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PaoloGTC

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  1. Ma Vag non l'ha venduta a Mahle tanto tempo fa? E' cambiato di nuovo qualcosa? Anche io sono indietro (fermo alla Sierra 2v )
  2. Guarda che è solo l'elettricità dello schermo che attira la camicetta sintetica...
  3. Ussignur. Se ti riferisci al pranzetto di cui mi hai parlato al telefono... spero che sia un "famoso" in senso buono... non che qualcuno mi stia dando la caccia (la TransAm più veloce ora è sul ponte in attesa di marmitta.... non posso scappare lontano con una F-Bird con l'Iron Duke da 90 cv ) Riguardo i libri... c'hai ragione, vero vero... alla fine è sempre uno scrivere mettendo assieme. Chissà magari un giorno ne farò uno (visto che non c'è, sulla Tipo... così venderà sicuramente un sacco e siete tutti estasiati) (e ci sarà un motivo se non c'è 'sto libro anche se penso che un bel tomo sui retroscena industriali e di concetto del Tipo 2-3 sarebbe interessante...ma bisognerebbe andare mooooolto più a fondo per fare una cosa come dico io )
  4. Beh... famoso adesso non esageriamo (grazie per i complimenti qui sopra ragazzi... ma grazie a voi dico io, lo sapete che per me è un piacere) Scrivere un libro beh di mio ci sarebbe solo l'impegno nel mettere tutto assieme, per il resto non avrei molto di "mio" da raccontare... non faccio altro che continuare a pescare da carta vecchia che altri han buttato. Sicuramente mi direbbero che ho prodotto qualcosa col lavoro di altri.
  5. Dovrei modificarmi la faccia nella foto qui sopra e mettermene una incazzata. Che delusione. Ieri sera va in onda l'ultima puntata di "Matricole&Meteore", dove Kitt era fra i protagonisti. E' stata portata (chiesta da loro eh) una replica completata in tempo zero, facendosi il cosiddetto cu-lo, è stata perfino data in mano a Pasquale Laricchia (che durante tutta la stagione di Matricole ha fatto Super-Tar e quindi all'ultima puntata arrivava in studio DAVVERO con Kitt) che ha fatto il comodo suo, incluso burnout e pedate ricevute dal Cangurotto-Mastrota. Non è andato in onda niente... chi del fanclub ha assistito alla registrazione (erano ospiti, ma si vedono solo in alcuni ritagli di inquadrature seduti a fianco del digei angelo) ha detto che i tagli ed i ribaltoni di scaletta durante il montaggio sono stati mostruosi... insomma tutto per niente. Tra i tagli c'è stato anche il momento in cui appariva un imitatore di Maurizio Mosca... e quello è stato sacrosanto perchè la puntata è stata registrata tempo fa e Maurizio è mancato dopo... ma perchè levare Kitt e tutta la parte di trasmissione che lo riguardava... dopo tanto lavoro (partire da una TransAm con l'abitacolo vuoto e ricostruire l'armamentario di Kitt, funzionante, in due giorni vi assicuro che è un'impresa che lascia ben poche ore di sonno)... niente del tutto. Se salta fuori che è la Universal, che da sempre tratta i serial ed i fanclub come fossero delle pezze da piedi, che non fa mai uscire per tempo i cofanetti delle stagioni, che fa dei DVD senza uno straccio di sottotitolo, con episodi con l'audio che salta, senza mezzo contenuto speciale, che scrive sul retro dei cofanetti "Michael NIGHT"... insomma che non conclude mai nulla di buono.... però quando si tratta dei diritti è sempre pronta a rompere... (siamo andati a pubblicizzare il serial e lei stessa l'anno scorso a Montecatini, avevamo bisogno di preparare dei manifesti col tipico font "Knight Rider", ossia quello dei titoli di testa del telefilm... ce lo volevano pure far pagare) ... e ha chiamato e detto che Kitt non può andare in TV senza il suo permesso... io cerco la sede italiana e ci faccio un Turbo Boost dentro.
  6. L'uomo che fuma E' finito male quello lì, latitante braccato peggio di Osama (si fa per dire...) se non sbaglio è finito stecchito in un rudere azteco per via di un missilotto tutto per lui.
  7. Ma infatti da parte mia più che voglia di aprire un nuovo loop, era il pensiero (almeno dal mio punto di vista) di chiuderla una volta per tutte. L'hanno migliorata, e così a vista da chi se ne occupa da anni, sembra un lavoro che porta a qualcosa di ben più robusto di ciò che era prima. E ora ci metterei la parola FINE. Avanti con un'altra pippa.
  8. Io penso che 'sta storia del maglione avrebbe avuto un effetto migliore se lui l'avesse limitata a quando sta in azienda, ai momenti aziendali (anche quelli che vengono resi pubblici)... cioè magari in mezzo a tanti manager o quadri o chicchessia su e giù per l'azienda, lui in maglione con un certo senso dell'uomo che bada al concreto senza troppi fronzoli e facciate (intendo dire ciò che poteva far sembrare con quella mossa... non ciò che penso di lui... la mia opinione personale non è carina). Farlo così, ogni giorno, in ogni posto, in ogni occasione, in tutti i luoghi e tutti i laghi... diventa un "me ne frego", cambia di tonalità, diventa più arroganza... gli si additano tanti "me ne frego" quando fa le sue dichiarazioni (e spesso si ha ragione)... qui per me è diventato un altro "me ne frego", passa il limite. Tutto imho ovviamente.
  9. Ma alla fine che sia bruttina da vedere è il meno. Cioè, bruttina come stile (sempre nell'ambito dello stile delle cappelliere per carità... che non è che sono propriamente oggetti d'arredamento alla moda ) lo era anche prima... però almeno ora ciò che a bagagliaio aperto la rende poco estetica, è stato aggiunto per renderla più robusta rispetto alla ciofeca che era prima. Tra l'altro indagando sui tempi, credo che ciò sia stato fatto prima di qualunque uscita in pubblico o privato delle Giuliette in tour... quindi penso che nessuno di coloro che l'aveva testata tra Saloni e anteprime al chiuso, sia venuto a contatto col "primo tipo"... per questo motivo nascevano differenze di pensiero tra chi la conosceva prima e chi la vedeva dopo. Se si può trovare un appunto, ecco diciamo che in passato su questo particolare, pensato in altra maniera fin da principio, si era concluso tutto in maniera esteticamente migliore perchè i rinforzi che qui si vedono restavano all'interno e la cappelliera era fatta di due gusci con l'inferiore più lineare... ma la cosa finisce qui, bene che abbiano ritoccato, meglio brutta che debole. Prima era entrambe le cose.
  10. C'è sempre qualcosa da imparare. Non lo sapevo che la Mini si disguengava "straaada facendo svelerai, che anche tu sei di tola" Capito Mr.Bean che mette i lucchetti alle porte.... sempre stato troppo avanti quell'uomo.
  11. Una fotina sboronica. Sono troppo eighties (a breve qualche altra)
  12. Vero vero... l'avevamo anche postata tempo fa, parcheggiata in una piazza mi sembra. Forse proprio lo stesso prototipo. Oggi postavo foto della 166... ho recuperato due testi che inserii nel pc taaanto tempo fa, riguardanti la sua gestazione. Anche qui almeno imho vale il discorso dell'articolo sullo stile 75... non mi sembra il caso di aprire un topic... inserisco qui. Il primo "pezzo" è costituito dalle confidenze di un tester Alfa rimasto anonimo. NOI, COLLAUDATORI DELL’AMMIRAGLIA ALFA Forse voi non lo sapete ma la nuova “grossa” Alfa è già pronta da un bel po’ per il debutto. L’abbiamo costruita praticamente pezzo per pezzo, nelle officine di Mirafiori e di Arese; l’abbiamo collaudata dappertutto, in Italia, in Europa e persino in America. Si cominciò a parlare del nuovo modello, del progetto 936, all’inizio degli anni Novanta, quando ormai la 164, la prima grossa trazione anteriore Alfa, era da anni una bella realtà. Avendo a disposizione questa riuscita base di partenza noi collaudatori pensammo che sarebbe stato sufficiente perfezionare la meccanica, come motori e sospensioni, ampiamente provati su tutte le ammiraglie del Gruppo. Una novità comunque c’era già: la scocca era stata rifatta, era la stessa della K, quindi assai più rigida e ferma sulle ruote, con tenuta e prontezza migliori. Ma poi, mi sembra nel 1993, si cominciò a parlare di sospensioni più raffinate, più adatte al nuovo spirito Alfa. Perciò cambiammo in tempi brevi il retrotreno delle sportive, la GTV e la Spider. NUOVE SOSPENSIONI. Qualcuno di molto importante aveva detto che le Alfa sportive dovevano avere di più. E questo qualcosa in più era il nuovo retrotreno, un moderno multilink, ottimo nella guida sportiva ma ingombrante e che ci costrinse a un duro lavoro per sistemarlo sulla scocca. I risultati però si fecero subito sentire: per tutti la tenuta era davvero speciale, anche se criticavano il bagagliaio troppo piccolo. Ma l’evoluzione delle sospensioni non era finita: gli ingegneri proposero l’avantreno a quadrilateri deformabili (invece del solito McPherson) sicuramente più adatto allo spirito della guida Alfa. Del resto già altre trazioni anteriori, come le Audi, avevano ottenuto ottimi risultati seguendo questa strada. Fin dalle nostre prime prove notammo subito una maggior precisione di manovra, una risposta quasi immediata ai comandi dello sterzo, e di conseguenza derive in curva ancor minori. Risultato: una guida di prim’ordine, essenziale per il rilancio definitivo del nostro marchio. Eravamo sulla strada giusta. COCKTAIL VINCENTE. Dopo i buoni risultati della 156 e delle GTV-Spider, dopo tante prove, ripensamenti, analisi dei costi, discussioni di ingegneri e direttori, venne presa la decisione definitiva: il progetto 936, cioè la futura 166 avrebbe avuto il meglio, l’avantreno in alluminio a quadrilateri con retrotreno multilink che riscuoteva la nostra completa approvazione. Ora occorreva verificare la bontà di tutte queste soluzioni, scovare tutti i possibili microdifetti, verificare la resistenza all’affaticamento dei vari organi, sui percorsi più duri, sulle piste a nostra disposizione. Ci servimmo anche del vecchio, mitico Nurburgring, da noi considerato il più difficile circuito di prova, indicativo come nessun altro per valutare il comportamento alle alte prestazione. È questo il momento di ricordare come facciamo le prove. SI COMINCIA DALLE LANGHE. Qui verifichiamo il grado di efficienza iniziale della meccanica, la manovrabilità del cambio, l’affaticamento, la risposta degli pneumatici. Già in questa fase ci si rende conto del livello di tenuta, del comportamento dei prototipi nelle curve e controcurve così tipiche di queste zone. Stesso lavoro anche su e giù per la Cisa. Ma non basta. NARDO’, MASSIMO STRESS. La lunga pista circolare (12 km), è ottima per verificare le massime prestazioni, la resistenza degli organi meccanici allo sforzo prolungato, l’affaticamento dei motori, il comportamento delle sospensioni alle alte velocità. Con la 166 qui abbiamo fatto centinaia di giri. Con ottimi risultati perché nessun prototipo ha mostrato inconvenienti gravi nei 150.000 chilometri del ciclo previsto per le 166 a benzina e nei 200.000 per le diesel, banco di prova indispensabile per le Alfa che fanno delle prestazioni il loro punto di forza. BALOCCO, PISTA DI CASA NOSTRA. Dal 1964 tutte le Alfa sono state collaudate qui, dove sono riprodotti le curve più impegnative, i tratti più guidati. E proprio Balocco ci ha consentito di valutare, rispetto alla 164, i vantaggi della scocca più rigida e delle sospensioni a quadrilateri, scoprendo che con queste in curva eravamo più veloci, più sicuri. In sostanza la 166 teneva meglio le traiettorie. L’INFERNALE NURBURGRING. Qui facciamo i test speciali, portiamo al limite tutti gli organi più importanti per il comportamento della vettura. E proprio qui abbiamo potuto definire e collaudare le tarature delle sospensioni, i migliori angoli di convergenza e di incidenza, così importanti nelle trazioni anteriori a ruote indipendenti, per raggiungere un grado di tenuta superiore senza rinunciare all’ormai indispensabile comfort. È stato anche utilissimo per verificare l’efficienza dei freni sotto sforzo e definire la scelta degli pneumatici. LIVIGNO, APPROCCI COL SOTTOZERO. Andiamo qui soprattutto per una prima messa a punto della carburazione, dell’impianto di climatizzazione ad alta quota, al freddo più intenso, visto che questa località a poca distanza dei nostri centri tecnici, si possono raggiungere i 30° sottozero. LA MANDRIA, ECHI DEL PASSATO. È la vecchia pista di collaudo della Fiat che stiamo gradualmente abbandonando anche per motivi ecologici. Ma nonostante ci sia la più moderna pista di Balocco, proprio qui si provano le sospensioni nelle condizioni di carico esasperato, negli acciottolati più duri, nei guadi salini e fangosi per valutare la corrosione della carrozzeria e degli organi meccanici. SPAGNA, SICILIA, MAROCCO E USA. CALDO TORRIDO CERCASI. Prove estreme per controllare, ad altissime temperature, la resa della meccanica e, soprattutto, dell’impianto di condizionamento, determinante per la qualità della vita in auto. Anche in queste condizioni estreme, la 166 si è comportata secondo le aspettative. MIRAFIORI, SARA’ IL FUTURO? Si dice, scherzando, che Mirafiori è destinato a diventare il testing ground più importante del Duemila: qui infatti vengono condotte prove di laboratorio con criteri severissimi e banchi che simulano le situazioni più impegnative 24 ore su 24. Poi ci sono il collaudi al computer che fanno risparmiare molto tempo nei controlli delle caratteristiche costruttive. La 166 è nata dopo aver superato tutti questi collaudi. QUASI ALLA META. La vettura era già pronta per entrare in produzione a Rivalta, ma, quasi alla fine del ’97, inaspettatamente scoppiò il “caso Navigator”: infatti la Direzione decise di montare un moderno sistema di navigazione, ritenuto accessorio indispensabile per una berlina di classe. Ciò richiese numerose modifiche per alloggiare tutto il sistema nella console. Anche per questo la 166 debutterà sul mercato solo verso fine anno. Ma quando, finalmente, sarà in vendita sono sicuro che i clienti saranno più che soddisfatti del nostro lavoro. PROBLEMI RISCONTRATI - abbiamo rilevato che il potente V6 tre litri, con i suoi 230 cavalli e la sua poderosa coppia disponibile già ai bassi giri, all’uscita delle curve più strette riusciva a mettere in crisi l’avantreno. Problema risolto con accurate regolazioni degli angoli più caratteristici di sospensioni, ammortizzatori e barre di torsione. - lievi difficoltà iniziali con il funzionamento dei quadrilateri: abbiamo provato ammortizzatori morbidi per neutralizzare il passaggio sullo sconnesso, ma il problema sembrava irrisolvibile perché così c’erano reazioni inaccettabili per un’Alfa. Abbiamo anche avuto qualche problema a causa dei gommini degli ammortizzatori e soprattutto dei bracci dello sterzo non sufficientemente elastici per attenuare le reazioni del fondo; siamo intervenuti sulla geometria complessiva, con regolazioni particolari dell’idraulica degli ammortizzatori, sui tamponi e sulle dimensioni della barra antirollio che ci ha creato problemi di coesistenza tra tenuta e confort sino alla fine. Sicuramente elimineremo anche questi problemi prima dell’entrata in produzione. - al Nurburgring avevamo rilevato un’anomala e compromettente variazione di camber, che era addirittura doppia rispetto a quella concessa dal progetto, evidenziano anomalie di direzionalità. La vettura non sembrava possedere l’appoggio necessario a garantire traiettorie corrette, ma con la scelta degli ammortizzatori tutto è andato a posto. - sul micidiale Nurburgring i freni a volte si sono trovati in crisi; abbiamo rilevato un anomalo allungamento della corsa del pedale e aumenti degli spazi di frenata. Anche l’ABS in curve e controcurve veloci interveniva con troppo anticipo e tutto ciò rendeva la vettura poco rassicurante, se non addirittura critica nella guida al limite. Questo ha richiesto un deciso intervento di correzione su tutta la logica dell’ABS. DOVE HA PROVATO LA 166 ITALIA Balocco (Vercelli, pista Alfa) La Mandria (Torino) Langhe (Dogliani, Alba) Passo della Cisa Nardò (Lecce, anello di alta velocità) Livigno GERMANIA Nurburgring MAROCCO Deserto CALIFORNIA Valle della Morte FINE Il secondo invece è un'intervista a Testore, al momento della presentazione. COM'E' NATA L'ALFA 166 Roberto Testore e l’Alfa 166. Ma con uno sguardo anche a Fiat e Lancia. Ecco come l’amministratore delegato di Fiat Auto ha risposto alle nostre domande. Con quali ambizioni la 166 si presenta sul mercato? La ritiene in grado di sfidare la supremazia delle tedesche? “I tedeschi hanno fissato degli standard in questo segmento in cui sono padroni incontrastati. Del resto costruiscono macchine eccellenti. Evidentemente adesso non abbiamo intenzione di sfidarli nei numeri perché sarebbe del tutto irrazionale. Noi contiamo di vendere 40000 166 all’anno. Se ne venderemo un po’ di più saremo già contenti, anche se magari abbiamo obiettivi commerciali un po’ più ambiziosi. Abbiamo voluto fare una macchina che risponda a tutti gli standard delle vetture tedesche ma mettendoci dentro qualcosa di nostro: una linea molto particolare, un comportamento stradale a nostro avviso assolutamente straordinario e lo spirito Alfa Romeo”. La Lancia K ha avuto problemi di gioventù. E anche le prime 156 non sono state esenti da inconvenienti. Si sente in grado di assicurare ai clienti che la 166 sarà un’altra cosa? “Per la K abbiamo avuto problemi strutturali alle sospensioni e ai motori diesel, che poi abbiamo corretto. Per la 156 i problemi sono stati legati alla componentistica: avevamo scelto quella migliore sul mercato, quella Bosch, ma anche i tedeschi sbagliano. Altri costruttori hanno avuto problemi simili o addirittura strutturali. Succede. Nel caso della 156 il fornitore, peraltro ottimo, ha avuto qualche difficoltà, ma i problemi sono stati risolti. I nostri clienti sono soddisfatti. Con la 166 pensiamo di aver fatto un ulteriore passo in avanti in fatto di qualità strutturale. Noi corriamo su noi stessi perché è molto difficile confrontarsi con gli altri che in questo segmento hanno una qualità eccellente, e su di noi abbiamo fatto dei progressi”. Con la 166 la gamma Alfa Romeo ha raggiunto un assetto definitivo oppure si prevede di esplorare altri segmenti, altre nicchie? “Pensiamo che la declinazione della gamma debba essere più o meno quella attuale. Il marchio ci sembra ben posizionato. Confermo comunque che stiamo lavorando sulla versione station wagon della 156. Sempre per questa vettura, poi, all’inizio dell’anno presenteremo la nuova gamma di cambi automatici”. Nei giorni scorsi ho avuto occasione di guidare la 166 e se la macchina dal punto di vista dinamico mi ha favorevolmente impressionato, alcune cose non mi hanno invece convinto: l’abitabilità posteriore (due soli posti effettivi) e la qualità di alcuni rivestimenti, come quelli in tessuto dei sedili. “Come al solito, una vettura costituisce un compromesso fra tante cose. E anche il miglior compromesso non può costituire il meglio nei singoli aspetti. Soprattutto per un marchio caratterizzato come sono Alfa e Lancia, bisogna fare delle scelte e sostenerle. Dal punto di vista ergonomico ci sono degli aspetti numerici che dicono che la situazione non è male, anche rispetto alla concorrenza. Però concordo con lei: se ci mettiamo in tre sul divano, tanto spazio non c’è. Del resto non è fra i nostri obiettivi che qualcuno decida di acquistare la 166 per la spaziosità. In nostro sogno è che ci sia della gente che dice ‘la compriamo perché ci piace, perché ci piace la linea e ci piace guidarla’. Certo il padiglione posteriore della 166 non è fatto per ospitare gente molto alta, perché la fiancata ha una sua personalità e il compromesso che abbiamo raggiunto è a vantaggio dell’estetica, che per noi deve ricordare qualcosa. E pensiamo di esserci riusciti. Del resto l’Alfa Romeo non è mai stata la marca per la famiglia, non è la Volvo, e quindi bisogna avere il coraggio delle proprie caratteristiche. Per quanto riguarda i rivestimenti, pensiamo che la gamma sia ben rifinita; se poi scopriremo che non è così, è chiaro che interverremo”. Ci vuole riassumere come si diversificano le missioni strategiche di Fiat, Alfa e Lancia? “Fiat è un marchio di volume che deve piacere a tanti e deve connotarsi per due aspetti: l’ottimo rapporto qualità/prezzo e il coraggio di sviluppare delle idee. Di che tipo? Sono idee che per noi si rispecchiano in Multipla, idee sul modo di utilizzare una macchina, sull’architettura, che facciano discutere. Quindi un certo coraggio nel provare certe soluzioni. E poi deve essere un marchio allegro, che vada bene per tutti. Alfa Romeo è il marchio per quelle persone che amano guidare, che vogliono farsi vedere in giro con una macchina che si nota. Quindi vetture caratterizzate da una forma aggressiva, da un comportamento su strada eccellente, da motori e meccanica interessanti. Lancia è il marchio per persone che amano il confort e l’eleganza, ma un’eleganza che non deve farsi notare, più, come dire, simmetrica. E poi grande qualità dei materiali e tecnologia mirata più al confort che alla prestazione, con un’estetica che si sposi con questo tipo di idea”. Nelle classifiche di vendita europee l’Alfa Romeo vale un modesto 20. posto. Vendono meno solo marchi come Skoda, Suzuki, Chrysler, Saab, Subaru e Daihatsu. E anche Lancia, con la K, non è che stia meglio. Quali sono le ragioni di questa persistente debolezza oltre confine? “Alfa Romeo era un marchio che un anno e mezzo fa, leggevamo, era dato per spacciato. Fortunatamente, nella modestia della nostra sfida, quest’anno dovremmo raggiungere le 200000 vendite, ed è un grande progresso, con un incremento del 40-50%. Il sogno di chi gestisce un marchio come questo non credo sia quello di fare volumi, ma di avere la coda di clienti che vogliono comprare le tue macchine. Poi uno decide quante produrne. Ma indubbiamente di strada ne abbiamo ancora tanta da fare. La Lancia è in una situazione diversa: ha una minore notorietà all’estero e per questo stiamo cercando di rinforzarla lavorando sulla rete; poi in questo momento è debole al centro gamma, ma l’anno prossimo con l’arrivo della nuova Dedra colmeremo questa lacuna. Per la K scontiamo i problemi che la vettura ha avuto al debutto. Tuttavia i recenti aggiornamenti sulla vettura hanno avuto una risposta positiva dalla clientela. Certo, rispetto al lavoro che abbiamo fatto per Alfa, con Lancia siamo temporaneamente un pochino indietro. Ma siamo fiduciosi che acquisiremo nuovi clienti, perché stiamo facendo macchine con una loro personalità”. GTC
  13. Buona così. Lo scrivo giusto per testimoniare che tal discorso, partito da me, comprendeva il beneficio del dubbio su cosa poi avrebbero fatto per ovviare al problema di una certa mancanza di consistenza (scrivevo che era reale ma che potevo parlare fino ad un certo punto e ad un certo momento... e che prima di arrivare al debutto si sperava che qualcosa su tal particolare cambiasse per ovviare ad un problema che comunque C'ERA). Infatti ho appena avuto l'occasione di mostrare la foto qui sopra alla persona interessata, che mi ha testimoniato che è stata modificata. Le tre nervature a banana sono state aggiunte, il disegno è stato modificato rispetto al primo capitolato, che comunque era stato rispettato. Evidentemente il problema della fragilità c'era e non era una voce messa lì tanto per screditare, ma comunque, è stato rilevato e vedo le modifiche coi miei occhi. E ripeto, buona così. Lo dico da parte mia perchè quel che è giusto è giusto, non sono fra quelli che ora gli rode il deretano se si parla bene di questa macchina. Un problema C'ERA. Vedo a quanto pare che è stato risolto. Buono così.
  14. Oh mi sa che pure Cougar ha venduto di più di questa, almeno in Italy. Io qualche coupettona Ford l'ho vista in giro negli anni.
  15. Imho macchina che poteva esser molto migliore con un diverso anteriore... i fari ancora ancora ma sarebbe stato meglio averli diversi... e soprattutto quella boccona per me rovina tutto, pesante e sgraziata. Il resto mi piace molto... ma tanto anche se fosse stata più bella... si sapeva già... era un suicidio già in partenza. Erano altri tempi quelli di auto come Calibra che colpiva e veniva via per meno di 30 milioncini se uno si accontentava di tot cavalli. Anche se non eri premiummmm te la cavavi bene... qui si infiocchetta e farcisce tutto... ma si va a livelli di prezzi che è follia pura proporla. Il socio di bro bro pavese ne ha avuta per le mani una, venduta da un collega... ma ad un tizio così sfegatato della losanga da aver avuto in box anche una Laguna 2002 3.0 V6, una Avantime e di recente una Velsatis... quindi non fa testo.
  16. Di quelle ne ho un paio da videate colte durante un viaggio nei segreti dell'I.De.A di Moncalieri... e riguardano un'Alfa mai nata. Buoooni, buoooni... ho detto I.De.A di Moncalieri... quindi siamo in ambito di progettone state pure seduti è solo un'altro esempio di TipAlfa.
  17. Bella foto Max, grazie! Mi mancava questa Ho recuperato qualche 166. Vengono da Automobilismo... negli anni in cui la guerra fra la rivista e la Casa era abbastanza colorita. Dopo i bisticci che avevano portato addirittura la rivista a dover comprare le 156 per le prove, perchè la Casa non gliele aveva concesse, loro nell'articolo sulla nuova ammiraglia proseguivano con un certo puntiglio... criticando già negli articoli "anteprima" i nei che la vettura sembrava presentare. Qui invece vediamo quello che penso si possa considerare uno dei primi ibridi Giulietta-75. Qua, invece, più avanti nel tempo. Poi... visto che si parla di 75... ho cercato prima una discussione su di lei già aperta... ma non ho trovato molto... perchè come si era visto tempo fa, le discussioni su di lei finiscono sempre in battaglia e quindi non mi pare il caso di aprirne un'altra specifica. Però ho rinvenuto un breve testo, niente di speciale... una piccola analisi del suo design, unita al racconto (a grandi linee) della tempistica del suo sviluppo. Farei che inserirlo qui, tanto non è un malloppo molto lungo. Sotto, ho aggiunto un lavoro di photoshop personale (lo so, realizzata in modo pessimo) che traduce in immagine il discorso sui suoi stilemi e sulla loro provenienza, e familiarità con gli altri modelli della gamma. (premetto che riporto il testo parola per parola, quindi se vi fossero inesattezze, rivolgetevi alla rivista ) CREATA D'ISTINTO (da Auto-1985) La linea dell'Alfa 75 è nata quasi d'istinto, dallo schizzo disegnato su un pacchetto di sigarette dall'architetto Ermanno Cressoni, il responsabile del Centro Stile Alfa Romeo. Il design ha rivelato subito un carattere ben delineato, esattamente come desideravano i dirigenti della Casa di Arese. Tuttavia per concretizzare questo progetto non sono mancati i problemi stilistici, determinati dai vincoli imposti dalla base di partenza sulla quale si doveva lavorare: la parte centrale della carrozzeria e il pianale della Giulietta. In pratica il passo, le carreggiate, la forma dell'abitacolo stesso e degli sportelli sono rimasti invariati, limitando le possibilità di intervento sul proporzionamento dei volumi e obbligando a riproporre il tema del cuneo per restare in armonia con l'inclinazione del profilo inferiore dei finestrini. In quest'ambito gli obiettivi che l'architetto Cressoni e i suoi collaboratori si sono prefissati sono stati sostanzialmente quattro: -una linea appariscente, riconoscibile immediatamente in qualsiasi condizione e da chiunque, che richiamasse il concetto di sportività senza l'ausilio di sovrastrutture; -un'aerodinamica corretta; -un bagagliaio sufficientemente ampio; -un vano motore che consentisse anche l'alloggiamento del propulsore a sei cilindri destinato a rappresentare il salto di categoria, equipaggiando la versione più lussuosa. Trattandosi, in conclusione, di rifare la pelle alla Giulietta, lo studio della linea nei suoi tratti fondamentali è risultato molto guidato e si è rivolto soprattutto alla ristilizzazione dell'elemento che ne caratterizzava maggiormente l'immagine: la coda. Lo sbalzo e l'altezza del piano posteriore superiore sono aumentati, a tutto vantaggio del vano bagagli, e il lunotto ha incrementato la sua inclinazione. Grazie anche alla fanaleria, riportata all'altezza della targa, e all'eliminazione dell'accenno di spoiler è così sparito il tanto discusso “sedere d'anitra”. Lateralmente la retta definita dalla base dei finestrini ha subito un'impennata immediatamente dietro la portiera posteriore, ripresentando la soluzione della 33 per alleggerire e distinguere la massa del baule e, probabilmente, per esigenze di family feeling. Anteriormente è cresciuta la lunghezza del cofano ed è stata ottenuta una parziale schermatura dei tergicristalli. La forma del tetto e dei montanti anteriori e centrali invece non è mutata, se si esclude l'eliminazione dei gocciolatoi sostituiti da carenature di raccordo. Lungo la fiancata si è aggiunto un listello di plastica nera per sottolineare il profilo a cuneo e per meglio raccordare, unitamente alle modanature sottostanti, realizzate tramite piegature della lamiera, il frontale basso e sfuggente con la coda massiccia. Per il motivo dei grossi montanti posteriori e il disegno dei passaruota si è tratto suggerimento dalla 90, mentre a tutti i gruppi ottici, dopo alcuni studi stilistici, è stata data la forma di trapezio invertito a sviluppo orizzontale, che se posteriormente ha accresciuto le affinità con la 33, ha conferito al muso un'impronta caratteristica ed originale. Per quanto concerne il lato aerodinamico non si sono cercati progressi da primato, del resto difficili da ottenere per le troppe imposizioni, ma si è puntato soprattutto alla canalizzazione dei flussi per raggiungere il massimo in termini di aerazione interna e raffreddamento del motore e per dare alla vettura un ottimo equilibrio dinamico anche alle velocità più elevate; a questo proposito è stato esaminato pure il comportamento dell'aria nel sottoscocca giungendo al posizionamento di uno spoiler sotto il paraurti posteriore che ne indirizza l'uscita. Il giudizio è ovviamente soggettivo, ma bisogna riconoscere che la 75 anche se non possiede l'eleganza discreta di alcune concorrenti è un'auto che colpisce. La striscia che percorre le fiancate e la coda è molto vistosa ma incattivisce il tutto, e la linea a cuneo, ancora più accentuata che nella Giulietta, dà quasi l'impressione di movimento anche a vettura ferma. Forse è proprio la zona dell'abitacolo che sembra nuocere all'omogeneità delle forme con qualche taglio netto e qualche spigolo di troppo. La parte anteriore, da qualsiasi prospettiva la si osservi, è senza dubbio la più riuscita, specialmente nella versione 2500 Quadrifoglio Verde in cui l'ingombro verticale del motore ha imposto l'abbandono delle strane nervature del cofano convergenti verso il parabrezza. Come già detto, la 75 vista da dietro ricorda parecchio la 33, e forse per dissimulare questa somiglianza è stata aggiunta una fascia rifrangente arancione che unisce i gruppi ottici, ma l'effetto estetico è certamente discutibile e, specialmente sugli esemplari di colore scuro, risalta in modo esagerato in contrapposizione alla totale assenza di cromature. Il via definitivo alla nascita del modello K1 (quella che sarebbe poi divenuta la 75) è stato dato alla fine del 1981, e qualche mese dopo, all'inizio del 1982, è stata approvata la linea studiata dal Centro Stile Alfa Romeo. Ma prima di queste decisioni c'è stato un lungo periodo in cui altre scelte erano al vaglio della direzione della Casa di Arese, alternative che avrebbero modificato radicalmente la gamma del Biscione rispetto a quella che poi è stata negli anni a seguire. Nella seconda metà degli anni Settanta due possibilità erano state prese in considerazione per lo sviluppo dei futuri modelli Alfa Romeo. La prima prevedeva un rinnovamento della gamma sfruttando la meccanica e il pianale della Giulietta e dell'Alfetta per dare vita a due vetture (la 75 e la 90 appunto) derivate da queste come impostazione tecnica e stilistica. L'altra alternativa era basata su un completo rinnovamento della gamma medio-alta con la nascita delle berline 154/152. Per motivi legati ai costi di ammortamento e per evitare un taglio netto con la tradizione Alfa Romeo delle ruote motrici posteriori sulle berline di prestigio si è imboccata la strada che ha portato alla nascita della 75. (come ho scritto sopra, questo è semplicemente ciò che riportava l'articolista... abbiamo già visto in passato che i come e i perchè in queste vicende sono vari) Il progetto 154/152 prevedeva infatti la realizzazione di due inedite berline (la 154 al posto dell'Alfa 6 e la 152 chiamata a sostituire l'Alfetta e la Giulietta) a trazione anteriore, che avrebbero avuto vari organi meccanici in comune ma una carrozzeria completamente diversa fra loro. Un'altra delle motivazioni che hanno fatto preferire la soluzione dei tre progetti, K1 (75), K2 (90) e 164, è stata la convenienza dell'accordo con la Fiat per lo sfruttamento del pianale e di organi meccanici della Tipo4 torinese (vale a dire la Croma e la Thema) per la realizzazione della 164, la cui linea come si sa è stata disegnata di Pininfarina. Questo accordo, che risale al 1981, ha permesso di contenere i costi di ammortamento della berlina chiamata a sostituire l'Alfa 6, ma soprattutto ha rappresentato la tappa decisiva per l'avvio del progetto K1. Fu affidato a un noto carrozziere italiano e al Centro Stile Alfa Romeo il compito di disegnare la nuova vettura, che avrebbe dovuto avere una sua immagine ben definita. La 75 doveva diventare, come poi è stato, la berlina sportiva di Arese, mentre la 90 avrebbe impostato il suo successo sulla classe e l'eleganza. Il vincolo stilistico di dover riprendere la parte centrale della carrozzeria della Giulietta fu bilanciato dall'affidabilità dimostrata dalla struttura, che fra l'altro aveva il pregio di essere già stata collaudata per ricevere motori dalle potenze molto elevate, superiori ai 150 cv. Fra le due proposte stilistiche fu scelta quella elaborata dal Centro Stile Alfa Romeo. Nel marzo del 1982, dopo una serie di prove preliminari nella galleria del vento con un modello di gesso in scala 1:1, venne l'approvazione definitiva da parte della direzione generale dell'azienda. Va sottolineato che fu una scelta coraggiosa, poi avvalorata dalle preferenze del pubblico, in quanto alcuni elementi, come la coda particolarmente alta o la modanatura scura che percorre tutta la parte superiore delle fiancate e del posteriore, erano sicuramente fuori dai normali concetti stilistici. A questo punto vale la pena di conoscere le altre tappe più significative del progetto, dopo aver visto come è stata sviluppata, qui sopra, la linea a cuneo della 75. Nel febbraio del 1983 ha visto la luce il primo dei 12 prototipi previsti allo scopo di affrontare le prove strutturali. A giugno è stata poi la volta delle scocche cosiddette di primo montaggio, realizzate per verificare la validità degli allestimenti (interni, componentistica, accessori) preparati nel frattempo dai fornitori esterni. Nel febbraio del 1984 è stato approntato il primo lotto dei cosiddetti prototipi di industrializzazione, ancora artigianali, per potere risolvere tutti quei problemi connessi con il passaggio alla produzione in serie. Nell'ottobre dello stesso anno vengono poi costruiti i 10 esemplari della prima preserie, a cui segue un altro lotto di 100 unità fra il dicembre 1984 ed il gennaio 1985. Le vetture vanno sempre più avvicinandosi a quelle che saranno le caratteristiche definitive della 75. Mancano ormai solo cinque mesi alla presentazione e l'ultimo, definitivo test viene affidato a 600 dipendenti dell'Alfa Romeo che collaudano per varie settimane i 300 esemplari della serie “zero”. Da questa “prova clienti” arrivano i riscontri definitivi: vengono effettuati una ventina di interventi migliorativi e così, il 22 febbraio del 1985 prende il via definitivamente la produzione in serie dell'Alfa Romeo 75. Non so se ai mods va bene che stia qui.... non mi pareva il caso di aprire un altro topic sulla 75... tanto bene o male il discorso finiva qui. Se però preferite fare diversamente, no problem. GTC
  18. Scommettiamo che io riesco a trovare il modo di farti uscire?
  19. Questo "pezzo" si basa sulla visita di un giornalista di Auto alla Sperimentazione Fiat, nel 1987. Lo riporto perchè includeva, a parte una spiegazione su come nasceva a grandi linee un nuovo modello, alcune interviste interessanti con aneddoti d'epoca, nonchè un contatto ravvicinato con una... Tempra. (le foto a corredo non sono esattamente centrate sul testo, ma sono di repertorio dell'epoca, senza una fonte precisa. Le ho inserite per dare un po' di colore al "mattone" ) Buona lettura. LA CREAZIONE Quando una vettura viene “scoperta” su strada, ancora tutta camuffata, vuol dire che sono già passati cinque o sei anni dall'idea iniziale. Una storia segreta, fatta di fatiche e discussioni, ripensamenti e prove continue. Tutto comincia come una partita di poker. I giocatori, però, hanno tutte carte bianche che solo più tardi si copriranno di semi, tutti di gran valore. Nessuno vuole giocare per primo. E' in ballo una specie di test, per saggiare la facoltà di ognuno nel prevedere come andrà a finire la partita. Perchè, intendiamoci, la conclusione è prevista tra almeno cinque anni. Resta inteso che il bluff, risorsa molto temuta nel poker, qui è assolutamente vietato. Non stiamo parlando, infatti, di una vera quanto costosissima partita a carte: abbiamo solo azzardato una battuta per cercare un paragone con l'antefatto del concepimento di un'automobile. Nei giocatori si identificano le funzioni aziendali della Casa. Le loro mosse danno il via a un progetto che coinvolgerà migliaia di persone e decine di altre industrie; non ultima, in ogni caso, l'economia del Paese. Si ingigantiscono perciò tensione e responsabilità. La nascita di un'automobile contrariamente a quanto la maggior parte delle persone suppone, non coincide con il periodo in cui i giornali diffondono voci e foto – più o meno rubate – dei soliti prototipi vistosamente camuffati. Tutto ciò non è altro che la conclusione – spesso volontariamente svelata - di una complessa gestazione iniziata cinque o sei anni prima. La storia è affascinante. Ed è meglio raccontarla senza la scontata enumerazione dei momenti, squisitamente tecnici e universalmente noti, che limiterebbero terribilmente l'economia della vicenda. Uno studio accurato - “Quando si parla di automobile, si deve subito identificarla con un fatto industriale – dice l'ingegnere Piergiorgio Tronville – La produzione artigianale non esiste più. Per diventare un fenomeno di massa, l'auto deve avere un prezzo accettabile. Va da sé che questo si ottiene solo con la produzione industriale di grande serie. Solo studiando ogni suo componente e assegnandogli una lunga durata nel tempo, se ne può ottimizzare la riuscita con un ovvio, rapido, ammortamento degli investimenti – sempre colossali – impegnati per produrlo. Tutto si muove per accontentare il cliente, poiché senza di lui non esisterebbe il mercato. Le nostre industrie, purtroppo, lo hanno intuito con ritardo. Per anni lo scopo fondamentale è stato quello di produrre. Non importava se bene o male. Produrre molto e basta. Tanto il mercato assorbiva facilmente qualsiasi prodotto. Solo in seguito la concorrenza tradizionale e quella più inquietante, dei giapponesi, hanno chiarito che era indispensabile fare qualcosa di più e di meglio, nell'esclusivo interesse del cliente. Secondo questa regola, si debbono cambiare solo le cose più evidenti, senza toccare quelle invisibili e sperimentatissime, sinché il progresso tecnologico non ne consigli la sostituzione”. Piemontese, 49 anni (all'epoca dell'articolo ovviamente, ndGTC), sposato, tre figli, Tronville è alla Fiat dal 1962. Nel suo palmares c'è anche la responsabilità del progetto Uno. L'ingegnere non ha difficoltà ad ammettere certi errori della nostra industria automobilistica che si trova ormai, però, in piena e felice ripresa. Preziosa quindi la sua testimonianza, visto che lui a quel famoso tavolo da poker sedeva già prima, e siede ancora per nuovi e ambiziosi progetti. La carta giusta – E' arrivato il momento in cui ogni giocatore cerca di lasciare all'altro il rischio di buttare la prima carta. Spetta quasi sempre al Marketing, impegnato con grande anticipo a scoprire quali saranno le categorie che acquisteranno l'auto ancora in embrione, la loro disponibilità economica, il volume che potranno assorbirne. Altra prerogativa del Marketing, piuttosto ingrata, è la stima dei costi del prodotto e il suo prezzo di vendita che ultimamente, però, è fatto soltanto dall'industria mondiale dell'auto, preoccupata di riuscire a collocare un'offerta che supera abbondantemente la domanda. La mano passa subito dopo alle Tecnologie. Debbono valutare i costi altissimi degli impianti, della manodopera e delle materie prime. E' a questo punto che, in linea di massima, si intuisce cosa aspettarsi dalla nuova automobile. Prevederne con un anticipo di almeno cinque anni il Cx (quello proposto adesso apparirà degno di un'astronave), quanto peserà, con quanti passeggeri marcerà, consumando e correndo chissà quanto. “Sono tutte notizie fumosamente offerte dal nostro particolarissimo cannocchiale puntato sul futuro – sorride Piergiorgio Tronville – e dovremo essere tanto bravi da intuire certe innovazioni tecniche che non sono state ancora inventate, perché il nostro prodotto non nasca già vecchio”. Ora le Tecnologie buttano la loro seconda carta e decidono se a costruire la nuova vettura sarà l'uomo o il robot. Stabiliranno, all'incirca, il costo di certi particolari (limitando enormemente l'opera dei progettisti che anni fa avevano invece incarico di realizzare prodotti che, soprattutto, funzionassero) assicurando al costruttore larghi margini di guadagno. Oggi si debbono inventare auto allettanti che costino però abbastanza poco. Buona parte del gioco è fatta e si può quindi stilare il capitolato di produzione. La Direzione Prodotto rilancia e raccoglie i suggerimenti di tutti e specie dei Commerciali. La Tecnica intanto scopre la sua carta, mentre gli Acquisti buttano sul tavolo la loro, comunicando la lista delle ditte esterne che dovranno sperimentare e produrre certi organi che sarebbe antieconomico produrre in casa. Il mucchio sul tappeto verde è corposo. NUOVISSIMA OGGI COME TRA DUE ANNI Sulla base delle previsioni (Cx, pesi, consumi, prestazioni e prezzi) la mano passa al Centro Stile per preparare i bozzetti della nuova vettura. Perchè, e può apparire strano, anche se dall'inizio della partita è passato più di un anno, nessuno ha mai immaginato la linea della nuova vettura. Solo ora comincia la ridda dei bozzetti che tutti i giocatori (e il più alto staff della Casa) esaminano con impazienza. Della miriade di disegni, solo tre o quattro diventano modellini in scala. Che poi, ampiamente modificati, assumono dimensioni reali. Contemporaneamente si pensa alla meccanica. Si sceglie un motore già esistente, si opta per uno nuovo di zecca o si cerca la via di mezzo. Al tavolo da gioco, intanto, arriva un personaggio scomodo. E' una specie di arbitro, Responsabile del Prodotto, che esamina il comportamento di ognuno, scartando certe giocate o modificandone altre, pur senza creare rivalità e mantenendo omogeneo il gruppo. “E' un impegno duro – ricorda Tronville, che ha curato il progetto Uno – perché senza creare malumori si deve evitare ciò che farebbe salire i costi di produzione”. Una riunione dopo l'altra fino ad esserne sfibrati. Ma il piatto è ormai pieno e il prodotto concepito: si può entrare nella prima fase di sperimentazione. Si fabbricano, a mano, i primi pezzi che passano all'esame dei tecnici. Mancano ancora più di tre anni all'uscita dell'auto ma le battaglie continuano. E' il momento in cui si analizzano, con più pignoleria, i costi e i tempi. Se qualcuno rilancia troppo in alto, interviene il solito arbitro. Tanto per avere un'idea, se il primo anno è costato 100, la sperimentazione costerà 1000 e l'attrezzatura 10000. Fatidico, perciò, il momento in cui la Direzione Tecnica (che ha sperimentato con successo quanto già esistente) dà il benestare per preparare l'attrezzatura di produzione. D'ora in poi, ogni modifica al progetto deliberato costerebbe cifre da capogiro, oltre che ritardi di mesi o anni all'inizio della produzione, seppure ancora lontanissima. Rischio altissimo - “Si definisce una vettura che uscirà tra più di due anni e che il cliente dovrà trovare nuovissima sotto ogni aspetto. Per questo temiamo i saloni dell'auto – rabbrividisce Tronville – ci vanno sicuramente i nostri grandi capi. Noi a Caselle attendiamo trepidanti il ritorno del loro aeroplanino e ci aspettiamo subito burrasca: ci chiederanno di mettere sulla nuova auto le più importanti novità che hanno appena visto, senza preoccuparsi se è già stata deliberata. Così dobbiamo perdere tempo prezioso per le modifiche. Vorrei che i saloni fossero molto più radi” conclude sorridendo. Certo si tratta di piccole cose, perché tra le Case c'è un tacito scambio di informazioni (non dimentichiamo che lo stesso fornitore lavora per Fiat, per Volkswagen, per Opel o per Mercedes. E certe cosette sono molto simili). Il ballo è in fase ormai avanzata; ora si fanno gli stampi della carrozzeria con una particolare fresatrice, detta Fenice, che riproduce esattamente le curve matematiche create da uno speciale computer, in tre dimensioni, su un blocco d'acciaio. E' come se doppiasse una chiave; bisogna pensare che fino a poco tempo fa si facevano i modelli di legno e i carrozzieri ci battevano sopra le lamiere. Con quali tolleranze è facile immaginare. Le prove pratiche – E' l'ora della sperimentazione più spinta. Tutti i componenti vengono messi sui banchi di tortura che li provano in gruppo, per favorire i confronti. Si fanno un gran numero di analisi metalloscopiche. Lo scopo comune è quello di evitare i difetti. “Fino a qualche anno fa era anche accettabile una percentuale di imperfezione del 10 o 20% - continua Tronville – mentre oggi una imprecisione dello 0,1 per mille è inaccettabile, anche perché dovendo anticipare di anni quanto si produce, e dovendo farlo durare a lungo, la perfezione è indispensabile”. E' interessante vedere quali sono i periodi di vita dei maggiori componenti di una nuova vettura. Il motore, sul quale adesso si concentrano gli sforzi della sperimentazione, può andare avanti – con ovvi aggiornamenti – per 15 e anche per 20 anni. Il telaio e la scocca debbono durare almeno una decina d'anni, prima di subire un radicale mutamento. La carrozzeria resterà intatta per pochissimo: circa tre anni. Poi subirà un leggero restyling, e un altro dopo altri tre anni. “Ma i ritocchi non sono obbligatori – spiega Tronville – per la Uno e per la Thema, per esempio, il restyling era già pronto da tempo. Lo abbiamo rimandato perché le vetture tirano talmente bene che è inutile sollecitare il mercato”. L'ultima smazzata – Ma la partita è in fase conclusiva. Le attrezzature sono già montate. Pronti i robot e i trasferimenti. Sono anche pronti gli allestimenti interni, la scelta dei tessuti per le tappezzerie è quasi ultimata. I prototipi scendono su strada e partono per i loro itinerari ripetitivi. I collaudatori simulano ognuna delle manovre che il cliente farebbe solo in casi d'emergenza, in modo da assicurare ai futuri guidatori la massima tranquillità. “Certo i problemi non finiscono mai. Ricordo che al momento di deliberare le sospensioni torcenti posteriori della Uno – conclude Tronville – si era verificata una serie inquietante di rotture ai pezzi sul banco. Su strada, invece, i guai erano minori. Ero talmente agitato che ogni notte avevo gli incubi. Poi, durante uno di questi sogni, rividi il movimento dei bracci al rallentatore e ne individuai il difetto. Al mattino mi precipitai in sala prove e, tanto per fare un tentativo, feci apportare la modifica che avevo visto in sogno. Funzionò, e quel particolare è diventato un fiore all'occhiello della vettura”. Mancano ancora centinaia di giorni, alla presentazione ufficiale della vettura, ma la storia diventa ancora più affascinante. ECCO LA TIPO 3: HO PROVATO L'ABITACOLO I prototipi sono veri pezzi di bravura. Fatti a mano, costano quanto una dream car da esposizione. Solo le grandi industrie ne allestiscono molti. Ognuno con caratteristiche anche appena diverse, per saggiare più soluzioni, utili a una migliore riuscita del prodotto. Chi non può mettere in strada molti prototipi e provarli per anni (qualche volta succede), è risaputo che non offrirà mai un'auto senza problemi. Tutti, più o meno, sanno come ogni prototipo viene sperimentato. Interminabili prove su strada di ogni genere, in qualsiasi clima. Marce in acquitrini densi di sale e lunghe soste in camere stagne con umidità al 98% distruggono le preziosissime vetture in meno di 20.000 chilometri. Ma l'esperienza è eccezionale e le vetture di grande serie ne fanno tesoro. Passando qualche ora nel misterioso e segreto centro prove e esperienze di una grande azienda (la Fiat, nel nostro caso) in mezzo a tanti prototipi che farebbero la felicità di ogni cronista, si scopre l'esistenza di una nuova Santa Inquisizione che, in raffinate camere di tortura tecnologica, infligge terribili sofferenze a scocche, sospensioni e cuscinetti. Motori che urlano, porte dilaniate da milioni di aperture e chiusure danno un quadro completo di quanto tradizionalmente si fa. Accanto alle torture più cruente, sono nati però dei banchi di prova che tentano di sostituirsi all'uomo-collaudatore, anche nelle prove su strada. “Quelle cosiddette di handling o di maneggevolezza – mi spiega l'ingegnere Mauro Palitto, componente della Direzione Tecnica e Sperimentazione Veicolo –; la messa a punto degli elaboratori che simulano le sollecitazioni della marcia su strada è già a buon punto e, in questo momento, ne confrontiamo l'efficienza con i risultati dell'opera di un uomo. A seconda delle prove che debbono affrontare, le vetture hanno attrezzature diverse”. Incontri a sorpresa – Si vedono automobili con decine di sensori di calore (termocoppie) montati sui freni, sul differenziale o sul cambio. Ce ne sono altre invece che hanno sensori per controllare l'eventuale torsione della scocca o l'affaticamento del motore e così via. “Questa vettura, per esempio, è attrezzata proprio per le prove di handling” mi dice Palitto. Romano, tra i quaranta e i cinquanta, affetto da grande e contagiosa passione per l'automobile, l'ingegnere mi concede un grande privilegio. La vettura attrezzata che mi sta davanti è un prototipo della chiaccheratissima “Tipo 3”, una media di grandi risorse che avrà, ovviamente, motorizzazioni diverse e quasi certamente i marchi Fiat e Lancia, con le solite differenze di allestimenti. Di certo è una delle cose attualmente più fotografate d'Italia, e provoca nel vostro cronista il classico tuffo al cuore. (agevoliamo "da catalogo" un'immagine del probabile soggetto) Camuffatissima, è più lunga della Uno ma dà la sensazione di essere molto compatta. Nell'abitacolo ha un enorme registratore di dati: “E' capace di memorizzarne oltre 150 contemporaneamente – spiega Palitto – e, in questo caso, deve registrare tutte le variazioni che sopporta la vettura sotto la sollecitazione dei diversi angoli di sterzo (per misurarli visivamente, il collaudatore può guardare un cerchio metallico graduato con una lancetta indicatrice, fissato al centro del volante). Il registratore fissa sul nastro se la macchina scodinzola, se e quanto si inclina, quanto ampie sono le escursioni delle sospensioni” dice l'ingegnere. Vedo che sotto la vettura c'è un braccio snodato che regge un minislick (di circa 5 cm di diametro) che, toccando il terreno, comunica le variazioni di assetto a un apparecchio basato su un reostato. La tensione dell'impulso viene trasmessa al registratore che ne decifra il valore e lo analizza, memorizzandolo per una successiva elaborazione che avverrà in laboratorio. Alla base di tutto c'è ancora il collaudatore: “Ma tra due o tre anni – anticipa Palitto – questi rilevamenti saranno effettuati totalmente in sala prova senza necessità di andare su strada”. La “prova” - Con la scusa di guardare meglio l'apparecchio mi metto al volante della “Tipo 3”. Plancia e strumentazione sono difese da un telo a “sagoma anticurioso”. Ne indovino comunque il profilo, a sviluppo più orizzontale di quanto non detti la moda corrente: quasi certamente la strumentazione sarà totalmente a cristalli liquidi. (insomma una Tempra SX e allora mettiamo un'altra immagine che non riguarda quel giorno ma serve a creare l'atmosfera ). La “3” sfoggia un abitacolo talmente spazioso (in rapporto alle sue dimensioni esterne) da suscitare l'immediato confronto con certe grandi vetture di segmento superiore. Alto il soffitto. Le porte, di dimensioni generose, hanno pannelli di grande semplicità con maniglie e accessori di forma inedita in casa Fiat. Piuttosto inclinato il parabrezza che, profittando del contenutissimo ingombro della plancia, accresce lo spazio vivibile dei passeggeri. Il lunotto è molto inclinato e farebbe pensare a quelli in uso sulle due volumi e mezzo; di più non si vede, perché il tutto è protetto da un alettone posticcio. L'osservazione è stata breve ma sufficiente a intuire quanto avveniristica sia l'impostazione di ogni nuova vettura. I COLLAUDI FINALI: LA PROVA DELLA VERITA' Esaurito lo scoop inaspettato, scopriamo i segreti del collaudo, com'era neppure tanti anni fa, con l'aiuto del principe del volante (come lo chiamano i manager della Fiat), al secolo il cavaliere Alberto Rostagno. Per quasi trent'anni capo collaudatore, ora in pensione ma consulente della Casa per le vetture più impegnative (come la Uno e la Thema Ferrari) il cavalier Alberto è entrato in Fiat “a quindici anni, con i pantaloni corti e pulivo i volanti” racconta lui sorridendo con la classe di un gentiluomo d'altri tempi. Piemontese sanguigno, Rostagno è stato il pupillo di Carlo Salamano, forse il più famoso dei collaudatori Fiat che si prese il gusto della paternità della messa a punto del miracolo 600. “Ma la fece troppo sottosterzante” critica dopo trentun anni Rostagno. Salamano godeva dell'amicizia del professor Valletta, quando a Mirafiori la famiglia era piuttosto ristretta e si conoscevano tutti. “Volle la 600 lenta nelle reazioni per evitare guai alla moltitudine di italiani che l'avrebbero avuta, e che non avevano mai guidato prima un'altra auto” ricorda Rostagno e parte a ruota libera in un fiume di aneddoti ed episodi che è un peccato non poter riportare. Paletti e fil di ferro - “Più di quarant'anni fa, quando i banchi prova non c'erano, si provava esclusivamente su strada. Si usciva con il sedile imbullonato sullo chassis, senza carrozzeria, e si andava su per le rampe di Superga. Ovviamente – continua Rostagno – i materiali, i lubrificanti e le strade di allora accentuavano centinaia di difetti. I guasti, durante le.... missioni, erano frequenti. Ma siccome allora (come oggi) era un disonore tornare in fabbrica rimorchiati da un'altra auto, facevamo riparazioni di fortuna, con il filo di ferro delle recinzioni e i paletti delle viti delle Langhe”. Praticamente tutte le vetture nascevano con certi difetti. A proposito della 125, Rostagno ricorda che fu il capro espiatorio del magico proliferare delle autostrade: “Le vetture di allora non erano mica progettate per marciare al massimo per ore intere. Così si rompevano. Ho percorso centinaia, forse migliaia di volte la Milano-Roma e più ancora la Roma-Napoli dove, nella discesa di Caianello, inesorabilmente si andava fuorigiri. Le Lancia, che provavano spesso insieme a noi, sbiellavano allegramente. I nostri motori invece resistevano di più ma si affaticavano. Portavo con me un motorista che prendeva nota delle temperature e del resto. Poi la notte, a Torino, si facevano piccole modifiche e via di nuovo al massimo sino a Napoli. Al ritorno altre modifiche, o si metteva un motore rinforzato. Così fino a quando la vettura non fu perfetta”. Ma è anche chiaro, ascoltando il principe, che diventare un buon collaudatore non è facile: “uno può farlo solo se ha il... sedere, per sentire quanto sta avvenendo in ogni organo della vettura e intuire subito l'eventuale modifica da apportare. Noi lo chiamiamo il punto critico” puntualizza Rostagno che ricorda la faticosa messa a punto della X1/9. “Mi faceva rizzare i capelli in testa, quando toglievo il gas in curva. Girava su se stessa come fanno ancora oggi certe BMW. Per farla stare in strada sono stato costretto ad aumentare al massimo la convergenza delle ruote posteriori, sacrificando un poco le prestazioni. Poi la tenuta della vettura diventò proverbiale. La storia è inversamente simile a quella della 128 coupè. L'avevo messa a punto con molto sovrasterzo in rilascio. Guidarla era un vero piacere. Dalla Direzione Tecnica però mi ammonirono - “Metterai in crisi i guidatori meno esperti” - mi dissero - “modificala”. Così dovetti farla abbondantemente sottosterzante. “Quanto hai dovuto tribolare per eliminare il bello di questa macchina” mi rimproverò allora Paul Frére, all'epoca consulente della Fiat. Lui, da autentico pilota sportivo, gradiva guidare usando molto il gas, ma è giusto che una vettura di grande diffusione abbia uno sterzo molto graduale, che perdoni gli eventuali errori del pilota. Pazienza”. Senza freni – Gli aneddoti si susseguono a raffica. La Dino, una stupenda vettura tolta precocemente di produzione, nelle prime uscite non voleva saperne di stare in strada. “Andava di qua, poi di là, e mi faceva prendere tanta paura. Mi servì tutta la mia testardaggine. Toccai un poco da una parte e un poco dall'altra e, alla fine, le diedi un assetto di giusto compromesso. E con la 1100 quasi mi ammazzavo – sorride (beato lui) Rostagno – Scendevo sparato dal Moncenisio imponendomi di non usare il cambio e di fidarmi solo dei freni, per provarli. Ad un tornante il pedale andò giù senza provocare effetti. Non c'erano muri da strusciare. Vidi una stradina che si arrampicava sulla scarpata. Per fortuna riuscii ad imboccarla. Andava in salita e così mi fermai”. E se si parla di freni, orrore, si apprende che anche certe vetture di nobile pedigrée non ne avevano. “Ricorda la 8V Berlinetta, che vinse una montagna di gare? - mi chiede Rostagno – Andava tanto forte anche perché non c'era verso di frenarla. Mi vengono i brividi se confronto le sue sospensioni con quelle delle sportive attuali”. Tuoni, pioggia e vento – E di curiosità di collaudo eroiche ne ricorda anche l'ingegner Tronville: “I prototipi della 130, quando arrivavano a 170 all'ora facevano il temporale: le sospensioni posteriori producevano un rumore simile a quello di tuoni, pioggia e vento. Accorciammo la scocca fino a farla diventare una specie di A112, cambiammo bracci e ammortizzatori ma non accadde nulla. Continuammo le prove, con grande sprezzo del pericolo, sulle stradine intorno a Pinerolo tra mucche e trattori. Viaggiando dentro il baule pensammo di aver individuato la fonte della vibrazione. Feci appesantire con delle lastre di piombo da quattro chili i bracci delle sospensioni e tornò il sereno. Inutile dire che le vetture di serie ebbero le sospensioni quattro chili più pesanti. Un'altra volta dovevamo presentare all'ingegner Giacosa, in Germania,il prototipo di un veicolo militare, paracadutabile, piuttosto simile ad un tavolo con le ruote. Mancavano poche ore quando da Torino arrivò la scatola guida. La montammo, ma con grande sorpresa vedemmo che per svoltare a destra bisognava girare il volante a sinistra e viceversa. Salvò la situazione il mio capo collaudatore che, in segreto, si esercitò a guidare con manovre invertite. Fu così bravo e fece un'esibizione tanto perfetta che nessuno si accorse di nulla. Ma oggi la figura del collaudatore è diversa. Si tratta di personaggi di enorme pignoleria che si identificano nel cliente più esigente. Viaggiano alla ricerca dello scricchiolio, del comando poco dolce, del bracciolo troppo morbido. Una volta, invece, badavano soltanto a far stare in strada la vettura. Ma tutto cambia, con la nuova filosofia del mercato che esige vetture sempre più soft, più accoglienti e sicure”. Tutto cambia, anche nell'auto, si sa. Così la romantica figura dell'uomo-collaudatore che guida notte e giorno, a rotta di collo, prende nuovi aspetti, ma resta comunque importantissima. “Ma – precisa ancora Rostagno – collaudatori si nasce” e lui, benché in pensione, non demorde. Oltre che studiare per Fiat sta mettendo a punto un suo servosterzo a depressione “rivoluzionario, piccolo e molto economico. Ma è ancora un segreto”. Fine. Qualcuno sa andare avanti con questa storia di servosterzo? GTC
  20. Secondo me sono anche peggio, in termini di peso e performance, rispetto alle D di venti anni fa, complice la ricerca della sicurezza e tutte le cose che abbiamo già vagliato come più o meno utili in tanti altri discorsi. Una D di vent'anni fa con 140 cv penso fosse più brillante di una Opel C che ansima anche con quella potenza (ma qui sappiamo che è peso, Euro, e via dicendo). Però oltre che con le D, mi fa veramente impressione vedere una Astra 1.7 pesare 4-5 quintali buoni più di una 164 TS prima serie. Questo senza voler ricadere nel loop "eh però la sicurezza è tutt'altra cosa, e vogliamo mettere i sistemi di bordo"; ok ok, tutto vero, e quasi (jmho) tutto giusto... però fa impressione. Ora per carità ben vengano queste casseforti su ruote... se hai la sfortuna di collaudarle, molto probabilmente sarai felice che esistano... anche se a me pare che ogni tanto chi ci lascia la pelle ci sia uguale, perchè si è alzato il limite oltre al quale esse impazziscono, e tale limite è sempre e comunque superiore a tutto ciò che possono fare per proteggerti da quel che hai combinato, secondo me. Di macchine accartocciate che parlano di gente che ha lasciato purtroppo questa Terra continuo a vederne tante anche di quelle moderne ultrasuper... sicuramente è accaduto a velocità superiori rispetto a quelle cui sbattevano auto di 30 anni fa provocando lo stesso risultato, e sicuramente c'è la media, nel senso che ad una velocità accettabile la protezione confronto a tot anni fa è al top. Però poi c'è il fatto che ci si incrocia, per strada.. penso alla mia mamma che ogni giorno fa una quarantina di km sulla Corsa B con neanche un palloncino ed una scocca fine anni 80-primi 90 (che ai tempi era andata benino ma oggi...)... se gli vola addosso qualcuno c'è da sperare che sia una sua simile... perchè se gli vola addosso la super C da 16 quintali siamo un po' al si salvi chi può. Penso anche a quando due di queste super C da 16 quintali si spatasciano a 80 all'ora per strada... è un bel botto ragazzi, come cinetica.. vero che c'è acciaio dappertutto ma io non è che son cosi tranquillo...
  21. Apperò questa si che è una sorpresa... non pensavo che l'avrei mai vista in questa situazione. Ma... nella mia parziale conoscenza ma anche ignoranza di tante cose... so che parto da un esempio che calza poco... però nel modellismo le Giuliettine vennero spesso proposte in livrea da corsa (una su tutte mi viene in mente la AlpiLatte Burago in 1/43... che mi pare sia stata negli ultimi anni riproposta anche nell'1/43 "di lusso", sia da negozio che da edicola...). La domanda è: Giulietta correva qui e là? Ci fu un campionato, non so un monomarca ufficiale... oppure altro, in mano a privati? Sarà una domanda un po' tonta ma è proprio una cosa di cui non so nulla.
  22. No purtroppo era una normale 2 litres... Che ti credi, se era una PRV mica la fotografavo, la compravo e la portavo subito in dono al nostro amico (ho come una visione di cosi tondi che mi volano dietro mentre scappo fuori dal cancello del palazzone)
  23. Molto bella, compliments! (Ale sabato paga da bere a tutti... anzi no il pranzo )
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