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Orsù baldo giovane, spiegami in quale modo tu preferisci che io ti mandi a quel paese.
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Seconda parte della carrellata fotografica. La doppia pompa dei freni, coi tubi corazzati, le pastiglie speciali e l'olio ad alto punto di ebollizione; le pinze e i dischi erano quelli originali. Le valvole di serie (a destra) e quelle speciali con fungo maggiorato e gambo assottigliato. L'albero a camme in acciaio con diagramma più spinto; in acciaio pure la puleggia alleggerita. Particolare del braccio della sospensione anteriore con attacco regolabile a snodo sferico e speciale ancoraggio della barra antirollio. La frizione tipo corsa, opzionale. Il radiatore dell'acqua in alluminio. (ATAI PARAFLU ) I semiassi allungati in seguito alle modifiche della sospensione. Il montante della sospensione originale (a sinistra) rispetto a quello elaborato; internamente venivano impiegate cartucce ammortizzanti più robuste. E per chiudere, come di consueto, momento musicale GTC :ihih:
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Continuando a parlare di elaborazioni vintage, oggi incontriamo la 127 messa a punto dal preparatore torinese Piero Lavazza, un'auto che fece parlare di sé nei rally nazionali all'inizio degli anni '80, situazioni in cui si prese il lusso, ad onta delle sue origini utilitarie, di lasciarsi alle spalle vetture ben più potenti e blasonate. Si trattava di una 127 1050 preparata per il Gruppo 2 e affidata alla guida di Duilio Truffo, un pilota con buoni trascorsi nella categoria Sport, in Formula 2 e in Formula 3. Sua navigatrice era la signora Carla Costa. A proposito dei gruppi, è bene riepilogare per chi si è perso queste vicende che essi indicavano il grado di elaborazione cui poteva essere sottoposta una vettura. Il Gruppo 2, che riuniva le vetture della categoria “Turismo preparato”, lasciava già una buona libertà di manovra al preparatore, mentre il Gruppo 1 o “Turismo di serie” imponeva limitazioni più severe. Il Gruppo 3 ed il Gruppo 4 si riferivano rispettivamente al “Gran Turismo di serie” e al “Gran Turismo preparato”. Tralasceremo questa volta di rivedere a livello generale tutte le modifiche che venivano effettuate su questo tipo di vetture, perché ne abbiamo già parlato quando abbiamo ricordato insieme altre vetture da rally (cosa si faceva alla scocca, alle sospensioni, ai freni, cosa era permesso fare al motore, e via dicendo) e quindi concentriamoci sulla 127 di Lavazza. La potenza era stata “contenuta” in 109 cv, valore più che doppio rispetto alla versione di serie (che ne erogava 50) ma probabilmente inferiore a quanto il tecnico torinese avrebbe potuto ottenere a scapito della robustezza e dell'elasticità. Questo risultato diventava ancor più importante se si considerava che il regime massimo non superava gli 8200 giri/min e che la coppia massima di 11 kgm era fornita a soli 4200 giri/min. L'elaborazione comportava la sostituzione dei pistoni, delle valvole con le relative molle e guide e dell'albero a camme con altri realizzati appositamente. La testata subiva profonde lavorazioni nelle camere di combustione e nei condotti di ammissione e scarico. Albero motore e bielle invece restavano quelli originali, ma lavorati e accuratamente equilibrati, mentre l'accensione originale veniva sostituita da una elettronica dotata di limitatore di giri. Spiccavano i due grossi carburatori doppio corpo Weber 44DCNF, alimentati da pompe elettriche. Volano e frizione erano anch'essi di serie, debitamente alleggeriti ed equilibrati, ma all'occorrenza poteva essere montata una frizione tipo corsa. Completamente rivista invece la rapportatura del cambio, che assumeva grande importanza data la disponibilità di sole quattro marce. Di regola, nelle auto da rally, si tendeva ad avvicinare i rapporti, con la prima piuttosto lunga (la metà circa della quarta) e in casi particolari si potevano montare anche terza e quarta più corte. Inoltre, secondo il rapporto al ponte, la velocità massima poteva variare di parecchio: quella della 127 di Lavazza andava da 145 a 205 km/h (apperò), ma normalmente adottava rapportature piuttosto corte (circa 160 km/h). A completamento della preparazione meccanica, nella 127 in questione si lavorava sull'impianto di scarico, che poteva sembrare una parte più “accessoria” e che invece richiedeva lunghe prove al banco per la determinazione della conformazione che offrisse il miglior rendimento a tutti i regimi. Naturalmente il reparto gomme non era quello di serie: per trasmettere efficacemente la potenza venivano adottati pneumatici racing da 8.20-13 su cerchi in lega da 7x13. Da citare infine, a conclusione della preparazione, l'impianto elettrico che in pratica era quasi completamente rifatto. I numerosi apparati supplementari e il potente impianto con lampade da 100 Watt determinavano un elevato assorbimento di energia, per cui poteva anche essere montato un alternatore più potente. Inoltre i circuiti principali venivano duplicati per sicurezza e, in considerazione del forte amperaggio impiegato, gli interruttori agivano con l'interposizione di relais. Così come la potenza (il cui valore specifico superava quindi di poco i 100 cv/litro) quasi raddoppiavano anche i consumi. 6-7 km per litro in gara. Sempre rispetto alla vettura di serie, il peso aumentava di una quindicina di kg: 745 contro 730. Questo poteva suonare strano per una vettura da corsa, ma gli alleggerimenti effettuati venivano largamente compensati dal peso delle numerose parti aggiuntive. Per concludere parlando di costi, la 127 di Lavazza, pronta gare ma senza pezzi di ricambio, veniva a costare circa 16 milioni. Per andare a correre era poi necessario spendere ancora almeno un paio di milioni per altre otto ruote e relative gomme, di cui due slick e sei da bagnato, e per un minimo di ricambi di pronto impiego. Una 127 Lavazza, se ben preparata e ben guidata, non era molto onerosa in quanto a manutenzione. Dopo ogni gara si effettuava un minuzioso check-up del costo di 300.000 lire e se l'auto non aveva subìto incidenti le sostituzioni si limitavano a poche cose. Il motore, nonostante i suoi 100 cv/litro, reggeva bene una stagione completa, a patto di effettuare la revisione della testa ogni cinque gare, mentre un treno di gomme consentiva di disputare due rally nazionali. La macchina comunque poteva essere presa in affitto, per un prezzo variabile da 1,5 a 2,5 milioni, a seconda del tipo di gara: cifre che comprendevano tutte le spese per l'assistenza. Ed ora vediamo una carrellata fotografica sulle componenti specifiche di questa 127, iniziando dal cruscotto completamente rifatto. In esso erano concentrati gli strumenti di controllo del motore (ovviamente di fronte al pilota) e i comandi e le spie dell'impianto elettrico (al centro a portata del navigatore). Si notano anche i portafusibili, i relais di comando dei servizi elettrici e l'attacco per la ricetrasmittente. Le due pompe di benzina, installate nel bagagliaio. Il radiatore dell'olio, montato a fianco di quello per l'acqua (si noti in basso l'attacco per la barra antirollio). L'impianto antincendio azionabile dall'interno. La sospensione anteriore con la barra antirollio sfruttata anche come puntone di reazione. Il braccio della sospensione aveva il punto di attacco rinforzato mediante saldature di fazzoletti di lamiera. Le lampade alogene da 100 Watt. Sulle vetture piccole come questa 127 sussistevano tuttavia problemi d'ingombro, per risolvere i quali si realizzavano fari con gruppi ottici intercambiabili nelle versioni profondità e antinebbia. Lo spoiler in plastica, installabile senza difficoltà. I cerchi ruota “rally”. Vediamo ora invece le immagini dei componenti smontati, partendo dalla barra antirollio coi relativi attacchi ed i bracci della sospensione anteriore. La balestra ribassata, insieme agli ammortizzatori rinforzati e il trapezio montato su boccole in bronzo della sospensione posteriore. Il pistone e la biella originali messi a confronto con quelli speciali. Valvole, molle, guide e scodellini speciali per gli alti regimi. L'accensione elettronica. Il radiatore dell'olio con le sue tubazioni corazzate. I rapporti del cambio ravvicinati, con il finale di trasmissione ed il differenziale autobloccante. Le cinghie trapezoidali e le relative pulegge di comando dell'alternatore e della pompa dell'acqua venivano sostituite da cinghie e pulegge dentate. I due carburatori doppio corpo da 44 mm. (segue perchè ho raggiunto il limite di foto)
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Se non è una 127 Special questa.... E perchè mai? Vediamo vediamo.... Ai tempi in cui fu realizzata, dalla Blindauto, l'uso dei pannelli in resine sintetiche rinforzate con strati di fibre nobili (fibre sintetiche come quelle di carbonio, kevlar, ecc., più resistenti e leggere dell'acciaio) stava soppiantando i vecchi metodi utilizzati fino a quel periodo per blindare le automobili. La protezione restava ai massimi livelli e soprattutto conteneva in valori molto favorevoli l'aumento di peso della vettura. Quest'ultimo costituiva un problema molto più grave di quanto potesse sembrare perché normalmente in una vettura una pesante blindatura metallica, oltre a pregiudicare (ovviamente) tutte le qualità stradali come ripresa, frenata e tenuta di strada, poteva creare problemi alla stessa integrità strutturale del veicolo: un guasto tipico, ad esempio, era la rottura delle cerniere delle porte. Con i nuovi materiali la Blindauto allestiva delle protezioni complete che non si aggiungevano all'allestimento di serie in molte parti ma sostituivano i normali pannelli. In tal modo era possibile blindare anche la 127 con un peso complessivo, compreso l'impianto di aria condizionata, di 885-910 kg. Con gli stessi metodi la Blindauto allestiva veicoli “da difesa” su base 132 e Fiorino. I prezzi delle trasformazioni variavano da 8.240.000 lire per la 127 a circa 12.000.000 per la 132. Per tornare un attimo alla Yugo ed alla sua derivazione da progetto scartato Fiat, cosa ormai certa per tutti ma, scrivevo l'altro giorno, secondo il mio umile parere non riconducibile ad una decisione di Ghidella, ho riesumato questa immagine, che ai tempi fu elargita dalla stessa Fiat per mostrare qualcosa riguardo lo sviluppo del design di Ritmo. Ora, non credo che questa foto si possa collocare temporalmente nelle prime fasi della ricerca perchè mostra una Ritmo 3p praticamente definitiva (sembra pure una foto un po' costruita, con due tecnici lì a far finta di far qualcosa, quando tutto era già concluso, tanto per creare un book del processo stilistico). Però... là in fondo c'è una maquette ancora da sgrossare, e pare sempre avere la forma di una Ritmo. In mezzo c'è la bianca, che pare completa pure lei e pare avere le dimensioni della Ritmo. Tuttavia, se immaginiamo di accorciarla e portarla ad avere dimensioni iso-127, imho c'è molta Yugo. Ripeto, con ciò non voglio dire che la Yugo derivi da un'ipotesi di "nuova 128" anzichè da una di "nuova 127", ma vista la somiglianza torno a sottolineare che secondo me la Yugo viene fuori da qualcosa di scartato ben prima dell'avvento delle proposte del CS per la Tipo Uno.
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Però spetta Touà, i fari e la calandra son falsi sulla rossa in quanto maquette o magari parziale maquette su una scocca vera... non credo dipenda dal fatto che QUELLA ha dentro il V12. Se noti la foto del motore, proprio i fari mostrano che è un'altra auto.
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“Senta Patrese, io il mese scorso ho fatto pagine e pagine sulla sua Beta Silhouette, l'ho ampiamente celebrata sul mio mensile. Potrebbe anche portarci a fare un giro eh?” “Va bene, va bene... aspetti che mi vesto... ...il casco.... …andiamo?” Di Roberto Lanzone per Gente Motori – 1980 (il testo ripete alcune considerazioni già espresse nel precedente, le ho riportate per non perdere il filo del discorso; come noterete le foto non si riferiscono al luogo della prova ) Chi la segue con lo sguardo mentre sfreccia sulla pista di un autodromo difficilmente immagina che cosa si prova a bordo di quel bolide, inchiodati al sedile da una tentacolare cintura di sicurezza. È un pugno nello stomaco quello che ti prende quando la Lancia Beta Turbo “decolla”. Ce l'avevano raccontato ma abbiamo voluto provarlo di persona. Sistemati alla meglio su un seggiolino di fortuna, montato provvisoriamente al fianco di quello di Patrese, ci sentiamo quasi tranquilli e aspettiamo la partenza immersi nel frastuono del motore. Le vibrazioni lacerano le orecchie, amplificate dalle lamiere dell'abitacolo: una scatola d'acciaio che è l'unica parte in metallo della carrozzeria; tutto il resto è in leggera vetroresina, tanto leggera che ti sembra impossibile possa resistere alla pressione dell'aria a 300 all'ora. La vettura parte. Per i primi metri è tutto regolare, ma appena sale il numero dei giri, la turbina scatena la forza della sovralimentazione e ti senti come sparato da una canna di fucile. Pare che una gigantesca mano ti schiacci all'indietro e nello stesso tempo senti affluire il sangue al volto, agli occhi. Pochi attimi ed è già la quinta. Il contagiri segna 8800. Il tachimetro non c'è? Forse è un bene: meglio non sapere che abbiamo superato i 280 all'ora. Il lungo rettilineo della pista di prova Fiat, alla Mandria, si riduce a uno strettissimo nastro grigio, indefinito, e le betulle ai lati si fondono in una informe striscia verdastra, quasi un muraglione. Consola poco ripetersi mentalmente che c'è al volante un campione: l'unico desiderio è quello di vedere la vettura rallentare, fermarsi. Poi, a poco a poco, ti abitui anche ai 300 all'ora e diventa quasi piacevole vivere quelle sensazioni irreali. E il cuore riprende a battere a un ritmo tollerabile. Riacquistando la calma, torna anche lo spirito di osservazione e allora riesci a volgere gli occhi, incollati alla strada, per osservare che cosa fa il pilota. I gesti di Riccardo Patrese sono secchi, misurati. Quando la mano si stacca dal volante scende velocissima sulla leva del cambio e l'avambraccio diventa il prolungamento della leva stessa. Anche i piedi si muovono veloci: sembrano organi meccanici, comandati dagli impulsi di un calcolatore. Ma l'insolito è che, anche con la bardatura della tuta e del casco integrale, Riccardo Patrese non sembra affatto un robot. L'uomo e la macchina si fondono in uno, riportando alla mente l'armoniosa immagine di un fantino di classe in sella a un purosangue. E la Beta Turbo di cavalli purosangue ne ha 400. La Lancia Beta Turbo è scesa in pista per la prima volta l'anno scorso, all'autodromo di Silverstone, facendo subito capire a tutti che aveva intenzioni serie. Le prime gare dovevano servire per mettere a punto la vettura, e invece fin dalla prima stagione la Beta ha conquistato il titolo del Campionato mondiale Marche, classe fino a 2000 cc, e quest'anno sembra addirittura che punti al titolo assoluto, cosa non impossibile visto che più di una volta si è lasciata dietro mostri strapotenti come la Porsche 935 da 700 cv e la Bmw M1 da 750 cv, entrambe turbo. La Lancia sta dimostrando sulle piste di tutto il mondo che il segreto per vincere sta nell'affidabilità, nella robustezza degli organi oltre che, naturalmente, in una tecnologia motoristica d'avanguardia. Avere mille cavalli di potenza non serve a nulla se poi, ogni mezz'ora, si è costretti a fermarsi ai box per mettere a punto il motore o per sostituire qualcosa che si è rotto. Quel che conta è non fermarsi mai in gara, se non per fare benzina. Purtroppo al Nurburgring, la sesta gara del mondiale Marche, Riccardo Patrese è rimasto in testa sino a tre giri dalla fine, poi un guasto al radiatore ha dato via libera alla grossa Porsche di Stommelen-Darth. Però la Turbo ha dimostrato anche in questa occasione le sue immense possibilità. Ciò non significa che la potenza non sia importante, ma quel che più conta è che la potenza sia “sicura”. Proprio come i 400 cv che i tecnici dell'Abarth sono riusciti a ricavare da un propulsore di appena 1400 cc. Partendo dal motore della Beta Montecarlo, in appena cinque mesi è stato realizzato un gioiello di ingegneria meccanica. Dopo la decisione della Lancia di lasciare i rally per dedicarsi alle corse su pista, nell'agosto del '78 è iniziato all'Abarth un febbrile lavoro per “inventare” una vettura da autodromo. La base c'era, molto buona: la Beta Montecarlo, una vettura ben impostata e con il motore centrale (disposizione ottimale ai fini della tenuta di strada). Non restava che elaborare il propulsore, rinforzare il telaio, ridisegnare le sospensioni e preparare un nuovo “vestito”. Alla carrozzeria ci ha pensato un sarto d'eccezione, Pininfarina, che ha “tagliato” una splendida silhouette in vetroresina. Alla prova di aerodinamicità in galleria del vento la vettura così trasformata ha fatto registrare un Cx di 0,367, uno dei più bassi coefficienti aerodinamici tra quelli delle auto che partecipano al Campionato Marche. Il motore è stato rivisto e ristudiato fino all'ultima vite. Pochissimi i particolari di serie conservati; tra questi il basamento motore, che per regolamento non può essere modificato. Il “miracolo” della potenza, passata dai 120 cv della versione di serie agli oltre 400 della versione gara, l'ha fatto la sovralimentazione: una turbina a recupero dei gas di scarico comprime l'aria nei cilindri a una pressione di 2,5 atmosfere, cioè a una atmosfera e mezza in più rispetto alla pressione normale di aspirazione. Quanto basta per spremere 100 cv da ogni cilindro e raggiungere una potenza specifica di 285 cv/litro, quasi il doppio di quanto fornisce un motore di Formula 1 con alimentazione aspirata. Una macchina eccezionale insomma, ma è facile lasciarsi prendere dall'entusiasmo nel giudicarla. Per questo abbiamo voluto cedere la parola a Riccardo Patrese che la conosce a fondo e sa valutarla con l'occhio del pilota di gran classe. GM – Riccardo, se dovessi giudicare la Beta Turbo con una parola, come la definiresti? “Sincera. Sì, è una vettura sincera, nel senso che non ti tradisce mai. Naturalmente quello che dico è molto relativo: la Beta Turbo è una vettura nata essenzialmente per correre in pista e quindi tutto sulla macchina è esasperato al massimo. Non si può paragonarla a una gran turismo di serie con 400 cavalli.” GM – Vuoi dire che è difficile da guidare? “All'inizio lo era molto. L'anno scorso, quando l'abbiamo messa in pista, era un po' come un puledro selvaggio. Spesso si imbizzarriva e allora erano guai. Gara dopo gara siamo riusciti a domarla, cioè metterla a punto. Attualmente ha un assetto perfetto ed è veramente una vettura piacevole da guidare. Anche la potenza, che prima arrivava tutta di colpo, ora viene erogata molto più regolarmente, quasi come in un motore aspirato.” GM – Qual'è la caratteristica che ti piace di più? “Senza dubbio l'accelerazione: è fantastica. Quando la turbina entra in azione, il motore sovralimentato dà incredibilmente di più di uno aspirato. Il massimo rendimento lo si ha tra i 5000 e i 9000 giri e, nonostante l'alto regime, si sente poco il ritardo di decelerazione, svantaggio tipico di tutti i propulsori con il turbo.” GM – E la caratteristica che ti soddisfa di meno? “La visibilità posteriore. Quella anteriore è molto buona, ma quella posteriore è scarsa. Sembrerà strano in una vettura tanto sofisticata, ma una delle grane più fastidiose l'hanno data e continuano a darla gli specchietti retrovisori che, a causa della struttura della carrozzeria, non consentono una buona visibilità posteriore.” GM – Il cambio è all'altezza del motore? “Direi di no. È solido e affidabile come tutto il resto della macchina, ma è difficile da manovrare. Gli innesti sono veloci e precisi ma troppo duri. Bisogna conoscerlo bene per sfruttarlo al meglio.” GM – E dei freni che cosa ne dici? “Decisamente buoni. Sull'efficacia non c'è nessun appunto da fare: sono più che sufficienti, anche nei percorsi impegnativi. Qualche problema lo incontrano semmai i meccanici, perché è molto delicata la loro regolazione: è difficile stabilire l'esatta bilanciatura ed è indispensabile distribuire correttamente i pesi sulle quattro ruote, altrimenti la regolazione si stara facilmente.” GM – Parliamo un po' della tenuta di strada. “Naturalmente cambia a seconda della mescola dei pneumatici. Generalmente è molto buona, anche sul bagnato. La vettura è fondamentalmente neutra e molto maneggevole a tutte le velocità. E, quel che è più importante, non tende mai a fare brutti scherzi. È questo un elemento di sicurezza, che può valere la vittoria.” GM – C'è molta differenza nel pilotare una Formula Uno e una Silhouette come la Beta Turbo? “Si, sono due cose nettamente diverse. Non tanto per la velocità, che in pratica non si discosta di molto, quando perché sulla silhouette chiudi lo sportello e ti sembra quasi di essere su una vettura da turismo, mentre in una monoposto senti l'aria che ti arriva addosso, vedi le ruote a un palmo dal naso, sei così vicino all'asfalto che se allunghi un braccio lo tocchi. Un pilota di Formula Uno non trova particolari difficoltà salendo per la prima volta al volante della Beta Turbo: è difficile invece passare dalle silhouettes alle vetture di Formula Uno senza incontrare problemi. E non lo dico perché sono un pilota di Formula, lo dico perché è proprio la verità.” Grazie Riccardo, grazie sig. Lanzone, grazie Gente Motori. Per stasera abbiamo finito con la Lancia nelle corse di durata, e vi lascio con questa immagine, che ho pensato di "condire" con un sottofondo. Idea che mi è venuta oggi (mi sa che faccio meglio a tornare al lavoro, altrimenti fra un po' non ve la cavate più), quella di arricchire i topic dell'amarcord con una nota musicale nel finale, ovviamente pescata fra le hit dell'anno di cui si sta parlando, e cercando qualcosa di appropriato (cioè, per dire, c'era anche Heather Parisi, non mi sembrava adatta ecco....). Quindi stasera chiudo così. Fatemi sapere se l'idea vi garba, parlando di creare atmosfera (poi se non vi garba me ne frega, tanto lo faccio lo stesso ) http://youtu.be/vztcoyPjak4 GTC
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La spiegazione è complessa e non voglio far diventare il topic dell'Adam quello delle mie peripezie automobilistiche. Ti piemmo
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Immensi complimenti anche da parte mia (e benvenuto!). Sono entrambe stupende, davvero. La 500 con i pneumatici a fianco bianco è dolcissima e serena, ha proprio il sapore di quell'Italia. Non sono un grande conoscitore delle auto di quest'epoca, come molti avranno ormai capito, sono un po' "fuori mano" per ciò che vivo come passione nel mondo dell'auto. Ma quando ci vuole ci vuole, sono stupende.
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Le due che circolano qui sono entrambe rosse col tetto nero e senza ammeniccoli aggiuntivi. Quelle cariche sono ancora tutte in vetrina, inclusa quella che avrei dovuto prendere io e non ho preso (la macchina per mamma è stata individuata, e - udite udite - non è una Opel, per cui prevedo tuoni e fulmini da un ramo del parentado ). Però mentre girovagavo in questi giorni fra le vetrine già aperte post-Ferragosto, ne ho viste delle altre di Adam, con varie colorazioni e debbo proprio dire una cosa. Fuori è quella lì, in alcuni casi sta benissimo, in altri benino, in altri ancora è inguardabile (però in generale credo che fosse questione di farci un po' l'occhio, perchè di fuori ora mi piace di più che ai tempi del lancio) ma dentro, ovviamente imho, nella stragrande maggioranza dei casi quegli interni sono una figata. Li hanno fatti davvero bene. Prima che si riempia il topic di domande su cosa sto per comprare come scatolozzo per il piccolo cabotaggio, la faccio breve e dico che stiamo per cadere nelle grinfie del Gruppozzo tramite una Punto Street.
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Grazie a te! Vado quindi a levare il 128 presunto scoop dalla cartella degli scoop riguardanti il 128 (l'avevo messo lì finchè non ho letto 'sta cosa dei muli per la Uno, pensavo di spostarlo ma anzitutto mi rimaneva il dubbio della targa. Strano vedere una macchina in prova targata.... si vabbè anche la Tipo nell'ottobre '87 girava per Torino camuffata e targata ) perchè evidentemente manco scoop era quella foto, ma era semplicemente un 128 con la modifica che dici tu. Beh noi l'avevamo già scoperto da tempo cos'era la Pandona, era solo Marin che ai tempi si ostinava a scrivere che non era la Uno bensì la Panda Super
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Un piccolo riassuntino di cose che mi sono capitate fra le mani negli ultimi giorni. Si parla di collaudi, ovviamente. Per la Fiat Uno furono allestiti, tra prototipi e preserie, 360 esemplari circa e furono percorsi più di sei milioni di chilometri. Abbiamo gli estratti di alcune interviste dell'epoca. Tommaso Mollo, responsabile operativo della sperimentazione su strada, l'uomo che seguì la Uno dall'inizio alla fine. “Il lavoro di messa a punto è stato molto impegnativo in quanto, ad eccezione del motore e del cambio, tutta la meccanica della Uno è completamente di nuova concezione. In più, il riferimento costante alla 127, per oltre dieci anni la vettura più venduta in Europa, è stato uno stimolo non indifferente nella ricerca di soluzioni tecnologicamente avanzate.” La Uno mosse i primi passi nel 1978, quando i primi prototipi uscirono dai capannoni Fiat per le prove su strada. Come tutti ormai sanno l'aspetto dei primi prototipi era molto diverso dalla Uno nata dalla matita di Giugiaro, e probabilmente sono quelli a cui Mollo si riferisce parlando di 146 E1, visto che sulla E2... beh leggete qui. “I collaudi sono durati più di tre anni. Abbiamo cominciato con la messa a punto della meccanica nuova sui muletti della 128. Siamo poi passati ai primi collaudi sui prototipi 146 versione E1 (fase di stampo delle scocche) quindi a quelli di delibera sulla versione E2 (le scocche sono già definitive) fino agli ultimi ritocchi di affinamento sulle vetture di preserie.” Quindi.... muletti su base 128? Non sapevo. Che poi, probabilmente saranno stati molto difficili da “captare”. La nuova meccanica della Uno credo potesse stare tranquillamente sotto la carrozzeria del 128 senza dover per questo mostrare chissà che all'esterno. Però, a questo punto, nel solito casino che mi avvolge il cervello quando penso ad una cosa e me ne vengono in mente altre tre.... mi sovviene che io tempo fa trovai una foto (pubblicata penso da AutoSprint nelle pagine dedicate alla produzione) di un 128 piuttosto particolare, perché chi la scattò s'era reso conto che il retrotreno di quell'esemplare aveva qualcosa di strano. Ora, io ne capisco fino ad un certo punto, soprattutto guardando questa foto non sono come altri qui dentro che vedono mezzo braccetto nell'ombra e hanno già capito tutto. Però è certo che quella 128 aveva qualcosa di strano al retrotreno. Chissà, magari era uno dei muletti-Uno. Però ripeto, io soprattutto in questa foto non riesco a capirci granchè di quello che c'è sotto quel 128, per cui mi rimetto ai pareri dei più tecnici. Aggiungo soltanto che coloro che la paparazzarono la proposero come 128 evoluta con sospensioni posteriori indipendenti e quindi non so se possiamo identificarla come uno dei muletti per la Uno citati da Mollo oppure no. Ma torniamo ai collaudi ed entriamo nei particolari. “La sperimentazione su strada comprende due tipi di prove: quelle di messa a punto agli effetti della qualità e quelle di fatica. Nel primo gruppo rientrano la messa a punto delle sospensioni e della guida per ottenere, con tenuta di strada e guidabilità ottime, un comfort di marcia gradevole, e la definizione dei rapporti di trasmissione per raggiungere gli obbiettivi di prestazione voluti. Queste prove le abbiamo effettuate sulla pista di Marene dove per due chilometri l'asfalto è segnato, ad intervalli di poche decine di metri, da una serie di strisce bianche di riferimento. Sulla vettura è collocato il cronotachigrafo, uno strumento che elabora i dati di velocità, partenza da fermo e ripresa trasmessi da una fotocellula, posta esternamente, sul pianale della vettura. Questa passando sulle strisce bianche viene attivata e manda impulsi al corpo macchina in cui è inserita una centralina che li elabora. Alla fine della prova il cronotachigrafo indica: velocità della vettura tra una striscia e l'altra, media ottenuta e tante altre informazioni relative all'accelerazione e alla ripresa.” Ovviamente furono effettuate anche prove all'esterno, e fra poco andiamo a vederne una più da vicino. “Le prove al caldo le abbiamo effettuate in Brasile sugli stessi percorsi dove a suo tempo abbiamo fatto la messa a punto della 147. Per il controllo dell'efficienza della carburazione, del riscaldamento e dello sbrinamento cristalli siamo andati invece in Svezia.” Per l'avventura in Svezia la parola passava a Vincenzo Uberti, uno dei 25 collaudatori del reparto di Mollo. “Siamo partiti per Kiruna, una località situata oltre il Circolo Polare Artico, il venti gennaio dell'anno scorso. La Uno viaggiava mascherata da Panda su un camion e solo alle frontiere veniva scaricata e fatta scendere per il passaggio da un paese all'altro, ed eccovi spiegate le foto uscite alcuni mesi fa sui giornali in cui la nuova vettura Fiat veniva definita Pandona.” oh... Due 127 Diesel, sei Ritmo di cui una Restyling, due Beta, un furgone attrezzato ad officina e diciotto persone accompagnavano la Uno nella spedizione verso il Circolo Polare Artico. Dal lago di Mora, punta di un triangolo che aveva come base l'asse Oslo-Stoccolma, ad Umea sul Golfo di Botnia fino a Capo Nord, decine di migliaia di chilometri su strade quasi impossibili, laghi ghiacciati, raffiche di vento miste a neve farinosa. “Si, un tempo inclemente, ma lo sapevamo, d'altra parte era proprio lo scopo della nostra missione, quella di far viaggiare la Uno nelle più brutte condizioni possibili. Al mattino incominciavamo l'avviamento della vettura alle 7,30, il momento in assoluto più freddo di tutta la giornata, e giravamo fino alle cinque di sera. Nessun problema dovuto alle temperature rigide, partiva sempre al primo o al secondo colpo, anche quando su un percorso di duecento chilometri verso la Finlandia abbiamo toccato la punta minima di 42 gradi sotto zero. Se ci toglievamo i guanti in quelle condizioni, la pelle delle mani si attaccava alle chiavi, alla lamiera a tutto ciò che era metallo.” E Uberti andava avanti raccontando di prove speciali sul lago di Mora dove su uno strato di ghiaccio alto un metro e mezzo la Uno con pneumatici chiodati provava la tenuta in curva, con veri e propri slalom in mezzo ai grossi camion che trasportavano legname. Raccontava della neve farinosa che diede consigli alla progettazione per migliorare le guarnizioni delle porte e del freddo intenso che spinse gli ingegneri ad intervenire sul motore ottimizzando la presa d'aria per una più efficace alimentazione. “Tutte le prove di messa a punto del propulsore, così come quelle di fatica, erano già state fatte in Italia. Abbiamo girato al massimo della potenza sulla pista di Nardò, i gruppi meccanici sono stato sottoposti a sforzi nelle Langhe e nei dintorni di Grosseto e per le prove standard e della scocca siamo andati sulle piste speciali de La Mandria.” La Mandria fu utilizzata anche per quello che gli esperti chiamano “for life”, cioè prove di imbrattamento, affaticamento e corrosione. Per il “for life” si viaggia su strade bianche coperte di polvere, si attraversano guadi salini e si ritorna nella polvere, per ultimo si lascia riposare la vettura in una camera umidostatica ad alta percentuale di umidità. Lo scopo? “Controllare la formazione della ruggine.” Inoltre, le prove di stop and go, il frena e parti, per il controllo di eventuali depositi di morchie nel lubrificante e quelle di affidabilità in città, sulle statali, in montagna, prove per un totale di altri centomila chilometri. Chiusura di Mollo su tutta questa grande mole di lavoro: “Mi ritengo soddisfatto di aver lavorato in massima collaborazione con gli sperimentatori delle altre funzioni e con i progettisti. Senza invadere o condizionare il campo operativo della controparte ho cercato e provocato il confronto costruttivo a tutti i livelli ed in tutte le sedi per poter raggiungere l'obbiettivo finale che in comune accordo ci eravamo imposti.” Fine
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Caspita, queste sono bellissime! Mi ero perso il tuo post sylar! Visto che passo di qui... si sta parlando di 127 da svariati giorni e tra le varie elaborazioni è saltata fuori la Farm di Coriasco. Oggi ho trovato questa.
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Le Pandine speciali presentate al Salone di Torino del 1980, quando la piccina Fiat s'era mostrata al mondo da pochissimo. Tre interpretazioni in stile "Ranch", rispettivamente di Boneschi Coriasco e Savio mentre la quarta potremmo definirla "customizzazione ufficiale" dato che era realizzata dal Giugi in persona. Rosso metallescente, vetrì fumè e cerchi in tinta con la carrozzeria. So nulla degli interni. Ne approfitterei anche per approfondire un attimino (con l'aiuto della grafica ) la questione degli innovativi cuscinetti che nel 1980 erano un dettaglio di Panda di cui si parlava abbastanza. Studiati appositamente dalla RIV-SKF, sia per le ruote anteriori che per le posteriori, i nuovi cuscinetti, noti come "biflangiati" o della "terza generazione", differivano dai cuscinetti impiegati sugli altri modelli in quanto, oltre ad avere una flangia integrale con l'anello esterno (che in quel caso fungeva da organo di fissaggio al montante della sospensione) erano dotati di una seconda flangia integrale all'anello interno (che veniva ad assumere le funzioni dell'albero e del mozzo), sulla quale si avvitavano freno e ruota. I cuscinetti biflangiati presentavano numerosi vantaggi, tra cui una più rapida operazione di montaggio e smontaggio e un'assenza totale di manutenzione e registrazione. L'albero del giunto omocinetico, inoltre, non aveva più funzione portante; esso infatti conservava solo quella di trasmettere la coppia motrice tra il propulsore e la ruota.
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Prima di passare a novelle più complesse ho pensato di inserire le immagini che mi sono capitate fra le mani in questi giorni riguardo le Ritmo un po' particolari. Avevamo parlato della Black Jack e giustamente lo zio Cosimo aveva ricordato l'esistenza della sorella Kilt Jack. Eccola qua. Nera con gli scudi rossi, cerchi in lega ed interni... vivaci. Mi fa un po' strano però vedere questo esemplare allestito sulla base di una 60L, stando alla targhetta sul parafango. Leggendo della Black Jack avevo capito che l'operazione si basava su un centinaio di 1300 CL con ulteriori optional già dal listino Ritmo, oltre a quelli aggiunti in terra meneghina. Devo dedurre che questo non valeva per la Kilt Jack, oppure la vettura qui sotto era allestita a scopo dimostrativo e niente più. Parlando di altra Ritmo "special", dobbiamo ricordare che anche Fissore realizzò la sua Cabrio, la quale si distingueva dalla successiva "ufficiale" Bertone per l'apertura del portello bagagli, che pur ridotto per ovvi motivi, conservava il movimento originario. Diverso anche il disegno del vetro laterale posteriore, più grande e squadrato. Mi sembra però che la capote realizzata da Fissore garantisse una miglior visibilità posteriore una volta ripiegata. Mi pare che resti più bassa rispetto alla cintura. Per chiudere, un bozzetto proveniente dalla fase di ricerca stilistica, che per il sottoscritto rappresenta una novità in quanto diverso dai soliti due-tre che circolano da tempo, e che mostrano una Ritmo più simile a quella che poi è stata. Qui vedo l'idea generale ma il frontale è decisamente più classico, e manco a farlo apposta (visti i miei discorsi dell'altro dì) ci vedo un che di Yugo. (ma comunque anche di 127 seconda serie... quindi potrebbe voler dire tutto e niente, rispetto a ciò che ipotizzavo qualche giorno fa) C'era già l'idea di sbizzarrirsi coi cerchi.
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Tranne che nel caso di Astra H, che ho già descritto. Lì il carrello era sempre pieno di alternatori di scorta. Partire da Russelsheim diretti al Circolo Polare, ma non te ne vuoi prendere dietro qualcuno di ricambio quando vai via con una macchina così?
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Soprattutto perchè a veder così quello non sembra un comune carrello da traino. Grigliato invece che chiuso, come se dovesse prendere aria qualcosa al suo interno, pieno non è, c'è dentro qualcosa ma non si capisce cosa, poi quel Dynotronics scritto sul fianco.... lì oltre che a fare da zavorra, secondo me c'è dentro apparecchiatura che sta funzionando. Anche per via del cavo che pare venire da lì e va a collegarsi al trabiccolo incollato al finestrino posteriore (quello non ho mai capito cosa sia, misura il passaggio d'aria?)
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I miei due penny... la macchina mi delude al posteriore perchè scendendo la pagina, fino alla foto di 3/4 anteriore le premesse erano diverse (comunque trovo apprezzabile il gioco di forme, fino a che la osservi di 3/4 non diresti mai che dietro finisce così) ed il suppostone che fa al posteriore non lo trovo il massimo, per quanto non mi senta di bocciarla del tutto, perchè nell'ambito delle concept disegnate in questa maniera trovo che sia meglio di tante altre robe. Soprattutto perchè continua a piacermi il modo del CS Opel del tirare le linee ed intrecciarle fra loro, cosa che apprezzo moltissimo soprattutto negli interni. Trovo che i sedili siano bellissimi e tutte le linee dell'abitacolo in generale (a monte del piacere o meno soggettivo) le vedo correre e lavorare in modo molto elegante e proporzionato. Sarà strana dentro come tutte le concept ma non trovo dei punti in cui vien da dire "eh ma che brutto qui, 'sto casino". Al netto dei gusti, io trovo che comunque sia un gran bel design in quanto tale.
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Io a monte di tutto ciò resto sempre stupito quando sento di batterie che mollano dopo due o tre anni. Sarò fortunato, ma se c'è un problema che proprio non ho mai avuto è quello delle batterie. Ok, sempre usato l'auto tutti i giorni, che credo sia un bene. Dall'altra parte, le mie auto hanno sempre dormito fuori o quasi. Astra G 1.4 1998-2002 venduta con la sua batteria originale Corsa C GSI 1.8 2002-2005 venduta con la sua batteria originale Astra H GTC 2005-oggi cambiata la batteria nel 2011 dopo averla ammazzata tornando a casa senza alternatore Astra H GTC 2005-oggi del babbo cambiata l'anno scorso per precauzione perchè aveva dato un paio di avviamenti un po' svaccati, ed erano 7 anni Corsa B 1.2 1998-2010 cambiata 1 batteria per precauzione a 7-8 anni non ricordo Tigra TT 1.4 2005-oggi (però questa riposa in box, ma è anche quella che gira di meno) gira con la sua batteria originale. 164 2010-oggi cambiata all'acquisto dell'auto tanto per precauzione, montata una di quelle che avevano in officina Opel, tre anni e fa girare il Busso benissimo. Boh. Sarò fortunato, ma quando sento di batterie che mollano dopo due o tre anni resto sempre molto basito. Sarà la radioattività caratteristica del sottosuolo valsesiano che ce le ricarica di notte
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Qualche giorno fa, non ricordo se in questo topic o in altra sezione, siamo tornati a parlare per qualche secondo delle immense Citroen CX familiari che venivano allestite per vari utilizzi. Si, insomma, avete capito, quelle più lunghe del normale; ciò è accaduto perchè qualcuno, non ricordo chi, ha caricato la foto di uno di questi esemplari. Tuttavia, se pensate che la crescita della CX si sia limitata alle dimensioni delle allungate che già conosciamo, vi sbagliate. Secondo me prima o poi ne salterà fuori una con attaccata una villetta bifamigliare.
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C'ERA BETA, BRAVA RAGAZZA: INCONTRO' IL PLAYBOY “TURBO” di Roberto Lanzone per Gente Motori-novembre 1979 Nurburgring Chi l'ha vista correre sulle piste di Silverstone, Nurburgring, Pergusa o Vallelunga, è d'accordo nel definirla una delle più belle e grintose silhouette iscritte al Campionato mondiale marche. Le fasce bianche, che partendo dal cofano anteriore l'avvolgono completamente, sembra che l'aiutino a infilarsi nell'aria senza fatica. È una Lancia. Una bellissima Lancia. Che riporta sulle piste il famoso scudetto con la bandierina, dopo quindici anni di rally, in cui Fulvia HF e Stratos hanno fatto la parte del leone. Forse mai come oggi lo sport ha assunto un ruolo di primo piano nella società. Tra le prime a restarne coinvolte sono proprio le Case automobilistiche. Anche se la produzione di serie ha ormai raggiunto ottimi livelli tecnologici, le corse costituiscono ancora un banco di prova incomparabile, e hanno effetti pubblicitari e commerciali che nessuna industria può permettersi di sottovalutare. L'evoluzione è costante. La politica sportiva deve adattarsi ai regolamenti, alle esigenze di marketing, a quelle commerciali, alla competitività dei modelli prodotti, all'interesse specifico del pubblico. Sono i punti saldi di un'evoluzione che in casa Fiat è stata subito avvertita. Gli effetti non hanno tardato a farsi sentire. Nurburgring Tanto per cominciare è cambiata la politica sportiva del Gruppo. Non più due squadre ufficiali (Fiat e Lancia) a spalleggiarsi nei rally. Ma una Fiat da una parte, con le 131 e le Ritmo Abarth (un occhio alle gare e uno ai piloti privati) e Lancia dall'altra, che messa da parte la Stratos, si dedicherà alle gare di velocità su pista con la nuovissima Beta Montecarlo turbocompressa, vettura derivata dal corrispondente modello sportivo di serie. Vincere le competizioni con un'auto di larga diffusione, è commercialmente molto più valido che non aggiudicarsi le gare con vetture speciali o prodotte in un numero limitato di esemplari, come appunto era il caso della Stratos. La Fiat ha avuto la prova con la 131, un modello che ha “tirato” bene grazie alle Abarth-Alitalia di Alen e Rohrl e alle vetrofanie World Rally Champion applicate sulle auto di produzione. Certo, con un modello di serie, per elaborato che sia (i regolamenti impongono precise limitazioni), è più difficile vincere. Ma in caso di successo l'impatto sul pubblico è fortissimo, fa nascere subito l'interesse per quel particolare modello. Il gustoso boccone delle 131, la Lancia l'ha assaporato, anni fa, con il duetto Munari-Fulvia. Ci riprova adesso con un formidabile trio: Patrese-Rohrl-Beta Montecarlo. Nurburgring Per mordere la coda a Porsche, Bmw e Ford, la Lancia aveva bisogno di un gioiello. E sembra proprio che sia riuscita ad averlo, a giudicare dai risultati ottenuti finora dalla Beta Turbo. I primi ad ammirarla sono stati gli inglesi, sul circuito di Silverstone. L'esordio non è stato fortunato: prima una perdita d'acqua, poi la testa del motore in fumo hanno costretto l'auto ai box al terzo giro senza dare a Patrese nemmeno il tempo di assaggiare la pista. Mentre i concorrenti sorridevano sotto i baffi, alla Lancia nessuno faceva drammi, coscienti del fatto che la vettura non era ancora a punto e che la prima gara era solo un esperimento. La preparazione del materiale per l'assistenza in gara. Ma già alla seconda prova, sul difficile circuito tedesco del Nurburgring, il sorriso di sufficienza scomparve da molte labbra: la Beta, rimase al comando assoluto della sua divisione (fino a 2000 cc) fino a otto giri dal traguardo, quando fu costretta a ritirarsi per le inevitabili debolezze di gioventù. Si aggiudicò comunque il secondo posto. Era la dimostrazione che la Lancia Beta aveva le carte in regola per dare molti grattacapi a ossi duri come Porsche e Bmw. Durante la gara, molti dei centomila spettatori del Nurburgring, inneggiando a Patrese e soprattutto a Rohrl, hanno gridato al miracolo. Ma se miracolo c'è stato, l'hanno fatto i progettisti e i meccanici dell'Abarth. Nurburgring Realizzare una turbo competitiva partendo da un'auto di serie, è un affare tutt'altro che semplice, soprattutto se si ha a disposizione pochissimo tempo. Ancora una volta, all'Abarth hanno dimostrato di essere all'altezza delle situazioni più difficili, trasformando la Beta Montecarlo in un bolide da pista. Siamo andati a Torino, nei capannoni di Corso Marche (anche se Pandino avrebbe preferito nelle Marche, nei capannoni di Corso Torino) per scoprire i segreti di questa “operazione turbo”. Prima di iniziare l'elaborazione della Montecarlo, i tecnici hanno dovuto tenere ben presente quanto dice il regolamento sportivo per le vetture di gruppo 5. Una serie di limitazioni che si possono riassumere in alcuni punti fondamentali. L'auto del gruppo 5 deve essere derivata da una vettura prodotta in serie e deve conservarne il profilo, cioè la silhouette. Sono ammessi pneumatici fino ad un massimo di 14 pollici e di conseguenza i parafanghi per contenerli. Si possono aggiungere appendici aerodinamiche anteriori, ma solo più basse del mozzo delle ruote. Posteriormente si può modificare anche tutta la carrozzeria per migliorare l'aerodinamicità, però bisogna rimanere (come ingombri) nella sagoma frontale della carrozzeria di serie. Tutte le parti meccaniche devono rimanere contenute nel volume che occupa la carrozzeria di serie, i volumi aggiunti non possono essere quindi sfruttati. Rispetto all'originale, la vettura può essere allungata di 20 cm anteriormente e di 40 cm posteriormente. Il motore deve conservare la posizione che ha nel modello di serie, può solo essere ruotato più o meno sul suo asse. Unica limitazione agli interventi sul gruppo propulsore è che deve essere conservato il basamento motore della vettura di produzione. Per quanto riguarda la meccanica, è obbligatorio mantenere lo stesso tipo di sospensioni adottate sull'auto di serie. Con l'occhio sempre attento a questa lista di limitazioni, all'Abarth si sono rimboccati le maniche riuscendo in pochissimi mesi a ottenere risultati che forse non è eccessivo definire “prodigiosi”, specie quando si parla di turbo, un tipo di alimentazione in grado di “turbare”, è il caso di dirlo, i sonni anche al più freddo progettista. Partiamo dalle forme. Il profilo della Beta Turbo è nato nella galleria del vento di Pininfarina. È lui che produce le scocche delle auto di serie. Doveroso quindi che fosse lui a modificare l'abito che aveva realizzato. Le indicazioni di massima sono partite dall'Abarth ma è toccato al carrozziere torinese disegnare e costruire la leggera “pelle” in vetroresina che la Montecarlo indossa in pista: cofano anteriore e posteriore con spoiler e alettone, fianchi posteriori e passaruote. La Lancia Turbo fa registrare sugli strumenti della galleria del vento un coefficiente Cx di 0,367: un dei migliori tra quelli delle vetture che partecipano al Campionato. Le portiere sono uguali a quelle di serie ma anch'esse vengono costruite in vetroresina. Rimangono in acciaio le cose essenziali: montanti parabrezza, tettuccio e lunotto posteriore con la paratia che divide l'abitacolo dal motore. Il tutto viene montato su un telaio completamente nuovo, espressamente progettato dall'Abarth e che parte dalla paratia anteriore in acciaio, che divide l'abitacolo dal baule, e va fino a quella posteriore. In pratica, è completamente nuova la struttura metallica dove si attaccano le sospensioni. Nella parte posteriore dell'abitacolo sono stati applicati alcuni tubi diagonali che completano e rinforzano il roll-bar integrale (a scatolati chiusi) della vettura di serie, e che in più servono a creare un valido punto d'attacco per il traliccio posteriore dove sono attaccate le sospensioni. Per queste ultime è stato conservato il tipo McPherson montato di serie, per rispettare il regolamento, ma sono state completamente ristudiate e perfezionate dall'Abarth che ha utilizzato per la realizzazione la tecnologia avanzata e i materiali in uso nella Formula 1. Come dire che si è ai limiti della perfezione, o perlomeno che più in là non si poteva andare. Importanti interventi sono stati anche fatti sui punti d'attacco delle sospensioni per modificare la geometria assunta dalle ruote, attimo per attimo, durante la marcia, fino ad arrivare a ottenere le condizioni ideali. La trasformazione del frontale della vettura. E veniamo al motore. All'inizio del 1973, Gianni Tonti, responsabile tecnico e degli studi avanzati dell'Abarth, l'uomo che ha seguito passo per passo la nascita della Beta Turbo, montava un turbocompressore su una Stratos riuscendo ad ottenere dal sei cilindri 2400 cc, 350 cv a 8000 giri/min. Nel '76, lo stesso motore, grazie ai numerosi perfezionamenti del turbocompressore erogava 500 cv e faceva vincere alla Stratos Silhouette di Facetti-Sodano, il Giro d'Italia. via www.racing65.com Per la realizzazione del motore, di cui vediamo assieme qui sotto i principali dati tecnici (tra parentesi quelli della Montecarlo di serie)... Posteriore trasversale Raffreddato ad acqua 4 cilindri in linea, ciclo Otto, turbocompressore Alesaggio e corsa 82x67,5 mm (90x84 mm) Cilindrata totale 1426 cc (1995 cc) Rapporto di compressione 7 (9,35) Potenza massima 420 cv; in pista 370 cv a 8800 giri/min (120 cv a 6000 giri/min) Distribuzione a doppio albero a camme in testa con comando a cinghia, valvole a “V” Alimentazione ad iniezione, compressore KKK Accensione elettronica Magneti Marelli ...lavorano complessivamente sette meccanici-motoristi dell'ASA per una quindicina di giorni. L'impostazione del propulsore per la Beta è iniziata alla fine del mese di agosto 1978. Cinque mesi dopo, il 10 gennaio 1979, il primo motore era già finito e pronto per il collaudo al banco in sala prova. Montaggio del propulsore. Accoppiamento di motore e cambio. Lo si sa: in un motore, per ottenere il massimo rendimento, l'ideale è poter arrivare in fase di aspirazione con tutte le “luci” aperte in modo che la miscela aria-benzina venga respirata senza difficoltà. Come dire, per assurdo, togliere un attimo la testata. Questo è il sogno di tutti i motoristi, l'obbiettivo massimo per ottenere il maggior riempimento possibile delle camere di scoppio. In ogni caso però quella che viene aspirata è aria a pressione atmosferica, infatti è il pistone che succhia l'aria creando una depressione. Si è pensato di fare di più applicando un compressore con il compito di comprimere l'aria a monte della testa, in modo che in fase di aspirazione non sia soltanto “succhiata” dallo stantuffo ma venga addirittura compressa dentro, spinta nella camera di scoppio. Su queste basi, prima della seconda guerra mondiale, sono stati montati su alcune vetture, compressori meccanici (tipo la pompa dell'olio) collegati tramite ingranaggi all'albero motore dal quale catturavano la potenza per far girare la pompa. Presto però ci si è accorti che il rendimento del motore calava troppo, proprio a causa del lavoro sottratto per far funzionare il compressore. La soluzione al problema è stata trovata negli Stati Uniti alla fine degli anni Cinquanta. Semplice quanto geniale: per il funzionamento del compressore si può usare un'energia che in ogni caso viene dispersa, quella dei gas di scarico. È il principio su cui si basano i moderni compressori, compreso naturalmente quello della Beta Montecarlo. Vediamo in breve come funziona il sistema di alimentazione di questa vettura, che è forse il particolare più sofisticato di tutta l'auto. Si lavora sulle geometrie del retrotreno. I gas di scarico, hanno una temperatura che, al massimo della potenza, arriva a 1200 gradi: vengono raccolti, incanalati e mandati alle palette di una piccola turbina centripeta (che riceve cioè i gas dall'esterno e li fa uscire dal suo interno). Sotto la pressione la turbina fa da 60 a 120 giri al minuto, a seconda della coppia del motore. Solidale, sullo stesso asse della prima turbina, ne è collegata un'altra simile, ma centrifuga, che funziona cioè nel modo opposto: prende l'aria (a temperatura e pressione atmosferica) dal centro e la butta all'esterno a una pressione di tre atmosfere assolute e 200-250 gradi centigradi di calore (a causa della compressione). Quest'aria viene incanalata in speciali condotti e portata sino all'aspirazione del motore dove arriva, grazie a speciali scambiatori di calore che la raffreddano, con una temperatura accettabile di 60-70 gradi e con 2,5 atmosfere assolute di pressione; vale a dire un'atmosfera e mezza in più rispetto al normale. Ed è proprio questa maggior pressione che si tramuta in migliori prestazioni del motore in quanto ne aumenta il rendimento volumetrico. Essendo il rapporto della miscela un parametro fisso (una parte di benzina e cinque parti di aria), si può capire che più aria c'è nelle camere più carburante è possibile bruciare, a tutto vantaggio della potenza. Ecco quello che può essere definito un motore “sovralimentato”. I problemi che nascono da questo sistema, semplice nell'idea ma complesso nella realizzazione pratica, sono moltissimi. Uno dei più spinosi lo deve risolvere la pompa d'iniezione della benzina che, attimo per attimo, deve dare la giusta quantità di carburante in rapporto ai volumi d'aria che, trattandosi d'aria compressa, possono variare moltissimo. E poi ci sono problemi d'inerzia importanti per chi corre: quando si toglie il piede dall'acceleratore i gas di scarico escono e arrivano alla turbina a bassa pressione, ma per qualche istante le palette continuano a girare velocissime per inerzia e danno al motore la massima potenza. Al lavoro sui freni. Ricordo Patrese, che al termine della gara di Silverstone ha detto: “Bisogna abituarsi alla guida col turbo, specie in frenata e in accelerazione. Ritarda, a seconda della regolazione, anche di due secondi e quindi in curva bisogna frenare e accelerare prima del solito.” Comunque, a parte le turbine della tedesca KKK e la pompa d'iniezione messa a punto partendo da un iniettore Bosch di serie, tutti i vari componenti del motore, dalla biella alla coppa dell'olio, nascono nelle officine dell'Abarth, dalla progettazione al montaggio. Pezzo dopo pezzo, in sessanta giorni, il “capolavoro” è compiuto. La potenza originale della vettura viene più che triplicata e passa da 120 cv a 6000 giri/min a 420 cv a 8800 giri. Anche se poi in gara, per evitare rotture e per garantire una maggior durata dei vari organi, la potenza viene ridotta a 370 cv. È sempre molto, anzi moltissimo. Basta pensare che ogni cilindro di una Ferrari di Formula 1 con motore aspirato dà 43 cv (12 cilindri danno quindi circa 520 cv); quello invece della Beta Silhouette turbocompressa ne dà quasi 100, più del doppio. Ottenere prestazioni di questa portata non è uno scherzo. E per rendersene conto è sufficiente passare un pomeriggio a osservare i meccanici dell'Abarth al lavoro. L'installazione della pedaliera, personalizzata in base alle esigenze del singolo pilota. Prendiamo il basamento motore. Arriva imballato dallo stabilimento Lancia perché, come prescrive il regolamento, deve essere uguale a quello della vettura di produzione. Ma all'Abarth non si limitano certo a toglierlo dall'imballo originale. Prima di “avere l'onore” di entrare nel cofano della Beta Turbo deve subire una infinita serie di affinamenti per rendere le superfici simili a specchi e ridurre le tolleranze a livelli quasi non misurabili. E tutto viene fatto a mano o con macchine tradizionali. Dimostrando ai patiti dei transistor che non c'è barba di sofisticate macchine a controllo numerico che possano sostituire un meccanico che sa il fatto suo. Lappature, fresature, alesature, un tocco di lima, una passata di carta seppia e avanti così, finché il basamento non è perfetto. Totale della spesa: un milione e mezzo di lire, solo per i “ritocchi”. Non c'è da stupirsi quindi quando si sente il prezzo della vettura finita: cento milioni, lira più lira meno. Guardando al futuro di una marca italiana nelle silhouette c'è da chiedersi quanti privati potranno permettersi il lusso di spendere 140 mila lire al chilo per una macchina da mettere in pista. È forse questo il vero motivo per cui in Italia le corse di velocità sono poco seguite. I costi elevatissimi riducono quasi a zero i concorrenti italiani e la gente non paga un biglietto solo per vedere scornarsi fra loro Porsche e Bmw. Ma non c'è niente da fare, la tecnologia si paga, e chi non ha abbastanza soldi è costretto a bussare alla porta dei rally dove, in un modo o nell'altro, ci si arrangia sempre, magari lavorando di notte nell'officina dell'amico. L'allestimento dell'abitacolo. Sul quadro strumenti, oltre al contagiri, pressione aria, benzina, olio e temperatura olio, acqua e aria. Il turbo per una silhouette non si improvvisa in un sottoscala. Un primo dato: il motore della Beta Turbo e quello della 131 Abarth ufficiali hanno molti particolari in comune (alesaggio, albero motore). Ma quelli della Lancia pesano il 15 per cento in meno. Eppure sono uguali, eppure tutti nascono dall'Abarth. In realtà, non sono uguali ma simili: 15 per cento di peso in meno, vuol dire soprattutto impiego di tecnologie altamente sofisticate, uso di materiali eccezionali, insomma un livello di qualità che pochissimi sono in grado di raggiungere. Al di là dei mezzi finanziari, ci vuole quello che all'Abarth certamente non manca: saper lavorare. Un discorso particolare meritano i pneumatici montati sulla Beta Montecarlo Turbo. Sono i Pirelli P7: ne conosciamo tutti le qualità. Ma per la Lancia Turbo i P7 sono stati trasformati. Dalle esperienze fatte nella Formula 2, sono state derivate le elevatissime prestazioni in termini di resistenza alla deriva e prontezza di risposta in frenata e accelerazione. Ma quello che ha stupito tutti, è stata la resistenza chilometrica. In tutta la stagione, non si è mai verificata la necessità di cambiare pneumatici a metà gara, come finora accadeva nelle competizioni di sei ore e mediamente di 900 chilometri. La struttura radiale Pirelli è in grado si sopportare mescole sofisticate, veloci e resistenti. Anche sotto questo aspetto, la Beta Montecarlo è una privilegiata. Montaggio della centralina dell'accensione elettronica Magneti Marelli. In primo piano la bombola di fluobrene antincendio, costituita da due serbatoi separati per abitacolo e vano motore. Per concludere, il resto della scheda tecnica. Scocca portante derivata dalla serie ma con importanti modifiche; carrozzeria in vetroresina Trazione posteriore, cambio e differenziale in blocco con il motore Frizione bidisco Borg & Beck, 5 marce e RM Sospensioni anteriori con montanti telescopici, molle elicoidali Sospensioni posteriori con montanti telescopici, molle elicoidali Ammortizzatori Bilstein Sterzo a pignone e cremagliera Freni a disco sulle quattro ruote, ventilati Lockheed Fine. Per fare un riassuntino veloce delle sue imprese (in attesa di incontrare qualche articolone dell'epoca sulle riviste di automobilismo sportivo che ai tempi riversavano fiumi di parole sul lettore ogni settimana ed oggi rappresentano un tesoro) vorrei citare un passaggio della wikipedia. Tanto per fare mente locale. Dalla wiki "La Lancia Beta Montecarlo fu mostrata per la prima volta nel mese di dicembre del 1978, ma essa debuttò in gara solo nel giugno del anno successivo, durante la gara di Silverstone del Campionato del Mondo. Una sola auto fu iscritta per Riccardo Patrese e Walter Röhrl. La nuova vettura fu veloce fin dai primi metri, anche se faticava a tenere il passo della molto più potente e più pesante Porsche. Anche l'affidabilità fu una preoccupazione rilevante e causò un ritiro prematuro. Una volta che i vizi di gioventù furono risolti, la Beta Montecarlo dominò facilmente la "classe 2 litri", ottenendo vittorie di classe a Pergusa e a Brands Hatch. La Lancia arrivò seconda assoluta nel campionato, ad una distanza considerevole dietro le Porsche. Per il 1980 il campionato fu diviso in due classi: una fino a due litri e una oltre. Le Lancia dominarono la loro classe, segnando dieci vittorie su undici possibili e aggiudicandosi il campionato. Va detto però che la concorrenza era molto limitata. Più impressionanti furono le vittorie assolute ottenute a Brands Hatch, al Mugello e a Watkins Glen contro le Porsche, con doppietta Lancia in ogni occasione. Anche nel 1981 la musica fu la stessa: la Lancia vinse di nuovo il campionato nella "classe 2 litri" ottenendo l'affermazione nella propria classe in tutte e undici le gare e aggiudicandosi anche una vittoria assoluta contro le 935 della classe "oltre 2 litri", che erano accreditate di oltre 800 CV. Un altro grande risultato è stato l'ottavo posto finale a Le Mans, secondo nel Gruppo 5, dietro una Porsche 935. Incoraggiato dalle prestazioni della Beta Montecarlo "due litri", Abarth sviluppò un motore più grande per la stagione 1981 per andare davvero "a caccia della Porsche". Il nuovo motore da 1773 cm³ era equipaggiato con due turbocompressori. Dipinte nella suggestiva livrea Martini Racing, le vetture videro la potenza aumentata a 520 CV. Purtroppo questa versione non è mai stata pienamente sviluppata, poiché la Lancia stava già guardando avanti ai nuovi regolamenti del Gruppo C che sarebbero entrati in vigore nel 1982. La Beta Montecarlo dotata del motore maggiorato riuscì a conquistare punti in una sola occasione. Sebbene non fossero più ammissibili per il Campionato del Mondo, le Lancia di Gruppo 5 hanno continuato ad essere portate in pista da team privati con notevole successo. Aggiudicandosi due Campionati del Mondo in maniera schiacciante, la Beta Montecarlo Turbo è passata alla storia come una delle grandi auto da corsa della Lancia." Lancia Beta Montecarlo Turbo - Wikipedia