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PaoloGTC

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  1. STUPENDA. Di più potrei chiedere solo di vederla anche "normale", ossia completa di parabrezza e tetto.... me la immagino e vedo qualcosa di spettacolare (per quanto lo sia imho anche così). Bravi, bravi davvero. Questo è il mio ideale di sportiva, come estetica.
  2. Beh... "potrebbe esser peggio" (cit.) Potrebbe piovere? No. Potevano chiamarla, citando lui "UnaveraFerari" (sottotitolo "dammi un pugno sul cofano, Guido")
  3. Il socio di bro-bro che vende losanghe dal 1972 (e che ogni tanto fa rigar dritta la Scenic di Duetto quando le prende la voglia di andare dove le pare ), e ricorda con malinconia certe meccaniche, meno certe finiture. Lui mi dice che ci fu il periodo in cui la meccanica era il punto forte e la componentistica era indietro, ma in maniera minore (tante 21 molto chilometrate con piacere, ma con le finiture che a volte non erano allo stesso livello di quel che c'era sotto), un periodo d'oro in cui tutto era a livello (gli mancano da morire, me lo dice sempre, 19 e Laguna 1... cioè in teoria ad un riparatore non dovrebbero mancare troppo le vetture che non hanno mai niente però lui è fatto così, quando ci sono i periodi con le auto drammatiche lavora di più ma diventa paranoico e giustamente sentenzia che alla fine della catena il rimbrotto del cliente, magari poi perso, se lo becca lui mica qualcuno in Francia..) ed un successivo periodo di meccaniche ancora molto valide ma di finiture che andavano annacquandosi... poi c'è stato il nuovo millennio ed il periodo 2000-2003 durante il quale ha avuto modo di rimpiangere TUTTO, questo e quello (Megane II, Laguna II....). Laguna II specialmente l'ha fatto uscire di senno, UNA dice di averne venduta che si è comportata in modo decente. Il problema fu che l'auto era accattivante e ne vendette.... clienti persi. Tanto che con l'avvento di Laguna III, cominciò a toccarsi, poi entrò uno e la compro, nera full optional, e a lui venne l'acetone ed il giorno stesso della consegna, dopo due ore e 80 km l'auto tornò con l'avviso di pericolo rottura motore sul display ed il navi che non funzionava più... due cose risolte con poco, roba elettronica, ma sul momento gli venne l'idea di appendersi al ponte con una cinghia di distribuzione attorno al collo. Duetto che conosce il socio di bro-bro può confermare le sue emotività e fragilità
  4. Quoto tutto tu spieghi molto meglio di me! Riguardo le francesi, mi sento solo di aggiungere che a livello popolare, soprattutto per quel che riguarda le auto dal seg. C in su, quelle che possiamo anche chiamare discussioni "da bar" ma che in fondo in un paese piccolo come in uno più grande nascevano sulle basi rappresentate da prodotti che erano quelli fra i più "sentiti" nel vasto panorama, ho sempre avuto l'impressione che il -chiamiamolo - duello, sia come prodotti tangibili che come discorsi/esperienze, si basasse su queste due produzioni perchè erano le due viste come al top da entrambi gli schieramenti di soddisfatti/insoddisfatti. Non me ne vogliano le francesi o i loro sostenitori (io stesso lo sono di diversi modelli), ma le due culture automobilistiche che imho qui in Italia "scaldavano" di più gli animi, con conseguenti dibattiti, confronti, tramutati poi in opinioni di massa, credenze, dicerie, luoghi comuni e reputazioni tramandatesi fino all'oggi, erano le italiane e le tedesche. Sarebbe errato dire che le francesi non abbiano scaldato i cuori o non abbiano avuto appassionati, perchè non è assolutamente così. Però, per fare degli esempi spiccioli, ricordo lunghissime diatribe su Thema vs Bmw o Thema vs Mercedes (cosi come Alfa vs Lancia, insomma Bartali e Coppi, Juve e Milan, quelle cose lì) oppure le litigate su Tipo e Golf... ma onestamente qui in Italia non ricordo tali confronti (anche accesi) fra Thema e R25, oppure fra Tipo e R19. Erano due culture automobilistiche che avevano ognuna i suoi punti forti, perchè credo sia veritiero dire che le tedesche si mangiavano le italiane in linea di montaggio, ma le italiane si mangiavano le tedesche su strada. Due figure al top, e di conseguenza tali da raccogliere la maggior parte degli scambi di pensiero o di discussioni pure vivaci. In questo panorama, almeno qui in Italia, credo che le francesi, le giapponesi e le americane abbiano sempre recitato il ruolo di comprimarie. In alcuni casi certamente non per mancanza di validità del prodotto (in altri sì... che ci sarebbe stato da dire in Italia sui carcassoni americani dell'epoca, scusate... non credo fossero messi da parte solo per parlare delle tedesche, credo non venissero manco calcolati....), ma piuttosto per il non essere sulla bocca di tutti. Se in un bar attaccavi discorso con la Tipo, usciva fuori la Golf, ma questo non vuol dire che la 19 non fosse buona/cattiva/meritevole di attenzione. Però, era così.
  5. Ah beh allora vengo col trattore Opel... altrimenti se vengo con l'altra mi bolle l'acqua, si annoiano i cavalli, si addormentano i cilindri e la V diventa un angolo piatto, plac.
  6. Solo maxwell lo batte, perchè lui va in carena anche con la macchina, le studia tutte.
  7. Si esatto, son loro. Gli stessi credo per 3p e 5p, che da noi avevano due colori diversi, nera la 3p e marrone met la 5.
  8. Sai cosa? Io personalmente mi son fatto l'idea negli anni (perchè nel totale della famiglia di auto italiane ce ne sono sempre state parecchie, e di varia epoca) che il problema grosso dello standard qualitativo era soprattutto che fosse difficile definire lo standard stesso. Abbiam visto passare auto in teoria paragonabili fra di loro, in questa famiglia ed in questo paese (perchè eravamo pochi e lo siamo ancora, in città... e ci si conosceva, si parlava, si esaltava o ci si lamentava...) alcune delle quali pressochè perfette per anni, altre disastrose. Mio padre ebbe due Ritmo, una 130 e poi una 60 usata dello stesso periodo della 130, e i difetti di componentistica li trovammo su entrambe. Mentre per la prima, però, erano completamente addebitabili alla mano d'opera vera e propria, perchè: -il pannello porta intriso d'acqua al primo temporale non era questione di progetto o materiali ma di qualche scriteriato che invece di applicare bene il foglio di plastica separatore, lo buttò dentro accartocciato; -il rumore dal pavimento non era questione di progetto ma di un altro scriteriato che a fine turno mollò sul pianale una chiave, un martello e una manciata di viti e bulloni, accompagnato da un'altro scriteriato che posò il tappeto del pavimento senza manco guardare, per cui ad ogni accelerazione/frenata c'era roba che correva su e giù per la macchina; -il lavavetro anteriore che non spruzzava era dovuto ad un terzo scriteriato che invece di applicare il tubetto alla vaschetta nel bagagliaio e tagliarlo di misura per farlo arrivare ai tergi anteriori, abbandonò sul pianale la matassa intera (30 metri, misurati) ancora con le fascette, collegando semplicemente l'altra estremità ai tergi....hai voglia sperare che la pompetta riuscisse a farci arrivare l'acqua.... dietro ovviamente il lavavetro andava, per forza era un altro tubo... mentre per la seconda si trattò di carenze di materiali. Le foderine dei sedili bucate in 20 mila km, con l'imbottitura che veniva fuori, la plancia crepata in due dal sole, i pannelli porta che si staccavano nel bordo superiore, i paraurti diventati grigio chiaro in poco tempo, le viti dei fanali posteriori con la testa di plastica che si crepavano quando cercavi di cambiare una lampadina. Questa fu la nostra esperienza diretta, e pur presenti (forse) in misura minore sulle ammiraglie o sulle medie, posso capire che in quel periodo tali tipi di difetti abbiano contribuito al nascere della cattiva fama delle auto italiane, proprio nel momento in cui avevano gamme composte da modelli che per altri versi avevano tutte le carte per dire la loro nei confronti della concorrenza ed anche di più. La nostra esperienza era accompagnata da quelle di parenti o amici o concittadini, con auto magari dello stesso tipo ma dalle sorti ben differenti a volte. Alcune perfette, altre disastrose. Secondo me il problema principale era l'incapacità di mantenere uno standard qualitativo buono. Perchè quando esso era presente, l'auto italiana X prodotta secondo standard X non era poi inferiore alle concorrenti tedesche. Solo che lo standard X mica sempre veniva fuori, mentre, forse, quello che ai tempi avevano le rivali germaniche, e che le ha aiutate a farsi il nome che si son fatte in quel periodo, era che lo standard X era pressochè una costante, al netto di esemplari problematici che ci sono sempre stati in qualunque genere di produzione. Un'italiana fatta bene, secondo progetto e secondo coscienza, aveva le sue cose per rivaleggiare, anche in questo settore, imho. Il problema fu che ne venivano fuori parecchiotte fatte così così. Per cui io prendo sempre per buone entrambe le campane, sia chi mi dice che ha fatto anni con l'italiana del caso, con tanta gioia, sia chi mi racconta di aver avuto un disastro fra le mani, perchè secondo me era proprio così. Questo non per dire che il problema non fosse tale. Fosse stato per quello o per quell'altro motivo, sempre problema qualitativo era, scriteriati in linea oppure componenti a volte di seconda scelta buttati in linea lo stesso (con mio padre che faceva cappelliere, credimi, ne so qualcosa...) che fossero. La macchina a fine linea usciva malfatta. Punto. Però non era tutto così e nemmeno tutto cosà, e per questo penso sempre che non sia il caso di diventar pazzi nelle discussioni sul fatto che le italiane andassero benissimo oppure malissimo, perchè succedevano entrambe le cose. Almeno per quel che posso dire per la mia/nostra esperienza. Conosco persone che di Thema se ne son mangiate quattro a 300000 km ciascuna e han pianto quando l'han tolta dalle linee, e persone che ne hanno avuta una e sei mesi dopo non la volevano vedere manco in fotografia... questo per me era il problema. Questo era quello che non doveva accadere. Mancava la continuità, che forse nella produzione tedesca c'era di più, e col tam-tam del popolo automobilista, fu ovvia la conseguenza dello spuntare della fama che comprare tedesco era una garanzia. Ha sempre fatto più notizia un'esemplare pieno di problemi, che venti che van bene. E da noi non era solo UN esemplare. Tutto rigorosamente imho.
  9. Asfalto nel senso che sarà pieno di buche e rattoppi. Però sarà idrorepellente, per cui quando pioverà (perchè pioverà dentro in 'sta casarola, sicuramente) le gocce scivoleranno giù nel vano piedi molto svelte, riempiendo semmai la vasca in cabbonio il che porta a definire decisamente appropriato l'appellativo "bagnarola" per 'sta macchina. Ovviamente la versione europea e quella USA saranno differenziate data la diversità della segnaletica orizzontale dei due continenti.
  10. Ah si ricordo, era quel mattino in cui c'era anche il signor Pegiò , che poi ti ha fatto andare di traverso il panino con la salamella quando ha esclamato ad alta voce cosa pensa della 90
  11. In effetti questo pensiero made in Stoccarda lascia perplesso pure me, anche posizionandolo nel contesto dei tempi. Sbaglierò io ma non le ho mai viste esattamente come concorrenti, neanche nel mercato dell'epoca. Ho sempre pensato che fosse stata questa una mossa fastidiosa non tanto nell'ambito della battaglia fra gamme, quanto per immagine e richiamo. Alfa era ancor più vicina nel tempo a quel periodo in cui aveva fatto STORIA in pista, e probabilmente tutti coloro che erano nel campo delle sportive provavano più desiderio di infastidire le operazioni sportivo-markettare rispetto ad oggi. Perchè tutti anche ai tempi avrebbero potuto esclamare un grosso "vabbè, e allora?" leggendo di una Porsche che sottolinea un primato di 928 compiuto a fianco di uno Alfa con le Alfette TD ... dicendolo in parole povere, credo fosse soltanto PER ROMPERE LE BALLE. Intanto postiamo la seconda parte. Articolo del 16 luglio 1985, piuttosto breve, sull'Assemblea Straordinaria che si terrà a breve. AGOSTO, ALFA MIA COME TI RICONOSCO? L'Alfa Romeo vive le sue ore decisive? Venerdì scorso si è riunito il Consiglio di Amministrazione della società e pare sia stata votata la richiesta di una Assemblea straordinaria dei soci da tenersi prima della fine d'agosto. In quella sede verrà decisa la sorte di un'azienda che al momento è allo sbando. Come hanno riferito recenti dati, le vendite anche di modelli nuovi, con un restyling dignitoso ma non sufficiente a ridare l'immagine perduta in questi ultimissimi anni, non sono più in grado di giustificare i costi crescenti. All'IRI di Prodi l'industria dell'auto non è più considerata “settore strategico” e quindi il ripiano dei 400 miliardi di reale deficit Alfa si potrà fare solo con soluzioni drastiche. Quali possano essere, visto che la Fiat non mostra di volersene accollare il recupero, è difficile dirlo. Forse non basterà una alleanza, forse l'operazione General Motors potrà andare oltre certi confini, senza creare un caso SME, per minore appetibilità dell'impresa. Al momento è stata stoppata anche un'operazione di semplice riciclaggio al vertice. E ciò anzitutto perché la DC (leggi De Mita) ha continuato a sostenere Massacesi, al quale si voleva offrire un'alternativa appagante. Ma la situazione RAI non si sblocca e la sua candidatura alla vicepresidenza resta perciò in sospeso. Inoltre – dopo la nomina di Viezzoli alla Presidenza della Finmeccanica ma con Fabiani amministratore delegato – pare non siano stati considerati accettabili i nomi affiorati. Per esempio l'ing. Sguazzini e il “commerciale” Di Capua. Pare che al vertice di Finmeccanica e IRI i nomi presentati siano stati considerati troppo tecnici! Evidentemente si preferiscono manager più politicizzabili. Cioè più duttili alle istanze politiche. Come dire che non si è capito nulla della crisi delle industrie IRI, fatte gestire sempre meno da tecnici preparati che risultano poco disponibili ai giochi di Palazzo. Di contro, in attesa dei movimenti di vertice, proprio da settori di lottizzazione politica partono inviti a vari dirigenti Alfa, specie quelli il cui sollevamento recente con la famosa Rivoluzione delle Funzioni (che è costato l'allontanamento dell'amministratore delegato Innocenti che ne era stato l'ispiratore) non nascondevano le intenzioni di lasciare l'azienda, di non precipitare le proprie decisioni in attesa del new look aziendale. Tra questi, il richiestissimo ing. Surace, sollecitato a nuovi compiti dalla Fiat Componenti come dalla Piaggio, industria in notevole ripresa, proprio per la sua preparazione tecnica. Non resta che attendere: tutto andrà a maturazione, vedrete, mentre l'Italia sarà distratta dalle vacanze d'agosto. Così le scelte, specie quelle discutibili, possono farle digerire meglio... Fine 1986, Gianni Cancellieri intervista per AUTO Franco Perugia. QUESTA NOSTRA ALFA ROMEO E' l'industria automobilistica di stato e lo stato... siamo noi, il che significa che le sue vicende ci riguardano molto direttamente. Le nuove strategie per il risanamento e il rilancio della gloriosa marca. Di Gianni Cancellieri AUTO-1986 Non so se qualcosa di simile accada anche a voi: le vicende dell'Alfa Romeo mi toccano, mi coinvolgono sempre con una intensità del tutto particolare. Il fatto è che non solo le vetture costruite dall'industria automobilistica di stato ma anche la stessa Alfa Romeo – nel bene e nel male – mi appare made in Italy.... ma così made in Italy che di più non si può. Il caro vecchio biscione è l'emblema non di una fabbrica bensì di una intera nostra Weltanschauung, di una concezione del mondo con il Bel Paese a mo' di ombelico, specchio di una capacità di emergere inventando o esaltando risorse, talenti, a volte – ebbene, si – autentico genio... non di rado, ahimè, mortificato poi dalla inguaribile “sregolatezza” che ci è altrettanto peculiare. E che è sintetizzabile in una visione dei problemi contorta o distorta da inopinate “variabili” politiche che dà luogo a scelte conseguentemente influenzate e, infine, a risultato fatalmente “figli” (oltretutto non sempre legittimi) di tali scelte e via rotolando. Il Bel Paese ha pagato e tuttora paga duramente i costi talora spropositati di questo modo di gestirsi – o farsi gestire, che è la stessa cosa – ma, fortunatamente, da qualche tempo in qua veniamo captando diversi ed inequivocabili sintomi di... ravvedimento, salutari correzioni o inversioni di rotta, un modo nuovo – nuovo per noi: cioè, finalmente compreso e adottato – di programmare, di fare, di produrre tante “cose”, automobili evidentemente incluse. E fa piacere prendere atto che l'Alfa Romeo sembra fermamente decisa a proseguire su questa via recentemente imboccata. Ne parlavo a Roma, qualche giorno addietro, con il capo ufficio stampa dell'industria milanese Franco Perugia, fra un turno di prova e l'altro di quel nuovo missile terra-terra chiamato 75 Turbo. -Perugia, qual'è oggi il problema numero uno dell'Alfa? “Non vorrei essere scambiato per.... Catalano (l'indimenticabile ovviologo di “Quelli della notte”, ndr). In realtà il problema fondamentale per l'Alfa Romeo è quello di... fare delle vetture Alfa Romeo”. -Ovvero non fare più vetture che siano Alfa Romeo soltanto di nome. “Il nostro mercato potenziale si aspetta da noi automobili che offrano contenuti, prestazioni, stile in sintonia con la nostra immagine e con la nostra storia. Automobili, diciamo così, da un certo livello in su, veloci, brillanti, divertenti da guidare, tecnologicamente raffinate, confortevoli”. -Quante vetture di questa qualità e categoria di prezzo può assorbire il mercato? “Ecco il punto: secondo i nostri studi, 230-240 mila unità/anno: ossia molte meno delle 430 mila che costituivano fino a qualche tempo fa il nostro obbiettivo produttivo...”. -...per raggiungere il quale, peraltro, avete puntato per anni su modelli non in linea con la vostra immagine: Alfasud e Arna, per intenderci. “L'Alfasud aveva tutti i numeri per aprirci, anzi spalancarci le porte di una fascia di mercato nuova ma estremamente interessante, come del resto appare ogni giorno più chiaro da una quindicina di anni in qua”. -Purtroppo, gli enormi problemi di Pomigliano d'Arco vi hanno fatto perdere un'occasione diciamo pure “storica”. Ma mi pare altrettanto “storico”, come errore di strategia, quello che vi ha portati a dar vita all'operazione-Arna, ossia il costruire un'altra non-Alfa. È vero che, a monte di tutto il discorso, l'ipoteca politica era di quelle pesanti, ma ciò non toglie che siamo ancora in molti a chiederci perché. “A parte il fatto che secondo me l'Arna resta comunque un'ottima vettura, tutta l'operazione è nata in funzione dell'obbiettivo di volumi di produzione e di vendita che non sono alla nostra portata”. -Mi sembra, peraltro, che nemmeno le 230-240 mila vetture siano alla vostra portata: nel 1985 quante ne avete costruite? “Ne abbiamo costruite circa 160.000. E' chiaro che dovremo cercare altre soluzioni per contribuire a far uscire l'azienda da quella pericolosa 'area di rischio' in cui da tempo si trova. Cercheremo altre joint venture, ma in questa nuova ottica, che dovrebbe consentirci di tenere sempre bene a fuoco la nostra immagine.” -E la gamma andrà dalla 33 alla 164? “Partirà dalla 33, considerata come famiglia di automobili, articolandosi poi su quella della 75/90 che è in piena evoluzione (la 75 non ha ancora un anno di vita) e avrà il suo top in un modello del segmento 6 o segmento F: quello, insomma, dell'Alfa 6”. (Perugia.... e dillo. La 164, l'ha già detto Cancellieri , ndGTC) L'altro grande, fondamentale obbiettivo resta, naturalmente, l'indispensabile riequilibratura del rapporto fra costi e ricavi. Un problema troppo complesso per essere affrontato qui ora, ma del quale ci occuperemo con il dovuto approfondimento non appena conosceremo nei dettagli le linee strategiche del risanamento e dello sviluppo di questa nuova Alfa Romeo. Le cui sorti, non fosse altro che per motivi di... sano egoismo, tutti dovremmo sinceramente avere a cuore. È l'industria automobilistica di stato, si o no? Ebbene, abbiate pazienza, lo stato siamo noi. Fine Mentre si vive il periodo in cui tutti si chiedono chi sarà a prendere in mano le sorti del Biscione, spunta questa intervista ad Eugenio Alzati, che discute di Alfa e di futuro con una certa vivacità. In coda, un breve trafiletto - che era abbinato all'intervista - che parla di Robert Opron alle matite in Fiat. L'ALFA CORSE A FUROR DI ALZATI Mentre ai vertici Finmeccanica si sfoglia la margherita Fiat-Ford, il nuovo “d.g.” di Arese va forte sulla strada della (ri)scossa. GARDONE RIVIERA – Per un anno intero è stato zitto. E conoscendo l'uomo, estroverso e dinamico, per lui non deve essere stato facile. Poi è venuta l'occasione, la presentazione della nuova serie della 33, con quella 1700 a carburatori da duecento e passa orari, una vera Alfa Romeo. E a cena con pochi giornalisti, a rotta di collo, ha detto tutto, senza filtri e veline. Come un personaggio del suo calibro sa fare. Un vulcano, gli occhietti vispi che lanciano bagliori ammiccanti. Eugenio Alzati, da un anno direttore generale per l'area tecnico-produttiva dell'Alfa Romeo, sette anni in Ferrari, undici in Lancia e tutti gli altri, prima, a Mirafiori, ingegnere aeronautico che ha cominciato dalla gavetta, come allora si usava. “Quando entrai appena laureato a Mirafiori, nel reparto presse, dopo il cosiddetto 'ponte dei sospiri' rimasi di ghiaccio. Pensai: da caposquadra al massimo diventerò capo reparto. Ho stretto i denti e sono andato avanti. Un bel giorno Soria mi ha chiamato e a freddo mi ha chiesto: Scusi, ma lei, ha coraggio? Non potevo dirgli di no, a patto che sapessi fare un certo lavoro. Il giorno dopo ero responsabile del montaggio in Fiat. Una città, migliaia e migliaia di persone. Se mi fermavo io si fermava Torino...” “Poi le esperienze in Lancia e gli anni con Ferrari. Se non si amano le automobili non si può resistere, con Ferrari. Fino a quando mi hanno chiamato in Alfa. Certo, se stavo a quello che dicevano i giornali non sarei mai venuto. Parlavano di azienda decotta, di destino segnato. Sono stato tra i pochi a credere il contrario, e ora posso dire che avevo ragione io. Comunque dovevo venire a rimettere in piedi l'azienda, la cui parte esteriore era stata decisamente travisata. Era stata venduta carta d'argento per carta da pacchi, ma soprattutto gli uomini erano in ginocchio. Bisognava rivalorizzarli, recuperarli. E posso dirvi che in Alfa c'è uno staff magnifico. Sapete cosa hanno detto quelli della Ford? Guai a toccare il patrimonio umano. Deve essere gestito come adesso. Ora anche la Fiat se ne è accorta e cerca di tamponare la falla. Comunque col lavoro che è stato fatto ora possiamo già sederci allo stesso tavolo.” Ovviamente cerchiamo di portare ancora il discorso sull'attualità, sui rapporti con la Ford. Alzati parla, ma non cade così ingenuamente nel trabocchetto. “Non fatemi parlare di più: posso solo dirvi che presto saremo all'altare...” E continua con foga. “Comunque sia ben chiaro, il cuore delle nostre macchine sarà sempre Alfa. Potremo transigere forse sul vestito, ma sul motore mai. Io sono andato in Ford e ho visto i motori che hanno loro. Ma vogliamo scherzare?? Noi siamo avanti anni luce. Le attrezzature che abbiamo in Alfa? Io quando le ho viste mi sono tolto tanto di cappello, come faceva Ford. Ora dobbiamo solo armonizzare tutto: qualcosa è ancora al Portello, dobbiamo unificare i centri studi e prove.” “Non è vero che in Alfa non c'era niente. Qui, nei cassetti, c'era già tutto, c'erano i motori turbo, c'erano i quattro valvole... ma non chiedetemi chi ha tenuto chiusi i cassetti, non lo dirò mai... Semplicemente c'era da tirarsi su le maniche e lavorare a testa bassa. Bisognava fare conoscere un prodotto di ottime caratteristiche, fare modelli nuovi. I primi esempi sono le 33, le 75 e le 90. Ci vogliono due anni per rifare le serie? Abbiamo cambiato tempistica, le 33 le abbiamo fatte in sei, otto mesi. Era l'unica carta da giocare. Ora, da 15 giorni, a Pomigliano si fanno 428 vetture al giorno. Certo, bisogna essere drastici, quello che ci vuole ci vuole. Ma io ho il coraggio di fregarmene di tutto e di tutti, anche del budget, per quel che riguarda la qualità. Sapete che cosa hanno detto gli americani della 75? Che è la vettura italiana più tedesca! Se non è un complimento questo... io comunque l'ho già detto: vogliamo lavorare in Alfa per tre anni senza nessuna interferenza. L'azienda è degli italiani, dobbiamo valorizzarla recuperando gli uomini. Dobbiamo far trovare al nostro partner un terreno fertile...” Ingegnere, lei viene dalla Ferrari, e da quando è arrivato lei in Alfa c'è stato un cambiamento di direzione radicale per quello che riguarda lo sport dell'automobile. Ora in Alfa non si parla che di sport, di modelli sportivi, di corse. Dobbiamo pensare che il suo intervento... “Certo, lo sport è tornato a furore di Alzati.... In Alfa ci sono delle tradizioni sportive che bisogna tenere alte, ma soprattutto bisogna venire incontro ai giovani. I ragazzi sono sulla strada, hanno bisogno di un addestramento con macchine opportune, come i piloti da jet. Per loro ci vogliono monoposto addestrative, che costino poco e funzionino bene. Per questo ho spinto per la realizzazione di questa monoposto, che vorrei chiamare Alfa Boxer... Ho chiamato Stirano, un giovane ingegnere con molta esperienza, e ci siamo messi al lavoro con i miei tecnici dell'Alfa Corse. Tra l'altro li conoscevo tutti benissimo, da Tonti, col quale ho lavorato in Lancia sulla Stratos, al vecchio Di Virgilio, il progettista di tanti motori sempre in Lancia, che è un po' il papà di tutti noi. Ho detto a Tonti: parti e vai, se sbagli è colpa mia. Ora il formulino piace a tutti, anche ai politici. Io vorrei che ci fosse un bel campionato, anche al Sud. Vorrei unire l'Italia con la formulina, che tra l'altro utilizza tutto materiale di serie Alfa. Per questo costa solo trenta milioni, e spero che con altrettanti si possa fare un intero campionato; ho fatto un accordo con Pirelli per avere le gomme a 800 mila lire per treno. Buono, non le sembra? Per i regolamenti ci siamo affidati alla CSAI, ma voglio che prima piloti, meccanici e tecnici vengano a Balocco a provarlo. Anche voi giornalisti. Quando? Prestissimo, diciamo entro il mese. Bisogna davvero darla una mano a questi giovani, e poi portarli a vanti: alla F.3...” E poi, per arrivare in F.1? Non avete modo di imporre un pilota, magari già ora alla Ligier.... “Con la Ligier si, avremmo peso. Ma ho preferito lasciar fare a loro. Ho detto a Ligier: Guy, vai avanti tu. Noi ti diamo i motori, tu devi solo dirci se vanno bene o no. Certo, con quel programma motori da F.1 dovevamo andare avanti. A me piace chiamarlo il motore 'damigiana' per via di quella doppia struttura. Tutti, quando lo hanno visto, hanno detto: devi andare avanti. Sono stato quattro volte da Frank Williams, che forse si è servito anche di queste basi per continuare ad avere l'Honda. Altrimenti sarebbe stato con noi. Poi quando sia Patrick Head che Tetu mi hanno detto che era cosa valida non potevo tirarmi indietro. Io sono uno che combatte, la fortuna aiuta gli audaci. E poi la Ligier era una struttura adatta a noi, alle nostre dimensioni. Ho detto a Ligier: Guy, tu sei il capo, vai avanti e poi dicci il tuo parere. Ma ci siamo fidati anche di Tetu, un tecnico che aveva lavorato molto in Alfa.” Ma ingegnere, con questo cambiamento di regolamenti, voi non vi sentirete spiazzati col 4 cilindri turbo? Il presidente Serena continua a difendervi... “Ma io Serena certe volte non lo capisco.... E poi non è vero che noi siamo contrari all'aspirato. Noi siamo d'accordo invece, che per lo sport si cambino i regolamenti in questo modo. Forse è sulla tempistica che non ci troviamo sulla stessa linea. D'altronde, a Monza insieme a Tramontana e Ligier, avevamo già parlato col presidente Balestre e glielo avevamo già detto. A noi sta bene anche l'aspirato, senza limitazioni. Non voglio sentire parlare di otto, dodici cilindri. Io vorrei che fosse tutto libero, anche di fare un motore stellare a 24 cilindri.” Allora in Autodelta, pardon, Alfa Corse, ci sarà da lavorare a testa bassa... “Si, in tutti i sensi. Vede, solo lei e pochi addetti ai lavori parlano di Autodelta. Io voglio che si parli di Alfa Corse, è l'Alfa Romeo che corre, che fa le macchine sportive. Ora in questo reparto, come Tonti, ci sono una sessantina di persone che lavorano, ma dovranno arrivare presto a cento. Ora stanno facendo le formuline: bisognerà farne cinquanta in questi mesi. Pensi che in passato si era creata una situazione difficile, per cui tra Autodelta e Alfa non c'era dialogo tecnico. No! Io voglio che ci sia questo travaso, sto riattivando i terminali tra Settimo e Arese. Voglio che Tonti, quando non ce la fa, venga a consigliarsi con i progettisti che abbiamo in Alfa, col reparto esperienze delle auto di serie, e viceversa.” Allora l'Alfa tornerà alle corse in prima persona, magari anche nel Mondiale Turismo? “Io non ho detto questo. In F.1 diamo i motori alla Ligier, in gruppo A faremo le macchine, complete, pronte per correre, e verranno affidate all'amico Lucchini della Mirabella e a Trivellato. Anche in questa categoria stiamo aspettando i regolamenti. Si, lo so che se passa il nuovo coefficiente 1,7 per il turbo la 75 non è più competitiva, ma abbiamo anche una testata a doppia accensione... poi per la cilindrata vedremo, non abbiamo ancora deciso.” Prende fiato, sorseggia un bicchier d'acqua. Poi mi guarda e butta lì: “E se facessi una SZ, o un bello spider sportivo, cosa ne direbbe lei? Si ricorda quelli che ha presentato Pininfarina al Salone di Torino? Non erano abbastanza belli?...” E' una provocazione: ma quel diavolo di Alzati ci sta pensando seriamente, a un coupè e uno spider sportivi. Ci ha messo in difficoltà, anche se vede che i nostri occhi brillano... “No, non ho tempo. In questi tre anni devo lavorare a testa bassa. Poi penserò anche a queste cose, anche ai motori di aerei per i piccoli aeroplani. Magari assieme alla VM”, e dà un occhiata all'ing. Breghigna della VW, che spiega che loro, sì, stanno facendo un motore aeronautico... Ma ingegnere, mi tolga una curiosità: chi è veramente Alzati, e come se la cava in questo contesto Alfa attuale? “Alzati è sostanzialmente uno che si diverte a lavorare in questo modo. Vede, io sono uno venuto dalla gavetta. L'altro giorno c'era un problema con un tetto apribile: io sono stato assieme agli operai, ho fatto vedere loro come si poteva risolvere. Un capo deve sapere fare anche questo. Sa che giorno dopo giorno io me ne trascino dalla mia parte sempre di nuovi? Con Tramontana lavoro benissimo. Certo lui è molto più quadrato, ogni tanto mi guarda storto... Ma io voglio che siano tutti convinti, anche se è un consenso prezzolato... Tanto se va male la colpa è mia, io non mi tiro indietro. Ma soprattutto mi piace convincere la gente, perché credo nel prodotto Alfa Romeo. L'inverno scorso ero a Bardonecchia, con un amico ingegnere, e l'ho portato a fare un giro con la Giardinetta 4x4. Lui non credeva che la quattro ruote motrici avesse queste capacità. Ne è sceso sconvolto, l'ha voluta a tutti i costi. Bene, ne ho vendute tre!” “Ma così deve essere la macchina fuoristrada, la gente deve dimenticare le catene. Ho una mia idea precisa sul prossimo fuoristrada che faremo... ma non scriva tutto per carità, se no mi copiano le idee... Voglio che sia leggera, la macchina deve galleggiare sulla neve, non affondare per il peso. Deve essere facile da guidare, per tutti, anche per le donne: come se usassero la loro lavatrice. La macchina sarà pronta tra un paio d'anni: abbiamo già portato un prototipo col boxer a Passo Corese e i militari ne sono andati matti. Vedrete l'Alfa cosa sarà in grado di fare! Alzati ve lo promette, e non parlerà più. Solo quando avrà da presentare qualcosa di veramente valido.” Fine ANCHE FIAT CAMBIA STILE TORINO – Da qualche settimana la Fiat ha un nuovo responsabile dello stile nella persona di Robert Opron, francese, 55 anni, proveniente dalla Renault. Anche se, come spesso accade nell'ambito del gruppo torinese, la definizione è sfumata e non delinea esattamente i contorni operativi del personaggio, la funzione di Opron è questa: non avrà tanto il compito di disegnare le nuove Fiat, quanto quello di coordinare il lavoro del Centro Stile, suggerendo forme e metodi. In pratica, quello che faceva a suo tempo Boano e quello che sta facendo attualmente l'architetto Mario Maioli, un uomo di forte personalità i cui rapporti – ora – con Opron non sono ancora chiariti. Robert Opron è uno dei “mostri sacri” del disegno automobilistico, un uomo che raccorda esaltanti esperienze del passato con la più moderna concezione dell'auto. Da giovane era stato alla Citroen al tempo in cui Bertoni disegnava la mitica DS, poi lui stesso fu il responsabile della forma, ancora attuale, della CX. Nel 1975 passò al centro stile della Renault, rimanendovi fino ad un paio di anni fa, fino al momento cioè del passaggio di consegne fra il vecchio presidente Hanon ed il nuovo presidente Besse, che lo sostituì con Gaston Juchet, un fedelissimo Renault che aveva già disegnato la 18. In Renault, comunque, Opron è rimasto abbastanza per firmare le più attuali auto come la nuova 5 e la 21 (e qui ci sarebbe da dire....ma è un'altra storia, ndGTC). Fine. Queste righe, per pure caso, stavano nelle stesse pagine con l'intervista ad Alzati. In quel momento il nesso non c'era ma poi ci fu, perché Alfa fece veramente una SZ (dopo che tante cose erano successe ) e lo stile prescelto fu quello della proposta nata allo stile Fiat, la quale sconfisse il progetto nato in Arese, e che fu impostata sotto la guida di Opron. E per chiudere, (per il momento), la chicca. Non vi anticipo nulla, vi lascio leggere, vi lascio pensare che chi scriveva fosse veramente convinto, e vi lascio poi arrivare al finale. Mi limito a dire che il signor Luca Grandori in questione, era il da me stimatissimo (e purtroppo compianto, oggi) "signor Autocapital". Caro Presidente, come responsabile della Scuderia del Portello, da molti additata come la vera causa dei problemi finanziari e strutturali dell'Alfa, porgo con questa lettera le mie dimissioni irrevocabili. E le spiego perché: quando la Scuderia del Portello, squadra ufficiale Alfa Romeo di auto storiche da competizione, primo team al mondo a godere di un appoggio ufficiale, si è presentata sui campi di gara nel 1982, è stato come se la Ferrari al completo si presentasse all'improvviso in una gara in salita a Pescasseroli o sulle Murge. E cioè, un nugolo nutritissimo di gentleman di ogni paese, abituato da anni ad arrivare sui circuiti con carrello, tenda, cassetta degli attrezzi e un completo da picnic, ha sgranato gli occhi nel vedere una bisarca piena di macchine ufficiali, un camper con veranda, sedie a sdraio, hostess, una squadra di meccanici attrezzatissimi, fiammanti Alfa Romeo ultimo tipo come vetture-appoggio ai piloti di grido con caschi, tute rosso fuoco e scritte di sponsor, bandiere e striscioni. E poi nomi mitici: Derek Bell, Rolf Stommelen, Henry Pescarolo, Nanni Galli. Ecco, hanno pensato in molti, l'Alfa, che rimedia batoste in Formula Uno, cerca adesso più facili allori contro noi modesti collezionisti. I risultati sembrano dare ragione a questi signori: il Portello ha vinto il titolo europeo assoluto e due titoli di classe, cioè tutto quello che poteva vincere. Quello che ben pochi degli stupiti gentleman sanno è che questo “squadrone”, questo team ammazzasette, è partito con un'organizzazione tale da fare sembrare l'armata Brancaleone un esercito prussiano. Pensata, nata e resa operante in pochi mesi la Scuderia del Portello sulla carta era davvero imbattibile. C'era una macchina ammiraglia, la TZ Uno del Museo Storico, che non avrebbe dovuto avere avversari. Invece alle prime gare si è rivelata un ferro da stiro, in confronto alle tante TZ private dei modesti gentleman: se non fosse stato per i piloti di prima grandezza, avrebbe preso delle paghe immemorabili. C'era una 1900 SS del concessionario Alfa di Udine Pietro Rondo, imbattibile nulla carta (infatti ha vinto l'assoluto), ma inavvicinabile dai meccanici perché il suo proprietario, timoroso che qualcuno sia pure tutelato ci mettesse sopra il sedere, impediva a chiunque gli essenziali controlli pre-gara. Edilberto Mandelli, il collezionista bolognese che ha corso per il Portello con la sua Giulietta SZ, è andato anche oltre: tra una gara e l'altra, si portava via la chiave di accensione, per impedire che la macchina fosse toccata, tanto che si è dovuto ogni volta assoldare volontari per spingerla a mano su e giù dalla bisarca. Quanto al quarto pilota, il finanziere milanese Stefano Senin, pilota abilissimo ma molto distratto da altri pensieri, ha cominciato subito col piede sinistro, scegliendo e preparando una macchina, la Giulietta SS, che era perdente in partenza a causa di un regolamento che la faceva correre con auto molto più competitive. Anche l'organizzazione sui circuiti non ricordava certo quella di Federico Il Grande. Il camper, ultraccessoriato, era un po' l'oggetto misterioso: nessuno sapeva mettere in funzione tutte le apparecchiature, men che meno l'acqua dei servizi igienici. Così quando a Monza, nella gara di apertura, Nanni Galli ha dovuto soddisfare i propri bisogni corporali nell'accogliente toilette, nessuno ha avuto il coraggio di avvertirlo, col risultato che ancora un mese dopo il camper viaggiava verso Parigi con le testimonianze di Galli nel serbatoio di scarico; solo un audace funzionario dell'Alfa Romeo France, avvertito con molto imbarazzo dell'inconveniente dopo che anche Pescarolo aveva fatto lo stesso gesto di Galli, ha guidato il camper in piena notte in un prato deserto, dove, di fronte a tutta la squadra un po' in ansia, ha portato a termine l'opera di evacuazione del serbatoio. E che dire di Rolf Stommelen che, arrivato al Nurburgring di fronte a 80 mila spettatori, si è accorto di avere dimenticato a casa casco, guanti, tuta e scarpette da corsa, ed è stato addobbato come un manichino della Rinascente mentre una solerte fraulein dell'Alfa Deutschland cuciva in tutta fretta all'incontrario la scritta “Scuderia del Portello” su una tuta trovata chissà dove? Anche il parco ricambi faceva invidia a un team di Formula Uno: tre gomme di scorta per quattro macchine, tutte spaiate, un po' di olio e tanta pasta lavamani erano il contenuto dell'Alfasud familiare di servizio, per altro stracarica dei souvenir che i piloti e accompagnatori compravano un po' in tutta Europa. Risultato: Pietro Rondo passerà l'inverno in giro per l'Europa per restituire i pezzi presi a prestito dai vari soci di Alfa Romeo Club sparsi oltre frontiera. A stagione finita, infatti, la sua 1900 sembra la carta del Mec: il differenziale è stato trovato in Olanda, l'albero di trasmissione in Germania: un collezionista americano presente a quasi tutte le gare, all'ennesimo guasto di Rondo, ha preferito nascondere con molta diplomazia la propria 1900 nel timore di tornare negli States solo col portachiavi. Poi c'era il problema delle lingue: di tutta la squadra (9 persone complessive), 2 e mezzo parlavano inglese (nel senso che Senin si era fermato alla sesta lezione di Linguaphone), uno solo il francese, nessuno il tedesco (al di là degli scontati ja e nein). Quanto all'olandese e al belga, si è dovuto ricorrere all'alfabeto muto, poi al Morse e, nei casi più urgenti, al linguaggio gestuale (con l'unica eccezione di Pietro Rondo che si accaniva a tradurre in inglese i proverbi italiani: nessuno, nemmeno Derek Bell che è un professionista, ha capito cosa voleva dire “in the mouth of the wolf”, cioè “in bocca al lupo”, prima di ogni gara). Ma il punto di forza della squadra sono stati i servizi logistici: l'autista della bisarca è riuscito a girare l'Europa senza spiaccicare una parola diversa da quelle del dialetto piemontese. Ha bloccato la City di Londra quando, cercando di arrivare in qualche modo a Donington, ha imboccato un sottopasso del Tamigi più basso di un metro rispetto al camion: scortato, era ormai notte fonda, dalla polizia con tanto di “uau uau” e faro blu fino all'autostrada, si è riperso tre volte in 130 km, arrivando a Donington quando i piloti si erano ormai rassegnati ad andare a vedere una partita di calcio. La filiale tedesca di Francoforte, ha invece rischiato il fallimento (le cifre del collasso le darà Spadolini stesso a Natale): reduce da Zolder dove tutte le macchine, pur vincendo, erano ridotte a minestroni, la squadra si è infilata il lunedì nei garage della filiale per uscirne il venerdì con le macchine rimesse a nuovo, pronte per la gara del Nurburgring della domenica. Solo che tutti gli addetti della filiale hanno dovuto lavorare per il Portello. Certo trovare uno spinterogeno del 1954, e una coppa dell'olio elaborata nel 1959, non era impresa facile, ma se si aggiunge che un pilota doveva telefonare alla mamma tutti i giorni perché sennò stava in pensiero, che l'altro, abituato a mangiare solo crusca integrale, aveva bisogno di un interprete per il giro mattutino delle drogherie, che i meccanici venuti da Milano rimpiangevano la pur non idilliaca atmosfera della squadra di Formula Uno, che nei disperati telex a Milano, Felici risultava a Zeltweg, Ughi a Digione, Chiti dentro al turbo, Banderali a Poona per avere abbracciato la religione Zen, si capisce come il prussiano staff Alfa minacciasse uno sciopero ad oltranza. Senza contare i giornalisti tedeschi che, sparsasi la voce in città, bussavano a frotte per sapere “kosa preparare qvesta squatra in crande secreto”. E qui entrano in ballo le consociate, coi loro addetti stampa, che dopo aver avuto a che fare con il Portello, potrebbero essere tranquillamente nominati direttori del Corriere della Sera. Antonio Cerlenizza, per esempio, Gaulaiter della stampa tedesca, è uno che ha i nervi talmente saldi da avere sopportato con il sorriso sulle labbra l'intero stato maggiore del Registro storico in trasferta al Nurbugring per quattro giorni. Eppure l'ho visto schiantarsi quando due piloti del Portello (silenzio sui nomi) gli hanno rivelato, dopo che lui aveva passato la giornata a soddisfare tutti i loro desideri, l'impossibilità di dormire nella stessa stanza perché uno russava e l'altro si vergognava a lasciare la dentiera sul comodino. Henry Morisi, invece, si è insediato nel posto di addetto stampa, a Parigi, due giorni prima che arrivasse il Portello: ha rivisto la sua scrivania una settimana dopo, perché ha passato sette giorni nella banlieue parigina a tirare fuori dal commissariato uno dei piloti, il quale, dopo avere perso a Monthlery passaporto, patente, soldi, licenza sportiva, certificato anticolera e immagini di San Cristoforo, pretendeva di varcare la frontiera all'aeroporto De Gaulle esibendo una carta di credito dei Supermarkets Esselunga. Paul Henry, invece riceverà un attestato da Baldovino del Belgio, suo sovrano, per avere risolto una grave controversia internazionale. Questi i fatti: il successo di immagine del Portello è stato tale che a Zandvoort una telefonista dell'Alfa olandese, improvvisatasi hostess, ha deciso di passare tutte le vacanze con la squadra. Ora, poiché questa telefonista era uno schianto di ragazza (vent'anni e due seni che sembravano schizzare fuori dalla 'A' di Alfa e dalla 'E' di Romeo stampate sulla sua aderentissima t-shirt) tutta la scuderia ha cominciato a girarle intorno, ciascuno sperando di fare sua questa ragazza dei box. L'armonia della squadra si era già incrinata nella gara successiva (Monthlery) perché la ragazza, nonostante il fascino dei piloti, si era invaghita dell'autista del camper, un uomo bello quanto Fernandel. Ma a Zolder si è rischiata la tragedia. È accaduto infatti, che Pierre Dieudonne, pilota personaggio di turno, arrivato alle ore 19 del venerdì senza conoscere l'ambita miss, alle ore 21 l'aveva già imbarcata sulla sua Rover 3500 (lui, pilota Alfa) e di qui trasbordata in luoghi più confortevoli. Per i tre italiani, che da mesi con lusinghe, moine, tecniche raffinate e modi rozzi, forse anche ricatti, cercavano di cogliere il frutto proibito, l'affronto del belga era da lavare col sangue. E così Henry, aiutato dalla sua affabile moglie, ha iniziato, novello Musatti, un'opera di persuasione psicologica su tutti e tre i piloti per convincerli che il regno belga, l'Alfa Romeo Italia, la filiale belga e lui stesso erano sdegnati dal fatto e non avrebbero mancato di avanzare proteste diplomatiche. C'è voluta una gita premio in un ristorante di grido (che conto, presidente!) per fare tornare il sorriso. Informato dell'episodio, Rolf Stommelen ha molto lodato l'operato di Henry, ma ha ricordato che la gita premio era già in voga vent'anni fa quando lui era pilota ufficiale Autodelta. Ricorda Stommelen che a Daytona, lui stesso, Ignazio Giunti e Nanni Galli erano stati convocati da Chiti per sperimentare una nuova diavoleria sulla 33. Parte Giunti e alla prima curva esce diritto. Parte Galli e fa lo stesso. Parte Stommelen e finisce sulle carcasse delle altre due macchine. Cosa era successo? Non si saprà mai, perché alle rimostranze dei piloti, Chiti oppose un silenzio assoluto, disse solo “Oh si va tutti a Cape Canaveral a vedere i razzi che partono”. “Fu una gita bellissima” mi ha confidato Rolf, “e nessuno di noi si ricordò più dell'incidente.” Nonostante questi precedenti, caro presidente, non me la sento di sostenere con lei quello che ho sfacciatamente sostenuto con i giornalisti durante le conferenze del Portello: e cioè che la scuderia è un team professionista a tutti gli effetti. Per questo le pongo a disposizione il mio mandato come uno responsabile di questa armata Brancaleone; nonostante le vittorie, tutti insieme non meritiamo una Balilla, figuriamoci una TZ. N.B. Le dimissioni, gli episodi raccontati fanno parte di un tentativo semiserio di raccontare cosa succede dietro la facciata di un'attività così nuova e strampalata come le corse storiche. C'è, in questo racconto, una buona dose di verità e qualche esagerazione. In realtà non mi dimetterei per nessuna ragione al mondo e con me tutta la scuderia, che, al di là di ogni scherzo, si è comportata in modo esemplare. Caro Presidente, se però qualche alto dirigente Alfa, o addirittura IRI, chiedesse la mia testa, gliela porti pure sul piatto d'argento: grazie al Portello mi hanno offerto un posto nella commissione internazionale delle gare storiche, a recarmi l'invito sono stati due autorevoli membri, uno psichiatra tedesco che sul biglietto da visita, a fianco del numero dell'ospedale ha quello dell'autosalone dove vende personalmente Alfa Romeo, e un banchiere olandese, anzi il più grosso banchiere olandese, la cui moglie ha ottenuto da poco il divorzio perché lui si ostinava a tenere un motore tipo 33 in mezzo al salotto che perdeva l'olio su un tappeto di Bukara. E queste non sono bugie. Cordialmente Luca Grandori questa lettera, a titolo personale, la vorrei intitolare "Amore per l'Alfa". Dalle parole di Luca vedo uscire davanti ai miei occhi quello che è il sentimento che un Alfista prova per il Marchio, con tutti i suoi primati, i suoi difetti, le auto mitiche e quelle malfatte. Credo che Luca sia stato l'esempio di cosa voglia dire provare amore per questo marchio, incamerando gioie e dolori, complimenti e critiche, momenti stupendi ed altri terribilmente negativi. Non è la questione di ridursi al discorso "eh le Alfa di una volta" vs "eh le Alfa di una volta le facevano male", è un'altra cosa, qualcosa che solo da alcuni sarà condivisa, ma va bene così. Qualcosa di immortale, che si vive si mangia e si respira.
  12. Agevoliamo. Credo però fossero due servizi differenti. Ecco la Thema con la rete... E queste se non erro dovrebbero essere le foto del servizio "Vi piace la coda?", intitolato così perchè ai tempi girava soltanto la prima foto ufficiale che la mostrava di tre quarti anteriore. Qui era stata paparazzata anche al posteriore, completamente pulita ormai (dove andava poi senza targa prova, sarà stata in pista?...) Nel servizio originario furono pubblicate in taglia grande, su due pagine, e quindi sarebbero pessime da guardare, ma per fortuna furono riproposte in seguito in scala ridotta, su pagina singola, in uno dei tanti servizi di aggiornamento mentre si avvicinava l'inizio delle vendite.... e quindi possiamo guardarle in maniera decente. Il mulozzo gammafarato sembrerebbe essere uno soltanto. Nel mio archivio digitale compare in altre foto, ma sembra sempre lo stesso. Ne approfitto per fare un applauso ad Abarth03 che abitava vicino ad un portone importante ed oggi non ha uno straccio di foto. Bravo complimenti. "E io.... chetihommandato a studiare aDDitroit!" (cit.)
  13. Bello vedere questi video nel bianco totale, senza particolari riferimenti come strade o infrastrutture. Ci son Bmw che vanno un po' dappertutto, staranno sicuramente lavorando ma sembra che ognuno vada dove gli pare (magari qualcuno si è perso anche ). "Bambini, ok ora potete andare fuori a giocare, ma non prendete troppo freddo".
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