non abbandono mai nessun progetto. Nemmeno quello della macchina elettrica. La mia attuale situazione non mi permette però di disperdere energie verso troppe direzioni. Penso comunque che in un futuro non lontano la macchina elettrica avrà la sua parola da dire. “Sono partito dal mondo delle corse; al mondo delle corse ci sono tutt'ora e rimango affezionato. Anche se ho avuto qualche amarezza, anche se mi è toccato soffrire il sacrificio di Piers Courage. Guidava una mia macchina, una monoposto che aveva già dato buoni risultati. Chiunque corra in automobile sa che ha dei rischi. È come il sarto che si punge con l'ago con cui sta cucendo. Chi realizza macchine da corsa sa che il pilota molte volte può anche non tornare. Ho sentito un dolore profondo per Piers e una grande pena per la moglie e le sue due bambine. Ma si vede che era il suo destino. Sono i rischi del mestiere.” La De Tomaso F1 3 litri, programma sospeso dopo la morte di Courage. “Oggi, per esempio, dovremmo rispettare tutte le prove di inquinamento atmosferico. Non raggiungeremmo potenze enormi ma avremmo motori che potrebbero ispirare le vetture di ogni giorno.” Una sport “cinque litri” che fa parte del mini-museo di De Tomaso. Il motore è un Ford rivisto e potenziato dall'argentino. Non ha mai corso. Più che un'autodifesa, è un autoritratto. E chi lo conosce sa che non è facile pescarlo in vena di sincerità. “Mi piace la gente con la testa. Non è vero che non dico mai la verità, anche se le bugie ci vogliono, sono una salvaguardia. Il mio linguaggio? Ironico? Disincantato? Io sdrammatizzo. Bisogna essere capaci di prendersi in giro: perché abbiamo sempre troppa tendenza ad ingrandire, a creare atti di eroismo che tali non sono, che sono semmai un aspetto della contestazione: come la moda, una contestazione alla portata di tutti. Sono contento? Nessuno è contento di quello che ha fatto. Voglio andare avanti.” Occorre altro? Direi di no. Questo è l'uomo, prendiamolo a scatola chiusa. Socchiusa, sarà meglio, dopo che si è manifestato. Ora abbiamo una letterina, scritta da Alejandro alla rivista AutoSprint per lamentarsi di.... beh leggete. Da Autosprint Con questa durissima lettera, Alejandro De Tomaso non smentisce certo quel temperamento “focoso” che ne ha fatto un personaggio di primo piano nel mondo automobilistico, né quello spirito battagliero che ha trasfuso nella sua azienda. Rispondendo, sia pure indirettamente, alla lettera che l'Avv. Mazzi dell'Alfa Romeo ci scrisse qualche settimana fa, pubblicata e commentata da AUTOSPRINT nel n.8, il costruttore argentino lancia una sfida singolare ma non certo priva di importanza pratica: prima ancora che sulle piste, egli con la sua Pantera gruppo 4 “sfida” gli altri costruttori ad una gara di solidità con un'ostentazione di sicurezza che non può venire che dalla certezza del risultato. Non dimentichiamo che la Ford, nel suo campo sperimentale, sottopone ai massacranti “cicli di fatica” praticamente tutte le vetture della produzione mondiale. Quanto alle foto, si tratta di un documento molto interessante che dobbiamo alla cortesia di De Tomaso, e che pubblichiamo volentieri. Esse sono molto eloquenti, e dimostrano come effettivamente queste granturismo vengano sottoposte a prove tali da non far sorgere dubbi sulla loro robustezza. Ma veniamo alla lettera. Dalla rubrica “Il dito sulla piaga” - DE TOMASO SFIDA TUTTI “Caro direttore, hai perfettamente ragione quando parli dei 'pesi politici'. Che grande verità! La CSAI ha fatto una proposta alla CSI di cambiare i pesi delle vetture GT secondo la quale il nostro Pantera, che è stato omologato a 1180 kg, dovrebbe andare a pesare 1490 kg. E' una falsa illusione di alcuni costruttori italiani quella che, aumentando i pesi, si abbia l'assicurazione di vincere, ed in passato abbiamo già avuto la prova che l'aumento di peso richiesto dalla CSAI non è servito ai costruttori italiani per vincere! Se gli altri fabbricanti non sono capaci di progettare delle vetture robuste e leggere, non è colpa nostra. Io posso solo consigliare loro di comperare un Pantera, di studiarlo e imparare. Il Pantera di serie, con i vetri elettrici, l'aria condizionata, il riscaldamento speciale e con tutti gli accessori, pesa 1270 kg, rispettando tutte le norme di sicurezza presenti e future ad eccezione dei paraurti, norme 1973, che per il Pantera verranno a pesare 7kg. Il peso totale sarà quindi di 1277 kg. Il Pantera GT4 è stato omologato usando l'unico “artificio” che noi alla De Tomaso conosciamo: la nostra esperienza. Per correre con la formula “italiana”, dunque, noi dovremmo aggiungere 213 kg di zavorra sulla Pantera di serie. Sai, tutta la storia dei 'pesi politici' mi fa ricordare quello che ho letto un po' di tempo fa sul tuo giornale, ossia di quella vettura che montava un certo dispositivo di sicurezza al cui peso fu data la colpa del fatto che la vettura non vinceva. Il dispositivo fu tolto, ma la vettura non vinse lo stesso. Voglio concludere dicendoti una cosa. Come tu sai, il Pantera è stato sottoposto, in America, alla più massacrante delle prove di durabilità, su un percorso appositamente fatto dalla Ford Motor Company di Detroit, che, ti posso assicurare, è veramente terribile. Il Pantera ha superato brillantemente la prova. Ed ora io approfitto di questa opportunità per lanciare una sfida a qualsiasi altra vettura GT, di qualsiasi peso e cilindrata, a fare una prova di durabilità con la nostra Pantera GT4, purché la prova venga fatta su un percorso comprendente un rettilineo di 500 metri, con buche rettangolari di 35x70 e 15 cm di profondità, con tratti disseminati di grosse pietre che spuntano dal terreno per 30 cm, con salite e discese con pendenze del 15-20%, con tratti di pavè belga molto accentuato. Vedremo alla fine chi durerà di più, così noi potremo mostrare il nostro vero “artificio. Alejandro De Tomaso – Modena P.S.- Come curiosità, ti mando le foto del Pantera di serie scattate dopo la prova di urto frontale a 50 km/h contro una barriera fissa. (scusate le foto penose, queste erano...) Come puoi vedere, la foto laterale dimostra in modo chiaro ed evidente la perfezione con cui è stata superata la prova. Il compartimento passeggeri è intatto, il volante ha avuto uno spostamento di 28 mm, il motore non si è mosso neanche di 5 mm, il parabrezza non è stato espulso e le porte, nonostante le deformazioni, non si sono aperte durante l'urto e dopo si potevano aprire e chiudere bene. Le ruote anteriori sono rimaste in parallelo partecipando all'assorbimento dell'urto. Il cofano posteriore non si è spostato neanche di 2 mm ed è perfettamente funzionante. Queste prove sono state fatte con una vettura che pesava 1270 kg. Ovviamente se la prova fosse stata fatta con la vettura da 1180 kg i risultati sarebbero stati ancora migliori. I testi che avete appena letto si rifanno al periodo in cui De Tomaso e Ford camminavano assieme nel mondo delle GT. Però, come sappiamo, un bel giorno ci fu il patatrak. Il testo qui sotto, basato su articoli pubblicati da AutoSprint, ce ne parla. DIVORZIO ALL'AMERICANA Imprevedibile, vulcanico, eclettico, così è stato sempre definito De Tomaso, da quando nel lontano 1954 approdò in Italia. Prima come corridore fece parlare di sé, poi la passione per le auto lo trasformò nel 1958 in costruttore. Da allora è stato continuamente in ascesa. Hanno fatto la storia le sue iniziative a sorpresa, anche a volte annunciate e mai realizzate. Ma è sempre stato negli ultimi anni sulla cresta dell'onda, con l'abilità propria dei Big-Manager. A fine 1972 i colpi di scena pirotecnici, marca De Tomaso, si sono moltiplicati. Dalla bomba Guzzi alla rottura con la Ford. La grande di Detroit, di cui De Tomaso era uno dei vicepresidenti, gli compra il 20 per cento delle azioni che rimanevano all'argentino-modenese, della fabbrica d'auto che porta il suo nome e produce le Pantera e le Deauville, e lo liquida con un assegno a detta di molti vistosissimo, per altri ridottissimo. La notizia coglie di sorpresa il mondo automobilistico e quello finanziario e ancora ci si chiede perchè, che cosa sia successo all'interno del colosso di Detroit per giungere ad una rottura così repentina. Le ragioni possono essere tante, piccole e grandi,ma forse una è molto vera, la più vera di tutte: l'invidia, il vero male della società moderna, a livello di uomini come di gruppi, di enti, di nazioni. Per capire le ragioni di questa “invidia” sfociata in un “licenziamento” bisogna andare un po' indietro nel tempo, quando in una riunione a Detroit di tutti i massimi dirigenti Ford, alla presenza dello stesso Henry Ford II, Alejandro De Tomaso nella sua qualità di vicepresidente chiese il “permesso” di acquistare la Benelli di Pesaro, perchè, spiegò, “l'affare è conveniente”. Henry Ford II in persona gli diede il permesso, senza il quale De Tomaso non avrebbe potuto far nulla, perchè la sua carica in seno alla Ford era incompatibile con l'acquisto citato. Acquistata la Benelli, una ditta con un forte passivo, De Tomaso dà nuova energia e linfa vitale all'azienda, che infatti dopo un anno da un fatturato di 3-4 miliardi passa a 10 miliardi con una previsione per il 1973 di 16-17. L'argentino di Modena, nel frattempo, entra in concorrenza con le super-moto giapponesi e lancia sul mercato moto super frazionate di grossa cilindrata. L'azione si sposta ancora una volta a Detroit. Nella solita riunione dei “big” Ford, arriva come un fulmine a ciel sereno la notizia che, bruciando le tappe, De Tomaso aveva acquistato il pacchetto azionario della Moto Guzzi che era in mano alla SEIMM, un ramo della IMI (Istituto Mobiliare Italiano), una delle principali banche creditrici della casa di Mandello. Bisogna precisare, a questo punto, che De Tomaso è anche presidente della Rowan, la società americana che ha la maggioranza della Benelli. La Benelli quindi ora si trova a sua volta proprietaria della Guzzi. Sembra un giro complesso ma la realtà è una sola: le due industrie motociclistiche italiane, che nel '72 hanno avuto un fatturato totale di 22 miliardi di lire e che occupano nel complesso 1800 operai, sono di proprietà di Alejandro De Tomaso. E ora ritorniamo alla famosa riunione dei “big” di Detroit. Voci indiscrete raccontano: nella lussuosa sala tutta di legno pregiato, con un fornitissimo bar ad esclusivo uso e consumo di Henry Ford II, tutti i maggiorenti dell'impero automobilistico fanno corona attorno al Gran Capo, il quale improvvisamente, fra un bicchiere di whisky e l'altro apostrofa De Tomaso dicendogli: “Allora siamo diventati padroni oltre che della Benelli anche della Moto Guzzi. Bravo, mi piacciono le moto.” Tutti sorridono e annuiscono soddisfatti alle parole del Capo. Solo De Tomaso, rimane imperterrito, si alza e precisa: “La Ford non c'entra nulla nelle due operazioni Benelli e Guzzi. Le due società sono di mia proprietà.” Per un attimo ad Henry Ford pare sia andata di traverso l'ennesima razione di whisky. Un silenzio glaciale è calato nell'immensa sala delle riunioni. Nessuno osava fiatare. La riunione veniva aggiornata e i “big” della Ford sfollavano. Tutti gli avvocati a disposizione sarebbero poi stati convocati per vedere come si poteva chiarire la cosa. Ford credeva che la sua proprietà fosse dell'ordine di 80 per cento e il resto di De Tomaso, anche nelle due nuove acquisite. Ma De Tomaso appariva invece in una botte di ferro e gli avvocati di Ford non potevano fare nulla. “Non gli possiamo prendere le moto, ma gli toglieremo le auto”debbono essersi detti a Detroit. Così scattava la cosiddetta “Operation Ghia.” Alla successiva riunione De Tomaso veniva liquidato. La De Tomaso Inc. (organizzazione di vendita negli USA) passava completamente di mano, la De Tomaso Automobili di Modena passava agli ordini di Mr.Head, già a Torino come vice di De Tomaso dopo il rilevamento in data 1 febbraio 1973, anche del 20 per cento delle azioni ancora in mano all'argentino. Appena arrivata la Ford decideva di spostare tutta la catena Pantera a Torino, presso le carrozzerie Vignale e Ghia. Si metteva in pericolo il lavoro dei 170 dipendenti modenesi che rifiutavano di andare a lavorare a Torino. In una conferenza stampa al suo ritorno dagli Stati Uniti, De Tomaso annunciava intanto che la Pantera avrebbe continuato ad essere venduta da lui in Europa e che aveva già in costruzione nei pressi del casello Nord dell'Autostrada del Sole a Modena, un altro stabilimento della nuova società De Tomaso Spa che in seguito avrebbe prodotto la Longchamp direttamente. Si schierava poi contro il trasferimento dei vecchi impianti e otteneva che fino a giugno la Ford avrebbe continuato a produrre le Pantera a Modena. Alcune illazioni sulla futura attività di De Tomaso cominciarono a circolare in ambienti finanziari nazionali verso la fine di gennaio. Si diceva che l'argentino, nato come industriale automobilistico, non si sarebbe certamente adattato a “pensare” solo moto; qualcuno diceva che era stato “contattato” dalla General Motors e avrebbe addirittura avuto l'incarico di acquistare una fabbrica di auto nel modenese. Le illazioni continuavano. Per esempio da parecchio tempo si diceva che la Lamborghini interessava alla GM. Si diceva che il socio svizzero di Lamborghini, che in un primo tempo si era opposto, sembrasse intenzionato ora a rinunciare all'opposizione perchè la piccola Urraco, l'utilitaria (si fa per dire) di S.Agata era in ritardo di oltre un anno per i noti problemi del motore che si rompeva troppo nei collaudi. Altra voce circolata era quella dell'interessamento di De Tomaso per la Iso-Rivolta, ma quest'ultima azienda è entrata recentemente nel giro di un'altra società americana che produce impianti refrigeranti, la Colaire. Sarebbe stata proprio la nuova iniezione di capitali freschi dall'America a permettere all'Iso-Rivolta addirittura il finanziamento della squadra F1 di Frank Williams. Si parlò di una “bomba”: trattative con la Citroen! Qualcuno pensò al rilevamento della Maserati, altri hanno detto – a rovescio – della possibilità che De Tomaso cedesse invece alla casa francese, per la sua “dependance” modenese Maserati, l'area de “La bruciata”, dove la Maserati avrebbe potuto spostarsi rinunciando all'area ormai troppo centrale di via Ciro Menotti. Alla Citroen occorre anche spazio per la produzione dei motori della SM, che poi sono anche quelli che con qualche lieve modifica equipaggiano la Merak. Per la SM, si vorrebbe poterla produrre direttamente a Modena. A questo punto la situazione è entrata in stallo. Dalla De Tomaso smentiscono tutto. Dicono che stanno lavorando nella nuova area, ma sembra che appaia poco. D'altro canto anche alcuni collaboratori molto vicini all'argentino se ne sono andati. La situazione appare fluida. Le uniche certezze sono che la Benelli non pensa di partecipare alle corse di quest'anno (anche quei milioni sono considerati necessari) e che la Guzzi – chaperon il suo nuovo presidente DeTomaso – ha appena presentato la produzione motociclistica '73. FINE p.s. Noi sappiamo come andò. Nel 1973 Citroen pose in liquidazione via Ciro Menotti, l'azienda riuscì ad evitare la chiusura e nel 1975 tramite la Benelli l'Alejandro mise le mani sul Tridente. Ma questa è un'altra storia... Cinque anni dopo quel 1975, altra intervistina, questa volta da parte di Quattroruote: siamo nel 1980. Questa volta Alejandro non ha molto spazio per divagare, perché è sottoposto ad una serie di domande tipo “intervista delle Iene”. In che anno nacque la De Tomaso? Industries? Sì. 1973. Prima si chiamava Rowan. Sede sociale? New Jersey. Lei, che percentuale controlla? Il 50,8%. Quante società ingloba la De Tomaso? Innocenti, Benelli, Guzzi, Maserati. E, negli Stati Uniti, alcune altre. Dipendenti? Fra America e Italia? Sì. Circa ottomila. In cassa integrazione? L'Innocenti, quattrocento. Il fatturato annuo complessivo? Duecento miliardi, uno più, uno meno. L'utile del 1979? Più di tre miliardi. E nell'80, quale sarà? Penso meno del '79. Troppo presto, comunque, per pronunciarsi. La De Tomaso Industries è quotata in borsa? Sì. Distribuisce dividendi? Generalmente, preferiamo capitalizzare gli utili. Quanto vale un'azione oggi? Oggi come oggi, fra i quattro dollari e cinquanta e i sei. Quanti sono gli azionisti? Duemila settecento. Più italiani o stranieri? Stranieri. Solo americani? In grande maggioranza. A quante aziende agonizzanti ha ridato vita? Quattro, cinque. Non sono mai entrato in un'azienda completamente sana. Perché? Preferisco conquistarla. Rimettere in sesto un'azienda è una sfida affascinante. Quando cominciò ad amare i motori? Li ho sempre amati. La sua prima vettura? Una Ford modello '21-'22. Oggi, quante ne possiede? Mie? Sì. Nessuna. Guida lei o l'autista? Mi faccio guidare. Il suo abituale mezzo di trasporto? L'aereo. Personale? Sì. La sua prima gara? 1949. Dove? Rosario, Argentina. L'ultima? Sebring. Perché smise di correre? Producevo già vetture: non potevo far bene le due cose. Per mancanza di tempo, insomma. Corse ne ha più vinte o perdute? Perdute. Vinte? Una ventina. L'alloro più prestigioso? La vittoria di classe alla 24 ore di LeMans. Ha nostalgia delle gare? No. Il più grande pilota dei suoi tempi? Fangio e Clark. Perché Fangio? Dominava l'automobile, purché sopra i due litri e mezzo. E Clark? Andava forte con tutte le vetture. E di oggi? Non ne vedo. E Lauda? Bravo, ma anche una grossa montatura: più italiana che straniera. La migliore vettura di formula 1 del mondo? Sono tutte uguali. Cos'ha reso grande Ferrari? Il genio. Tecnico o imprenditoriale? Più imprenditoriale. E anche grande costanza e capacità di soffrire. La sua filosofia d'imprenditore privato? Produrre alle migliori condizioni possibili, al servizio della comunità. Sono più in crisi gli imprenditori o i sindacati? Non facile mettere in crisi gli imprenditori in un Paese libero. E i sindacati? Sono in crisi. L'animo dei suoi dipendenti verso di lei? Non so. Il suo verso di loro? Un senso di dovere verso chi, appunto, appartiene alla comunità. È lei più vittima dei sindacati o più questi vittime sue? Più io di loro che loro di me. Tratta più volentieri con la CISL, la UIL o la CGIL? La CGIL. Perché? Più lungimirante. In che senso? Ha la convinzione che le aziende da noi amministrate domani saranno sue. Quindi non ne vuole il dissesto. Consulta spesso il consiglio di fabbrica? No. E' sempre solo lei a decidere quando premiare i dipendenti? D'accordo con i miei collaboratori. E li premia spesso? Direi di sì. Come? Con aumenti salariali di merito, riconoscendogli la professionalità. Le sta bene lo “statuto dei lavoratori”? Come legge concettuale, sì. E come applicazione? Assolutamente no. Ci vorrebbe anche quello “dell'impresa”? Sì. Richiederebbe a Mandelli la disdetta del contratto nazionale dei metalmeccanici, svuotato degli accordi integrativi aziendali? Credo di sì. Molte aziende, oggi, favoriscono l'inflazione. Quante ore l'anno lavora un addetto all'industria motoristica giapponese? Dalle duemila alle duemila trecento. E americana? Dalle milleseicentocinquanta alle millesettecentocinquanta. E italiana? Millecinquecento-millecinquecentocinquanta. I sindacati rappresentano ancora gli operai? Penso di no. Negli ultimi due anni il sindacato è cambiato? A parole. Cioè? Ha capito che un certo linguaggio non deve usarlo. Quale? Quello allusivo in qualche modo alla violenza, che però il sindacato continua a esercitare. Violenza calda o fredda? Fredda. Il suo salvataggio più sudato? La Maserati. E l'Innocenti? Meno. Chi detiene il pacchetto di maggioranza dell'Innocenti? In questo momento, la De Tomaso Industries. Lei quanto ha? Niente. Che aspetta a rilevare la maggioranza? Ma io lavoro per la De Tomaso Industries. Le gemme della sua corona d'imprenditore? E' come chiedere a un padre quale figlio ama di più. Le sue aziende sono tutte attive? Sì. Anche la Maserati? No. Nel 1979 ebbe perdite d'esercizio per un miliardo e seicento milioni. La Maserati è ancora sotto amministrazione controllata? No. Ma lo fu? Per un paio d'anni. Quando? Nel 1954. La situazione alla Maserati è ancora insostenibile? E' molto migliorata. Grazie a cosa? Alle lotte. Di chi? Mie e del sindacato. La Maserati si trasferirà nel Sud? Se a Modena non fosse ripresa l'attività che volevo, l'avrei trasferita altrove. Nel Sud? Trasferita. Nel Sud, comunque, qualche cosa farò. Cosa? Ci sto pensando. In quale Sud? Centro-Sud. Non teme le reazioni dei modenesi? No, perché il sindacato modenese in questo momento non vuole che le aziende modenesi s'ingrandiscano a Modena. E dove dovrebbero ingrandirsi? Nel Sud. Che sarebbe stato di lei senza la Gepi? Mi sarei rivolto altrove. Chi vuol fare trova sempre. L'hanno accusata d'astuta speculazione sui contributi statali? Sì, i sindacati. Su quale base? Essi non hanno bisogno di alcuna base, né alcun argomento, né per dire si, né per dire di no, né per accusare, né per assolvere. Ne è proprio sicuro? Sicurissimo. Toccati dalla grazia, agiscono per volontà divina. Produce più volentieri auto o moto? Non fa differenza. Ma produrre moto è più difficile. Perché? La meccanica è più complicata. Tecnologicamente, nel campo delle auto, siamo più avanti noi o i giapponesi? Non abbiamo niente da invidiare ai giapponesi. Anche in quello delle moto? Anche in quello delle moto. Quali concorrenti europei teme di più? Nel settore automobilistico, i francesi. E in quello motociclistico? I tedeschi. La BMW? E' un ottimo prodotto. E i giapponesi? Non riesco a concepirli come concorrenti in un libero mercato. Perché? La loro etica è troppo diversa dalla nostra. Sono concorrenti sleali per ragioni religiose. Il lavoro, per loro, è un valore morale. Bisogna fermarli con le leggi. E gli americani? Lealissimi. Non mi fanno paura. L'Alfa Romeo è più una grande marca o una grossa rogna? Una grande marca. E' favorevole all'accordo Alfa-Nissan? No. Fra i suoi colleghi imprenditori ha più amici o nemici? Difficile rispondere. Perché? Gli amici si riconoscono nel bisogno. Perché dice che, dal '69, la Confindustria ha gestito malissimo il problema sindacale? Ha forse favorito,presso una certa opinione pubblica, l'immagine di imprenditori che badano solo al proprio tornaconto, infischiandosene di quello della comunità. Lei ha sempre ragione? Come potrei, non essendo né di sinistra, né sindacalista? I fatti non l'hanno mai smentita? Qualche volta. Preferisce parlare o ascoltare? Dipende dall'interlocutore. Con le donne? Ascoltare. Deve il suo successo più alla fortuna o all'abnegazione? L'abnegazione propizia la fortuna. Alla spregiudicatezza o all'ottimismo? All'ottimismo. E' davvero come Mida? Quel che tocca diventa oro? No. C'è qualcosa di cui farebbe volentieri a meno? INDOVINI UN PO'. E qualcosa a cui non potrebbe rinunciare? Alla mia fede d'imprenditore. Quante ore al giorno lavora? Finché mi diverto. A che ora va a letto? Dopo mezzanotte. E si alza? Alle sei. Che fa, di lecito, quando non lavora? Giardinaggio e motocicletta. Guzzi o Benelli? Entrambe. E d'illecito? Meglio non dirlo. Come si rilassa, se si rilassa? Leggendo. Che cosa? Storia. Fa sport? Ne ho fatto molto da giovane. E alle donne ci pensa? Sempre. Ricambiato? Sono un gentiluomo. Ce ne sono di due tipi, lo sa? Cioè? Quello che si fa uccidere, ma tace: e quello che si fa uccidere, ma parla. Io taccio. Cosa leggeremo sulla sua tomba? Ma, fra un secolo, chi si ricorderà di me? (IO) A questo punto per me la domanda che rimane è solo una. Chissà cosa faceva di illecito nel tempo libero. EBBASTA!
  19. A proposito di Une un paio di esemplari molto ben conservati che girano in paese Una 55 S che da VC "44" mi dice 1984... e una 45 in giro ogni giorno come fosse il primo (la barcona seicilindrata dietro la Uno è puramente casuale ) Inoltre, foto dello scorsa estate in quel del Lago D'Orta, un esemplare della sua antenata, in forma smagliante In onore del Nick ho lasciato la provincia sulla targa nella vista posteriore Poi, se di rarità vogliam parlare... la storia ci insegna che la Croma con scritto solo "Croma" dietro era la? 1600. Ora, quante ce ne saranno ancora in giro? Eccone una (agosto 2011)
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