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PaoloGTC

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  1. Naah.... l'affare che mi si para davanti è Insignificante
  2. Mah non so vediamo.... a Russelsheim non mi vogliono mica più tanto bene, dopo la Punto e dopo aver udito che c'è in ballo l'idea di cambiare la GTC e le opzioni non puntano direttamente al Blitz, tranne che in un caso (leggasi "salti fuori il prezzo giusto per una roba che è lì in attesa da un po'")... però domattina devo andare in carrozzeria a ritirare la GTC che è pronta dopo il risanamento post-crash (leggasi mi son venuti addosso il giorno del compleanno della dolce metà che si è arrabbiata perchè di conseguenza avevo in mente altro quel giorno, ma toh guarda scuuuusa se ci son stati dei contrattempi, mi è solo entrato un Bipper nel fianco sinistro...) e poi dovrei andare in concessionaria a ritirare un pezzo della canalina sul tetto lato sx (qualcuno ha cercato di fregarmelo perchè gli serviva, ottenendo solamente di rompermelo perchè non lo smonti da fuori, pirla....). Se non mi picchiano con un albero di trasmissione della Senator alla Corsa tapiro gli dedico un attimino.
  3. Arrivata una cinque porte argento con i cerchi scuri... devo dire onestamente che il colpo d'occhio dal vivo è stato assai migliore rispetto alle foto.
  4. Proto T anticipava (in maniera un tantino esagerata ) quella che in seguito sarebbe poi stata la Toledo. Infatti i due prototipi Proto T (il primo, maquette priva di interni) e Proto TL (il successivo più dettagliato) prendevano le consonanti dal nome della futura berlina, che era già stato deciso anche perché mancava veramente poco. Di certo la differenza fra il sogno anticipatore (stiamo preparando questo) e la realtà immessa sul mercato non fu poca. A me piaceva molto, comunque, il Proto T. Madò era il 1989 o 90? Son vecchio
  5. Allora... sono confuso. Scrivere durante i saldi non aiuta. Andrò a vedere bene la gamma Tipo e riformulerò
  6. Eccomi. Dunque... mi sento di confermare l'ipotesi di Mazinga e Angelo, riguardo l'assenza della Delta. Immerso nel lavorone, mi era sfuggita la considerazione più semplice: in effetti tutte le compatte erano a tre porte, inclusa la Golf che avrebbe anche potuto averne cinque, volendo. Oddio, nel servizio non si fa mai riferimento al fatto che le compatte siano state scelte precisamente con quella tipologia di carrozzeria e pertanto ne siano state escluse delle altre. La prova viene soprattutto presentata come un confronto fra le pepate plurivalvole del mercato, a tratti intese come le versioni sportiveggianti al 100 per 100 dei vari modelli, viste un po' come le auto che potevano interessare i giovani, kittate esteticamente, e che per tale motivo molto spesso (vedi Astra) erano proposte dalla Casa solo con il tipo di carrozzeria più sportivo, il tre porte. Potrebbe forse essere questo il motivo dell'esclusione della Delta, magari vista in modo poco interessante per l'audience cui era indirizzato il servizio. "Non mettiamo la Delta perchè ci azzecca poco", potrebbe essere stato il pensiero, che non dico sia condivisibile. Dico solo che magari potrebbe essere stato questo il motivo della sua esclusione. Guardandola da questo punto di vista (che angelo mi ha aiutato a mettere a fuoco, come dicevo preso dalla scrittura mi era sfuggita la sfumatura) la prova non pare più un confronto fra tutto ciò che c'è in giro con 16 valvole nel segmento, bensì un test fra le vetture che potevano essere prese in considerazione facendo un certo tipo di ricerca, e allora la Delta a 5 porte poteva rimanere ai margini. Però: si parla della Tipo, che come configurazione in quel periodo offre esclusivamente quella di 16 valvole con cinque porte (pur caratterizzata, almeno un pochino, con cerchi, profili rossi e mascherina specifica), e si dice che la vettura non era disponibile. Così arriviamo alla considerazione di Mazinga. Beh... osservando così a grandi linee il pensiero editoriale di AUTO in quegli anni, non vedo grandi motivi di malumore fra la redazione ed il Gruppo torinese. La Punto era stata accolta MOLTO favorevolmente (la stessa Tipo lo era stata anni prima, così come la Tempra oppure la Cinquecento) ed allo stesso modo furono ragionevolmente incensate Bravo & Brava che arrivarono mesi dopo quel confronto. Quindi non vedo grandi motivi (almeno "pubblici", cioè visibili da parte dei lettori, sulle pagine, tipo screzi o prove andate male) per un malumore da parte di Fiat nei confronti della rivista della Conti Editore. Semmai i bisticci iniziarono in seguito, con la prima prova della K, nella quale AUTO non fu affatto benevolo sotto diversi aspetti: -la linea: a differenza di Quattroruote, AUTO ai tempi si lasciava andare ogni tanto a considerazioni "personali", sul fatto che un'auto fosse bella o meno, e la K non ne uscì granchè bene, giudicata troppo semplice, anonima, in certi punti poco riuscita ed in generale poco coraggiosa e di scarsa presenza nei confronti delle vetture che andava a sfidare. Va detto che furono molto obbiettivi e senza peli sulla lingua, perchè noi da appassionati con la Lancia nel cuore possiamo anche dire "siete stati cattivi", ma la verità è che qualche problema di estetica quella macchina ce l'aveva, al netto dei gusti personali che possono far dire "non è vero, a me piace un sacco". Fu criticato il frontale, con poca presenza per un'auto di quel rango. Critiche per la fiancata, resa pesante da un rapporto lamiera/vetro troppo a favore della prima e troppo "piena" a causa di dettagli poco riusciti come i fanali anteriori e posteriori che non svoltavano sul fianco. Criticarono le ruote, che a vettura finita, rispetto alle maquettes, erano rimaste troppo all'interno rispetto ai parafanghi (cosa che condivido al 1000 per 1000). In conclusione, si sottolineava la comprensione per la voglia di discrezione, ma si diceva che si sarebbe potuto fare certamente di più, per una vettura che avrebbe preso il posto della Thema. E fin qui, secondo me, nulla da dire. Resta però il fatto che una prova "di lancio" di una nuova ammiraglia italiana, che esce con dei commenti del genere, sicuramente a Torino non sarà piaciuta molto. -i sedili, che furono giudicati scomodi (e pensare che Lancia ai tempi del debutto aveva sottolineato i grandi studi compiuti in tal senso) -le sospensioni, che sullo sconnesso rumoreggiavano in maniera decisamente fuori luogo per un'auto di quel livello. Insomma, il test si chiudeva dicendo che s'era fatto sicuramente molto, ma pensando a cosa avrebbe dovuto affrontare sul mercato l'ammiraglia torinese, si sarebbe potuto fare decisamente di più. AUTO poi tornò (trionfante, in un piccolo editoriale) sulla questione k quando ci fu il lancio della versione rivista e corretta nei dettagli (la cosiddetta k2), sottolineando come aspetti quali il comfort offerto dai sedili e la silenziosità delle sospensioni fossero stati oggetto di revisione da parte dei tecnici torinesi, giusto per dire che "loro l'avevano detto, e non avevano scritto cazzate", approfittandone anche per tirare una frecciata a rivali come Quattroruote che ai tempi della prima prova, di quei difetti non avevano mica parlato. "Noi le cose ve le diciamo e non abbiamo peli sulla lingua, mica come altri." In effetti, conoscendo la storia della rivista ed avendone a disposizione la collezione completa, posso dire che ai tempi molto probabilmente era proprio così, erano decisamente meno benevoli di altri. Questo vale per la rivista di 20 e passa anni fa, non sto dicendo che sia così ancora oggi, anzi. AUTO di oggi lo conosciamo un po' tutti. Tornando alla Tipo ed alla sua assenza, io penso questo: era il 1994 e di lì a poco Fiat avrebbe lanciato le eredi della Tipo. La 2000 16v era fuori da un po', e a mio parere subiva lo stesso trattamento che hanno subito altri modelli, relegati un po' ai margini del mercato ed in seguito "dimenticati" dalla Casa stessa, che cessava di promuoverli molto alla svelta. 1994, ormai della Tipo non ci importa più molto qui a Torino... AUTO ci chiede una vettura per un confronto, serve una macchina da dargli... come andrà nella prova? Mah alcune rivali sono assai più fresche, fra di loro c'è qualche "regina"... di sicuro non risulterà il top del top. Ci sbattiamo, gliela diamo? Ma checcefrega.... a me non stupirebbe scoprire che alla fine la verità era proprio quella scritta sulla rivista, e cioè che la Casa non era riuscita a dargli una vettura per il confronto, un po' perchè se n'era fregata abbastanza, un po' perchè non mi meraviglierebbe se in quel preciso periodo nel parco stampa delle vetture Fiat non fosse stata presente una una Tipo 2000 16v "fresca" da dare a qualcuno per una prova. In effetti non è che comparisse invece in altre prove su altre riviste eh.... il suo periodo era passato, secondo me a Torino a tutto pensavano meno che a promuovere la Tipo 2.0 16v. Per come la vedo io, la macchina gliel'han chiesta e loro hanno risposto "non ne abbiamo una da darvi ora" (pensando "macheccefrega ora di un test sulla Tipo 2.0 16v"). Appena rintraccio la prova, comunque, il confronto lo facciamo noi.
  7. Allora fra migliaia di riviste ho pescato l'unico listino fallato
  8. Ho avuto il tuo stesso dubbio, ma andando a cercare sul listino di quel numero della rivista ho trovato solo le turbo... era anche uscita da poco... non ho ben presente come si sia evoluta poi la gamma.
  9. Studiato per convogliare l'aria in modo tale da tenere il più pulito possibile il lunotto. Regia? Abbiamo l'immagine? Si, ce l'abbiamo.
  10. IMOLA 1994 – 144 VALVOLE IN PISTA Oh, buongiorno a tutti. Eccoci quindi a rivedere insieme la prova di AUTO che metteva a confronto le nove compatte a 16 valvole di cui andiamo a vedere nome, cognome, prezzo ed optionals, tanto per cominciare. Precisazione: come andrete a leggere fra poco... eh già, tutte straniere. Manco un'italiana. Come mai? Beh...sfogliando il listino dei tempi, si apprende che: -Alfa avrebbe potuto partecipare con le 33 1.7 16v, e in questo caso la rivista non menzionava il marchio: non so se per mancata collaborazione o perché la vettura era stata scartata non essendo più uno dei modelli di punta nel settore (e la 145 doveva ancora arrivare) -Lancia aveva in dote la Delta II, in versione 2.0 HF da 190 cv, ma era una turbocompressa, e di turbocompresse nel test non ce n'erano. Si parlava di 16v aspirate.. -Fiat? Eh, Fiat si! Avrebbe potuto partecipare con la Tipo 2.0 16v, ed infatti la rivista invitò la Casa torinese ad inviare una vettura per la supersfida... ma la risposta ufficiale fu che non erano in grado di fornirgliela. Quindi, se non ci sono italiane non ve la prendete con me. Ed ora torniamo alle presentazioni. Nota: tutte le immagini che troverete a corredo del testo non si riferiscono agli specifici esemplari in prova. Sono prese dal web con l'unico scopo di dare un'idea di massima, ed in alcuni casi possono variare per via di qualche dettaglio tuning o cose simili (per alcuni modelli non c'è una gran varietà di immagini in rete, bisogna accontentarsi un po'... nel caso qualcuno avesse qualche dubbio riguardo il particolare della tal vettura, me lo scriva ed io darò un'occhiata alla vettura presente sulla rivista). Citroen ZX 2.0 16v – 31.950.000 lire Autoradio Blaupunkt PFI 928.200 lire Climatizzatore automatico 2.058.700 lire Pack cuoio 2.284.800 lire Tetto apribile elettricamente 1.023.400 lire Vernice metallizzata 404.600 lire Ford Escort 2.0i 16v RS – 30.130.000 lire Airbag lato passeggero 630.000 lire Climatizzatore 2.175.000 lire Predisposizione autoradio 260.000 lire Autoradio 200 SR 685.000 lire Security pack 675.000 lire Sedile guida regolabile elettricamente in altezza 180.000 lire Sedili Recaro 1.420.000 lire Tetto apribile elettricamente e Luxury pack (sbrinatore rapido parabrezza, specchietti retrovisori esterni riscaldabili elettricamente, ugelli lavavetro riscaldabili) 1.380.000 lire Vernice metallizzata o micalizzata 420.000 lire Honda Civic 1.6 VTI – 41.950.000 lire Vernice metallizzata 400.000 lire Mazda 323 1.8 GT – 27.786.000 lire Tetto apribile elettricamente 1.190.000 lire Vernice metallizzata 475.000 lire Mitsubishi Colt 1.8 GTI – 31.300.000 lire Condizionatore d'aria 2.200.000 lire Vernice nera o metallizzata 450.000 lire Opel Astra 2.0i 16v GSI – 33.410.000 lire Airbag lato guida 840.000 lire Antifurto elettronico 377.000 lire Climatizzatore automatico 2.285.000 lire Lavafari alta pressione 296.000 lire Poggiatesta posteriori 219.000 lire Sedili anteriori regolabili elettricamente 446.000 lire Tetto apribile 709.000 lire Vernice brillant 132.000 lire Vernice metallizzata 401.000 lire Peugeot 306 S16 – 32.700.000 lire Condizionatore d'aria 2.214.000 lire Allarme 700.000 lire Interno in pelle 1.550.000 lire Tetto apribile elettricamente 1.030.000 lire Vernice metallizzata 390.000 lire Vernice nera 210.000 lire Renault 19 16v – 29.100.000 lire Airbag lato guida 830.000 lire Condizionatore d'aria 1.300.000 lire ABS 1.670.000 lire Computer di bordo 330.000 lire Allarme 930.000 lire Specchietti retrovisori esterni regolabili e sbrinabili elettricamente 230.000 lire Tetto apribile elettricamente 1.210.000 lire Sedili rivestiti in cuoio 2.080.000 lire Vernice metallizzata 460.000 lire Volkswagen Golf 2.0 GTI 16v – 35.069.300 lire Doppio airbag 1.318.520 lire Appoggiatesta posteriori 351.050 lire Cerchi in lega 6Jx15 “Monte Carlo” con pneumatici 205/50 VR 15 678.300 lire Climatizzatore d'aria a controllo manuale 3.030.930 lire Climatizzatore d'aria a controllo elettronico 3.955.560 lire Interni in pelle (sedili, volante e pomello cambio) 3.677.100 lire Sedile posteriore frazionabile 220.150 lire Sedili Recaro 1.491.070 lire Specchietti retrovisori esterni regolabili e sbrinabili elettricamente 518.840 lire Tetto trasparente apribile elettricamente 1.289.960 lire Ugelli lavavetro riscaldabili 65.540 lire Vernice verde o giallo ocra metallizzato 825.860 lire Vernice metallizzata 495.040 lire Bene. Queste erano le protagoniste. Considerazioni personali: -sempre trovati orribili i cerchi dell'Astra, e non mi piacciono manco adesso: era truzza ma il pacchetto generale non stava malissimo, dai; -la 306 è invecchiata benissimo; -la Civic ancor di più (ma tra le due scelgo la Peugeot); -ZX non mi dispiaceva, aveva guadagnato perdendo due porte e il kit non era malvagio; -le altre due jappe... niente di che imho. Tra le due, il mio voto va alla Mazda; -idem la Escort, niente di orribile ma anche niente di particolare; -Golf mi scivola totalmente, la serie che meno mi ha stimolato; -19... la preferivo nettamente prima del restyling. Più anonima forse, ma anche più netta e pulita (i cerchi li adoravo); presa d'aria sul cofano imho TERRIBILE. Ora andiamo a conoscerle una per volta, prima di andare a leggere il responso di Imola (avevo già detto che si sarebbe trattato di un mattone? Ecco, appunto....). Il testo, per ogni singola vettura, è un condensato di tutte le opinioni più importanti riportate dalla rivista, tralasciando i bla bla bla. Quindi, sto riassumendo ma i pareri sono quelli della rivista, non sto facendo delle considerazioni a titolo personale. Citroen ZX – Divertente, ma non morde Sembrava fatta su misura per gli estimatori delle sportive ipervitaminizzate. Parafanghi allargati, verniciatura integrale, ampie modanature nere sulle fiancate e spoiler posteriore. Non passava certo inosservata. Le sue caratteristiche tecniche esprimevano ancor meglio, sulla carta, l'indole verace: un due litri plurivalvole da 155 cavalli che la poneva come una delle compatte più scattanti e veloci. Invece in quel senso la francese riservava qualche delusione. Non solo perché a fronte dei 220 km/h dichiarati aveva raggiunto soltanto i 209 effettivi, ma anche perché complessivamente non rivelava certo un comportamento tra i più “esplosivi”. In particolare, in accelerazione non riusciva ad esprimersi compiutamente, a causa in parte del peso abbastanza elevato (1160 kg effettivi), e soprattutto perché il limitatore di giri interveniva già a 6750, quando invece il motore avrebbe avuto ancora potenza da “spendere”. Sta di fatto che la ZX nello scatto da fermo mostrava una discreta brillantezza, ma niente di più: 9”20 sullo 0-100, 16”64 sui 400 metri e 30”36 sul chilometro. I tempi più alti fra quelli registrati in quella supersfida. La Peugeot 306 S16, equipaggiata con lo stesso motore e con l'identico cambio otteneva risultati decisamente migliori, grazie anche alla soglia di intervento del limitatore innalzata a 7000 giri. In compenso la ZX dimostrava di non trovarsi affatto in difficoltà nelle riprese dai bassi, anche con la quinta. L'ottima distribuzione della coppia assicurava un'elasticità di marcia non comune: basti pensare che da 40 km/h in quinta, per coprire un km necessitava di appena 36”03; soltanto la Colt e la 323 riuscirono a fare meglio in quella prova. Pur mancando di cattiveria, permetteva una guida divertente: assetto piuttosto rigido, sterzo servoassistito con buone doti di prontezza e sensibilità sia nelle iscrizioni che nei ritorni, cambio dalla corsa non particolarmente breve ma dagli innesti sufficientemente rapidi (anche se un tantino rumorosi) e corretta spaziatura. Il divertimento di guida era notevole specialmente sul misto stretto e sui percorsi medio-veloci, con un'azione sempre molto equilibrata, effettuando rapidi cambi di direzione con grande sicurezza, senza che i relativi trasferimenti di carico mettessero in crisi la stabilità. Tendenza sottosterzante comunque facile da correggere. Un po' meno efficace nel veloce: rivelava una certa propensione a ritardare l'ingresso in curva, mentre il corpo vettura faticava maggiormente a mantenere il corretto bilanciamento tendendo quindi a penalizzare la tenuta. Sempre decisa e sicura la frenata, in compenso. Quattro dischi e ABS, impianto ben modulabile e resistente alla fatica, che assicurava spazi d'arresto fra i più contenuti: 41 metri da 100 all'ora, 102,5 da 160. Meno contenuti i consumi, con 9,404 km/litro in città e 10,390 in autostrada. Comfort penalizzato da qualche fruscio e soprattutto dalla rilevante rumorosità meccanica, avvertibile specialmente agli alti regimi (79,5 db a 160 km/h); oltretutto le sospensioni non ammortizzavano nel modo migliore lo sconnesso. L'abitacolo proponeva una caratterizzazione sportiva: volante a tre razze rivestito in pelle così come il pomello del cambio; sedili anteriori e posteriori ben profilati, acceleratore di foggia corsaiola. Facile trovare la posizione di guida migliore, con volante e sedile regolabili in altezza. Dietro buono lo spazio per due, meno per tre. 344 litri di bagagliaio dall'accessibilità piuttosto agevole. Finitura complessivamente accettabile, ma soluzioni stilistiche non particolarmente brillanti. La plancia soprattutto non sembrava una delle più attraenti, anche se era abbastanza funzionale. Buona la strumentazione, ben leggibile e dotata di termometro ed indicatore del lubrificante (funzionante a motore spento, ovviamente). Abbastanza ricca anche la dotazione, ma mentre alcune rivali giravano già con l'airbag di serie oppure a richiesta, sulla Citroen non era disponibile. Tecnica Equipaggiata con uno dei propulsori più interessanti della categoria, per l'elevata potenza (155cv), seconda soltanto a quella del V-TEC Honda, per l'architettura raffinata nonché per la curva di coppia decisamente efficace: tra i 2500 ed i 6500 giri il valore non era mai inferiore ai 17 kgm, e a 3500 giri c'era il picco di 19 kgm. Si trattava di un 1998 cc “quadro” (alesaggio e corsa 86 mm) con basamento in ghisa a pareti sottili e testata in alluminio. Oltre che dalla distribuzione a due alberi a camme e sedici valvole era caratterizzato dal sistema di aspirazione a caratteristica acustica variabile (ACAV): tramite delle valvole a farfalla e in base al regime di rotazione del motore, tale sistema variava automaticamente la lunghezza dei condotti di aspirazione, ottimizzando così il riempimento dei cilindri. ACAV era gestito dalla centralina del sistema Bosch Motronic 3.2 a iniezione multipoint sequenziale e accensione integrata. Le sospensioni conservavano il solito schema della ZX, ma con un assetto decisamente più rigido. Inoltre l'assale posteriore, il famoso “autodirezionale”, era stato rinforzato ridefinendo le dimensioni della traversa e dei bracci longitudinali oltre che della barra antirollio (da 24 mm anziché 21). ABS Bosch a tre canali e quattro sensori e sterzo servoassistito con un minore rapporto di demoltiplicazione rispetto alle altre ZX. Ford Escort – Fin troppo nervosa Il suo aspetto che richiamava quello della RS Cosworth la diceva lunga sul carattere della Escort 2.0i 16V RS. Secondo AUTO, si trattava di una delle compatte sportive meglio riuscite sotto il profilo stilistico, nel senso che gli accorgimenti studiati per “vestirla” si abbinavano perfettamente alla forma originale, e riflettevano fedelmente un comportamento decisamente sportivo, anche se non sempre efficacissimo. Non certo per colpa del 1998 cc da 150cv e 19,3 kgm, che era tra i più rapidi a salire di giri (ed in verità anche uno dei più ruvidi e rumorosi). Favorita da un cambio a rapporti corti ravvicinati, nonostante pesasse ben 1220 kg effettivi, passava da 0 a 100 km/h in soli 8”38, da 0 a 400 metri in 16”22 e percorreva il chilometro da fermo in 29”53. Quindi non si faceva distanziare troppo dalle “stratosferiche” Colt (7”51, 15”58 e 28”63) e Civic (7”72, 15”71 e 28”57). Ciò che entusiasmava di più era proprio la prontezza quasi rabbiosa con cui rispondeva alle sollecitazioni dell'acceleratore, anche nelle marce alte. Pur senza prendere in esame i tempi relativi al test di ripresa in quarta marcia da 40 km/h (il rapporto corto la favoriva alquanto, dato che ad esempio non riusciva a percorrere il chilometro a causa dell'intervento del limitatore dopo circa 800 metri) era possibile valutare come anche con la quinta inserita non mostrasse incertezza alcuna nel riprendere dai bassi. Da 40 km/h in quinta le erano sufficienti 36”25 per percorrere un chilometro, mentre per passare da 80 a 160 km/h impiegava 27”94. Era quindi in grado di avere un passo degno delle rivali più reattive (Colt esclusa poiché in ripresa era di un'altra categoria....). La quinta corta e l'aerodinamica poco penetrante la penalizzavano nei test relativi alla velocità di punta: non riusciva ad andare oltre i 206,5 km/h, col motore a 6300 giri, ovvero 300 giri oltre il regime di potenza massima. Passando all'assetto, tutta grinta e poco comfort. Le sue sospensioni faticavano, anche ad andature abbastanza modeste, ad assorbire con una certa gradualità le asperità della strada. Inoltre la rumorosità dell'abitacolo era sempre elevata (75,5 db a 130 km/h), in particolare nelle fasi di accelerazione. Però, volendo divertirsi con una guida sportiva, la RS si rivelava un'ottima compagna. Rapida nei cambi di direzione e sufficientemente pronta negli inserimenti, sia sul lento che sul veloce. Tuttavia, man mano che la si spingeva al limite, evidenziava una maggiore tendenza sottosterzante in entrata e soprattutto in uscita di curva, quando l'anteriore faticava a scaricare la potenza. Rari i sovrasterzi durante i repentini passaggi dal tiro al rilascio. In questi frangenti si avvertiva più chiaramente la poca precisione dello sterzo fin troppo demoltiplicato. Anche la manovrabilità del cambio non era encomiabile: corsa del leveraggio sufficientemente breve, ma passaggi di marcia poco istintivi e un po' lenti. Pure i freni denunciavano qualche pecca: pedale tendenzialmente “elastico” e non sempre modulabile al meglio. Tuttavia nelle frenate al limite l'ABS lavorava bene e gli spazi erano contenuti (43,2 metri da 100 km/h e 109,4 da 160). Consumi: tra le più assetate, soprattutto in città con una media di 8,529 km/litro. Offerta ad un prezzo decisamente concorrenziale, offriva una dotazione di serie abbastanza ricca e soprattutto “intelligente” (airbag guidatore), oltre ai classici chiusura e vetri, specchietti elettrici, ABS servosterzo e cerchi in lega. Peccato che i Recaro fossero a richiesta perché rappresentavano l'unico tocco sportivo qualificante dell'abitacolo. Che, grafica dei tessuti a parte, era identico a quello delle Ghia, quindi non particolarmente esaltante sotto il profilo stilistico, ma piuttosto ergonomico. Strumentazione standard, posizione di guida sufficientemente corretta e comoda (regolabile anche il basculamento del sedile) e buona libertà di movimento all'anteriore. Nel vano posteriore invece si stava un po' stretti anche in due, soprattutto in lunghezza. Più che sufficiente il bagagliaio (da 380 a 1130 litri). Tecnica Per certi versi, il motore della Escort era la fotocopia di quello Citroen (e come vedremo, anche di quello Opel). Anch'esso un 1998 cc “quadro” (86x86) con basamento in ghisa e testa in lega. Due alberi a camme in testa, quattro valvole per cilindro inclinate di 40° con candele verticali. Potenza leggermente inferiore al francese (-5 cavalli) ma coppia più elevata (19,4 kgm a 4500 giri), dalla curva però meno lineare. Abbinato al conosciuto cambio Ford dell'epoca, l'MTX 75 a rapporti ravvicinati tutti piuttosto corti. Avantreno McPherson con barra antirollio da 16 mm e retrotreno a bracci interconnessi. Quattro dischi, anteriori ventilanti, tutti da 260 mm e ABS Teves a due sole vie, che controllava la frenata delle sole ruote direzionali. Honda Civic – Potenza della sensualità Attraente e sensuale come la Valentina di Crepax che fungeva da sua testimonial pubblicitaria, la Civic doveva parte del suo fascino al gioco di linee morbide e sinuose che disegnavano una carrozzeria filante e non priva di aggressività, il tutto senza far ricorso ad appendici varie, tranne un discreto spoiler sopra il lunotto. Meccanicamente si affidava ad un “piccolo” (1595 cc) e leggero (tutto in alluminio) quattro cilindri, tanto smilzo quanto potente (160 cv). Bassa, larga ed ottimamente assettata, beneficiava anche di un rapporto peso/potenza che nessuna delle rivali poteva vantare (7 kg/cv): nemmeno la Colt (7,7) che era l'unica a tenerle testa in accelerazione. Di fatto la Honda offriva un'accelerazione imperiosa nelle partenze da fermo, salendo rabbiosamente di giri fino al limitatore che entrava in scena a quota 8200. 7”72 sullo 0-100, 15”71 sui 400 metri e 28”57 sul chilometro da fermo. Ed era proprio ai 1000 metri che la Civic riusciva a sopravanzare di un soffio la Colt (28”61) per poi continuare a distanziarla man mano che saliva la velocità. Infatti arrivava a toccare i 215,4 km/h ben 7600 giri, contro i 207,9 (a 6800 giri) della compatta Mitsu. Lo scotto da pagare per questa goduria era un funzionamento del propulsore ruvido e rumoroso, soprattutto oltre i 5000 giri. Inoltre, ovviamente, il fatto di possedere i picchi di coppia e potenza così in alto non la favoriva certo in ripresa. Ciò nonostante, il V-TEC 16 valvole a fasatura variabile mostrava un'elasticità apprezzabile che permetteva di riprendere dai bassi con un ritmo nient'affatto blando: chilometro da 40 orari in quinta in 36”34 e 31”41 per passare da 80 a 160 orari. Queste prestazioni e la sicurezza attiva della Civic permettevano una guida decisamente divertente e di rara efficacia. Baricentro basso, carreggiate larghe e passo abbastanza lungo limitavano i trasferimenti di carico troppo repentini; assetto rigido ed ottimale impronta a terra: tutte caratteristiche che consentivano di gestire al meglio i 160 cavalli. Caratterizzata da un rollio mai eccessivo, sia sul lento che sul veloce. Pronta negli inserimenti, pennellava con estrema precisione, con un sottosterzo di potenza in uscita sempre molto contenuto. Rari e comunque appena accennati i passaggi al sovrasterzo durante i rilasci, reazioni per lo più facili da controllare grazie alle eccellenti prerogative dello sterzo, preciso nelle iscrizioni, pronto nei ritorni e piuttosto leggero in manovra. Ancor più encomiabile il cambio dalla corsa brevissima e dagli innesti rapidi, con rapporti ben scalati. I freni invece non erano altrettanto efficaci. Dotata di un ABS che aveva tempi di reazione relativamente lenti, permetteva rallentamenti sicuri ma in spazi tendenzialmente lunghi: 46,7 metri da 100 all'ora e 120,7 da 160. In compenso i consumi di carburante erano incredibilmente contenuti, almeno in relazione alle performance. Quasi 11 km/litro in città e 12,533 a 130 orari in autostrada. 13,7 nell'extraurbano, solo al limite beveva parecchio (4,214 al litro). Di riflesso, prettamente sportivo il comfort: assetto rigido e persistente rumorosità meccanica, la Civic non rappresentava certo l'auto ideale per viaggiare (76,5 db a 130 orari). La nota più dolente di tutte? Il prezzo: va bene che includevano una ricca dotazione, però quasi 42 milioni di lire parevano davvero troppi per una media pepata. Rispetto alle dotazioni canoniche (o meglio, in comune alle rivali, cioè servo, ABS, condizionatore, cerchi e via dicendo) la Civic aveva in più il tetto apribile e lo stereo che non tutte offrivano. Abitacolo piuttosto sobrio ma attraente, materiali buoni. Strumentazione standard con la grave pecca della mancanza di spia olio e luci accese; soprattutto la prima direi, su un'auto del genere... Posizione di guida prettamente sportiva, pressoché perfetta. Abitabilità posteriore scarsa. Ottimale invece secondo AUTO l'accessibilità al bagagliaio, per via del portellone sdoppiato (mah... un amico aveva una 1.5 LSI e a me quella ribaltina che ti obbligava a restare lontano dal paraurti non pareva una gran comodità...). La capacità di carico però (250/450) era una tra le meno elevate: in compenso il vano offriva uno di quei sottofondi nel quale era possibile riporre oggetti di valore, che oggi vanno tanto di moda su tutte le vetture. Tecnica Che dire di quel millesei, lo ricordiamo tutti per cui non sto a riscrivere tutto il mattone dedicato alla fasatura variabile di cui oggi conosciamo bene il funzionamento. Si poneva nuovamente l'accento sull'alto regime di giri raggiungibile (8200) e sul fatto che, caso raro ai tempi, il 1600 per via dei suoi 160 cv arrivasse di conseguenza al limite dei 100 cv per litro. Qualche parola in più la facciamo sulle sospensioni, anch'esse raffinate. Multilink all'anteriore, con triangoli oscillanti inferiore e superiore, biella verticale e ammortizzatori a gas con valvole progressive. Retrotreno denominato “Multicontrol”, a ruote indipendenti, con un braccio longitudinale inferiore collegato a doppi bracci oscillanti trasversali, molle e ammo coassiali e barra antirollio. L'ABS a corredo dei quattro dischi era di fabbricazione Honda. Mazda 323 – Poco veloce ma agilissima Non più giovanissima ai tempi del confronto (nel 1994 aveva superato il lustro di vita), secondo AUTO la Mazdina era ancora discretamente attraente. Un po' invecchiato il frontale, comunque corroborato da un paraurti con ampie prese d'aria e spoiler ben modellato, più attuale la coda decisamente arrotondata. Ad ogni modo, nel confronto a penalizzarla non era tanto l'estetica quanto semmai il fatto che il suo quattro cilindri di 1840 cc sviluppasse soltanto 131 cavalli, davvero pochi se paragonati ai 160 dell'Honda di cui abbiamo appena parlato, e comunque inferiori anche al dato più basso delle altre rivali, e cioè i 137 cavalli del 1764 cc che equipaggiava la R19 di cui parleremo in seguito. Era però altrettanto vero che il propulsore rivelava un'erogazione della coppia incredibilmente efficace, tanto che la 323 era capace, in ripresa, di impensierire persino la prontissima Colt che vedremo fra poco. In quarta, per riprendere da 40 a 100 orari impiegava 11”56 quando alla Colt ne necessitavano 11”74, mentre per percorrere i 1000 metri le occorrevano 31”60 contro i 31”32 della rivale. Con la quinta marcia, invece, riprendendo sempre da 40 km orari percorreva il chilometro in 34”54 (34”43 la Mitsu) mentre effettuava il passaggio da 80 a 160 km/h in 26”56 (25”20 l'altra giappa). Purtroppo nell'aumentare ulteriormente la velocità veniva penalizzata dai propri limiti di potenza ed aerodinamica, riuscendo a raggiungere soltanto i 194,5 km/h. In compenso, in accelerazione si permetteva di fare meglio della ZX (che vantava 24 cavalli in più) e di non farsi distanziare troppo da due scattiste pure quali la Escort e la 306. Infatti balzava da 0 a 100 in 8”72, da 0 a 400 metri in 16”41 e percorreva il chilometro da fermo in 30”23. La 323 era caratterizzata da un comportamento decisamente brioso e rivelava un'eccellente capacità di cambiare ritmo, una dote che veniva ottimamente assecondata dalle caratteristiche del telaio, ovviamente dotato di un assetto piuttosto rigido. I suoi tracciati prediletti erano quelli medio-lenti, ma anche nel veloce non si trovava a disagio. Fino a quando non si adottava una condotta di guida esasperatamente impegnata, offriva un comportamento prettamente neutro e permetteva di mantenere un ritmo elevato in grande tranquillità. Così che veniva naturale forzare l'andatura andando a cercare i limiti, i quali si manifestavano sotto forma di leggero sottosterzo in inserimento così come erano leggeri i sovrasterzi in rilascio, facili da controllare grazie allo sterzo sufficientemente preciso anche se un po' troppo leggero. Meno convincente invece la manovrabilità del cambio, a causa di un'escursione della leva relativamente lunga. Gli innesti però erano abbastanza rapidi e precisi. Pure l'impianto frenante (dotato di un ABS che controllava soltanto le ruote anteriori) non era catalogabile fra i migliori della classe: non particolarmente potente e poco modulabile, assicurava spazi di arresto nella norma fino ad una certa velocità (65,5 metri a 120 km orari) mentre più in alto cominciavano ad essere un po' troppi i metri necessari per fermarsi (118,2 metri a 160). Più equilibrati i consumi: 9,161 con un litro in città, 11,059 nell'extraurbano e 10,631 in autostrada. In comune con le rivali più rabbiose aveva una rilevante rumorosità (condizionata in modo anomalo dall'aspirazione, che provocava picchi improvvisi), specialmente oltre i 140 km/h. Sospensioni dal discreto assorbimento. Era la più economica: 27.786.500 lire rappresentavano il prezzo più basso del confronto, nonostante una buona dotazione di serie (fatta più o meno di tutti gli accessori che abbiamo già visto in precedenza). Per contro, l'airbag non era disponibile nemmeno a richiesta. Abitacolo che non era né dei più attraenti, né dei più spaziosi. Dietro si stava stretti anche in due. Buona al contrario la posizione di guida, peccato per la corona del volante troppo sottile per garantire una buona presa. Strumentazione standard, bagagliaio non certo considerevole (310/494) e, rispetto ad altre rivali, le piccole chicche di bagagliaio e tappo carburante sbloccabili dall'abitacolo. Tecnica Telaistica standard, motore che la metteva in condizione d'essere la cenerentola del gruppo (1840 cc per 131 cavalli a 6500 giri e 16,3 kgm a 4500 giri) ma dall'ottima erogazione della coppia. A differenza di molte rivali, la rapportatura era poco ravvicinata e le marce piuttosto lunghe (101,8 km/h in seconda). Come già detto, ABS sulle ruote anteriori e freni a disco dalle dimensioni non esagerate (257 mm anteriormente e 251 al posteriore). Mitsubishi Colt – Brutale in accelerazione Rispettando alla lettera i canoni stilistici in voga all'epoca presso i costruttori giapponesi, la Colt presentava un disegno “a goccia” fatto di linee esasperatamente arrotondate che creavano forme morbide ed equilibrate. Così curata e modellata non esprimeva però un carattere grintoso, nonostante l'alettone posteriore, però era filante e raffinata in misura non comune. A quel punto risultava sorprendente la cattiveria che metteva in mostra sull'asfalto: il quattro cilindri di 1834 cc plurivalvole offriva infatti un comportamento “esplosivo”, benché accreditato di una potenza massima (140 cv) non trascendentale. Caratterizzato come quello della Civic da regimi di rotazione degni di un motore da corsa (girava fino a 8000) e soprattutto da un'erogazione della coppia estremamente calibrata e quindi efficacissima. Sia in accelerazione che in ripresa la Colt era quindi capace di performance sbalorditive, considerando anche il fatto che la rapportatura del cambio era relativamente lunga. Portentoso lo scatto da fermo: 7”51 sullo 0-100, 15”58 sui 400 metri e 28”63 per percorrere il chilometro; e dire che nello spunto iniziale era pure penalizzata da un notevole pattinamento dell'avantreno. Se così non fosse stato, probabilmente avrebbe annichilito pure la Civic, che invece riusciva a bruciarla proprio sul filo del chilometro. In compenso in ripresa non c'era storia. Soltanto la 323 infatti riusciva a non farsi distanziare troppo. La Mitsu aveva bisogno di 34”43 per percorrere il chilometro da 40 orari in quinta (34”54 la Mazda) mentre ne spendeva 20”82 per riprendere fino a 120 (contro i 21” della Mazda). Sempre in quinta, per passare da 80 a 160 le servivano appena 25”20 (26”23 la 323) mentre alla Civic, tanto per dire, ne occorrevano addirittura 31”41. In compenso la Honda saliva poi fino a 215,4 di punta massima, come abbiamo già visto, mentre la Colt si doveva fermare a 207,9 col propulsore che frullava a 6800 giri al minuto. Però.... prima o poi saltava sempre fuori un però. Purtroppo queste eccellenti doti motoristiche non erano bene assecondate da un assetto (e quindi da un comportamento globale) altrettanto efficace. L'handicap maggiore era rappresentato dalla difficoltà che incontravano le ruote motrici nello scaricare a terra la potenza disponibile. Una pecca veniale e facilmente gestibile nel corso delle partenze da fermo, ma decisamente penalizzante quando ci si impegnava in una guida sportiveggiante. Sul veloce e ancor più sul lento, infatti, oltre a non rivelarsi prontissima negli inserimenti,la giapponese denunciava un marcato sottosterzo fin nella prima fase di percorrenza della curva. Diventava così difficile “disegnare” con una certa precisione la traiettoria ideale e si era costretti a giocare alquanto con il gas e lo sterzo per mantenere il retrotreno in linea con l'avantreno. In compenso i sovrasterzi erano molto rari. Sterzo abbastanza preciso ma un po' leggero, più convincente il cambio molto preciso e dalla corsa della leva brevissima. Si tornava a note dolenti con l'impianto frenante, che garantiva spazi di arresto così-così (44,3 metri a 100 km/h e 118,5 a 160). Tutto ciò (frenata e motricità) era parzialmente compromesso, secondo AUTO, dalla misura dei pneumatici: 185/60 14 su cerchi 5Jx14 non erano esattamente il top. Con delle ruote maggiorate probabilmente avrebbe potuto migliorare sotto entrambi i punti di vista, consumando magari qualche decilitro in più di benzina, ma sicuramente ne sarebbe valsa la pena. Anche perché i consumi non erano esagerati: in città oltrepassava i 10 con un litro e in autostrada sfiorava gli 11. Altre note poco entusiasmanti per il comfort, penalizzato in particolare dal motore ruvido e rumoroso (78 db ai posti anteriori a 130 km/h), mentre le sospensioni se la cavavano abbastanza bene sulle sconnessioni. Tutta tonda fuori, tutta tonda anche dentro. Esclusa la plastica rigida con cui era realizzata la plancia, i materiali erano di buon livello, così come lo spazio per i passeggeri. Dietro si stava abbastanza bene in due. Decisamente ridotta invece (240 litri) la capacità di carico. Buona la posizione di guida, comandi posizionati correttamente. Strumentazione standard e dotazione rilevante per il prezzo (31.300.000 lire), anche se pure qui mancava l'airbag fra gli optionals. Tecnica Lunga meno di quattro metri (3955), larga 1690 e altra 1365, la Colt era la più piccola fra le protagoniste del confronto, ed era anche una delle più esplosive, grazie naturalmente al suo motore a corsa lunga (81x89) di cui abbiamo già sottolineato l'elevata rotazione; la coppia massima di 17 kgm aveva una curva di erogazione eccellente. A 1000 giri erano già 12,2 i kgm disponibili, e a 2500 salivano a 16,5. Alimentazione gestita da un sistema elettronico ECI, e trazione che finiva, come abbiamo già detto, su delle ruote un po' striminzite per la tipologia di vettura. Avantreno standard (McPherson) ma retrotreno multilink coadiuvato da ammortizzatori a gas e barra antirollio. Quattro dischi come ovvio, gli anteriori da 260 ed i posteriori da 256 mm. Opel Astra – E' suo il mix vincente A proposito dell'Opel Astra, durante la prova del gennaio 1992, la rivista aveva scritto “a guardarla sembra già pronta per scendere in pista”. Ebbene, il probante test di Imola dimostrava che il suo aspetto rifletteva fedelmente le straordinarie capacità che ne facevano indiscutibilmente la regina delle compatte sportive. Perché complessivamente era quella che faceva registrare le migliori performance e perché queste erano ottimamente supportate da un comportamento altrettanto equilibrato ed efficace. Partendo dal suo quattro cilindri di 1998 cc, che a dispetto dell'età (risaliva al 1987) era ancora, nel 1994, uno dei migliori in circolazione, sia per la potenza massima (150 cv) sia per l'ottima distribuzione della coppia. Tant'è vero che permetteva alla tedesca, che non pesava poco (1175 kg) di ottenere accelerazioni rapide: 8”05 da 0 a 100, 15”88 sui 400 metri e 28”95 sul chilometro, riscontri cronometrici peggiori soltanto di quelli fatti registrare dalla Civic e dalla Colt. Ma le due giapponesi in compenso nulla potevano contro i 218,980 km/h di velocità massima raggiungibili senza sforzo apparente dalla filante Opel. La Colt si fermava, come abbiamo visto, a 207,9 e la Civic a 215,4. Per quanto riguardava invece la ripresa, era vero che rispetto ad entrambe le rivali la Opel si rivelava un po' meno pronta dai bassi regimi (peraltro era penalizzata da rapporti piuttosto lunghi), ma era altrettanto vero che ai regimi intermedi dimostrava un'eccellente risposta al comando dell'acceleratore. In quinta passava da 80 a 160 km orari in 27”12 contro i 31”41 della Civic e i 25”20 dell'inavvicinabile Colt. Ciò che più gratificava al volante dell'Astra, al di là delle performance, erano la non comune guidabilità e la facilità con la quale era possibile avvicinarsi ai limiti di tenuta. Merito soprattutto dell'elevata rigidità torsionale del corpo vettura, dell'assetto ben bilanciato e pure della notevole impronta a terra garantita dalle gomme Pirelli P700 205/50 VR 15. Il risultato era che con l'Astra era un gioco da ragazzi mantenere una condotta veloce in assoluta tranquillità. Naturalmente quando si viaggiava sul filo dei limiti di tenuta (davvero elevati), il suo comportamento risultava meno facile. Ma sempre sincero. Agile e rapida nei cambi di direzione, si inseriva in curva con notevole precisione. Occorreva poi gestire la tendenza sottosterzante che si manifestava in uscita. La GSI si rivelava un tantino meno precisa nell'affrontare i curvoni veloci: il corpo vettura faticava maggiormente a mantenere un equilibrio ottimale, cosicché si innescava una sorta di beccheggio-rollio che tendeva a scomporre l'assetto. Ma grazie alla precisione dello sterzo servoassistito (soltanto un po' troppo rapido nei ritorni) era facile ripristinare la corretta stabilità e quindi la giusta direzionalità. Anche quando il citato sbilanciamento del corpo vettura provocava passaggi al sovrasterzo, essi erano come si suol dire “telefonati”, mai improvvisi. Decisamente efficace l'impianto frenante: facile modularne la potenza, spazi d'arresto sempre molto contenuti (41,3 metri da 100 orari e 104,7 da 160, quasi una quindicina di metri in meno rispetto ad alcune delle rivali del confronto): dispiaceva però notare che la resistenza all'affaticamento non era la migliore del lotto. La manovrabilità del cambio non era impeccabile soprattutto a causa di una certa lunghezza della corsa dei leveraggi, con una leva anche un filo ballerina; tuttavia gli innesti erano discretamente istintivi e dolci. Per quanto concerne poi il comfort, ad andature medie l'assorbimento delle irregolarità era discreto, cosi come l'insonorizzazione (68,5 decibel a 100 km/h), ma col crescere dell'andatura peggioravano entrambi. Grazie all'aerodinamica l'Astra era sufficientemente parsimoniosa per quanto riguarda i consumi: a 130 km/h percorreva infatti 11,58 km con un litro, soltanto la Civic era in grado di fare meglio. 9,831 in città e 11,121 nei tragitti extraurbani. Ben curato sia sotto il profilo stilistico sia per quanto riguarda assemblaggio e qualità dei materiali, l'abitacolo dell'Astra era probabilmente il migliore del lotto dal punto di vista ergonomico. I sedili dall'accentuata profilatura garantivano un adeguato trattenimento e la posizione corretta era facile da trovare. Comandi a portata di mano, strumentazione standard ben leggibile (includeva il computer di bordo). Per contro l'abitabilità posteriore era scarsa e anche in due non si stava molto comodi. Relativamente migliore la capacità del bagagliaio (360 con il sedile posteriore in posizione). Considerando infine l'ottima dotazione di serie, i 33.410.000 lire necessari per acquistarla non risultavano esagerati: tanto più che la vettura disponeva di un equipaggiamento quasi esclusivo nell'ambito della categoria. Si riferivano al computer di bordo e al sistema elettronico antipattinamento ETC, che erano abbinati ai soliti accessori già visti su tutte, con in più la tipica scelta Opel dell'impianto stereo di serie e la pelle per i rivestimenti di volante e leva cambio. Tecnica Considerata a ragione il modello di riferimento delle compatte sportive, era dotata del conosciuto 4 cilindri di cui in questa sezione ci limitiamo ad aggiungere una regolarità di funzionamento non comune ed una coppia dal valore eccezionale (19,98 kgm a 4800 giri, dei quali 16,8 già disponibili a 2500). L'ETC, dalle due modalità di intervento (nel caso in cui una sola delle ruote motrici perdesse aderenza, riduceva parzialmente l'erogazione della coppia tramite una valvola a farfalla; quando a perdere aderenza erano entrambe le ruote, il sistema agiva anche su iniezione ed accensione, interrompendone temporaneamente il funzionamento) era disattivabile dal conducente tramite pulsante sul cruscotto. Era “servito” dagli stessi sensori che lavoravano per l'ABS. Peugeot 306 – Sincera come nessuna Firmata da Pininfarina, la S16 coniugava felicemente lo stile piuttosto sobrio ed elegante di tutte le 306 con gli elementi stilistici classici delle compatte sportive. Minigonne sottoporta, spoiler inferiori verniciati in tinta e alettone sul portellone. Un vestito adeguato alle caratteristiche tecniche e comportamentali della compatta francese che ai tempi del confronto aveva appena fatto il suo debutto sul mercato italiano. Strettamente imparentata con la cugina ZX di cui abbiamo già parlato, era equipaggiata col medesimo 1998 cc dotato di sistema ACAV, però rispetto alla Citroen rivelava una marcia in più, sia sotto il profilo prestazionale che per quanto riguardava la guidabilità. I risultati strumentali lo evidenziavano con molta chiarezza. In accelerazione, ad esempio, la S16 era decisamente più grintosa, sfruttando a fondo la potenzialità del motore (col limitatore di giri tarato a 7000 anziché a 6750). Così scattava da 0 a 100 km orari in 8”47, da 0 a 400 metri in 16”15 e da 0 a 1000 metri in 29”55. In pratica viaggiava sulla stessa linea della Escort RS (8”39, 16”22 e 29”53). Per contro, rispetto alla ZX era meno rapida a riprendere velocità dai bassi, a causa di un peso effettivo più elevato (1220 kg contro 1160). Tant'è vero che in quarta (abbastanza corta) le differenze erano piuttosto minime – chilometro da 40 orari in 32”03 contro i 31”94 della Citroen – mentre in quinta erano piuttosto marcate (36”86 anziché 36”03) e restavano tali anche accelerando dai regimi medi: la 306 passava da 80 a 160 orari in 29”27, contro i 26”37 della ZX. Le due cugine, invece, viaggiavano pressoché appaiate alla massima velocità: 209,2 km/h per la S16, 209,1 per la ZX. Secondo AUTO, in una vettura compatta era raro riscontrare un comportamento preciso ed efficace quanto quello della 306, che per di più era anche discretamente confortevole: la rumorosità nell'abitacolo si faceva eccessiva soltanto oltre i 140 km/h (76 db), mentre le sospensioni riuscivano ad attutire con apprezzabile gradualità le irregolarità della strada. Facile ed estremamente sicura, la S16 manteneva una stabilità ottimale che consentiva ritmi sostenuti sia sul lento sia sul veloce. Per metterla in difficoltà bisognava sottoporla a una guida esasperatamente impegnata, e allora si faceva un po' difficile. Prontissima negli inserimenti e caratterizzata da un assetto neutro oltre che da uno sterzo preciso ma sufficientemente leggero in manovra, nell'affrontare curve a raggio corto a volte denunciava leggere perdite di aderenza a causa di un alleggerimento eccessivo: un comportamento comunque gestibile, anche se era importante un minimo di accortezza per non farsi trovare impreparati, che dall'altra parte favoriva iscrizioni rapidissime e cambi di direzione altrettanto veloci. Così come erano veloci gli innesti delle marce, nonostante il cambio rivelasse una corsa del leveraggio un po' lunga. Impianto frenante privo di punti deboli, potente e ben modulabile, che garantiva rallentamenti parziali rapidissimi e spazi d'arresto sempre contenuti (41,3 metri a 100 km/h e 107,7 a 160) e con una notevole resistenza allo sforzo prolungato. Per quanto riguarda i consumi carburante la 306 era ovviamente più o meno in linea con la cugina. Perciò in città “beveva” abbastanza (9,201 km/litro) ma lungo i percorsi extraurbani e in autostrada denunciava consumi non particolarmente elevati: rispettivamente, 11,363 e 10,473 km/litro. Rispetto alle altre 306, la S16 aveva un abitacolo caratterizzato dalla presenza di un volante a tre razze ben dimensionato e da sedili “esageratamente” sagomati, capaci di garantire un elevato contenimento e ottenibili a richiesta con un parziale rivestimento in pelle che ne accentuava l'aspetto sportivo. Posizione di guida fra le migliori e strumentazione standard con l'aggiunta – rispetto ad altre rivali – del manometro olio. Notevole lo spazio all'anteriore, mentre al posteriore proprio l'accentuata conformazione sportiva del divano faceva sì che soltanto due passeggeri potessero prendervi posto comodamente, dopo aver lottato un po' con un'accessibilità che non era fra le migliori del segmento. Poco pratica anche l'apertura del portellone, il quale non disponeva di alcuna maniglia: la capacità di carico oscillava da un minimo di 338 litri fino a un massimo di 637 litri col divano abbattuto. Infine, dotazione di serie allineata a quella delle altre rivali, incluso rivestimento in pelle per volante e leva cambio come sulla Opel. Purtroppo era una fra le compatte per cui non era disponibile l'airbag nemmeno a pagamento. Tecnica Nata mettendo a frutto le sinergie con Citroen, la nuova S16 riprendeva pari pari, come abbiamo visto, il quattro cilindri col sistema ACAV. Le uniche diversità rispetto all'unita montata sulla ZX erano riscontrabili nei profili dei collettori dell'impianto di scarico (leggermente modificati per via del minore spazio nel vano motore) e nel fatto che il regime massimo raggiungibile fosse più elevato, come abbiamo già visto. Il cambio era il medesimo della Citroen, con i primi due rapporti piuttosto lunghi e gli altri tre abbastanza corti e ravvicinati. Un'esclusiva Peugeot che forse non tutti ricordano (non erano proprio sorelle-sorelle, alla fine) era il pianale, perché la 306 aveva un passo di 2580 mm, 40 mm in più rispetto alla ZX. Canonico McPherson all'anteriore, retrotreno con assale e barre di torsione trasversali, bracci longitudinali, ammortizzatori idraulici quasi orizzontali e barre antirollio. Il tutto appoggiato su quattro Michelin da 195/55 VR 15 su cerchi 6Jx15. Sistema ABS Bosch 2E a quattro sensori che vigilava su entrambi gli assali. Renault 19 – Una doppia personalità Opinione della rivista, la 19 non era mai stata particolarmente attraente ed il passare degli anni (era nata nel 1988) non le aveva giovato. Tuttavia, la versione 16v poteva apparire indubbiamente accattivante a chi era affascinato dai look decisamente aggressivi e poco discreti, così caratterizzata da una specifica presa d'aria sul cofano e da un frontale così pieno di aperture e talmente elaborato da sembrare quello di una macchina da corsa vera e propria. Di fatto, invece, la 19 16v non era una delle compatte più performanti e cattive. Era piuttosto fra quelle che meglio coniugavano un comportamento dinamico con un comfort di viaggio più che apprezzabile, dimostrandosi anche efficace. Più di quanto ci si poteva aspettare, considerando che disponeva di un 1764 cc che sviluppava “soltanto” 137 cavalli, e che denunciava un peso effettivo di 1140 kg (per un rapporto peso/potenza di 8,32 kg per cavallo). Eppure, in virtù della buona motricità e di rapporti del cambio ben spaziati, era capace di passare da 0 a 100 orari in 8”44, da 0 a 400 metri in 16”25 e da 0 a 1000 metri in 29”75. Perciò offriva uno scatto da fermo all'incirca efficace quanto quelli di due rivali potenzialmente più dotate come la Escort e la 306. In ripresa, invece, la 19 mostrava maggiormente i propri limiti, poiché il motore risultava un po' povero di coppia sotto i 3500 giri. Il risultato era che la francese, ingranata una marcia alta, faticava un po' ad aumentare l'andatura dai canonici 40 orari: in quarta copriva il chilometro in 33”39, in quinta ce la faceva in 38”11. Ancora, col rapporto più lungo innestato necessitava di 33”65 per passare da 80 a 160 km/h; i riscontri cronometrici peggiori tra quelli fatti registrare in questa supersfida. Per certi versi era però più deludente la velocità massima raggiungibile: 206,1 km/h quando la Casa dichiarava i 215. Comunque, tolte le velocissime Astra, Golf e Civic, non è che le altre concorrenti fossero state molto più veloci, anzi: come abbiamo già visto, un'altra “milleotto”, la 323, si era fermata a 194,5 km/h. Pur essendo caratterizzata da un assetto sportivo, abbastanza rigido ma non piatto, la 19 aveva il grande pregio di riuscire ad assorbire bene le asperità, garantendo al contempo un comportamento che raramente poteva mettere in difficoltà il guidatore. Perfetta fin quando non la si spingeva al limite, era abbastanza facile da gestire anche adottando una condotta esasperata, col corpo vettura che si appoggiava abbastanza decisamente sulle ruote esterne e con variazioni di assetto progressive che non provocavano quasi mai perdite di stabilità. I rari passaggi al sovrasterzo erano talmente “telefonati” che risultavano facili da gestire e correggere. Questo nonostante lo sterzo servoassistito non fosse propriamente uno spettacolo, sia nelle iscrizioni che nei ritorni. Al contrario l'impianto frenante era prontissimo e potente, anche troppo. Privo infatti di ABS di serie (a richiesta comunque c'era) garantiva sì rallentamenti decisi, ma nelle frenate al limite era soggetto al blocco delle ruote direzionali allungando inesorabilmente gli spazi d'arresto: 46,1 metri a 100 km/h, 117,4 a 160. Buono il cambio in generale e complessivamente contenuti i consumi: città 9,712 al litro, autostrada 11,562 ed extraurbano sfiorando i 12. Passando alle valutazioni statiche, nell'ambito delle medie sportive la 19 era quella con l'abitacolo più ampio (insieme alla Tipo 2.0 16v, grande assente di questa super-prova, come abbiamo detto all'inizio). Il vano anteriore era ampio come pochi, mentre quello posteriore poteva ospitare abbastanza comodamente anche tre passeggeri. Tocco sportivo dato dai sedili ben profilati e dai rivestimenti dalla grafica frizzante. Facile trovare la posizione di guida. L'abitacolo ricalcava, per il resto, quello delle altre 19, con una plancia piuttosto imponente e con le zone per guidatore e passeggero nettamente separate a livello di design. Plancia che, ricordiamo, con il restyling era stata ammorbidita nelle forme della parte superiore (mantenendo comunque la medesima impostazione) restando invece invariata in quella inferiore (cassetto e comandi vari). Strumentazione classica Renault, dotata di indicatore livello olio funzionante a motore spento e per il resto uniforme a quanto proposto dalla maggior parte delle rivali. Computer di bordo optional, così come l'airbag per il guidatore. Purtroppo erano a pagamento anche l'ABS e gli specchietti elettrici e riscaldabili. Insomma, la dotazione non era una delle più generose, mentre lo era il bagagliaio che offriva una capacità di 386 litri a divano in posizione, per arrivare fino ad un massimo di 1310 litri a livello del tetto a sedile ribaltato. Tecnica L'architettura telaistica della 19 era semplice e funzionale, non particolarmente “spinta”, tuttavia piuttosto efficace. Il motore aveva un angolo fra le valvole di 50 gradi, soluzione che combinata alla posizione perfettamente verticale della candela permetteva la miglior combustione del carburante. Iniezione multipoint Siemens e un rapporto di compressione non particolarmente elevato. Dati di potenza e coppia tutt'altro che stellari (137 cv a 6500 giri e 16,1 kgm a 4250) che consentivano comunque buone performance alla 19, grazie anche all'azzeccata spaziatura delle marce, con le prime tre piuttosto lunghe e le altre due abbastanza corte. Il pianale ricalcava quello delle altre 19, col solito McPherson all'anteriore ed un retrotreno a quattro barre di torsione trasversali combinate con ammortizzatori idraulici. L'assetto però era stato adeguato tramite molle ed ammortizzatori più duri e una barra antirollio anteriore più grossa (24,7 mm anziché 22). Da ricordare infine che, come già detto, la 19 era l'unica del confronto a non offrire di serie l'antibloccaggio. Volkswagen Golf – Fascino ed efficacia Non era più la regina delle compatte sportive, almeno dal punto di vista prestazionale, ma era indubbio che in quanto ad immagine e fascino la Golf GTI non fosse seconda a nessuna. Addirittura, secondo la rivista, nel 1994 era ancora una delle più belle, se non la più bella, e per questo motivo non aveva bisogno di grandi accorgimenti estetici o aerodinamici, restando più o meno fedele alle medesime soluzioni proposte dalla GTI originaria del 1976: codolini supplementari, spoilerino sul portellone e appendice supplementare integrata al paraurti anteriore, senza dimenticare il logo 16v sulla coda. Unica novità, le ormai imprescindibili minigonne sottoporta. Del resto, anche il 1984 cc discendeva, anche se non direttamente, dal 1588 cc della GTI originale, con la non piccola differenza che ora di cavalli ne sviluppava 150 anziché 110. Una potenza che permetteva alla Golf di porsi ai massimi livelli, pur se non di primeggiare in senso assoluto. Ad esempio in accelerazione era sensibilmente meno reattiva della Civic e della Colt, riuscendo più o meno a stare in scia all'Astra. 8”35 sullo 0-100 (contro 8”05), 16”27 sui 400 metri (contro 15”88) e 29”28 sul chilometro (28”95). Tutte le altre rivali invece si dimostravano meno scattanti. Non però in ripresa, quando il peso elevato (1180 kg effettivi), la poco efficace erogazione della coppia e i rapporti del cambio eccessivamente lunghi la penalizzavano notevolmente. Riprendendo da 40 orari in quarta, per coprire i 1000 metri aveva bisogno di 32”90, che in quinta diventavano 37”09. Solo la 19 era più lenta. La situazione migliorava leggermente a regimi più elevati, con 29”15 necessari per passare da 80 a 160 contro ad esempio i 29”27 della 306 e i 31”41 della Honda. Inoltre, tenendo premuto l'acceleratore era capace di lanciarsi ad una velocità massima di 216,6 km/h, seconda soltanto a quella fatta rilevare dall'Astra (218,980). A parte il fatto di dover passare talvolta ad una marcia inferiore, la Golf dimostrava un'agilità ed una guidabilità notevolissime, con una buona manovrabilità del cambio a dispetto della corsa leggermente eccessiva, ed uno sterzo pronto e preciso (più nelle iscrizioni che nei ritorni). L'assetto, poi, non era particolarmente rigido e perciò non faticava ad assorbire con un minimo di delicatezza le asperità, conferendo al tempo stesso una pregevole stabilità al corpo vettura. Pronta negli inserimenti, sia sul lento che sul veloce “pennellava” bene, col corpo vettura che però si coricava abbastanza sulle ruote esterne. Poi le gomme larghe (205) ed il sistema antipattinamento EDS limitavano decisamente i sottosterzi di potenza, facendo in modo che fosse assai rapida all'uscita delle curve. Facili da prevenire o comunque da correggere erano infine i comportamenti sovrasterzanti che a volte spuntavano nei curvoni veloci quando con il corpo vettura in appoggio si rilasciava repentinamente il gas. Sul fronte dei consumi, la tedesca non si dimostrava eccessivamente assetata: solo il dato rilevato in città (9,343 con un litro) era al di sotto della media. Risultati lusinghieri per quanto riguarda l'insonorizzazione, perché la Golf faceva registrare i valori più contenuti (74 db a 130 km/h). Per qualità dei materiali, estetica e cura nell'assemblaggio la Golf era certamente ancora ai massimi livelli. Si differenziava dalle altre versioni per i sedili maggiormente sagomati e per una grafica dei rivestimenti più sbarazzina del solito. A richiesta c'erano i Recaro. Posizione di guida corretta e comandi ben disposti, con la grave eccezione del pulsante per le frecce d'emergenza, posizionato “alla moda vecchia”, sul piantone dello sterzo. A richiesta disponibili entrambi gli airbag. Buono lo spazio disponibile nel vano anteriore, mentre posteriormente anche due passeggeri non stavano poi comodissimi, specialmente in lunghezza. Strumentazione standard e una dotazione di serie che in rapporto al prezzo (35.069.000, solo la carissima Civic costava di più) non era certo trascendentale, relegando alla lista degli optionals pure gli specchietti retrovisori elettrici ed il divano posteriore sdoppiato. Discreta invece la capacità del bagagliaio: 330/1162 litri. Tecnica Caratterizzata dal cosiddetto telaio Plus (lo stesso della VR6), la 2.0 GTI 16v si affidava ad un 1984 cc a corsa lunga (92,8 mm contro gli 82,5 dell'alesaggio) capace di sviluppare 150 cv a 6000 giri e 18,35 kgm di coppia a 4800 giri. Peccato però che non rivelasse un'erogazione della coppia particolarmente efficace, essendo un po' “vuoto” sotto i 4000, un handicap che oltretutto veniva messo in risalto dalla rapportatura del cambio, caratterizzata da marce un po' troppo lunghe. La trasmissione si avvaleva di un sistema di antipattinamento denominato EDS connesso al sistema ABS: quando in accelerazione una o entrambe le ruote si mettevano a pattinare, l'EDS interveniva frenando la ruota – o le ruote – fino a quando non tornava il grip. Il telaio Plus era caratterizzato da un assetto sensibilmente più rigido e con angoli caratteristici più “spinti”, ed era accoppiato ad uno sterzo meno demoltiplicato rispetto alle versioni standard: rara (per i tempi) nella categoria l'impronta a terra dei pneumatici da 205. Fine delle considerazioni modello per modello. Ora, prima di andare a leggere la cronostoria del giro in pista, i numeretti del tabellone coi rilevamenti, dedicato agli spippolatori. Subito dopo, il pagellone. N.B. Spero che le seguenti tabelle le possiate vedere tutti... al momento il forum non mi visualizza la modalità di caricamento diretto sul server, per cui ho dovuto affidarmi alla rete (e anche lei mi crea qualche problema con un plugin oggi... se non vedete le tabelle dovrete attendere che mi torni la modalità superarchivistamegawow ) Troppi numeri? Ok torniamo a qualcosa di più tangibile. Tutte in pista, sfruttando il sistema telemetrico VPES (Vehicle Performance Evaluation System). All'atto pratico, tramite i 21 “gate” dislocati lungo i 5040 metri della pista, il sistema compieva il lavoro che tutti conosciamo. Registrare parziali, velocità effettiva in diversi punti ed ovviamente il tempo sul giro, permettendo quindi di sviscerare le particolarità dinamiche delle nove vetture, con ciascuna delle quali furono percorsi cinque giri cronometrati, i migliori dei quali sarebbero poi stati messi a confronto. A svettare fu l'Astra, seguita sul podio da Civic e Golf. Ma ora andiamo a seguire l'andamento della corsa, ipotizzando una partenza stile Indianapolis, che veda le nove vetture tutte appaiate nel passare la linea del traguardo (il gate 0). Alla fine di tutto ciò avremo la mappa del circuito con la dislocazione dei vari “gate”, insieme alla tabella coi rilevamenti cronometrici. Sin dalle prime battute si delineava quello che sarebbe stato il leit motiv della “gara”: l'Astra che faceva da lepre (imprendibile) e la Civic e la Golf uniche rivali in grado di tenerla a contatto visivo, mentre tutte le altre seguivano a debita distanza. La velocissima Astra percorreva il lunghissimo curvone del Tamburello senza grandi problemi: il coricamento del corpo vettura sulle ruote esterne, in particolare quella direzionale, era piuttosto marcato perciò l'avantreno tendeva a chiudere eccessivamente la traiettoria. Ma grazie anche alla buona precisione dello sterzo e all'ampia impronta a terra delle gomme 205/50, era facile controllare la situazione, obbligando le ruote direzionali a puntare il più possibile verso l'esterno della curva, così da ripristinare la corretta stabilità del corpo vettura senza penalizzare la velocità. Dalla quarta marcia si passava in quinta e ci si lanciava verso la Villeneuve che con l'Astra, data la velocità d'ingresso non era affrontabile con l'acceleratore a fondo corsa. I gate 1-2 registravano 187,7 km/h e un tempo parziale di 25”61. Per darvi un termine di paragone, la detentrice del record (ai tempi) nei test imolesi della rivista AUTO era la Porsche Carrera 911 (prova di pochi mesi prima, febbraio 1994) e nei medesimi riferimenti aveva fatto registrare rispettivamente 187,1 km/h e 23”36. Da tenere presente, comunque, che la 911 arrivava alla Villeneuve a una velocità tale (oltre 230 km/h) che si era obbligati a rallentarne la corsa ben prima di passare i gate 1-2. Rispetto alla Opel, lungo il Tamburello la Honda manteneva un assetto più piatto e preciso, e in uscita manifestava una leggera tendenza sottosterzante che ne favoriva la scorrevolezza. Col motore quasi a limitatore (8200) si passava da quarta a quinta e la Civic si buttava di gran carriera verso la Villeneuve, che piegava verso destra senza lasciare troppo spazio per la staccata della Tosa. Con la nipponica – che tendeva al sottosterzo e non possedeva un impianto frenante potente – era necessario rallentare maggiormente che con la tedesca, in modo da non ritrovarsi fuori traiettoria e “lunghi” all'ingresso della Tosa. Tant'è che faceva registrare una velocità di 185,3 km/h e un tempo di 26”01. Quindi, dall'Astra rimediava un distacco di circa quattro decimi e sentiva sul collo il fiato della Golf (26”17) che in uscita dalla Villeneuve faceva registrare la migliore velocità: 188 km/h. Merito del suo assetto non rigidissimo ma molto equilibrato e del cambio dalla lunga rapportatura che permetteva di mantenere ingranata la quarta fino alla frenata della Tosa. Mentre le altre sei concorrenti erano impegnate nel superare lo scoglio della Villeneuve, le tre di testa già si accingevano a percorrere con disinvoltura la Tosa. Sorprendentemente era la Golf a far registrare il miglior parziale (gate 3-5): 7”66 contro 7”68 dell'Astra e 7”76 della Civic. La VW si avvantaggiava con un'azione frenante pronta e sicura che permetteva un rapido inserimento: poi diventava una formalità “pennellare” la traiettoria, col sistema antipattinamento EDS che in uscita gestiva perfettamente la trazione delle ruote motrici. Anche l'Astra rallentava con estrema prontezza e non faticava a percorrere con buona precisione il “tornantone”: in accelerazione, però, le ruote direzionali tendevano a pattinare (avevano infatti disinserito il sistema TCS che, intervenendo sull'alimentazione, penalizzava l'erogazione della coppia motrice). La Civic, invece, non rallentava con altrettanta prontezza: in compenso l'eccellente manovrabilità del cambio permetteva di scalare con estrema rapidità dalla quinta fino alla seconda. Ma in uscita la nipponica era penalizzata da un sensibile sottosterzo di potenza. Quando però i pneumatici anteriori ritrovavano il grip ottimale, la Civic si lanciava con rabbia lungo la salita della Piratella, nella scia dell'Astra. Qui la Golf dimostrava inevitabilmente qualche limite di motore, tanto che vedeva allontanarsi entrambe le rivali. La Piratella, un lungo curvone “cieco” a sinistra, si affrontava con tutte e tre le vetture in terza marcia, senza particolari difficoltà, sfruttando in uscita tutta la pista, fino a salire sul cordolo esterno. Poi giù a capofitto nella discesa che precedeva la chicane delle Minerali. Erano l'Astra e la Golf a percorrere con maggiore efficacia la variante destra-sinistra-destra (gate 8-11) mentre la pur agilissima Civic era penalizzata ancora una volta dalla difficoltà nel trasferire a terra i 160 cavalli. Il risultato era che all'uscita delle Minerali l'Astra era sempre più sola al comando (gate 11: 1'16”26), mentre la Golf sorpassava inaspettatamente la Civic (1'17”20 contro 1'17”35), che nonostante si dimostrasse efficacissima nei rapidi cambi di direzione e alquanto veloce (non a caso faceva registrare i migliori parziali sia alla Variante Alta sia nella discesa della Rivazza) non riusciva ad avere la meglio sull'equilibratissima Golf fin quando non affrontavano il rettilineo d'arrivo, dove la “bruciava” sul filo di lana facendo registrare un tempo totale (gate 0) pari a 2'26”41 contro i 2'26”49 della rivale. Entrambe, comunque, erano distaccate di quasi due secondi dalla vincitrice Astra, il cui riscontro cronometrico (2'24”68) era di valore assoluto essendo relativamente prossimo a quello fatto registrare a suo tempo (AUTO 8/93) da una supersportiva quale la Nissan 300 ZX (2'21”15). Le altre sei concorrenti, per ragioni diverse, avevano rimediato distacchi più sensibili dalla “straordinaria” (secondo AUTO, ricordo che non sto suonando una canzone Opelista ) Astra GSI. La Colt e la 306 erano state, in quel gruppo, le più competitive: la prima aveva concluso con un tempo di 2'27”25, la seconda con 2'27”33. Per quanto riguarda la Colt, caratterizzata in inserimento di curva da una certa difficoltà ad impostare correttamente la traiettoria (tendeva ad allargare) e in uscita da un marcato sottosterzo di potenza, non riuscendo a sfruttare al meglio le proprie grandi capacità prestazionali. Grazie alle quali, comunque, si era imposta sulla Peugeot. Quest'ultima, viceversa, proprio in virtù delle sue ottime doti telaistiche, ben supportate da performance apprezzabili, riusciva a chiudere la sfida con una prestazione tutt'altro che mediocre. Prontissima negli inserimenti e nei rapidi cambi di direzione, in molti tratti parziali si era dimostrata efficace quanto la Opel: citavano ad esempio gli intertempi relativi alla Piratella (gate 6-7), 5”38 la francese e 5”35 la tedesca, e alla Variante Bassa (gate 16-17), 13”26 contro 13”21. La Renault 19 riusciva a sopperire alla poca potenza (137 cv) con un comportamento decisamente “facile” ed efficace. Tanto da sopravanzare la ben più scattante Ford Escort RS, penalizzata invece da un comportamento fin troppo nervoso, divertente ma alla fine non molto redditizio. La Mazda 323 3 la Citroen ZX, dal canto loro, confermavano anche in pista di essere sportive molto equilibrate ma dalle capacità prestazionali relativamente modeste che non permettevano loro di competere con le concorrenti maggiormente dotate. Siamo arrivati alla fine, o quasi. Come detto poc'anzi, ecco la diapositiva della mappa con la dislocazione dei vari “gate”, insieme al mega tabellone finale che è stato uno spasso (capirai....) ricomporre pevVoi. Abbiamo finito. Adesso mi riposo per qualche mese, la tastiera chiede pietà. Ma no, dai.... più che altro, appena le rintraccio, vedrò di fare un sunto (almeno a livello di dati rilevati) per le due italiane, vetusta e moderna (alias 33 e Tipo) da riproporre con la tabella delle performances. Mancherà il giro in pista ma almeno metteremo insieme i dati rilevati, per farci un'idea di cosa offriva l'Italia a 16 valvole in quegli anni (magari mettiamo anche la Delta HF, così tanto per) che purtroppo non prese parte alla vicenda. E mobbasta davero. GTC
  11. OT Anche su una 164 Una preserie con la gomma a terra Foto che furono pubblicate da Auto Oggi nelle settimane precedenti al lancio ufficiale. Immagini malamente ritoccate, entrambe, credo con l'obbiettivo di cancellare una persona (nella prima davanti al frontale - si vede il ritocco maldestro sullo scudetto, sullo spoiler e sul parabrezza nella zona del poggiatesta passeggero - e nella seconda vicino alla ruota sgonfia - probabilmente il tizio la stava sostituendo...). Non so se fossero previsti sulla nuova ammiraglia oppure fossero semplicemente coppe montate così, su una vettura preserie perchè erano a disposizione. Sulle maquettes non mi pare di averle mai viste. Fine OT
  12. Ricordo che 4R sparò a zero su questa campagna, criticando in maniera piuttosto netta l'italiano "creativo" che era stato utilizzato, coniando i suddetti termini. Qualche settimana dopo arrivò la risposta dell'ufficio stampa Fiat (l'ho letta giusto qualche giorno fa sistemando doppioni della rivista), parecchio delusa dalla presa di posizione del direttore che non aveva colto (o non aveva voluto cogliere) l'animo spiritoso della campagna. Se mi ricapitano fra le mani, metto insieme attacco e risposta.
  13. Un applauso a Gimmo che ha scoperto che tutto torna alla perfezione. ma no guarda avevan fatto tutto a spanne, con un pallottoliere, un pò di carta del prosciutto usata e i turbo color Giotto che però il giallo era secco il blu quasi finito e del rosso cacchio s'era perso il tappo.
  14. Degna dei peggiorni anni di concept japani vissuti su 4R quand'ero studente. Quelle auto che ti facevan pensare "si ma dai è uno scherzo, quando sarò grande mica andremo in giro con queste cose, vero?? Perchè altrimenti quando lo zio butta la 127 Sport la vado a ripescare e me la tengo..." Immaginare il futuro a Stoccarda significa costruire un'auto con un montante anteriore che non s'era mai visto, tale da dover inserire qualcosa di elettronico che ti faccia vedere cosa c'è dietro? "Eh ma è un concept, una forzatura, di certo non faremmo di serie una cosa del genere". E allora perchè la facciamo....
  15. Il depilant è quel catalogo che quando lo sfogli e trovi una foto del genere ti cadon tutti i peli?
  16. Infatti... se non ricordo male negli anni Novanta GM aveva combinato qualcosa del genere su un V8 (non ricordo se su una Caddy o una Oldsmobile, boh) e l'interruzione della combustione era alternata con una certa frequenza.
  17. Dimostrazione di quanto fosse facile "giocare coi Lego" con il progettozzo . Tra l'altro il creatore di questo ibrido non è mica andato poi tanto lontano dalla realtà. Come si diceva infatti tempo fa, prima che il Canta esprimesse nei confronti del Walter il desiderio di avere due C differenti non solo per il numero di porte, la 145 stava nascendo pure a cinque porte, con il suo posteriore ed il suo anteriore ma in mezzo le porte della Tipo... Quest'immagine computerizzata, che di base è di una 145 come la conosciamo, ci mostra anche un accenno delle linee caratteristiche del giro porta Tipo. E qui vediamo il modello denominato "The Box", nella revisione datata Marzo 1989 (momento in cui comparve lo scalino sul bordo inferiore del finestrino anteriore). A parte l'ovvia differenza a livello di pelle esterna delle portiere (cintura più a cuneo e scanalatura), in questo caso il giro porta era quello della Tipo, e pure il finto deflettore posteriore, più striminzito perchè il divisorio non è verticale, non è poi così lontano dalla Tipo a livello di progetto. Anche per lei infatti c'erano state delle varianti in cui la parte fissa del finestrino posteriore era più piccola perchè la divisione non era così netta. Si dovrebbe vedere abbastanza bene qui. Qui ancora di più
  18. Beh a differenza della Punto che ha postato Nicketto, debbo dire però che è la GTC è rimasta tutta lucida, non è diventata opaca. Semplicemente mette in mostra le varie tonalità di rosso disponibili . Poi, negli anni, ritocchi vari hanno aggravato la cosa: tre anni fa, il giorno di S.Stefano mancò la mia nonna materna che era da qualche settimana ricoverata in ospedale a Vercelli. Quella mattina (gran gelata) scendendo con verso l'ospedale con l'umore che si può immaginare, i miei genitori scivolarono in una curva lenta sopra un lastrone di ghiaccio e l'Astra si infilò lentamente sotto un guard-rail con l'angolo anteriore destro. Gran giornata. Parafango e fanale nuovi, per cui anche con la dovuta sfumatura all'anteriore spuntò una parte bella fiammante. L'anno scorso un collega di mio padre in azienda fa manovra e con la Duster centra l'Astra nel parafango anteriore sinistro. Si cambia anche quello e un'altra sfumatura che col tempo comunque è venuta fuori... quella macchina fa pena. Solo che a mio padre dell'auto non frega più nulla, da quando ha ripreso in mano le moto. Vent'anni fa sarebbe stato inconcepibile avere nel box un'auto messa in quel modo.... quando trovava il segno di un'unghia sulla Vectra si attaccava ad una colonna del palazzo e lo faceva tremare tutto
  19. Classico Opel che non passa mai di moda. La GTC di mio padre, stessa tinta, ha solo 10 anni (fra pochi mesi li fa) e per ora di sfumature ne presenta solo tre o quattro. Diamogli tempo. Parti in plastica pari al nuovo, rosse lucide che manco una 458 Italia... cofano che va verso l'arancione, fiancate che cercano di seguirlo a distanza ravvicinata, tetto che sta andando verso il fucsia. Vabè, sono anche 10 anni che sta al sole tutto il giorno, mio padre in questo lasso di tempo ha lavorato per due aziende diverse, facendo giornata, e non ha mai avuto un posto auto coperto. Però, visto che la mia di GTC ha fatto la stessa vita ed essendo grigia Silver Lightning è rimasta come quando era nuova, posso ufficialmente dire che quella di mio padre fa cacare
  20. Qui una Renegade ed una Cherokee, entrambe bianche. Non saprei dire però se siano vendute o meno. Le ho viste entrambe (una per volta) parcheggiate davanti al bar di Varallo ove solitamente il titolare dell'autosalone locale si reca la mattina del sabato a bere il caffè (e si porta sempre dietro "la novità"). Sono aumentate le new Panda, finalmente. Alcune Giuliette nuove. Nuova Mini manco l'ombra, gira qualche Adam (molto basic, senza tutte le menate). Vista oggi una Ghibli talmente sporca che non son riuscito a capire se era grigia argento o qualche altro colore strano. Cominciano a vedersi le A1, soprattutto cinque porte. Da un po' non vedo Golf "fresche", 500L sempre poche. Vista una Ecosport, e ne facevo a meno. Tante tante Clio, diverse Mokka ed alcune Captur, ma poche 2008. Un paio di new Aygo (e ne facevo a meno anche lì). A Varallo è arrivato un Macan. Batte 100 a 0 la sorella maggiore. Invasione di massa da parte della Classe A. I cinesi del discount ount ount han comprato la Panamera...
  21. Di sera va in giro da sola a pulire il parcheggio del condominio? Sembra uno di quegli aspirapolvere che girano per casa da soli.
  22. La più evidente parlando di estetica fu l'adozione di portiere differenti (maniglie incluse) con lo scopo di rendere più a cuneo la linea di cintura. Regata prima serie Regata seconda serie (o "II atto" come fu battezzata da Fiat) Non si nota al primo colpo magari, ma se osservi con attenzione la linea inferiore dei finestrini si è fatta parecchio più a cuneo, collegandosi idealmente al taglio del cofano motore a tetto. Poi cambiavano altre cose, in primis i paraurti (più corposi). Riguardo gli interni, non ricordo esattamente le modifiche, ma mi pare che non fossero molte. La cosa buffa (e costosa) fu che con quel restyling Fiat "riusciva" a dover tenere in produzione due tipi differenti di portiere per Ritmo e Regata. Prima erano differenti perchè Regata fin dal lancio aveva le maniglie rettangolari mentre sulla Ritmo erano tonde, e di conseguenza cambiava la pelle esterna della portiera, poi... proprio al tempo di Regata II atto la Ritmo venne modificata e prese le portiere con le maniglie rettangolari. A quel punto si potevano produrre entrambe le medie con la stessa porta identica, ma Fiat decise di cambiare quelle della Regata per farle la cintura più a cuneo.
  23. Parentesi sui cerchi Fiat con quel disegno. Sempre stato convinto, fino a qualche giorno fa, che fossero venuti alla luce per la prima volta proprio al lancio della Uno Turbo (1985) e che poi qui e là su e giù, con quello stile siano andati su Croma, sulle Regata II atto, sulle Ritmo "targa bassa" (come optional intendo) e via dicendo. Invece... ohibò. L'altro giorno, rassettando depliant, ho ritrovato quello della Regata prima serie, non dico la primissima edizione ma poco ci manca. In fondo alla quarta di copertina infatti, la classica sigla che indica la versione del depliant riporta la dicitura di uno dei primi mesi dell'84 (non ricordo se marzo o aprile, qualcosa del genere). Siam ben lontani dalla Uno Turbo, per non parlare della Regata II atto (pensavo che per lei fossero arrivati con quel restyling), eppure nella pagina degli accessori a richiesta c'è la fotina con quel tipo di cerchio in lega. Forse non li mise mai nessuno o forse, dopo la foto, materialmente non furono mai messi a disposizione della clientela, non lo so. Di sicuro non ho mai visto in vita mia una Regata prima serie con quei cerchi in lega. Appena ne ho l'occasione faccio un paio di scansioni.
  24. Speriamo. Soprattutto perché se esce un nome nuovo è sicuramente una cagata. P.s. passato stasera in conce, arrivata la Corsa boccuccia. Colore che credo si chiami "leggermente verde appena appena" sulla tavolozza . Porca miseria. Nemmeno la miscela che facevo da bambino con la menta Sacco - pigliandomi pedate perché facevo un budino con tracce di acqua nella menta - c'aveva quel colore. No foto, mi son fermato con la Punto e stavano cominciando a volar fuori cerchi in ferro dell'Ascona.
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