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C'ERA BETA, BRAVA RAGAZZA: INCONTRO' IL PLAYBOY “TURBO” di Roberto Lanzone per Gente Motori-novembre 1979 Nurburgring Chi l'ha vista correre sulle piste di Silverstone, Nurburgring, Pergusa o Vallelunga, è d'accordo nel definirla una delle più belle e grintose silhouette iscritte al Campionato mondiale marche. Le fasce bianche, che partendo dal cofano anteriore l'avvolgono completamente, sembra che l'aiutino a infilarsi nell'aria senza fatica. È una Lancia. Una bellissima Lancia. Che riporta sulle piste il famoso scudetto con la bandierina, dopo quindici anni di rally, in cui Fulvia HF e Stratos hanno fatto la parte del leone. Forse mai come oggi lo sport ha assunto un ruolo di primo piano nella società. Tra le prime a restarne coinvolte sono proprio le Case automobilistiche. Anche se la produzione di serie ha ormai raggiunto ottimi livelli tecnologici, le corse costituiscono ancora un banco di prova incomparabile, e hanno effetti pubblicitari e commerciali che nessuna industria può permettersi di sottovalutare. L'evoluzione è costante. La politica sportiva deve adattarsi ai regolamenti, alle esigenze di marketing, a quelle commerciali, alla competitività dei modelli prodotti, all'interesse specifico del pubblico. Sono i punti saldi di un'evoluzione che in casa Fiat è stata subito avvertita. Gli effetti non hanno tardato a farsi sentire. Nurburgring Tanto per cominciare è cambiata la politica sportiva del Gruppo. Non più due squadre ufficiali (Fiat e Lancia) a spalleggiarsi nei rally. Ma una Fiat da una parte, con le 131 e le Ritmo Abarth (un occhio alle gare e uno ai piloti privati) e Lancia dall'altra, che messa da parte la Stratos, si dedicherà alle gare di velocità su pista con la nuovissima Beta Montecarlo turbocompressa, vettura derivata dal corrispondente modello sportivo di serie. Vincere le competizioni con un'auto di larga diffusione, è commercialmente molto più valido che non aggiudicarsi le gare con vetture speciali o prodotte in un numero limitato di esemplari, come appunto era il caso della Stratos. La Fiat ha avuto la prova con la 131, un modello che ha “tirato” bene grazie alle Abarth-Alitalia di Alen e Rohrl e alle vetrofanie World Rally Champion applicate sulle auto di produzione. Certo, con un modello di serie, per elaborato che sia (i regolamenti impongono precise limitazioni), è più difficile vincere. Ma in caso di successo l'impatto sul pubblico è fortissimo, fa nascere subito l'interesse per quel particolare modello. Il gustoso boccone delle 131, la Lancia l'ha assaporato, anni fa, con il duetto Munari-Fulvia. Ci riprova adesso con un formidabile trio: Patrese-Rohrl-Beta Montecarlo. Nurburgring Per mordere la coda a Porsche, Bmw e Ford, la Lancia aveva bisogno di un gioiello. E sembra proprio che sia riuscita ad averlo, a giudicare dai risultati ottenuti finora dalla Beta Turbo. I primi ad ammirarla sono stati gli inglesi, sul circuito di Silverstone. L'esordio non è stato fortunato: prima una perdita d'acqua, poi la testa del motore in fumo hanno costretto l'auto ai box al terzo giro senza dare a Patrese nemmeno il tempo di assaggiare la pista. Mentre i concorrenti sorridevano sotto i baffi, alla Lancia nessuno faceva drammi, coscienti del fatto che la vettura non era ancora a punto e che la prima gara era solo un esperimento. La preparazione del materiale per l'assistenza in gara. Ma già alla seconda prova, sul difficile circuito tedesco del Nurburgring, il sorriso di sufficienza scomparve da molte labbra: la Beta, rimase al comando assoluto della sua divisione (fino a 2000 cc) fino a otto giri dal traguardo, quando fu costretta a ritirarsi per le inevitabili debolezze di gioventù. Si aggiudicò comunque il secondo posto. Era la dimostrazione che la Lancia Beta aveva le carte in regola per dare molti grattacapi a ossi duri come Porsche e Bmw. Durante la gara, molti dei centomila spettatori del Nurburgring, inneggiando a Patrese e soprattutto a Rohrl, hanno gridato al miracolo. Ma se miracolo c'è stato, l'hanno fatto i progettisti e i meccanici dell'Abarth. Nurburgring Realizzare una turbo competitiva partendo da un'auto di serie, è un affare tutt'altro che semplice, soprattutto se si ha a disposizione pochissimo tempo. Ancora una volta, all'Abarth hanno dimostrato di essere all'altezza delle situazioni più difficili, trasformando la Beta Montecarlo in un bolide da pista. Siamo andati a Torino, nei capannoni di Corso Marche (anche se Pandino avrebbe preferito nelle Marche, nei capannoni di Corso Torino) per scoprire i segreti di questa “operazione turbo”. Prima di iniziare l'elaborazione della Montecarlo, i tecnici hanno dovuto tenere ben presente quanto dice il regolamento sportivo per le vetture di gruppo 5. Una serie di limitazioni che si possono riassumere in alcuni punti fondamentali. L'auto del gruppo 5 deve essere derivata da una vettura prodotta in serie e deve conservarne il profilo, cioè la silhouette. Sono ammessi pneumatici fino ad un massimo di 14 pollici e di conseguenza i parafanghi per contenerli. Si possono aggiungere appendici aerodinamiche anteriori, ma solo più basse del mozzo delle ruote. Posteriormente si può modificare anche tutta la carrozzeria per migliorare l'aerodinamicità, però bisogna rimanere (come ingombri) nella sagoma frontale della carrozzeria di serie. Tutte le parti meccaniche devono rimanere contenute nel volume che occupa la carrozzeria di serie, i volumi aggiunti non possono essere quindi sfruttati. Rispetto all'originale, la vettura può essere allungata di 20 cm anteriormente e di 40 cm posteriormente. Il motore deve conservare la posizione che ha nel modello di serie, può solo essere ruotato più o meno sul suo asse. Unica limitazione agli interventi sul gruppo propulsore è che deve essere conservato il basamento motore della vettura di produzione. Per quanto riguarda la meccanica, è obbligatorio mantenere lo stesso tipo di sospensioni adottate sull'auto di serie. Con l'occhio sempre attento a questa lista di limitazioni, all'Abarth si sono rimboccati le maniche riuscendo in pochissimi mesi a ottenere risultati che forse non è eccessivo definire “prodigiosi”, specie quando si parla di turbo, un tipo di alimentazione in grado di “turbare”, è il caso di dirlo, i sonni anche al più freddo progettista. Partiamo dalle forme. Il profilo della Beta Turbo è nato nella galleria del vento di Pininfarina. È lui che produce le scocche delle auto di serie. Doveroso quindi che fosse lui a modificare l'abito che aveva realizzato. Le indicazioni di massima sono partite dall'Abarth ma è toccato al carrozziere torinese disegnare e costruire la leggera “pelle” in vetroresina che la Montecarlo indossa in pista: cofano anteriore e posteriore con spoiler e alettone, fianchi posteriori e passaruote. La Lancia Turbo fa registrare sugli strumenti della galleria del vento un coefficiente Cx di 0,367: un dei migliori tra quelli delle vetture che partecipano al Campionato. Le portiere sono uguali a quelle di serie ma anch'esse vengono costruite in vetroresina. Rimangono in acciaio le cose essenziali: montanti parabrezza, tettuccio e lunotto posteriore con la paratia che divide l'abitacolo dal motore. Il tutto viene montato su un telaio completamente nuovo, espressamente progettato dall'Abarth e che parte dalla paratia anteriore in acciaio, che divide l'abitacolo dal baule, e va fino a quella posteriore. In pratica, è completamente nuova la struttura metallica dove si attaccano le sospensioni. Nella parte posteriore dell'abitacolo sono stati applicati alcuni tubi diagonali che completano e rinforzano il roll-bar integrale (a scatolati chiusi) della vettura di serie, e che in più servono a creare un valido punto d'attacco per il traliccio posteriore dove sono attaccate le sospensioni. Per queste ultime è stato conservato il tipo McPherson montato di serie, per rispettare il regolamento, ma sono state completamente ristudiate e perfezionate dall'Abarth che ha utilizzato per la realizzazione la tecnologia avanzata e i materiali in uso nella Formula 1. Come dire che si è ai limiti della perfezione, o perlomeno che più in là non si poteva andare. Importanti interventi sono stati anche fatti sui punti d'attacco delle sospensioni per modificare la geometria assunta dalle ruote, attimo per attimo, durante la marcia, fino ad arrivare a ottenere le condizioni ideali. La trasformazione del frontale della vettura. E veniamo al motore. All'inizio del 1973, Gianni Tonti, responsabile tecnico e degli studi avanzati dell'Abarth, l'uomo che ha seguito passo per passo la nascita della Beta Turbo, montava un turbocompressore su una Stratos riuscendo ad ottenere dal sei cilindri 2400 cc, 350 cv a 8000 giri/min. Nel '76, lo stesso motore, grazie ai numerosi perfezionamenti del turbocompressore erogava 500 cv e faceva vincere alla Stratos Silhouette di Facetti-Sodano, il Giro d'Italia. via www.racing65.com Per la realizzazione del motore, di cui vediamo assieme qui sotto i principali dati tecnici (tra parentesi quelli della Montecarlo di serie)... Posteriore trasversale Raffreddato ad acqua 4 cilindri in linea, ciclo Otto, turbocompressore Alesaggio e corsa 82x67,5 mm (90x84 mm) Cilindrata totale 1426 cc (1995 cc) Rapporto di compressione 7 (9,35) Potenza massima 420 cv; in pista 370 cv a 8800 giri/min (120 cv a 6000 giri/min) Distribuzione a doppio albero a camme in testa con comando a cinghia, valvole a “V” Alimentazione ad iniezione, compressore KKK Accensione elettronica Magneti Marelli ...lavorano complessivamente sette meccanici-motoristi dell'ASA per una quindicina di giorni. L'impostazione del propulsore per la Beta è iniziata alla fine del mese di agosto 1978. Cinque mesi dopo, il 10 gennaio 1979, il primo motore era già finito e pronto per il collaudo al banco in sala prova. Montaggio del propulsore. Accoppiamento di motore e cambio. Lo si sa: in un motore, per ottenere il massimo rendimento, l'ideale è poter arrivare in fase di aspirazione con tutte le “luci” aperte in modo che la miscela aria-benzina venga respirata senza difficoltà. Come dire, per assurdo, togliere un attimo la testata. Questo è il sogno di tutti i motoristi, l'obbiettivo massimo per ottenere il maggior riempimento possibile delle camere di scoppio. In ogni caso però quella che viene aspirata è aria a pressione atmosferica, infatti è il pistone che succhia l'aria creando una depressione. Si è pensato di fare di più applicando un compressore con il compito di comprimere l'aria a monte della testa, in modo che in fase di aspirazione non sia soltanto “succhiata” dallo stantuffo ma venga addirittura compressa dentro, spinta nella camera di scoppio. Su queste basi, prima della seconda guerra mondiale, sono stati montati su alcune vetture, compressori meccanici (tipo la pompa dell'olio) collegati tramite ingranaggi all'albero motore dal quale catturavano la potenza per far girare la pompa. Presto però ci si è accorti che il rendimento del motore calava troppo, proprio a causa del lavoro sottratto per far funzionare il compressore. La soluzione al problema è stata trovata negli Stati Uniti alla fine degli anni Cinquanta. Semplice quanto geniale: per il funzionamento del compressore si può usare un'energia che in ogni caso viene dispersa, quella dei gas di scarico. È il principio su cui si basano i moderni compressori, compreso naturalmente quello della Beta Montecarlo. Vediamo in breve come funziona il sistema di alimentazione di questa vettura, che è forse il particolare più sofisticato di tutta l'auto. Si lavora sulle geometrie del retrotreno. I gas di scarico, hanno una temperatura che, al massimo della potenza, arriva a 1200 gradi: vengono raccolti, incanalati e mandati alle palette di una piccola turbina centripeta (che riceve cioè i gas dall'esterno e li fa uscire dal suo interno). Sotto la pressione la turbina fa da 60 a 120 giri al minuto, a seconda della coppia del motore. Solidale, sullo stesso asse della prima turbina, ne è collegata un'altra simile, ma centrifuga, che funziona cioè nel modo opposto: prende l'aria (a temperatura e pressione atmosferica) dal centro e la butta all'esterno a una pressione di tre atmosfere assolute e 200-250 gradi centigradi di calore (a causa della compressione). Quest'aria viene incanalata in speciali condotti e portata sino all'aspirazione del motore dove arriva, grazie a speciali scambiatori di calore che la raffreddano, con una temperatura accettabile di 60-70 gradi e con 2,5 atmosfere assolute di pressione; vale a dire un'atmosfera e mezza in più rispetto al normale. Ed è proprio questa maggior pressione che si tramuta in migliori prestazioni del motore in quanto ne aumenta il rendimento volumetrico. Essendo il rapporto della miscela un parametro fisso (una parte di benzina e cinque parti di aria), si può capire che più aria c'è nelle camere più carburante è possibile bruciare, a tutto vantaggio della potenza. Ecco quello che può essere definito un motore “sovralimentato”. I problemi che nascono da questo sistema, semplice nell'idea ma complesso nella realizzazione pratica, sono moltissimi. Uno dei più spinosi lo deve risolvere la pompa d'iniezione della benzina che, attimo per attimo, deve dare la giusta quantità di carburante in rapporto ai volumi d'aria che, trattandosi d'aria compressa, possono variare moltissimo. E poi ci sono problemi d'inerzia importanti per chi corre: quando si toglie il piede dall'acceleratore i gas di scarico escono e arrivano alla turbina a bassa pressione, ma per qualche istante le palette continuano a girare velocissime per inerzia e danno al motore la massima potenza. Al lavoro sui freni. Ricordo Patrese, che al termine della gara di Silverstone ha detto: “Bisogna abituarsi alla guida col turbo, specie in frenata e in accelerazione. Ritarda, a seconda della regolazione, anche di due secondi e quindi in curva bisogna frenare e accelerare prima del solito.” Comunque, a parte le turbine della tedesca KKK e la pompa d'iniezione messa a punto partendo da un iniettore Bosch di serie, tutti i vari componenti del motore, dalla biella alla coppa dell'olio, nascono nelle officine dell'Abarth, dalla progettazione al montaggio. Pezzo dopo pezzo, in sessanta giorni, il “capolavoro” è compiuto. La potenza originale della vettura viene più che triplicata e passa da 120 cv a 6000 giri/min a 420 cv a 8800 giri. Anche se poi in gara, per evitare rotture e per garantire una maggior durata dei vari organi, la potenza viene ridotta a 370 cv. È sempre molto, anzi moltissimo. Basta pensare che ogni cilindro di una Ferrari di Formula 1 con motore aspirato dà 43 cv (12 cilindri danno quindi circa 520 cv); quello invece della Beta Silhouette turbocompressa ne dà quasi 100, più del doppio. Ottenere prestazioni di questa portata non è uno scherzo. E per rendersene conto è sufficiente passare un pomeriggio a osservare i meccanici dell'Abarth al lavoro. L'installazione della pedaliera, personalizzata in base alle esigenze del singolo pilota. Prendiamo il basamento motore. Arriva imballato dallo stabilimento Lancia perché, come prescrive il regolamento, deve essere uguale a quello della vettura di produzione. Ma all'Abarth non si limitano certo a toglierlo dall'imballo originale. Prima di “avere l'onore” di entrare nel cofano della Beta Turbo deve subire una infinita serie di affinamenti per rendere le superfici simili a specchi e ridurre le tolleranze a livelli quasi non misurabili. E tutto viene fatto a mano o con macchine tradizionali. Dimostrando ai patiti dei transistor che non c'è barba di sofisticate macchine a controllo numerico che possano sostituire un meccanico che sa il fatto suo. Lappature, fresature, alesature, un tocco di lima, una passata di carta seppia e avanti così, finché il basamento non è perfetto. Totale della spesa: un milione e mezzo di lire, solo per i “ritocchi”. Non c'è da stupirsi quindi quando si sente il prezzo della vettura finita: cento milioni, lira più lira meno. Guardando al futuro di una marca italiana nelle silhouette c'è da chiedersi quanti privati potranno permettersi il lusso di spendere 140 mila lire al chilo per una macchina da mettere in pista. È forse questo il vero motivo per cui in Italia le corse di velocità sono poco seguite. I costi elevatissimi riducono quasi a zero i concorrenti italiani e la gente non paga un biglietto solo per vedere scornarsi fra loro Porsche e Bmw. Ma non c'è niente da fare, la tecnologia si paga, e chi non ha abbastanza soldi è costretto a bussare alla porta dei rally dove, in un modo o nell'altro, ci si arrangia sempre, magari lavorando di notte nell'officina dell'amico. L'allestimento dell'abitacolo. Sul quadro strumenti, oltre al contagiri, pressione aria, benzina, olio e temperatura olio, acqua e aria. Il turbo per una silhouette non si improvvisa in un sottoscala. Un primo dato: il motore della Beta Turbo e quello della 131 Abarth ufficiali hanno molti particolari in comune (alesaggio, albero motore). Ma quelli della Lancia pesano il 15 per cento in meno. Eppure sono uguali, eppure tutti nascono dall'Abarth. In realtà, non sono uguali ma simili: 15 per cento di peso in meno, vuol dire soprattutto impiego di tecnologie altamente sofisticate, uso di materiali eccezionali, insomma un livello di qualità che pochissimi sono in grado di raggiungere. Al di là dei mezzi finanziari, ci vuole quello che all'Abarth certamente non manca: saper lavorare. Un discorso particolare meritano i pneumatici montati sulla Beta Montecarlo Turbo. Sono i Pirelli P7: ne conosciamo tutti le qualità. Ma per la Lancia Turbo i P7 sono stati trasformati. Dalle esperienze fatte nella Formula 2, sono state derivate le elevatissime prestazioni in termini di resistenza alla deriva e prontezza di risposta in frenata e accelerazione. Ma quello che ha stupito tutti, è stata la resistenza chilometrica. In tutta la stagione, non si è mai verificata la necessità di cambiare pneumatici a metà gara, come finora accadeva nelle competizioni di sei ore e mediamente di 900 chilometri. La struttura radiale Pirelli è in grado si sopportare mescole sofisticate, veloci e resistenti. Anche sotto questo aspetto, la Beta Montecarlo è una privilegiata. Montaggio della centralina dell'accensione elettronica Magneti Marelli. In primo piano la bombola di fluobrene antincendio, costituita da due serbatoi separati per abitacolo e vano motore. Per concludere, il resto della scheda tecnica. Scocca portante derivata dalla serie ma con importanti modifiche; carrozzeria in vetroresina Trazione posteriore, cambio e differenziale in blocco con il motore Frizione bidisco Borg & Beck, 5 marce e RM Sospensioni anteriori con montanti telescopici, molle elicoidali Sospensioni posteriori con montanti telescopici, molle elicoidali Ammortizzatori Bilstein Sterzo a pignone e cremagliera Freni a disco sulle quattro ruote, ventilati Lockheed Fine. Per fare un riassuntino veloce delle sue imprese (in attesa di incontrare qualche articolone dell'epoca sulle riviste di automobilismo sportivo che ai tempi riversavano fiumi di parole sul lettore ogni settimana ed oggi rappresentano un tesoro) vorrei citare un passaggio della wikipedia. Tanto per fare mente locale. Dalla wiki "La Lancia Beta Montecarlo fu mostrata per la prima volta nel mese di dicembre del 1978, ma essa debuttò in gara solo nel giugno del anno successivo, durante la gara di Silverstone del Campionato del Mondo. Una sola auto fu iscritta per Riccardo Patrese e Walter Röhrl. La nuova vettura fu veloce fin dai primi metri, anche se faticava a tenere il passo della molto più potente e più pesante Porsche. Anche l'affidabilità fu una preoccupazione rilevante e causò un ritiro prematuro. Una volta che i vizi di gioventù furono risolti, la Beta Montecarlo dominò facilmente la "classe 2 litri", ottenendo vittorie di classe a Pergusa e a Brands Hatch. La Lancia arrivò seconda assoluta nel campionato, ad una distanza considerevole dietro le Porsche. Per il 1980 il campionato fu diviso in due classi: una fino a due litri e una oltre. Le Lancia dominarono la loro classe, segnando dieci vittorie su undici possibili e aggiudicandosi il campionato. Va detto però che la concorrenza era molto limitata. Più impressionanti furono le vittorie assolute ottenute a Brands Hatch, al Mugello e a Watkins Glen contro le Porsche, con doppietta Lancia in ogni occasione. Anche nel 1981 la musica fu la stessa: la Lancia vinse di nuovo il campionato nella "classe 2 litri" ottenendo l'affermazione nella propria classe in tutte e undici le gare e aggiudicandosi anche una vittoria assoluta contro le 935 della classe "oltre 2 litri", che erano accreditate di oltre 800 CV. Un altro grande risultato è stato l'ottavo posto finale a Le Mans, secondo nel Gruppo 5, dietro una Porsche 935. Incoraggiato dalle prestazioni della Beta Montecarlo "due litri", Abarth sviluppò un motore più grande per la stagione 1981 per andare davvero "a caccia della Porsche". Il nuovo motore da 1773 cm³ era equipaggiato con due turbocompressori. Dipinte nella suggestiva livrea Martini Racing, le vetture videro la potenza aumentata a 520 CV. Purtroppo questa versione non è mai stata pienamente sviluppata, poiché la Lancia stava già guardando avanti ai nuovi regolamenti del Gruppo C che sarebbero entrati in vigore nel 1982. La Beta Montecarlo dotata del motore maggiorato riuscì a conquistare punti in una sola occasione. Sebbene non fossero più ammissibili per il Campionato del Mondo, le Lancia di Gruppo 5 hanno continuato ad essere portate in pista da team privati con notevole successo. Aggiudicandosi due Campionati del Mondo in maniera schiacciante, la Beta Montecarlo Turbo è passata alla storia come una delle grandi auto da corsa della Lancia." Lancia Beta Montecarlo Turbo - Wikipedia
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Quello lì ha già capito tutto.
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Tornando per un attimo alla Ritmo Gr.2, anche Gente Motori realizzò un bel servizio, il cui testo però non aggiungeva ulteriori info a ciò che abbiamo già estratto da 4R. In compenso le foto erano veramente interessanti, vediamone qualcuna (sempre citando con ammirazione la fonte e sempre senza voler arrecare alcun danno altrui, è solo per rimembrare tutti assieme un'epoca motoristica e anche editoriale: purtroppo non c'è altro modo che questo). Vediamo un po'... nel topic della Ritmo abbiamo parlato pochi giorni fa di saldature . Qui ce ne sono delle altre, aggiuntive e un po' più specialistiche. Il montaggio della bielletta aggiuntiva di rinforzo tra motore e scocca, necessaria per contrastare l'uscita delle marce sotto sforzo. Le gomme con i cerchi scomponibili (l'anello esterno intercambiabile permetteva il rapido montaggio di pneumatici di larghezza superiore). Un paio di immagini relative al montaggio dei proiettori supplementari e non. Si montano i dischi freno. L'inserimento della belva nella sua culla. Il montaggio della piastra di protezione in avional. Lavoro sul retrotreno, tra rinforzi e definizione degli angoli sull'apposito banco. Siamo alle ultime fasi, la Ritmo è quasi pronta... Per chiudere, l'emblematica immagine di un tecnico durante la prima messa in moto del mostro. Ok. Pronta per dare spettacolo nelle mani del compianto Bettega, qui sotto a Saint-Vincent. Fine del servizio fotografico aggiuntivo. Spero sia stato di vostro gradimento. (p.s. le foto non hanno watermark/fonte in quanto non necessario secondo la legge sul copy per le foto che hanno superato i 20 anni di età dalla data della pubblicazione; giusto comunque tornare a citare come fonte una splendida epoca del mensile Gente Motori )
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Notizia (quella della wiki e cioè di 4R dell'epoca) che però non mi ha mai convinto molto, perchè secondo me c'è qualcosa che non quadra fra tutti gli elementi messi assieme in quel modo. Ovviamente è solo il mio parere (mica c'ho in tasca la verità) ma per come conosco io la storia, il cambiamento da "erede 127 by CS Fiat" ad "erede 127 by Giugiarina ex-Lancia" coinvolge i progetti Fiat 143 e 144 che ai tempi furono ben mostrati da Autocapital in un articolo sulla genesi della Uno, e che qualche tempo fa abbiamo rivisto assieme nel topic dell'auto in questione. Si tratta di modelli di stile che niente hanno a che fare con la Yugo, e pur molto classici rispetto alla Uno di Giugiaro, sono decisamente più moderni della piccola dell'Est. Insomma, io credo che Ghidella abbia deciso di cambiare da 143/144 a Uno-146, non che abbia scartato la Yugo in quanto tale. Linee come quelle della Yugo si ritrovano nei bozzetti Fiat (come tipologia di stile/epoca di design) dei primi anni Settanta, periodo in cui il Centro Stile iniziava a pensare (precisamente nel 1972) ad una erede per la 128, ed in quel momento l'idea fu messa da parte perchè non era ancora tempo, per tanti motivi. Infatti sulla Ritmo si inizia a lavorare con decisione nel 1974. Con ciò non voglio dire che la Yugo venga dagli studi per la Ritmo, era solo per dire che tipo di linee giravano sui fogli da disegno in quel periodo. Secondo me la Yugo può benissimo essere un'idea di aggiornamento della 127, ma credo che sia ben più anziana di ciò che si trovò davanti Ghidella, e che fu da lui scartato. Per dare una data precisa, facendo delle ricerche parecchio fa, nell'ambito della costruzione di un dossier sulla Yugo che mi era stato chiesto ma per ora non è andato in porto, ho appreso che Zastava costruisce (praticamente a mano) il primo prototipo definitivo della Yugo nell'ottobre del 1978. Credo che Ghidella non avesse ancora scelto e cassato un bel niente, riguardo l'erede della 127. Secondo me si tratta di roba Fiat cassata sì, ma cassata PRIMA.
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Beh Willo, io dicevo un po' per dire. Io presumo che un ragazzo di 13 anni con la passione per il disegno d'automobili, che realizza un bozzetto, lo manda ad una rivista, la quale lo pubblica, abbia conservato ai tempi quella copia del periodico... era/è un trofeo. Poi, in seguito, col percorso che ha compiuto il ragazzo in questione, mi vien da pensare che sia stata una passione mai abbandonata e son portato ad immaginare che l'abbia conservato anche crescendo. Passa il tempo, passa il tempo ma certi cimeli di gioventù li conserviamo tutti. Io credo che Perini ce l'abbia quel Gente Motori, conservato fra le cose a lui più care. Se invece poi, per i casi della vita, trasloca sposta metti via e le cose vanno perse, non dovesse averlo, beh qui c'è qualcuno che può sentire Lambo e mandargli un pssst pssst (mica io, che ne so io di Case di alto lignaggio, sto riscrivendo Gianni Marin sottozero con la Ritmo in Canada io....). Se mi regala un bozzetto io gli regalo il Gente Motori.
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Curiosità d'epoca, curiosità da ombrellone (insomma niente di che, cose da dire giusto "oh guarda"). Dal Gazzettino degli Inventori di Gente Motori nel 1979, le pagine che molti di voi ricorderanno: quelle piene più che altro di disegni inviati dai lettori. Dunque... metterò solo le iniziali, M.G., anche se all'epoca usare nomi e cognomi era la prassi (c'era mica tutta 'sta mania del "lei non sa chi sono io, e lei NON DEVE sapere, chi sono io"). Il signor M.G., genovese all'epoca 21 enne, non disegnava affatto male, e aveva anche qualche idea interessante. Quel numero di Gente Motori pubblicò il suo bozzetto, che mostrava una nuova ipotetica Alfa, piuttosto classica in verità, però.... i fanali anteriori. Ollàllà, qualcuno ci era arrivato prima di Cressoni. Poi, e questa è più interessante se rapportata ai giorni nostri.... molti di voi sapranno chi è Filippo Perini, e cioè un designer Lamborghini (lo potete vedere su youtube mentre spiega i concetti di Aventador). Bene, sullo stesso Gente Motori... ho controllato, anni, provenienza, tutto quanto corrisponde. Oplà. 13 anni e un grande futuro davanti a sè. Se per caso ci leggesse e per caso avesse perduto questo ricordino, sono lieto di riproporglielo.
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SIDIrebbe un propulsore interessante da provare, speriamo che SIDImostri all'altezza di ciò che viene dichiarato, e soprattutto che non SIDIsintegri in poche migliaia di km.
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Infatti credo che l'ultimo progetto ad avere il codice che iniziava con 1 sia stato quello della 155 (che se non sbaglio era... 167?) Poi vabbè ci sarebbe la storia del 916 rimasto così dopo un errore di battitura, perchè in teoria sarebbe stato 169. 144... ricordo che ai tempi di "Futura" , la nuova 33 che arrivava dopo la 155 (si parlava di nuova 164 come 166, e quindi pareva logica una scala 166-155-144) dalle riviste veniva indicato come probabile nome per la nuova compatta, e poi si scrisse che era stato cambiato in 145 per via del poco piacevole abbinamento con il famoso numero telefonico che mandava sul lastrico le famiglie italiane. Però anche lì non ho mai letto nè sentito cose che fossero qualcosa in più di un bla bla giornalistico. In effetti però nella stessa lista in cui ho trovato il "Graffio" depositato da Fiat nel 1993, ho visto che come Alfa furono depositati 158, 169 e 149 (nel 2005) e 148, 167 e 157 (nel 2003). 144 lì non c'era ancora.
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IL ROBOGATE (estratto da Quattroruote-1979) Inventata da Henry Ford basandosi sulle teorie di Frederick Winslow Taylor, magnificata da Alfred Sloan, immortalata da Charlie Chaplin, la catena di montaggio è rimasta attraverso i decenni il simbolo più popolare, e in un certo senso negativo, dell'industria dell'automobile e dei suoi metodi di produzione. Da alcuni anni, però, questo rigoroso concetto delle produzioni di grande serie è oggetto di decise iniziative innovatrici. Automazione, elettronica, robotizzazione, isole di lavoro: ovunque si cerca un nuovo modo di fare l'automobile. Un importante passo avanti in questa direzione è stato compiuto dalla Fiat con l'entrata in funzione, negli stabilimenti di Rivalta e Cassino, del Robogate, un impianto di assoluta avanguardia per la produzione della scocca della Ritmo. Il nuovo tipo di organizzazione del lavoro introdotto con il Robogate non è fine a sé stesso. Con il medesimo impianto, infatti, si ha la possibilità di assemblare contemporaneamente due versioni di un medesimo modello (ad esempio le versioni 3 e 5 porte della Ritmo), in teoria anche di due o più modelli diversi. In questo modo si ottiene un'elevata agilità produttiva e quindi anche una notevole capacità di adeguamento al ritmo delle vendite, con la possibilità di rispondere immediatamente alle variazioni di domanda da parte del mercato. Il Robogate inoltre interviene direttamente in un altro momento della produzione in grande serie, controllando e garantendo la qualità del prodotto. Questa funzione si svolge attraverso l'elaboratore elettronico che, oltre a pilotare l'impianto, assicura il controllo dei parametri elettrici delle saldature, segnalando istantaneamente ogni anomalia e provvedendo a modificare, se necessario, gli impulsi elettrici per ottenere sempre saldature perfette. La qualità e l'uniformità della produzione viene così controllata dai robot stessi. Essi non possono sbagliare traiettoria né saltare dei punti. Inoltre sono “ciechi” e ripetono imperterriti le stesse operazioni, esigendo anche la qualità e l'uniformità delle lavorazioni precedenti, in particolare la costanza geometrica (precisione di forma e dimensioni) dei particolari in lamiera stampata e dei sottogruppi. Il Robogate muta sostanzialmente il concetto di investimento. Rispetto ai tradizionali mezzi di saldatura e lastroferratura, che sono fabbricati praticamente su misura per un determinato modello, il nuovo sistema comporta un investimento iniziale nettamente superiore (circa cinque volte). Per gli impianti gemelli di Rivalta e Cassino, compresi i Robogate per le fiancate, la Fiat ha investito circa 20 miliardi di lire. Con l'introduzione in futuro di un nuovo modello, che potrà avvenire oltretutto in tempi molto più brevi a partire dalla definizione del progetto, non sarà più necessario modificare l'intero impianto. Cambierà soltanto la parte specifica dell'attrezzatura, pari al 10% dell'investimento iniziale (ossia al 30% del costo totale dell'allestimento per lo stampaggio). Con il Robogate la lastroferratura delle scocche diventa interamente automatica. Sparisce la tradizionale “linea” di saldatura con i suoi mastodontici mascheroni. Al suo posto subentra una serie di stazioni di saldatura disposte parallelamente l'una all'altra e servite da robot. In queste stazioni di saldatura, che sono a forma di portale (“gate” in inglese), le scocche si presentano in successione logica, trasportati da carrelli automotori (“robocarrier”) teleguidati via cavo sotterraneo. Si inizia con due stazioni di imbastitura della scocca; seguono poi altre sei stazioni di completamento. A parità di capacità produttiva la superficie coperta dall'impianto è circa doppia rispetto a quella di una tradizionale linea di lastroferratura. L'intero impianto è pilotato da un calcolatore che ha il compito di regolare lo spostamento delle scocche, guidando i carrelli automotori in una intricata rete di percorsi, nonché di comandare il ciclo di saldatura vero e proprio. Per il trasporto delle scocche a pieno ritmo produttivo circolano simultaneamente 24 robocarrier. Le scocche trasportate da questi ultimi sono sistemate su una speciale attrezzatura portascocche (chiamata “pallet”): si tratta di una specie di vassoio dotato di riferimenti fissi per consentire un corretto posizionamento della scocca. I quattro componenti principali della scocca – il “grappolo” come lo chiamano in gergo, cioè l'autotelaio (il pianale completo di sottogruppi), le due fiancate e il padiglione – sono stati preventivamente “graffati” insieme. Ogni scocca abbandona il proprio pallet soltanto a saldatura ultimata per evitare qualsiasi deformazione in fase di montaggio e di trasporto. Le scocche sono “graffate” su una linea attigua e successivamente stoccate in un magazzino aereo prima di venir calate nell'area del Robogate, da dove vengono prelevate da carrelli automotori. Il prelievo è automatico e regolato dal computer a seconda del programma di produzione della giornata o del turno di lavoro. Dopo aver prelevato una scocca da assemblare, il robocarrier si infila indifferentemente nell'una o nell'altra stazione di imbastitura a seconda della via libera che trova. Nei portali di imbastitura, due intelaiature laterali a morsetti, chiamate “bilancelle”, bloccano nella corretta posizione geometrica i quattro componenti della scocca, graffati insieme sul pallet, in modo da impedire qualsiasi spostamento durante la saldatura. Successivamente entrano in funzione i robot. Le operazioni di imbastitura si svolgono contemporaneamente in due stazioni perché richiedono un tempo notevolmente più lungo delle operazioni di completamento nelle altre stazioni. L'imbastitura comprende infatti circa il 20% dei punti di saldatura totali. È una percentuale volutamente alta, che assicura alla scocca una buona autonomia strutturale ad imbastitura ultimata. In altre parole, nelle successive stazioni di completamento non sarà più necessario ricorrere a bilancelle di bloccaggio per mantenere unite e nella posizione esatta le varie parti della scocca. In fase di imbastitura vengono dati 82 punti di saldatura (94 per la Ritmo a 5 porte). Ultimata questa prima serie di punti il robocarrier riprende il suo cammino attraverso altre stazioni, nelle quali vengono eseguite le saldature di completamento per un totale di altri 322 punti (306 sulle 5 porte). L'intero ciclo di saldatura delle scocche è assicurato da 27 robot. Se si prende in considerazione anche l'assemblaggio automatico delle fiancate, il numero dei robot sale a 44, quello dei punti di saldatura dati con il sistema Robogate a 728 (788 per la 5 porte). All'uscita dell'ultima stazione di saldatura il robocarrier scarica la scocca, inverte la marcia e riprende il suo giro. A questo punto esso ha coperto mediamente 392 metri in un tempo di 21 minuti e 36 secondi. La cadenza produttiva è di una scocca ogni 67,5 secondi. Poiché il ciclo di saldatura è diverso per le due vetture, la commutazione del programma è comandata da riferimenti specifici del pallet, attraverso segnali in codice che individuano il tipo di scocca trasportato. Per il resto tutte le stazioni sono bivalenti per le scocche a tre e a cinque porte. Gli impianti Robogate di Rivalta e Cassino producono 800 scocche ciascuno al giorno, su due turni per un totale di 1600 vetture. La flessibilità di produzione consentita dal sistema Robogate richiede un nuovo tipo di organizzazione del lavoro anche a monte e a valle dell'assemblaggio finale della scocca. Ad esempio, è necessario predisporre il rifornimento dei pezzi che compongono la scocca secondo una particolare strategia che consenta di seguire le mutevoli richieste del mercato con la dovuta flessibilità. La Fiat ha affrontato questo problema impostando anche la produzione dei singoli sottogruppi della scocca su un nuovo indirizzo tecnologico. In particolare: -l'autotelaio è assemblato in una sofisticata saldatrice transfert con sistema di avanzamento e rifornimenti automatici. Un moderno magazzino interamente automatico consente di alimentare la linea di graffatura delle scocche nella sequenza desiderata: autotelai con guida a sinistra oppure a destra, oppure nella versione USA (che si differenza per i diversi attacchi dei paraurti e per il pianale adattato al montaggio della marmitta catalitica); -per quanto riguarda le fiancate, che costituiscono l'elemento maggiormente diversificato, a seconda del numero di porte, è stato allestito un altro impianto Robogate, in tutto e per tutto simile a quello dell'assemblaggio finale delle scocche. Con questo sistema, rivestimenti esterni delle fiancate e relative strutture interne, sono assemblati a coppie su due circuiti distinti per poi ricongiungersi in una fase di assemblaggio finale che viene sempre attuata automaticamente, attraverso stazioni di saldatura, di imbastitura e di completamento. I cicli di saldatura e il movimento dei robocarrier con relativi pallet sono pilotati da un computer autonomo. La capacità di produzione dell'impianto è di 800 coppie di fiancate Ritmo su due turni, alle quali se ne potrebbero aggiungere 400 di un modello diverso, sempre con la possibilità di variare le proporzioni. Per il padiglione, infine, il processo di assemblaggio è tradizionale, essendo questo componente uguale per tutte le versioni della vettura. Tuttavia, non si può dire che il Robogate nato con la Ritmo sia una invenzione: è una tecnologia nuova e come tutte le nuove tecnologie, specialmente quelle d'avanguardia, è nata da un patrimonio di conoscenze e di esperienze accumulate in diversi settori della tecnica. Ecco le tappe più significative che hanno portato alla messa a punto del sistema Robogate alla Fiat. 1961: mentre in tutto il mondo le operazioni di saldatura delle scocche vengono eseguite quasi esclusivamente a mano (sino al 1965 circa), per il nuovo modello 1300-1500 la Fiat automatizza la saldatura del gruppo più importante della vettura, il pianale. 1966: con la nuova 124 e successivamente con le 128 e 127, l'intero autotelaio, le fiancate ed il padiglione sono preparati interamente in saldatrici multiple transfert. Comincia tuttavia ad emergere l'inconveniente della rigidità della produzione, ossia: le macchine di saldatura sono specifiche, ognuna legata ad un determinato modello; qualsiasi modifica alla scocca richiede lunghe fermate per l'adattamento degli impianti, e quando un modello esce di produzione, ben poco, se non nulla, può essere recuperato. 1972: la 126 entra in produzione nel nuovo stabilimento di Cassino, e con essa la meccanizzazione in lastroferratura si estende al “mascherone” che effettua non più la sola imbastitura, ma anche la saldatura quasi completa della scocca. Nel medesimo anno entrano in funzione per la prima volta 16 robot per il completamento delle saldature nella linea della 132. 1974: per il modello 131 il “mascherone” viene suddiviso in due stazioni. Nasce così il principio della flessibilità di produzione: a Mirafiori per la scocca 4 porte e per la 2 porte in sequenza casuale, a Cassino per la 4 porte e la Panorama. Il convogliatore, che trasferisce le scocche attraverso il mascherone automatico e i robot, contiene un'innovazione sostanziale: i pallet. Ogni scocca viene bloccata all'inizio e tenuta bloccata durante tutto il completamento della saldatura, anziché venir bloccata e sbloccata ad ogni stazione. Sono così evitate le deformazioni che si possono verificare, su scocche parzialmente saldate, durante il trasporto con mezzi tradizionali. Parallelamente nello stabilimento di Mirafiori è stato attuato nell'area del montaggio finale della 131 un caso particolare di automazione. Il nuovo impianto è caratterizzato dal sistema di trasporto del gruppi meccanici con carrelli elettrici automotori (robocarrier), pilotati da un elaboratore centrale di processo, e dall'impiego di attrezzature automatiche di avvitatura al posto delle tradizionali linee Towveyor, che utilizzano trasportatori a catena e avvitatura manuale. 1978: con l'esperienza acquisita sui robot di saldatura, sui pallet per l'intera scocca, sui robocarrier e sui calcolatori, viene progettato un impianto di lastroferratura di concezione interamente nuova. La Ritmo offre l'opportunità per attuarne la costruzione. Nasce il Robogate. ...2013: domanda dell'archivista. Suppongo che il Robogate in quanto tale sia rimasto invariato almeno finché son durate Ritmo e Regata, giusto? Non sono molto pratico di linee produttive e dislocazione della produzione dei modelli nei vari stabilimenti. Hanno costruito anche la Uno col Robogate? E soprattutto, finisce la Ritmo e arriva la Tipo, se non ricordo male anche lei da Rivalta e Cassino. Ricordo varie illustrazioni della linea di montaggio della Tipo, mostrate al mondo per sottolineare la costruzione robotizzata e tutto il bla bla bla. Però le illustrazioni partono sempre con la scocca già assemblata. E quindi mi chiedo, nel gigantesco investimento (2000 miliardi erano?) per la Tipo, che includeva i costi della nuova linea di produzione, il Robogate in quanto tale finì nel cestino, oppure quella zona con i robocarrier che piroettavano sulle punte (vedi spot della Ritmo più sotto) subì gli aggiornamenti necessari e continuò la sua carriera? C'è qualche esperto di linee produttive del Gruppo che può soddisfare la mia curiosità? A breve un reportage fotografico relativo ad alcune fasi della nascita di una GR.2
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Se a Padova il prossimo ottobre Forghieri sarà ancora presente (lo è stato alle ultime due edizioni, l'ultima per il suo libro, la precedente per un'ospitata o cazzeggio credo) mi porto dietro la foto e glielo chiedo Se davvero la guidava anche lui, si ricorderà.
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Tanto per cambiare, era il Gianni Ricordo quell'articolo. Se non sbaglio erano pure usciti nel traffico con quel mulo, e guidando (deciso) Ghidella continuava a parlare di questo e di quello, delle auto che avrebbe voluto fare, di cosa avrebbe voluto mostrare ai concorrenti, riguardo ciò che erano in grado di fare,e, non vorrei ricordar male, mi pare dicesse pure che... però.... quella Ritmo secondo lui aveva ancora qualcosa da sistemare per essere esattamente ciò che voleva lui. Ci son da dire due cose però. La prima è che la celebre foto della Thema (ancora pinnata) con le coppe, che varca i cancelli di Fiorano fu scattata non molto tempo dopo. La Thema non era ancora uscita ma già ce n'era una che gironzolava nel regno del Cavallino, come se l'idea di un Ferrari nel cofano della T4 non fosse venuta fuori dopo il lancio di Thema. Quindi potrebbe anche essere che stessero pensando a dei collaudi nel 1982... ma perchè la Ritmo? Perchè quei due cosi sul cofano? Che ci azzeccano con un V8 di 8.32 montato trasversale (se dovevano provare per Thema, sarà stato trasversale)? Ma ci poteva stare un 8.32 nel vano di una Ritmo? Vedendo come era infilato nel vano del T4 (che credo sia ben più ampio di quello di una Ritmo) mi aspetterei di vedere una Ritmo ALMENO allargata di avantreno... quella è tutta normale a parte il cofano.... La Ritmo come punta di diamante nei rallies se non sbaglio è venuta fuori qualche giorno fa parlando della GR.2, nell'articolo che citava futuri possibili sviluppi e forse l'arrivo di una "Ritmo coupè" per fare i rallies... ma io credo che lì fossero semplicemente voci mal interpretate.... poi è arrivata Lancia Rally... io credo che l'auto fosse quella, solo che probabilmente dei bisbigli s'era capito poco... magari la "nuova arma" erede della gloria del 131 era stata interpretata come un qualcosa che proseguiva mantenendo il marchio Fiat. C'è da dire, anche qui, che quella Ritmo pare essere una Ritmo in tutto e per tutto. Purtroppo non ci sono altre foto, ma credo che se quel prototipo avesse avuto altre evidenti differenze (taglia e cuci, passo, allargamenti, giunzioni) sarebbero state citate da chi ai tempi scrisse la notizia, mentre invece leggendola pare che l'unico elemento inconsueto sia la modifica al cofano. Che però appunto mi chiedo a cosa serva se debbo pensare che sotto lì c'è il V8 che poi ha avuto la Thema.... due prese per riprodurre quale situazione? Beh si, magari portare aria in più dato che la Thema era un'auto con una vera mascherina mentre la Ritmo era molto più carenata a livello di fari, ma a questo punto perchè non modificare il paraurti? Quelle due prese messe in un modo ben preciso (e anche abbastanza ben fatte) devono essere qualcosa di molto preciso nei confronti di cosa c'era sotto.... solo che... sotto lì, in quel punto lì (ipotizzando il V8).... cosa c'era che poteva aver bisogno di quella modifica? Più o meno lì dovrebbe esserci il testone anteriore. Inoltre... boh Maranello, Forghieri, va bene che sotto Ghidella tutto era possibile ma una Ritmo targata Torino a Maranello nelle mani di Forghieri, mi puzza comunque più di roba Ferrari per Ferrari, o ammettiamo Ferrari per Lancia.... o magari qualcosa di Fiat per Fiat che necessitava la consulenza di Maranello... ma di Rallies & Abarth non sento l'odore. Così eh, per ipotesi... poi chi lo sa, credo che non lo scopriremo mai. Secondo me, tra l'ipotesi di TonyH, il fatto che il 1995cc sia poi andato a riempire i cofani delle ammiraglie chiocciolate nate in seguito, l'ipotesi che parlava di nuova iniezione (vediamola come elettronica in generale magari)... non c'era un altro motore lì sotto.
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Più o meno primavera '82.
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Arieccoci nella stanzetta della Ritmo, oggi alle prese con un piccolo "giallo" estivo (anche se vecchio di 30 e passa anni). Questa Ritmo... ... fu avvistata svariate volte nei dintorni di Maranello, in alcuni casi con (addirittura) Forghieri alla guida. Il mistero era celato sotto quelle due strane protuberanze sul cofano di serie. Nessuno ha mai riportato in seguito la soluzione del mistero (ho cercato qui e là) e sul momento si parlava di test su un nuovo tipo di iniezione elettronica, ma c'era chi ipotizzava la presenza di ben altre cose sotto quel cofano, parlando addirittura di un motore V8 montato longitudinalmente (!!!), come se quella Ritmo fosse un mulo realizzato per collaudare... cosa??? Di certo non una Ritmo V8. A me pare un'ipotesi campata in aria, tuttavia bisogna aggiungere che chi sosteneva una tesi del genere, lo faceva perchè a quanto pare quella Ritmo, rispetto ad una "normale" Abarth o anche ad una Abarth con qualche upgrade di potenza (n.b. il 125 era già uscito), andava via come una saetta. Chissà cos'era e cosa nascondeva.
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Piace molto anche a me... anche se nelle mie orecchie una grossa parte la fa il ritornello che viene dritto dagli anni mitici della commerciale di fine millennio.... non mi ricordo chi era. edit: ah già era questa comunque chapeau, perchè ha preso una bella cosa e ne ha creata una ancora più bella, una evoluzione che mi aggrada
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Navi, mezzi d'assalto anfibio, schermoplani.... quest'uomo sta organizzando qualcosa. ECCI', hai già il colapasta in testa? Devo telefonare a Devon?
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- ekranoplani
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Mi correggo. Adesso quell'oblò non sembra più una bilancia. Sembra di vedere un amico del Trenino Thomas. (imho)