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Stamane, nuotando nell'archivio, mi sono imbattuto nei periodici Pininfarina degli anni '60 (o meglio trovati quattro, non so dove siano gli altri che ho visto l'ultima volta... due anni fa credo ) ed in particolar modo nel n.7, anno 1966, che ahimè iniziava con l'omaggio fotografico a Giovan Battista Pininfarina, da poco mancato. Ci ho trovato una cosa molto bella, poetica e piena di sapori. L'editoriale (se così possiamo chiamarlo) di quel numero fu scritto da Enzo Ferrari, il quale dedicò due pagine alla memoria di Giovan Battista ma anche ai suoi recenti rapporti col figlio Sergio, per il quale l'anno scorso purtroppo abbiamo dovuto aprire un topic dello stesso genere. Mi è piaciuto rileggerlo più volte, perché adoro il modo di scrivere del Drake, e così ho pensato che probabilmente poteva far piacere anche a voi questa breve lettura. Vi anticipo solo che leggerete ben poco riguardo le automobili, anzi. Rileggendolo ancora una volta, mi immagino le scenette interpretate da alcuni dei più grandi personaggi della storia dell'auto e dello sport italiano. Luglio 1966 SEDICI ANNI... Fu in novembre, a Torino, sedici anni fa. Incontrai allora per la prima volta Giovan Battista Pininfarina. Lo ricordavo un tempo corridore, fra l'altro recordman di una Aosta-Gran San Bernardo; lo sapevo carrozziere di gran classe, colui che ha lanciato in tutto il mondo la linea italiana e ha trovato consensi come nessuno. Ricordo che andammo a colazione nel ristorante del Salone dell'automobile. Lui forse avrebbe preferito ospitarmi altrove, in un ambiente più riservato e tranquillo; rimanemmo invece lì, a quel piccolo tavolo, a conversare e discutere come due uomini d'affari che non hanno tempo da perdere, nemmeno per guardarsi intorno. Quel giorno è nato il nostro matrimonio. Ricordo, l'ho scritto anche nel mio libro, che in seguito Pinin si stupiva del tempo che gli dedicavo, come io mi stupivo del tempo che lui spendeva con me. Così capimmo. Fu chiaro che uno cercava una macchina famosa e bella da vestire, l'altro un couturier di classe che la vestisse. Sedici anni. Sono pochi per una vita, tanti per un matrimonio, anche se d'amore. Qualcuno diceva che era impossibile, non sarebbe durato, non poteva durare; ci contavano i giorni, le settimane, i mesi. Poi hanno dovuto contare gli anni. E arrivò anche l'anno galeotto di tutti i matrimoni, quel settimo al cui pericolo i soliti americani dedicarono un divertente film negli anni quaranta. Ma il prurito per la nuova avventura non ci fu e così scivolò via anche quel settimo anno che combina piccoli divorzi nei matrimoni più felici. Vuol proprio dire che quello tra la Pininfarina e la Ferrari è un matrimonio che ha superato l'amore: resiste e prospera perché è fatto di stima e comprensione reciproca. Un cocktail semplice che consiglio a chi vuole unire le proprie forze e le proprie sorti, in una combinazione d'affari come in un ménage familiare, e vivere d'accordo, per quanto questo sia possibile nel nostro mondo sconcertante di oggi. Ho sempre ammirato Pinin per quel che ha saputo creare, nel suo lavoro e anche nella sua vita, per il gusto che ha saputo mettere nell'uno e nell'altra. Ha lanciato uno stile, una linea, è stato il primo vero “sarto” dell'automobile, quello che ne ha esaltato l'alta moda. Sempre, di fronte ad una sua nuova realizzazione, viene da chiedersi: “Ma cos'è, cos'ha di speciale?” Nulla, sembra eguale ad ogni altra che l'ha preceduta. Eppure è diversa dalle altre. E' una linea semplice, nitida, essenziale. Il tempo, i gusti, le mode passano, ma quei vestiti di lamiera da lui modellati sembrano non raccoglierne la sfida. Il tempo, i gusti, le mode vi scivolano sopra senza riuscire a svilirle; anch'esse cambiano, si adeguano, ma non mostrano di cambiare. Tutto questo si riassume in una parola: personalità. Pinin è stato un grande artista. Ma all'egocentrismo, al disordinato vivere, all'imprevedibile mutare dei sentimenti che molto spesso contraddistinguono i personaggi dell'arte, egli ha saputo contrapporre la previdente e saggia capacità dell'industriale moderno. Ha saputo creare un assetto familiare e aziendale dall'avvenire assicurato. A pochi uomini come lui è toccata la fortuna di poter affidare la propria opera, la propria fabbrica, il proprio nome a discendenti così degni. È certo che le fresche energie che oggi hanno nelle mani l'avvenire della fabbrica, il figlio Sergio e il genero Carli, due ingegneri dalle modernissime vedute, hanno saputo tranquillizzare i suoi ultimi anni di meritato relax. E lui aveva potuto finalmente appagare i suoi hobbies, quelle inespresse e non raggiunte passioncelle giovanili che tutti hanno in serbo e che per il mio amico Pinin sono state l'aviazione, la pittura, la cinematografia, l'editoria. Col giovane Sergio di parla un linguaggio affine a quello del papà. Me ne accorsi subito, quindici anni fa, già quel sabato prima di Pasqua quando lo incontrai la prima volta in un ristorante di Tortona. Era praticamente in viaggio di nozze con la graziosa sposina. È un ragazzo serio, un ingegnere capace, un industriale avveduto. Ha una sola... debolezza, un vero tallone d'Achille. Soffre per il calcio, che identifica nella Juventus di Torino. È tifoso anche il cognato, l'ingegner Carli, ma un tifoso controllato, mentre invece raramente ho visto un “contaminato incurabile” come Sergio. Carli è stato giocatore della squadra ragazzi della Juve e ride quando racconta: “Non ho mai capito perché mi facessero giocare 'ala sinistra', io che non sapevo calciare né di destro né di sinistro”. E ricorda, come un avvenimento eccezionale, il giorno che con un volgarissimo puntone gli riuscì di segnare una rete. Carli è dunque un tifoso autocritico, Sergio proprio no e specie in questi ultimi tempi, ogni lunedì è... lutto stretto. Se poi con la sconfitta della Juve coincide una vittoria del Torino, vede rosso, tanto rosso che farebbe zebrare tutte le macchine di quel colore. Spesso, questo del lunedì, è un mio divertimento. A Torino ho scoperto due ristoranti: uno gestito da un tifoso della Juve, l'altro da un “ammalato” del Torino. Ogni volta che mi riesce, invito a colazione l'amico Sergio dal trattore granata, se la Juventus ha vinto, da quello bianconero se ha perso. Vi dico: è uno spasso! Interminabili discussioni in un caso, muro del pianto dall'altro. Anche papà Pinin qualche volta interveniva, da tifoso tranquillo qual'era, e si divertiva insieme a me a seminar zizzania. La malattia di Sergio tocca il vertice quando si porta il discorso sulla fusione tra Juve e Toro. Per carità! È capace di discutere per ore. Anche con l'avvocato Gianni Agnelli, che sarebbe il promotore di questa “soluzione cittadina”, discute, e si fa sostenere dal Boniperti. Un giorno, per “lisciare” una volta tanto l'amico Sergio, proprio al biondo Boniperti chiesi: “Ma insomma, si fa questa fusione tra le vostre squadre torinesi?”. “Perché – mi rispose serafico l'ex grande 'mezz'ala' – a Torino c'è un'altra squadra oltre la Juve?” Sergio gongolava, e io replicai: “Ah no, no Boniperti, sarebbe come chiedere a lei se il suo amico Biscaldi è un corridore d'automobile!” Sergio Pininfarina sopporta bene queste parentesi alle nostre intese di lavoro comune? Venne una volta in fabbrica, a Maranello, e con gran sussiego mi volle offrire un distintivo d'oro “che mi sarebbe tanto piaciuto” diceva lui, e mi appuntò all'occhiello della giacca il distintivo della Ford. Passò qualche tempo. L'aspettavo al varco, e finalmente Sergio tornò. “Oggi ho un piccolo regalo per lei” gli dissi consegnandogli una elegante scatoletta foderata di velluto. Sorridendo mi chiese il permesso di soddisfare subito la sua curiosità, ed è inutile cercar di descrivere il suo rossore. Nella scatoletta c'erano due gemelli d'oro con i colori nero-azzurri. Con noncuranza spiegai: “L'ingegner Lauro dell'Inter è mio amico. Alla vigilia dell'incontro con la Juve chiese il mio pronostico e questo è il premio per aver indovinato giusto. Li tenga lei, Sergio, io li ho guadagnati anche grazie alla sua squadra!” Sergio per un momento restò senza fiato, immobile, gli occhi fissi a quei due oggettini che sembravano bruciargli le mani. Si sarebbe sentita volare la classica mosca. Poi scoppiammo a ridere di gusto. E anche questo cementa la nostra solida intesa. Enzo Ferrari
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Sarò 'gnurant di Audi style ma a me pare che non abbiano inventato chissà che, secondo il mio punto di vista hanno semplicemente ripreso a grandi linee ciò che era la prima A4 berlina, che imho schifo non faceva . Solo che poi nel mondo sono uscite talmente tante tre volumi orride che ci siam dimenticati del fatto che le sapevano fare decenti anche una volta.....
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- audi a3
- audi a3 iii sedan
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Io continuo a vederci la GTC. Ce la vedevo nella prima generation, ce la vedo ora nella seconda. E per questo dico che mi piace, ma comprerei l'originale se dovessi.
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- ginevra 2013
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... io l'avevo detto che suonava bene. Anche se l'avevo sentita più accordata e meno smarmittosa... però vabbè, non era a quel regime, e anche il Busso visto il regime faceva chiasso.... mi sa che ho mischiato un po' le cose in un nirvana uditivo
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No però spetta, c'è una certa differenza fra frecce della prima serie e frecce della Super, anche guardando il ricambio da nuovo. Sulla Super era tutto più rossastro. Super USA? Eccotene una, via Alfabb
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L'ha fatto mettere Sciarponne in un momento di sclero. Siete Tutti Alfisti Rompiballe Tacete
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Vorrei ricordarvi che tempo fa, proprio in questo topic, nel ruolo di regista coadiuvato da stev nel ruolo di attore, vi ho già mostrato COME FUNZIONA.
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Se la vede mia mamma diventa matta. Non capisce niente di auto, conosce tre nomi in croce ma uno di quei tre è Lagonda. L'ha sempre adorata, mai capito perchè. Cioè, non perchè non capisco come si possa adorare 'sta macchina, un po' stuzzica pure me... ma non capisco cosa faccia prendere mia madre così tanto
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... non so veramente da dove sia spuntata. Mai vista prima. Quella sera pensai di aver beccato una new entry, perchè sicuramente me la sarei ricordata se avessi già avuto occasione di vederla in precedenza. Invece manco new entry era... (pensavo di ribeccarla per deliziarvi con foto migliori )... sparita nel nulla così come era apparsa. Comunque secondo me non era il Net. Troppo elegante questa.
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Cos'è, gira nella stessa neve delle Ghibli? Sono lì in coda col biglietto? "Esci dai che tocca a me"
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Faccio un'altra telefonata e la prossima volta invece di farti i complimenti si presentano truccati come Rambo? Oppure preferisci che mi metta a destinare i garage dall'affitto irrisorio ai primi che passano con la Prinz?
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Mi unisco al tuo "assolutamente vero". Quasi impossibile che la Uno non abbia fatto parte almeno un attimino della vita di ognuno di noi, che fosse sotto forma di auto di casa, o di prima auto da neopatentato, o semplicemente dell'auto di un amico, con la quale si andava in giro per discoteche o nei weekend. Anche se a tutti gli effetti in questa casa non entrò mai, come auto di famiglia. A mio padre fu suggerita come alternativa economica quando fummo costretti ad abbandonare il 130 TC, ma a lui la Uno non piaceva proprio come estetica, gli sembrava troppo alta e stretta. Così prendemmo un'altra Ritmo, economica. Però a livello personale, negli anni 90 ebbi parecchio a che fare con la Uno, insieme ad amici, e con più di un esemplare. Quasi sempre sotto forma di Turbo i.e. Ma è una storia lunghissima, ed inoltre spesso fatta di aneddoti che non sono politically correct, riguardo la scrittura su un forum che (giustamente) cerca di non proporre racconti basati su.... diciamo.... libere interpretazioni di quello che viene definito Codice stradale. Per cui, mi fermerò al fatto che la Uno ha fatto parte anche della mia vita.