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PaoloGTC

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  1. Sarò ottantesco fino al midollo ma per me, parlando di esterni e rapportandoli alle varie epoche in cui hanno navigato, la migliore resta la prima. Giugi riciclava di continuo, c'erano proposte molto "Ibiza" presentate anche per la piccola Lancia che poi fu la Y10... in quel caso, seppure un po' più corta, era in pratica una Ibiza marchiata Lancia. Ricordo che sulla prima era famoso il trio di grandi nomi che avevano partecipato al progetto... Giugi per l'estetica, Porsche per i motori... System Porsche, e Karmann se non erro che aveva contribuito alla definizione degli interni. La cura VW cominciò a sentirsi con il secondo restyling se non ricordo male. Il primo donò alla Ibiza la nuova plancia con palpebra allungata e in cui sparivano i comandi a satellite attorno al volante (cervellotici e che avevano la particolarità di surriscaldarsi... furono perfino "Difetto del mese" su 4R)... in seguito ci fu il restyling fatto di nuovo musetto addolcito, fari con frecce integrate e non più sul paraurti, e mascherina ridotta (il primo restyling esteticamente aveva portato solo la mascherina in tinta se non ricordo male)... e qui mi par di ricordare che VW fosse intervenuta in vari aspetti della qualità dell'auto (che a dirla tutta sulle primissime serie era veramente pietosa come assemblaggio e finitura... mio zio come ho già scritto ne ebbe una... una serie di guai perfino ridicoli) Se fosse stata costruita con criterio, il rapporto qualità prezzo era imbattibile. Mio zio con poche lire più di 13 milioni dell'epoca, portò a casa la 1.5 GLX che aveva in dote un bel po' di accessori e come prestazioni era brillantuzza... però che dire... dopo sei mesi mio zio aveva i cosiddetti a terra. Imho comunque resta la più bella, rapportato agli anni. Faceva ancora parte del miglior design Giugi, che sempre imho finchè abbiamo viaggiato fra un po' di spigoletti ha vissuto la sua epoca d'oro... oggi non mi convince più tanto. La seconda serie, tanto quanto... mi garbava ancora anche se si era fatta un po' più ciccia (mi piaceva però il posteriore e la soluzione dei fari). La terza... pollice verso totale, imho. Le fiancate le avrei fatte ancora un po' più alte, massì leviamoli i finestrini tanto a che servono? Ammazza un metro di lamiera... Questa nuova... non l'ho ancora decifrata... davanti non mi dispiace.. dietro insomma... però in tutta la macchina in generale c'è qualcosa che non mi va giù e non ho ancora capito cos'è. Ormai comunque ritengo che sia una presenza piuttosto marginale.... in confronto con gli anni 80, dove imho fu più protagonista del suo settore.
  2. Parliamo ora un po' della 408, il prototipo che, si vociferava, stesse proprio antipatico a Enzo. La sua sigla misteriosa era nell'aria da tempo. Decifrarla non era difficile, per chiunque avesse dimestichezza con i nomi in codice in uso alla Ferrari. 408. Cioè quattro litri otto cilindri. E anche se qualcuno asseriva che, nella realtà, la sigla avrebbe dovuto essere 428, la sostanza non cambiava di molto. Il difficile, piuttosto, era attribuire un'automobile a quella sigla di tre numeri. A questo punto le ipotesi ed illazioni si sprecarono, giungendo al punto comune: sotto la sigla 408 non si nascondeva altro che la prossima berlinetta, insomma la Le Mans (F40). La realtà era ben diversa. http://www.conceptcars.it/italia/ferrari/4081.jpg http://www.conceptcars.it/italia/ferrari/4082.jpg http://www.conceptcars.it/italia/ferrari/4083.jpg http://www.conceptcars.it/italia/ferrari/4084.jpg (ho riportato le prime quattro di queste immagini via link da conceptcars.it perchè le viste diciamo ufficiali dell'epoca, di cui sono in possesso, erano pessime come qualità... la quinta se la cavava) 408 era il nome di una Ferrari tutta nuova, ma non di un modello di prossima produzione: si trattava invece del terzo (il più recente e anche il più rivoluzionario) dei tre laboratori mobili che a Maranello erano stati realizzati per mettere a punto le soluzioni per i modelli degli anni a venire. La 408 era dunque idealmente la sorella, benchè tecnicamente completamente diversa, della GTO Evoluzione e della grossa Spider Scaglietti di cui abbiamo parlato sopra. Ed era anche la più sensazionale delle tre: se la GTO Evoluzione costituiva uno studio il cui tema erano le prestazioni elevatissime, e se la spider carrozzata Scaglietti era un'esercitazione tecnica nell'uso dei materiali d'avanguardia, la 408 riuniva la scelta e l'impiego di soluzioni tecniche e tecnologia costruttiva così avanzate da permettere alla Ferrari di mantenersi molto avanti nell'evoluzione delle supercar verso il futuro. La 408 aveva inoltre un'altra prerogativa: era l'ultima Ferrari ideata e progettata da Mauro Forghieri, che in seguito era passato a Lamborghini. In seguito lo sviluppo 408 venne affidato al suo braccio destro, Ferdinando Cassese. Ma cosa aveva di così rivoluzionario la 408? Tutto. In ordine di realizzazione: -la trazione su tutte e quattro le ruote (realizzata per la prima volta da Ferrari e comunque secondo modalità e scelte tecniche del tutto diverse da quelle fatte in precedenza da altri costruttori) -un telaio di concezione del tutto originale -un sistema di sospensioni direttamente ispirate alla F.1 e tale da consentire l'adozione di un retrotreno sterzante come l'avantreno -una carrozzeria realizzata anch'essa in modo del tutto innovativo. Tante e tali novità da far passare in secondo piano il motore, che anche lui, pur essendo un 8 cilindri a V, non aveva nulla a che fare con i propulsori serie 208/328. LA TRAZIONE INTEGRALE Sulla 408 tanto le ruote posteriori quanto quelle anteriori erano motrici: la trazione era ripartita in proporzione diversa fra i due assali, il 70,7 % andava al retrotreno e il restante 29,3% veniva indirizzato all'avantreno. Fino a qui, nulla di nuovo sotto il sole: la ripartizione come descritta si era già rivelata vincente su vetture di caratteristiche sportive. Come tale anche il fatto che, in condizioni di aderenza disuguale di un assale rispetto all'altro, la trazione eccedente su una coppia di ruote venisse automaticamente trasferita all'altro assale, era una soluzione ormai nota: dalla Golf Syncro alla Delta Integrale, gli esempi non mancavano. La novità risiedeva nella soluzione scelta dalla Ferrari per risolvere la questione. Sulle vetture a trazione integrale prodotte in grande serie, a ripartire automaticamente la trazione provvedeva un giunto viscoso Ferguson, commercializzato da aziende specializzate quali la Visco Drive. Sulla Ferrari 408 però, il giunto viscoso avrebbe manifestato limiti legati alla potenza elevata (nell'ordine dei 300 cavalli) del motore. Il giunto Ferguson, infatti, aveva una risposta immediata e piuttosto brusca già alla minima variazione di velocità fra una coppia e l'altra di ruote, ma faceva sentire meno la sua azione quando la differenza di rotazione si manifestava a velocità particolarmente elevate e sotto la spinta di alcune centinaia di cavalli. Insomma, era un sistema buono per trarsi d'impaccio sulla rampa di un garage coperta dalla neve, e comunque una buona soluzione per vetture con potenze fra i 100 e i 200 cavalli, ma meno adatta ad una Ferrari da oltre 300 cavalli e da 300 km orari. Ai tecnici della Ferrari, quindi, per risolvere il problema, si proponeva una seconda alternativa: l'adozione di una centralina elettronica in grado di modificare senza soluzione di continuità, attraverso una serie di servomeccanismi idraulici, la pressione in un circuito idraulico comandante una frizione a dischi multipli in bagno d'olio interposta tra i due alberi di trasmissione. Una soluzione capace di far fronte alle difficoltà espresse poco fa, ma troppo costosa e complessa per essere usata in una produzione di esemplari in piccola serie. Per venire a capo dell'equazione costo-funzionalità, la Ferrari Engineering optò così per una soluzione assolutamente inedita. Fra i due alberi di trasmissione (anteriore e posteriore) fu interposto un differenziale epicicloidale, cioè in grado di trasmettere moto ai due assi con velocità differenti (appunto 70 e 30 di trazione). Collegato ad esso vi era, a fianco (e non davanti o dietro) un giunto idraulico con un normale olio minerale ad alta numerazione SAE, il quale si occupava, secondo il suo canonico funzionamento di trasmissione del moto differente da una girante all'altra grazie al fluido in cui sono immerse, di permettere una trasmissione della trazione senza bruschi o repentini innesti, sia in caso di fondi stradali differenti tra gli assi, sia in caso di repentini trasferimenti di carico in velocità. Oltre a tutto questo, il sistema aveva il pregio di avere costi di realizzazione e produzione in serie non disumani, e si dimostrava veramente efficace alle alte velocità, cosa essenziale per una berlinetta come la 408. Ferrari fra l'altro ebbe il merito di piazzare per prima tale giunto a fianco del differenziale, e non davanti o dietro come era già accaduto su altre realizzazioni (in gergo tecnico si definiva parallelo anziché in serie tra un motore ed un utizzatore... come può essere ad esempio tra i motori e l'asse dell'elica di una nave.) Ma le novità della 408 non si fermavano al complesso della trasmissione. IL TELAIO Sulla nuova berlinetta del Cavallino, una scocca centrale tipo nucleo monolitico sostituiva il tradizionale telaio a traliccio in tubi d'acciaio: un cambiamento di rotta storico a Maranello. Ma non solo: anche nella realizzazione di questo nuovo sistema erano state battute vie nuove. Uno dei problemi da risolvere era quello della rigidità del telaio, che doveva offrire prestazioni impeccabili anche nelle situazioni più estreme. Il telaio a traliccio usato in precedenza infatti garantiva sufficienti risultati solo a patto che si aumentasse in maniera notevole l'intreccio e il numero degli elementi impiegati nella costruzione, e questo influiva molto sul peso finale dell'insieme. Così, sulla precedente GTO Evoluzione il tradizionale traliccio era stato integrato da pannelli in materiali compositi in funzione di fazzoletti di irrigidimento (soluzione che poi fu presentata sulla F40 definitiva). Una soluzione efficace ma di complessa e costosa realizzazione, ma d'altro canto una soluzione come quella della 408 sarebbe risultata ancor più costosa e fu per questo che sulla F40 non apparve. Anche in questo caso, dunque, la questione da risolvere era l'equazione fra efficienza ed economicità. Per risolvere il problema la scelta cadde su una scocca in acciaio inossidabile disegnata secondo la tecnica CAD, sulla base delle informazione inserite dai tecnici, che permise agli stessi di realizzare in prima persona i particolari necessari senza l'ausilio di presse. Le varie componenti furono saldate senza soluzione di continuità mediante laser. Risultato: una scocca estremamente resistente agli attacchi atmosferici, pur non richiedendo verniciatura o altri trattamenti, perchè realizzata in acciaio inossidabile; economica da costruire, senza l'uso di presse o stampi specifici; di estrema rigidità alla torsione e alla flessione perchè ottenuta dall'unione di componenti saldate di continuo. La saldatura laser poi offriva un ulteriore vantaggio: quello di non esporre i componenti ad un forte riscaldamento esteso a vaste superfici, a tutto vantaggio del mantenimento delle originarie caratteristiche chimico-fisiche del materiale impiegato. Mediante due telaietti supplementari, anteriore e posteriore, montati su boccole elastiche, il motore e gli organi delle sospensioni venivano poi uniti alla scocca centrale. Con una innovazione anche in questa fase. Seguendo l'esperienza della formula uno, gli elementi che costituivano le sospensioni (i triangoli e i portamozzi) erano montati sul telaio tramite giunti a sfera tipo Uniball. Le boccole elastiche, dunque, non contribuivano a determinare le misure e le geometrie caratteristiche dell'avantreno e del retrotreno. In questo modo fu possibile predeterminare il disegno e le geometrie migliori per le sospensioni con la sicurezza che, una volta montate sulla macchina, le loro caratteristiche non avrebbero subito mutamenti di sorta durante il movimento della macchina stessa (sulle vetture di grande produzione, in cui le boccole elastiche entrano a far parte degli elementi costitutivi le sospensioni determinandone in parte le geometrie; per questo fatto alla compressione e all'estensione degli ammortizzatori stessi corrisponde una variazione delle geometrie, quindi anche del comportamento e delle risposte della macchina nelle varie situazioni). In più, il retrotreno poteva essere trasformato da fisso in sterzante (una soluzione che alla Ferrari Engineering non era ancora stata volutamente affrontata, ma che si diceva potesse essere risolta senza molte difficoltà) semplicemente collegando tra loro con una cremagliera i braccetti della sospensione posteriore, che al momento erano fissati in una posizione predeterminata appunto dai giunti Uniball. E non era ancora finita: le sospensioni della 408 erano ad assetto variabile a seconda della velocità della macchina. Fino a velocità nell'ordine dei 150-160 chilometri orari la macchina assumeva un assetto puntato verso il basso, con la coda più alta del muso: in questo modo la deportanza della carrozzeria si faceva sentire nella massima misura, a tutto vantaggio della tenuta di strada sul misto e sul misto veloce. Col crescere della velocità, però, la macchina assumeva un assetto via via più orizzontale, meno penalizzante per il coefficiente di penetrazione aerodinamica, fino a raggiungere un assetto leggermente portante alle massime velocità. Come avveniva tutto questo? In modo semplice ma funzionale. Il tachimetro, dal quadrante analogico ma comandato elettronicamente, informava una centralina computerizzata della velocità via via raggiunta dalla macchina. Il computer contenuto nella centralina, attraverso una serie di attuatori idraulici, metteva in azione quattro martinetti (posti in serie rispetto agli ammortizzatori) che facevano alzare o abbassare progressivamente la scocca. Due lettori ottici (in realtà, semplificando il concetto, si trattava di una sorta di fotocellule), collocati sulle barre di torsione, tenevano letteralmente d'occhio i movimenti della scocca rispetto alle sospensioni, informando passo passo elettronicamente la centralina circa le altezze raggiunte dalla macchina. Il computer metteva a confronto i dati ricevuti (velocità dal tachimetro e altezza dai lettori ottici), li confrontava con i dati contenuti nella propria memoria elettronica e impartiva di conseguenza ai martinetti gli ordini necessari attraverso gli attuatori idraulici. Il sistema era del tutto automatico, anche se sul primo esemplare di 408 che venne costruito, era stato mantenuto un comando manuale sulla plancia. Per rivestire una serie di contenuti così avanzati, alla Ferrari Engineering venne fatto ricorso ad una pelle altrettanto avanzata tecnologicamente. Non in alluminio, e neppure in acciaio o vetroresina, ma in una sorta di sandwich ottenuto dall'iniezione di una schiuma sintetica tra due fogli di materiale a base di tessuto vetroso. Spessore dell'insieme: 4-4,5 millimetri. I suoi vantaggi: -notevole leggerezza (largamente superiore rispetto all'acciaio), -facilità di realizzazione (quindi costi contenuti in caso di produzione in piccola serie), -risultati di ottimo livello in quanto a finitura e presentazione delle parti di carrozzeria così realizzate: la carrozzeria della 408 superò gli standard previsti dalle norme qualitative tedesche per l'inserimento nella classe A (la migliore) nella scala delle finiture. IL MOTORE Di fronte a tante novità, passava quasi in secondo piano il motore, che pure a sua volta era tutto nuovo. Si trattava, in effetti, di un propulsore tradizionale: un otto cilindri a V di 90 gradi da 4000 cc, con distribuzione a quattro assi a camme in testa e quattro valvole per cilindro, alimentato a iniezione, e capace fin dalla sua prima prova al banco di erogare 300 cavalli a 6250 giri. Gli uomini del reparto corse che lo avevano realizzato, non puntarono all'ottenimento di una potenza particolarmente elevata (studi in tal senso erano stati invece effettuati sul motore della GTO Evoluzione); l'attenzione fu piuttosto rivolta all'ottenimento di una apprezzabile docilità del motore grazie all'erogazione di una forte coppia motrice (38 kgm) a regimi ancora bassi (4500 giri/min). Tuttavia, la caccia alla potenza non avrebbe comportato alcun problema: il motore nacque con tutte le carte in regola, tecnicamente parlando, per ricevere un turbocompressore, il che avrebbe permesso di ottenere tanta potenza quanta difficilmente sarebbe stata sfruttabile nel traffico su strada aperta. Ciò non tolse che comunque la 408, che ai tempi di questa analisi tecnica non aveva ancora iniziato la vera e propria fase dei collaudi su pista e su strada, avesse aspettativa di una velocità massima tutt'altro che bassa: 310 km orari in assetto autostrada, cioè con la macchina il più possibile bassa sulle sospensioni. Il quelle condizioni il Cx riscontrato nella galleria del vento era quanto mai favorevole: 0,274 con la vettura in assetto di marcia e completa di tutta l'aerodinamica interna (condotti, radiatore acqua e radiatore olio), un risultato eccellente per una macchina estremamente compatta e poco slanciata (la larghezza della 408 era equivalente quasi alla metà della sua lunghezza: 1885 mm per 4220). Definito in pratica solo nei suoi elementi strutturali era invece l'interno della 408, rivestito quasi interamente in tessuto rosso di cotone antifiamma. A particolari di disegno classico e piacevole, come la coppia di sedili che andavano quasi ad appoggiarsi alla paratia posteriore dell'abitacolo (la macchina aveva ovviamente due soli posti), il volante Momo con la corona in pelle o il piccolo cockpit in cui sono inseriti gli strumenti analogici a comando elettronico, facevano riscontro elementi ancora in evidente via di definizione: i due tasti per il comando manuale dell'altezza delle sospensioni nel centro della console, o la semplice levetta, posta dietro la cloche del cambio, per il bloccaggio del differenziale epicicloidale centrale, o ancora la pannellatura interna delle portiere. (purtroppo in questo momento in cui posto non riesco a uploadare tutte le immagini, appena la rete si sbroglia un attimo, le posterò....e comunque, vorrei far notare che la vettura montava le leve multifunzione al volante famose per esser apparse su una certa 2 volumi Fiat che all'epoca doveva ancora arrivare ) Tutta la 408 d'altra parte, rivelava la sua natura di laboratiorio mobile in ogni suo aspetto, a partire dalla linea (del tutto particolare, a cuneo ma con il padiglione dalle estese vetrature arrotondate a sovrastarlo quasi come un cappello), chiaramente studiata con l'occhio rivolto più a migliorare l'efficienza aerodinamica che all'armonia dell'insieme. Eppure la 408 riusciva ad essere ugualmente una macchina piacevole, soprattutto perchè equilibrata e ricca di personalità: nel suo design era facile intuire che anche ciò che poteva apparire come uno scompenso nasceva in realtà da precise esigenze di funzionalità e tanto bastava a rendere apprezzabili anche gli aspetti meno tradizionali della macchina. L'ultimo primato fatto segnare, in questa lunga descrizione, dalla 408 (che non fu mai prodotta in serie, neppure limitata, anche se un secondo esemplare si aggiunse in poco tempo al primo, quello giallo di cui parlavamo ieri sera e che vedremo... mannaggia 'ste foto) fu il tempo trascorso dai primi tratti di matita sui fogli di carta millimetrata alla realizzazione della vettura marciante. Poco più di due anni. FERRARI 408, LA SCHEDA TECNICA Motore posteriore longitudinale asimmetrico 8 cilindri a V di 90° alesaggio e corsa 93 x 73,6 mm cilindrata totale 4000 cc rapporto di compressione 9,8:1 potenza massima 300 cv a 6250 giri/minuto coppia massima 38 kgm a 4500 giri/minuto distribuzione a quattro assi a camme in testa e quattro valvole per cilindro alimentazione tramite iniezione fasata Weber-Marelli a 8 farfalle lubrificazione a carter secco albero motore su 5 supporti di banco Trasmissione quattro ruote motrici trazione ripartita a 70,7% al retrotreno e al 29,3% all'avantreno giunto idraulico per la ripartizione costante della trazione cambio a 5 marce più Rm rapporti interni: 1° 13/32; 2° 17/29; 3° 22/29; 4° 25/26; 5° 27/23 cerchioni Speedline 9”x 16” (anteriori) e 10” x 16” (posteriori) pneumatici Goodyear Eagle da 225/50-16 (anteriori) e da 255/50-16 (posteriori) Autotelaio e dimensioni scocca centrale in acciaio inox con telaietti ausiliari sospensioni anteriori e posteriori indipendenti a quadrilateri deformabili freni Brembo a dischi da 306 mm di diametro autoventilanti, pinze a doppio pistoncino lunghezza massima 4220 mm larghezza massima 1885 mm altezza massima 1200 mm carreggiata anteriore 1580 mm carreggiata posteriore 1585 mm passo 2550 mm peso 1200 kg capacità vano bagagli 370 lt capacità serbatoio carburante 110 lt Fine, la storia si conclude qui (a parte le foto che metterò in seguito come ho detto). Dopo tutto questo, arrivò F40, la berlinetta che stupì il mondo coi suoi 324 all'ora. Magari un giorno parleremo anche di lei... GTC
  3. Bravissimo (come direbbe Raoul Cremona poggiando le mani sulla pelata di Bisio). 408 rossa, diciamo "prima serie" aveva fari a scomparsa in cui in realtà le luci erano fisse all'interno del parafango e semplicemente la copertura si abbassava verso terra, incernierata diciamo verso la targa anteriore e rotante al posteriore (in pratica vedevi scendere la copertura del faro andando in orizzontale e svelando le ottiche piazzate dietro). 408 gialla aveva normali fari carenati trasparenti, della stessa sagoma. Domani nell'analisi vedremo meglio il tutto.
  4. Infatti... dei tre laboratori la Evoluzione è sicuramente quella che visivamente ha lasciato di più di sè sulla F40.. anzi a dirla tutta potrebbe sembrare ad un'analisi sommaria che la F40 fosse nient'altro che una Evoluzione "aggiustata" di stile. I tre laboratori poi hanno tempistiche che si incrociano; mentre Evoluzione e spider "orenda" vanno più o meno di pari passo, 408 pur partendo anche lei in un certo periodo (e lo vedremo più avanti nella sua analisi che è ben più articolata) si allunga di più nel tempo. Circolò ancora per parecchio anche quando F40 era stata lanciata, portandosi dietro le voci su questa fantomatica trazione integrale Ferrari che poi mai arrivò. Alcune delle foto che posterò nella sua analisi infatti furono "prese" in tempi successivi, e la 408 (oltre ad apparire anche in giallo, e la vedremo) mostrò vari tipi di accorgimenti addosso, per vari tipi di test presumo. Fu quella che ebbe la vita di "laboratorio" più lunga, imho. La spider invece dalle testate non fu praticamente mai abbinata a F40 nella sua storia... spesso venne vista con faciloneria proprio come un modello nuovo (ma come si poteva pensare che stessero pensando di fare una linea del genere, dico io...), alcuni la identificarono come l'erede (intesa come laboratorio) della 4 porte alias Pinin che si era vista circolare in precedenza e che qui era ormai scomparsa. Evoluzione invece, ebbe grande risalto sulle pagine delle riviste nei tempi immediatamente precedenti l'arrivo di F40, si cominciò a chiamarla "LeMans" nei titoli, nome che poi venne traslato sui primi veri prototipi F40, e il risultato finale era che le due vetture parevano proprio vicinissime, e che F40 fosse semplicemente la versione definitiva della GTO Evoluzione. Alla fine fu proprio Auto Oggi quello a scrivere la cosa più giusta, come scrivevo sopra... pubblicando la Evoluzione in copertina col titolo "Questa Ferrari non la vedremo mai". Se non ricordo male pure il compianto Baghetti, che era di casa a Maranello, la ebbe fra le mani, e ne raccontò il carattere.
  5. Grazie mille a voi per leggervi le mie mattonate. Rieccoci con la seconda parte dell'analisi (in questo caso un po' più breve). Il secondo laboratorio mobile era questa imponente spider di grossa cilindrata con telaio realizzato interamente in materiali compositi. Come nacque, questa macchina in cui l'acciaio era bandito, o quasi? L'idea di Ferrari di sperimentare su questo fronte risale più o meno al periodo di inizio produzione della GTO, quindi all'incirca autunno 1984, anche se i lavori veri e propri partirono più tardi, a cavallo fra il 1985 e il 1986. In quegli anni l'uso dei materiali compositi era divenuto la regola in Formula Uno: sarebbe stato possibile, oltre che vantaggioso, estenderlo in futuro anche alla produzione di serie? Non restava che allestire un prototipo per verificare il comportamento di una scocca in materiali sintetici, sottoposta alle sollecitazioni prolungate di un normale uso su strada. Per garantire il massimo dello stress alla struttura da collaudare venne scelto per prima cosa il motore più pesante e potente (escluso quello della Testarossa) di cui la Ferrari disponeva all'epoca. Il 12 cilindri della 412. 340 cavalli e 384 kg di peso, cambio e accessori inclusi. Subito dopo è iniziò la costruzione della scocca, partendo dal classico mascherone di tubi in ferro realizzato partendo dai disegni tecnici, ricoprendolo di pannelli di legno fino ad ottenere uno stampo. Su questo stampo venivano poi stesi strati diversi di tessuti sintetici: -fibre aramidiche -vetroresina semplice -nido d'ape contenuto in sandwich di fogli di plastica (in alcuni punti anche di alluminio) -vetroresina rinforzata con fibre di carbonio. Nella foto qui sotto, un dettaglio del tunnel abitacolo “sbucciato” che mostrava i materiali nascosti dalla moquette. Il tutto veniva poi cotto nell'autoclave del reparto corse Ferrari, dove venivano prodotte le scocche delle monoposto F1. Il pianale così ottenuto non comprendeva però tutta la struttura portante della macchina. Partiva dalla parete parafiamma per arrivare al piano del vano bagagli, passando per tunnel, pianale vero e proprio e i brancardi. Anteriormente veniva poi fissato un semitelaio metallico atto a sostenere motore e sospensioni anteriori, mentre le posteriori venivano fissate direttamente alla scocca in composito con l'interposizione di piccoli fogli di lamiera in funzione di rinforzo. Lo chassis venne così affidato a Sergio Scaglietti che rivestì il tutto con questa carrozzeria (discutibile IMHO) in vetroresina, rispettando una serie di parametri di massima prestabiliti dalla Ferrari. Una volta terminata, la macchina fu messa in strada e sottoposta ai collaudi. Dapprima nei dintorni di Maranello e in autostrada, con qualche puntata sulla pista di Fiorano per ottimizzare la messa a punto delle sospensioni. Successivamente venne portata alla Mandria, sul terreno di prova Fiat, dove le vennero inflitti 2500 km di pavè massacrante, equivalente a circa 100000 km su strade normali, alla ricerca del punto debole. La ricerca fu vana perchè la struttura non evidenziò il benchè minimo segno di cedimento o di stanchezza dei materiali. Angelo Bellei, responsabile della sperimentazione e progettazione della Ferrari, ammise: “in effetti abbiamo addirittura esagerato, sia in quantità che in qualità dei materiali utilizzati. Avremmo potuto ridurre alcuni spessori, guadagnando spazio all'interno dell'abitacolo ed intorno ad alcune parti meccaniche su cui, in una macchina di serie, è normale intervenire, e avremmo risparmiato qualcosa sul costo della costruzione di questo prototipo: ma quando si affronta un tema avanzato per la prima volta è normale procedere un po' per tentativi.” I risultati, all'atto pratico, diedero ragione a chi aveva sostenuto questo progetto. Rispetto alla 412, di cui ricalcava in larga misura le dimensioni generali e di cui condivideva il motore (le sospensioni invece erano di derivazione Mondial), la grossa spider offriva un fondamentale guadagno di peso: 1415 kg contro 1810, quasi quattro quintali la cui scomparsa era dovuta solo in parte all'eliminazione del padiglione (la spider aveva capote artigianale in tela). Ancora migliori erano però i risultati ottenuti in quanto a rigidità torsionale e a rigidità flessionale: la prima era aumentata nella proporzione di 10 volte a 1, la seconda 5 a 1. Tramutato nella pratica, questo portava a tangibili miglioramenti nel comportamento stradale, e anche nel confort. Prestazioni superiori in accelerazione e ripresa per via del peso molto ridotto, tenuta di strada superiore e un livello di vibrazioni e silenziosità ben migliore rispetto alla 412 di serie. Quest'auto era un prototipo fra quelli che vennero visti circolare e presentati dalle riviste come futuri modelli, ma in realtà nacque senza l'obbiettivo della produzione. Le innovazioni che portava con sé aiutarono nella concezione delle supercar del Cavallino venute negli anni a venire. Ora non resta che trattare del terzo laboratorio mobile, la celebre 408, la cui analisi sarà un po' più dettagliata rispetto a quella di questa spider, riguardo la quale in effetti le informazioni non erano moltissime. A dopo! GTC
  6. Concordo. Forse prese a parte come cosa a sè, sono un bell'oggetto di design.... ma su questa auto se ne poteva fare tranquillamente a meno. Ci metteranno un attimo a far bollare l'auto come la solita truzzata Opel, imho. Truzzata che già viene evidenziata nei discorsi su Corsa e Astra OPC (imho più per Corsa perchè Astra secondo me non stava affatto male)... figuriamoci qui. Imho non ci volevano proprio.
  7. Uè hai delle chicche che sono sempre strepitose! Bellissimo! (che cura avevano una volta, che amore per l'auto... basta guardare come erano redatti questi testi)
  8. “Un ultimo colpo di acceleratore, un ritorno di fiamma agli scarichi, il rumore del motore si spegne in un crepitio fitto dal timbro metallico. Il collaudatore della Ferrari apre la portiera, si libera delle cinture a quattro punti che lo tengono incastrato nel sedile in kevlar rivestito in vellutino rosso, si sfila il casco e snocciola una serie di cifre da fare rizzare i capelli: 650 cavalli nella schiena, velocità di punta al termine del breve rettilineo della pista di Fiorano (meno di un chilometro) pari a circa 260 all'ora, un tempo sul giro inferiore di 12 secondi rispetto a quello segnato dalla GTO. Che cosa serve per riuscire a fare tanto? Una Ferrari, certo, ma non necessariamente una monoposto del Cavallino. Basta una berlinetta, un purosangue con la scritta GTO stampigliata su una traversa del telaio, anche se a guardarne la carrozzeria la parentela con la GTO conosciuta va ricercata con un po' di fatica. Le linee tese ed affusolate della 288 di produzione sono infatti sostituite da un disegno pieno e arrotondato, che appare tozzo ma che lascia intuire una notevole efficienza aerodinamica: i passaruota sono allargati, il muso è basso e spiovente, sulla coda troneggia un alettone che sembra preso di peso da una sport degli anni '70. Che razza di GTO è mai questa?” Ciò che avete appena letto, era un piccolo salto indietro nel tempo, location la pista di Fiorano, primi mesi del 1987, ossia il momento in cui quella speciale GTO lasciò avvicinare gli estranei e raccontò un po' dei suoi segreti. Si trattava, in effetti, di una GTO speciale, ancor più di quanto lo fossero le 212 sue compagne uscite dalle officine di Maranello. Questa ebbe infatti un destino particolare: servire da base da cui partire per mettere a punto alcune caratteristiche fondamentali delle granturismo Ferrari della generazione degli anni '90. Una sorta di laboratorio mobile, dunque, un prototipo su cui vennero provate soluzioni avanzate ma non così avveniristiche da non poter essere ipotizzate su modelli di produzione. A fungere da laboratorio mobile, in realtà, questa macchina non era la sola. Sull'asfalto di Fiorano, a quei tempi, giravano altri due prototipi: -una spider apparentemente normale, ma dalla scocca portante in materiali compositi in luogo del tradizionale telaio tubolare; -un'altra berlinetta, a quattro ruote motrici e sterzanti; (ma queste le vedremo più avanti) Le tre macchine, nel loro complesso, servirono a definire le caratteristiche e le prestazioni di una quarta auto, che sarebbe stata una grande protagonista della storia Ferrari recente, a cavallo fra la fine degli anni 80 e la decade dei 90. La F40, lei e ciò che venne dopo di lei. Ma torniamo ai tre laboratori mobili. La GTO servì per mettere alla prova elementi della meccanica quali freni e sospensioni, oltre a rilevare gli effettivi limiti di tenuta della meccanica d'origine; la seconda berlinetta esplorò un mondo fatto di soluzioni avanzate di trazione e di direzione; la spider venne usata per investigare le possibilità di ricorso alle fibre composite nella costruzione di scocche in piccola serie. Tutte e tre le Ferrari laboratorio furono a più riprese fotografate da vari giornali, con relative fantasiose ipotesi sul loro futuro. In realtà a quei tempi la nuova Ferrari ancora materialmente non esisteva e sarebbe stata un compendio dei risultati di questi esperimenti. Quando fu pronta, si collocò al vertice della produzione Ferrari, senza sostituire alcun modello di produzione. Esattamente come fece la 288 GTO. Di questi laboratori ai tempi top secret, in questi giorni analizzeremo un po' di tutto, e fin d'ora mi premuro di citare la preziosa fonte, AutoCapital, sia per le informazioni tecniche (nella persona di Filippo Piazzi autore dell'analisi ai tempi) che per le fotografie. Ad aprire la serie di prove e verifiche fu la GTO Evoluzione (questo il nome con cui veniva definita a Maranello) e altrettanto faremo noi, partendo proprio dalla sua analisi. In seguito tratteremo le altre due vetture sperimentali. GTO Evoluzione quindi... per prima cosa, i dettagli costruttivi. La Evoluzione fu costruita attorno al nucleo della GTO versione originale: la macchina, infatti, in un primo tempo fu pensata per l'impiego nelle gare (sia in pista sia nei rally) del gruppo B. Tramontata questa formula dal panorama sportivo internazionale, la destinazione della berlinetta fu quindi mutata in laboratorio mobile, ma sempre nel rispetto delle regole del gruppo B: solo in questo modo sarebbe stato possibile operare senza perdere di vista (spingendosi in soluzioni troppo avveniristiche) la macchina di serie. Il telaio era quindi quello, a traliccio tubolare, della GTO, arricchito però da una serie di elementi di rinforzo in più per garantire nello stesso tempo una maggiore rigidità dell'insieme e una aumentata sicurezza di caso di incidente. In svariati punti del telaio, pannelli di materiali compositi (sempre in funzione di irrigidimento e di irrobustimento) univano i tubi d'acciaio; il più vistoso di questi pannelli era quello che si incontrava non appena si apriva la portiera, e che saliva dal pavimento della macchina fino a circa 25 cm d'altezza formando, di fianco al sedile, una sorta di parete da scavalcare per prendere posto. L'abitacolo era completamente spogliato dei suoi rivestimenti: secondo uno stile molto racing, la nuda lamiera rossa faceva da contorno ai sedili da corsa e alla plancia rivestita in materiale antiriflettente. Per aprire le porte, la maniglia era stata sostituita da una semplice funicella metallica, proprio come nelle Gruppo C che correvano nel Mondiale Endurance. Il cruscotto non era quello di serie: al centro, sulla Evoluzione, c'era il contagiri, scala nera su fondo bianco. Sulla destra, a fianco del cruscotto, una piccola manopola d'acciaio: era il comando del ripartitore di frenata tra avantreno e retrotreno, una rotellina maledetta che metteva a dura prova la sensibilità dei piloti durante i collaudi dell'impianto frenante. Il motore era stato oggetto di un'elaborazione semplice ma dai risultati sostanziali: -i collettori d'aspirazione erano modificati; -l'apparato elettronico integrato di iniezione-accensione a scarica induttiva venne sostituito da un apparato sdoppiato (l'accensione sulla GTO Evoluzione era a scarica capacitiva); -i due turbocompressori di serie vennero sostituiti da elementi maggiori, sempre prodotti dalla giapponese IHI ma appartenenti al sesto gruppo anziché al quinto (nel listino IHI i gruppi individuavano dimensioni e caratteristiche dei compressori); -gli assi a camme consentivano un maggiore alzata delle valvole e un diverso diagramma di distribuzione; -i pistoni erano di disegno diverso rispetto a quelli della GTO standard, per consentire un maggiore rapporto di compressione, anche se alla fine non erano fondamentalmente differenti nella struttura e nella composizione metallica; -per il basamento vennero adottate bronzine triccheballacche.... ehm... trimetalliche . In sostanza, una serie di modifiche di contorno ad un motore che manteneva immutati disegno, struttura e buona parte degli elementi originari. Il risultato di questa serie di interventi era di tutto rispetto: così elaborato, il motore della GTO conobbe un incremento di potenza di 250 cavalli (dai 400 d'origine erogati a 7000 giri, ai 650 erogati a 7800) e un pari aumento della coppia motrice (da 50 kgm a 3800 giri a 67 kgm a 4800). Per contenere e sfruttare adeguatamente una potenza così accresciuta anche il resto della macchina fu naturalmente modificato. Il cambio non venne sostituito, ma una diversa serie di rinvii collegati alla pedaliera presa a prestito dalla formula uno consentiva, in scalata, di passare direttamente alla marcia desiderata senza passaggi intermedi (per esempio, facendo un quinta-terza diretto) e un radiatore supplementare ne raffreddava adeguatamente il lubrificante (sulla Evoluzione fu però sperimentato per un qualche tempo un cambio più diretto, a denti diritti). Le sospensioni non erano modificate nello schema generale, che si dimostrò valido anche per prestazioni particolarmente elevate, ma vennero naturalmente ritarate da cima a fondo (in particolare l'altezza da terra della macchina venne drasticamente ridotta, anche se nessuna parte della vettura arrivava a toccare terra se una gomma si sgonfiava). I freni, Brembo a dischi autoventilanti e forati, erano quelli usati dalla Lancia sulla barchetta C2, mentre i pneumatici (Pirelli P700) avevano il fianco particolarmente basso (per i tempi obviously ) e una più estesa impronta a terra: -anteriori da 245/40 VR 17 -posteriori da 295/40 VR 17 ed erano montati su cerchioni scomponibili Speedline dotati di un dado centrale diverso da quelli di serie. Sopra a tutto questo c'era una leggera carrozzeria interamente in plastica. I due cofani comprendevano i parafanghi e, all'apertura, permettevano un'accessibilità totale alla meccanica; per compensare la differenza di rigidità offerta da questi cofani rispetto ai più monolitici e consistenti elementi di serie, una serie di tubi in acciaio ultraleggero ma molto resistente completava la struttura delle parti anteriore e posteriore del traliccio di serie. La linea superiore e quella inferiore della carrozzeria furono studiate in modo tale da garantire un certo effetto di deportanza alle alte velocità anche in assenza di ogni sorta di alettoni posteriori; una nutrita serie di feritoie posteriori portava la necessaria quantità d'aria a turbine, radiatori, intercooler e ai freni, mentre un'altra serie di aperture estraeva l'aria calda dai vani anteriore e posteriore. Nonostante le apparenze, la macchina aveva un Cx molto favorevole: il dato variava a seconda della scelta della parte di carrozzeria che rivestiva la porzione inferiore di telaio, ma il dato medio ottenuto fu di 0,29 (ricordo per dare un'idea che ai tempi un'auto dall'ottima aerodinamica era l'Audi 100 nata nel 1982 che aveva fatto segnare uno 0,30). Oltre che sulla tenuta alle alte velocità, lo studio cui fu sottoposta la linea della GTO Evoluzione (sviluppata nella galleria del vento del centro sperimentale Fiat a Orbassano) ebbe un eccellente effetto sulle possibilità velocistiche della macchina: in conformazione aerodinamica adatta ai circuiti veloci la berlinetta era in grado di toccare i 370 chilometri all'ora, una velocità a quei tempi riservata ai migliori prototipi Endurance, come la Porsche 962. Come si comportava, all'atto pratico, questa bestia di razza? L'approccio che la GTO Evoluzione riservava era quello tipico delle auto da corsa. Finiture essenziali, materiali a vista, la sensazione di essere incapsulati in una cellula costruita attorno a un motore. Il momento dell'avviamento, per chi la provò, fu emozionante. Cosa sarebbe successo di lì a 30 secondi? Contatto: quasi una delusione, al posto del ringhio rabbioso e secco dei 12 cilindri Ferrari in versione corsa, c'era una specie di crepitio fitto e metallico. Bastava però dare un'affondata al pedale dell'acceleratore per sentire la sequenza degli scoppi fondersi in un tutt'uno più cupo e pieno, un piacere che giungeva all'orecchio schermato da una paratia di carbonio e kevlar. La marcia entrava con un sussulto, la leggera frizione bidisco a secco (strapazzata da una serie di prove sulla pista di Imola) faticava a staccare completamente il motore dalla trasmissione, ma in compenso si era già rivelata tetragona a qualsiasi strapazzo: era ancora quella originale montata quando nacque la macchina. L'accelerazione era selvaggia, pari a quella di una buona sport di tre litri con motore Cosworth: le due turbine iniziavano a lavorare al massimo attorno ai 3800 giri e a quel punto la macchina scattava in avanti con una progressione da X 15 al distacco dall'aereo-madre. La GTO Evoluzione divorava la pista di Fiorano ma si lasciava guidare con una sua intrinseca (e inaspettata) docilità; lo sterzo non faceva pagare la sua precisione con reazioni difficili da controllare e il retrotreno manteneva la linea retta, in accelerazione, anche su terreno non liscio e uniforme. Il cambio non creava problemi a chi era abituato al selettore a griglia tipico delle Ferrari; i freni aumentavano la loro efficacia con il crescere del calore e della pressione sul pedale: ci sarà stato un limite alle loro possibilità? Sicuramente, ma per scoprirlo sarebbe stato necessario probabilmente il vecchio Nurburgring. Il leggero tremolare degli specchietti esposti all'aria e il soffio del vento sul parabrezza erano gli unici segnali delle velocità che si stavano raggiungendo, perché a 250 all'ora sembrava di viaggiare a 170. A questo punto non ci resta che condire il tutto con la tabella che riassume i dati tecnici di questo laboratorio mobile, e con un paio di “scups” ossia le foto prese dai giornali dell'epoca durante i collaudi, rispettivamente Gente Motori e Auto Oggi. (Gente Motori la presentava come uno step successivo nel cammino GTO, Auto Oggi invece andava sul sicuro con tanto di titolo “Questa Ferrari non la vedremo mai”). DATI TECNICI Motore 8 cilindri a V (90°), due turbocompressori, bialbero a camme in testa per bancata 4 valvole per cilindro lubrificazione a coppa secca iniezione ed accensione elettroniche Potenza max 478 KW (650 CV) a 7800 giri/min potenza specifica 167 KW/l (228 CV/l) Cilindrata 2855 cc, alesaggio per corsa 80x71 mm, rapporto di compressione 7,8:1 coppia massima 66,7 kgm a 4800 giri/min pressione massima di sovralimentazione 1,2 bar Autotelaio Telaio a traliccio tubolare, carrozzeria in fibra di carbonio sovrapposta Sospensioni A ruote indipendenti ant/post con bracci triangolari trasversali anteriori e bracci trapezoidali posteriori Freni a disco autoventilanti forati Cerchioni anteriori 8Jx16 posteriori 12,5Jx16 Pneumatici Michelin Racing (la tabella riporta questi, le info di testo parlavano di Pirelli) anteriori 21/62 x 16 posteriori 35/66 x 16 Peso a vuoto 940 kg Prestazioni (dati del costruttore con il rapporto corto adattato all'autodromo di Imola) Velocità massima 288 km/h Accelerazione da 0 a 100 sotto i 4 secondi. E così siamo arrivati alla fine della parte riguardante la GTO Evoluzione, e chiudiamo con un nuovo salto nel passato, coi pensieri di chi aveva appena finito di provarla. “Sarà così anche la granturismo Ferrari degli anni '90? Probabilmente si. La GTO Evoluzione è oggi un laboratorio mobile, ma poco nella sua condizione e nel suo comportamento è così specializzato da non poter essere immaginato su una purosangue di serie di qui a qualche anno. Ad esclusione di alcuni particolari, come la pedaliera formula uno e il cambio a denti diritti, buona parte di questa macchina è più normale (per quanto tecnicamente avanzata) di quanto sembri: il motore tiene un minimo esemplare e si lascia condurre in giro per la pista di Fiorano a compressori disinnestati, per partire dai box non è necessario che i meccanici spingano la macchina come spesso è necessario fare con le auto da corsa. E la stessa guida non è così diversa da quella di una granturismo di razza da riuscire impossibile a chi non sia dotato di superlicenza. Una riprova del fatto che la via intrapresa per l'aumento delle prestazioni è quella giusta viene poi dal fatto che, smontato dopo 40 ore di pista, il motore è stato trovato così in ordine da essere stato rimontato senza alcun intervento e senza sostituzioni di pezzi, e tutti sono in attesa di una rottura che non si è ancora verificata. Tra dieci anni sulle strade come oggi qui in pista? Forse il futuro è già dietro l'angolo.” Fine. Entro breve arriverà l'analisi del secondo laboratorio mobile, la grossa e sgraziata cabriolet. GTC
  9. E speriamo nemmeno mena-lo-manico. (roba appiccicosa che dal forum di AP si espande a livellli da management e si distribuisce in tutto il mondo )
  10. Premesso che quando entro in questo topic solitamente mi limito a leggere e a capire perchè si parla di moltissime cose di cui so veramente poco, e quindi evito di scrivere scempiaggini, vorrei dire la mia riguardo questa notiziola (di che genere mi sembra sia stato chiarito) di un futuro senza Lancia. Non serve proprio a niente e a nessuno, un futuro senza Lancia. Anzi, tutto il contrario. Imho queste persone si trovano davanti ad una grossa matassa da sbrogliare, ma anche davanti ad una grossa opportunità. Partendo dal presupposto che ormai anche solo pensare ad un mercato con marchi che fanno vetture completamente diverse sopra e sotto le une dalle altre è pura chimera, perchè quei tempi sono andati e non credo torneranno, la grossa opportunità è saper lavorare bene su quel che si può per differenziare le cose, e qui salta fuori sempre imho che una Lancia ci sta tutta. Mi viene in mente il solito progettone Tipo 2. Gestito male? Certo. Con sufficienza? Certissimo. Tutti ci siamo lamentati e stralamentati di quanto 155 fosse Tempraveloce, ma il concetto che stava alla base oggi è di grande attualità, perchè giocoforza credo si tratti del massimo che si può fare ormai. Cose del genere vanno solo gestite meglio. Se declinavamo già il progettone Tipo 2 in ambito Lancia... cosa trovavamo? Dedra. Beh, tanto di cappello, rispetto ad altre sortite. Anche Tipo c'era 2.0. Però il cliente di Dedra Turbo non era affatto quello di Tipo 2.0, perchè imho lì si era lavorato molto bene su quel che si poteva (o voleva, perchè erano altri tempi in cui forse qualcosina ancora in più si sarebbe potuto fare). Ovviamente sto parlando dell'impatto che ha la vettura sul mercato come immagine e l'idea che te ne fai. Quanti profani l'avrebbero accomunata alla Tipo come ceppo? Pochi credo. Tuttavia, funzionava così. Ho fatto questo vecchio riferimento per dire che oggi appunto siam davanti ad uno sconquasso che è tale ma che è anche l'occasione per lavorare bene e riuscire a tirare fuori il meglio che si può da questi marchi, rendendoli unici alla vista con particolarità estetiche, di allestimento e di marketing che penso sia quel che resta al di fuori di basi meccaniche e produttive comuni che ormai differenziare ora come ora non si può più. Di certo le persone come noi (mi ci metto anche io) che frequentano posti come questo e che trattano l'auto come argomento ogni giorno, "sapranno sempre un po' troppo" di quel che si nasconde sotto... ma noi non siamo il mercato, ne siamo una fettina che per hobby, per passione o per lavoro, all'auto fa le pulci. Molte persone che conosco (persone e quindi potenziali compratori), senza voler degradare la capacità cognitiva del popolo, non hanno la minima idea che sotto una Delta ci sia una Bravo. Questo mi porta a pensare che la grande opportunità che con ottimismo vedo, sia quella di proseguire su questa strada, che sia con le Opel o con le Chrysler, o viceversa. Momento... ho scritto, lavorando BENE. E' ovvio che (per tornare in Opel) se fra due anni salta fuori una Alfa che è una Insignia con su un padellone (invece della griglia da barbecue che ha la nuova superOpel da costruire il sabato ) è simultaneo il "ma vaff..". Ma no perchè è l'Insignia in sè... perchè se giochi con Alfa giochi con un giocattolo pericoloso, hai una pistola carica in mano senza sicura. Questo megaGruppONNE che si formerà, sarà fatto di marchi IMHO che possono vivere tutti, per il semplice fatto che fra i vari ci sono dei gioielli che vanno accuditi, che potranno fare premiummm, e se per il momento non si potrà fare granchè di differente, siano almeno riveriti riguardo il loro stile e la loro storia. Ecco, secondo me c'è la chance per non rifare un'altra Tempraveloce, almeno in quel che si vede. Imho la vedo fin più facile con Lancia che con Alfa... altro che chiuderla. Che usino questo benedetto design, di cui siamo patria e stiamo qui a guardare che la macchina che fa andare a lavorare la gente al sabato è una Opel... qualcuno è convinto che sia per le sue sospensioni attive a richiesta, per caso? So che sono andato un po' sul generale e sul vago rispetto a tanti discorsi più corposi, ma era per dire che imho le chances per un futuro con una Lancia ci sono tutte. Come sempre poi, sarà da fare il distinguo fra il "non si poteva" o il "non si voleva".
  11. Sinceramente preferisco sempre basarmi sulle stime più basse, per quel che riguarda il bagagliaio. Onestamente quando sto per partire per le ferie e ho valigie da caricare, mi ci faccio un fiocchetto con la notizia che "a palle da tennis" 4R ha caricato tot dmc. A meno di essere uno che riempie il baule di patate... le palle da tennis lasciano il tempo che trovano. Ora porto all'estremo... ma il baule di Audi 80 '86 non era male come volumetria... si, in litri, riempito di palle da tennis. Mettiamoci qualche valigia standard, e uno partiva già per le ferie inca...ato senza sapere perchè. Il bagagliaio di Insignia a veder così pare molto regolare (ma come tutte le SW... bisogna prendere proprio quella che vuole esser pessima, per avere problemi... ) e penso che questo sia più importante di tot litri in più o in meno rispetto al favoloso dato dichiarato. Ma vale anche per la Delta eh... se il suo baule è pratico da sfruttare, credo sia la cosa più importante.
  12. Astra la posseggo dal 2005 e non sto a farne un discorso di parte anche se con Opel mi sono sempre trovato bene. Devo dire che spesso la sento descritta in maniera da farmi pensare che il marchio che si porta addosso la porti ad essere un po' sottovalutata. Non sto a dire che è tanto come una premiummm perchè non sarebbe obbiettivo, però devo dire che, in primis "lei" ha la colpa di non dire molto di sè, specie negli interni. Al primo sguardo ti pare "meno" di quel che è. Poi quando ce l'hai e ce l'hai da un po', devo dire che ti rendi conto che è meglio di quello che pensavi.... penso specialmente alla qualità costruttiva, ad es. gli interni ancora... che non appaiono quasi in niente, e molte rivali appagano di più... poi col passare del tempo ti accorgi di aspetti che sul subito non avevi notato e che ti fan dire "però". Per questi motivi il mio voto andrebbe ad Astra.... dico andrebbe perchè sulla 3 non posso dire moltissimo, magari è meglio davvero, globalmente. Di sicuro Astra è una di quelle macchine che vengono viste leggermente "meno" di quel che sono in realtà. Sul versante affidabilità... beh le statistiche parlano di una buona media, ma penso valga anche per la 3. Poi ci sono le esperienze del singolo, ma qui il discorso lascia un po' il tempo che trova, perchè da tutti esce l'esemplare perfetto e quello rognoso. Riguardo al 115 cv... conosco proprietari appartenenti al Club Astra che si dicono contenti globalmente... certo lo fanno impostando un discorso obbiettivo (l'hanno comprata non certo aspettandosi un fulmine di guerra).... aggiungo solo che tra 5 porte e SW propenderei per la SW, che oltretutto imho è ancora una bella station da vedere (meno la 5 porte che imho è sempre stata la meno "acchiappante"... mentre SW all'uscita e ancora oggi per me resta una delle più gradevoli della categoria come estetica.... poi deh va a gusti). Di certo, se 'sta macchina avesse degli interni un po' più furbi nel cercare di piacerti (come han fatto ora cambiando rotta finalmente con la Insignia), il pacchetto globale sarebbe più stimolante... sul fattore interni come presentazione io stesso trovo la 3 superiore.
  13. Capperi che belle foto però! Da depliant davvero, la prima specialmente. In certe inquadrature l'unica cosa che manca è la celebre targa "EE" Tra l'altro ora osservo per la prima volta di che versione si tratta, riguardo la tua Alfasud. Mi ha fatto venire in mente che l'altra sera nuotando nell'archivio ho ritrovato un'intervista a Cressoni da parte di A&D, riguardo la nascita di questa serie (con annessi bozzetti) ove Cressoni stesso poneva l'accento sul termine "redesign" anzichè "restyling". Mi son detto che magari è un "pezzo" che non ha girato molto, vista la rivista che lo proponeva (specie in quegli anni non mi pare fosse diffusissima issima issima, ma magari mi sbaglio)... appena ho un po' di tempo e trovo il topic adatto, la posto.
  14. Mi scuso da parte mia per gli OT che vedo sono già stati levati... ritorno in carreggiata, con la prima foto che mi capita a portata di mano. Nasona, visto che se ne parlava, comunque.
  15. Ciao Guido, ci manchi sempre.
  16. Del resto Audi 100 era stata anticipata nel 1981 da questo concept: http://www.geocities.com/conceptcarcentralgermany/forschungsauto_3-4.jpg http://www.geocities.com/conceptcarcentralgermany/forschungsauto_rear.jpg Ovviamente però viste le date di uscita, 100 era già pronta quando uscì questo, quindi semmai fu il concept a mostrarne un'anteprima. Di tutte le Audi nate dal quel corso, imho la 80 dell'86 è sempre stata quella che mi ricordava di più la Ro 80. Nell'86 però si andava già sul premiummm... aveva già l'aria di elevarsi socialmente, come stile e finiture (anche se a me non piaceva proprio perchè del nuovo corso imho era quella più tontolona... con quel tetto che si stringeva così tanto e la fiancata così alta). Forse per me era un salto in avanti troppo forte... ero abituato che la macchina "col baule" era fatta come la Prisma. Bello il suo bagagliaio, lievemente inconcepibile come sfruttabilità... andava bene solo se riempito di patate. Riguardo il Ranch... ne avevo uno nella via dove abitavo da piccolo.... marrone forse, o una specie di bronzo, non ricordo bene. Ricordo che il proprietario lo faceva andare a gas, ed ero convinto da piccino, che fosse un vecchiume già come meccanica, perchè il motore faceva lo stesso rumore della Simca 1500 che aveva prima. Indubbiamente però, come diceva ACS, era molto avanti come filosofia, oggi sarebbe il suo momento K70 invece mai vista una in vita mia, però di Ro 80 una ne avevamo... forse bordeaucches. Le 1307-08 invece non so come ma spopolavano, qui... ce n'erano diverse. Voi scherzate ma qui nel mio paesello ai tempi c'era un meccanico che s'era messo in testa di vendere qualche macchina anche, e promuoveva marchi di cui non c'erano concessionarie in zona. Sapete com'è, la gente ai tempi specialmente qui era ancora di un certo stampo, non conosceva molto e non girava, quindi magari sai, vedendo per caso la macchina che il meccanico aveva in visione, si convinceva che alla fine, si, andava bene quella, senza sapere che c'erano altri mille affari possibili. Così si vendevano queste auto. Quali? Beh, dopo la DAF e la Moskwitch (o come cavolo si scriveva) , il meccanico passò alla Skoda (quelle belle 120-130... quasi tutte arancioni)... non fatemi raccontare. La percentuale di questi veicoli era anche troppo elevata per riuscire a fare un giro del paese serenamente, una passeggiata felice. Noi si, che eravamo premiummm... con lo Scorpione. Facevamo parte dell'alta società motorizzata del paesello. Uè, avevamo anche una concessionaria a pochi km che vendeva Lada Niva... un grande edificio mezzo vuoto ancora (oggi una grande e splendente concessionaria Hyundai e Renault... tra l'altro quella che tratta anche auto d'epoca e che conserva la Gamma Coupè che ACS non viene mai a vedere ) con un ufficio solo, con una scrivania, un armadio e due sedie, e la lampadina appesa al filo come lampadario... e il cortile non asfaltato che durante le piogge diventava un mare di fango... la giusta location per le Niva. Mi sentivo un po' dell'Est.
  17. Mentre mi organizzo penso che il buon Abarth potrebbe anche iniziare.... di conoscenza ne ha da vendere. (sospetto che da qualche parte nel turines abbia un garage sotterraneo dove le ha tutte... un posto cupo e spaventoso, dove di notte si sentono ululati e grida strane e terrificanti... ecco dove va quando mi dice che non sta online perchè deve uscire.... e poi torna raccontandomi tutto della Matra Ranch )
  18. Eh ci vorrà un attimo... per farlo mi tocca andare nella zona più buia e misteriosa degli abissi dell'archivio, dove vivono i mostri messi in disparte da tutti. E' una zona pericolosa, sai che entri ma non sai mai se uscirai... e potresti uscirne con un lavaggio del cervello, ansioso di acquistare una Austin Allegro. Ci sono posti là sotto dove nemmeno io oso avventurarmi... sono passati troppi anni da quando l'ho creato, e là in fondo ha preso vita propria. L'ultima volta che ci sono stato, appena entrato nella zona buia, ho cominciato a sentire le Montego che mi chiamavano... "vieni... vieni...." e una Malaga GLX mi ha pestato un piede con una ruota, bloccandomi lì. Sono riuscito ad uscirne solo perchè è venuta in mio soccorso una 124 Spider dalla zona felice, al cui paraurti sono riuscito ad aggrapparmi. (vabbè dai, è sabato.....)
  19. Non c'è niente da fare, quando si tratta di ciofeche (commercialmente parlando... non mi riferisco alla bontà o meno dei progetti) Abarth03 non lo batte nessuno in quanto a conoscenza. Passiamo delle serate intere su msn a parlare di 1307-1308, Senator, Monze, Granade... è il festival della lamiera triste. Passateci il contatto dai, faremo un multi-finestrone sulle perle rare.
  20. Scusate la franchezza ma imho i giro porte di Punto I e II non ci azzeccano un fico secco l'uno con l'altro....
  21. I muli di 33 restyling apparvero su GM e su Auto Oggi (fotografate dai lettori) Su 4R ci fu un unico servizio con foto, e ritraevano 33 già finite e senza camuffature, un numero di poche settimane antecedente al lancio. Un altro piccolo articolo fu inserito nel consueto panorama di inizio anno con tutte le novità in arrivo, ma c'era solo un disegno del conosciuto Bruno Betti. Queste erano quelle che pubblicò 4R.
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