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a parte gli scherzi spero che ci si renda conto che il minorenne aveva 14... dico 14 anni!!! Questa e' pedofilia! Non per nulla la legge pone il consenso sessuale a 16 anni. Non importa se era consensiente il ragazzo, non ci toveva provare lei!
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gli antigravitoni avrebbero comunque massa positiva
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no e' correto... casomai e' il razzo vettore che porta lo shuttle in orbita ad essere assimilabile all'ariane. Lo shuttle sarebbe assimilabile alla soyuz. L'europa e' attualmente sprovvista di qualsiati veicolo spaziale per passeggeri, che sia esso una capsula priva di motori o una navetta motorizzata. Se l'obiettivo e' raggiungere la ISS allora una capsula come la Soyuz e' piu' affidabile (anche se arretrata di 50 anni come tecnologia), tuttavia per alcuni compiti lo Shuttle prevale di netto. Anche lo shuttle e' arretrato di 25 anni. Usa ed Europa insieme potrebbero a mio avviso produrre un veicolo capace di atterrare usando i motori, di procedere senza piloto (e con) e refrigerato con una tecnologia sicura ed all'avanguardia, la cui riutilizzabilita' quindi sia totale. Inoltre capace di ospitare un equipaggio piu' numeroso. In ultima analisi entro 20 anni si potrebbe arrivare ad un veicolo che decolli come un aereo e non abbia bisogno di vettori...
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e' molto complesso il discorso ma in linea di principio e' impossibile....
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Lo shottle non e' un lanciatore...
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io sarei d'accordissimo per una fulvietta super leggera
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MG Rover - TRE USCITE DAL TUNNEL (15/07/2005) "Avremmo desiderato fare un annuncio già entro la fine di questa settimana, ma le proposte sono tutte interessanti e articolate. Per il bene di MG Rover le esamineremo attentamente e una decisione definitiva sarà presa probabilmente martedì 19 luglio": parole di Tony Lomas, partner di quella Price Waterhouse Coopers che sta amministrando i conti del Gruppo britannico in bancarotta. Copio ed incollo da Quattroruote: Tutte le offerte alimentano le speranze inglesi che le vetture Rover e MG continuino a essere costruite in Gran Bretagna; sono state formalizzate da Shanghai Automotive Industry Corporation in collaborazione con la società Magma Holdings (fondata da Martin Leach, ex dirigente di Ford Europe e Maserati, ed Edward Sabinsky, ex manager General Motors), dall'altra cinese Nanjing e dall'industriale britannico David James. Saic e Leach (i favoriti) intendono acquisire sia MG Rover sia l'unità motoristica Powertrain e fondare un nuovo Gruppo che consenta di riavviare la produzione nello storico stabilimento di Longbridge, creando di conseguenza tra i 1300 e i 1600 posti di lavoro. Nanjing punta a creare circa 2000 posti di lavoro assemblando le sportive MG in Gran Bretagna, ma c'è il rischio che possa decidere di trasferire in Cina la produzione dei propulsori. David James, infine, si affiderebbe a un prestito governativo per fornire garanzie occupazionali a 2000 lavoratori e per continuare l'assemblaggio delle MG attraverso il consorzio Project Kimber.
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l'antigravita' e' negata dalle attuali teorie fisiche
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magari sarebbe ora che contribuisse pure l'europa ed il Giappone... non dico la russia perche' tendono a tecnologie di altro tipo.
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Il presidente: "Ringrazio il governo per la chiarezza delle sue idee" Critiche allo scienziato: "Le discussioni fra noi non hanno nulla di partitico" Via Rubbia, l'Enea commissariato dopo la denuncia del Nobel di FRANCESCO BEI Foto articolo Carlo Rubbia ROMA - Aveva chiesto una risposta, voleva sapere se all'Enea dovesse comandare il presidente-scienziato o il Consiglio d'amministrazione nominato dai partiti. E il governo lo ha accontentato. Da ieri sera Carlo Rubbia, premio Nobel per la Fisica, non è più presidente dell'Enea, l'ente che dovrebbe essere il centro più importante per la ricerca applicata in Italia. Il Consiglio dei ministri, dopo la drammatica accelerazione imposta dallo stesso Rubbia con la lettera aperta pubblicata ieri da Repubblica, gli ha dato il benservito nominando commissario straordinario dell'Enea Luigi Paganetto, docente di Economia a Torvergata. Il commissariamento è l'epilogo di un lungo braccio di ferro che ha opposto per mesi il presidente al Cda, paralizzando di fatto l'Enea, bloccando le ricerche e facendo perdere all'Italia finanziamenti comunitari per milioni di euro. Un danno gravissimo, dovuto - spiegava Rubbia nella sua lettera - "a una condizione surreale, per cui uno scienziato-presidente è messo continuamente in minoranza" dal Cda. Un "dramma gestionale" le cui radici possono essere fatte risalire alla legge di riforma varata nel 2003, che ha creato le premesse per "uno scontro tra un gruppo compatto di sette consiglieri di esplicita nomina ministeriale da una parte e uno scienziato senza connotazione politica dall'altra". La guerra tra Rubbia e quelli che definiva "il branco" era deflagrata per la nomina del direttore generale, che per legge avrebbe dovuto essere indicato dal presidente e votato dai sette consiglieri. "Si è giunti al punto di chiedermi - spiegava Rubbia - , avendo io presentato una rosa di cinque nominativi, di proporne invece una di sei, indicandomi ovviamente anche quale dovesse essere il sesto nome: quello che già avevano deciso dovesse occupare la carica di direttore generale". La versione dei consiglieri (nominati dai ministri dell'Università, dell'Ambiente e delle Attività Produttive) è radicalmente diversa. "Rubbia - raccontano - dopo aver già licenziato due direttori generali, ci proponeva di scegliere fra quattro ragazzini e un pensionato. In questo modo avrebbe continuato a decidere tutto da solo. Invece noi gli proponevamo di confermare nell'incarico Giovanni Lelli, ossia il facente funzioni che proprio Rubbia aveva nominato. Uno che sta all'Enea da oltre trent'anni e la conosce come le sue tasche". In una situazione così incancrenita, con il presidente che si rivolge al Tar contro "il branco dei sette", gli strascichi anche personali sono pesanti. Claudio Regis, nominato nel Cda in quota Lega, non ha peli sulla lingua: "Nessuno mette in discussione le competenze di Rubbia sulle particelle, ma quando parla di ingegneria è un sonoro incompetente. Il suo progetto sul solare termodinamico, che ci è costato 48 milioni di euro, è un completo fallimento. Il centro prova di Casaccia si ferma 4 volte su 5". Corrado Clini, direttore generale del ministero dell'Ambiente e membro del Cda, è meno ruvido del leghista ma la sostanza è la stessa: "Le discussioni che abbiamo avuto con Rubbia non hanno nulla a che fare con le appartenenze partitiche. Un esempio? Il piano "Trade" per il trattamento dei rifiuti radioattivi voluto da Rubbia: cercavamo di capire il perché di un'operazione che avrebbe impiegato la gran parte delle risorse dell'Enea e dai documenti abbiamo scoperto che l'Italia avrebbe finanziato i ricercatori tedeschi e i francesi. Bell'affare davvero". Un situazione insostenibile, insomma, che ha portato il governo ad azzerare nuovamente i vertici dell'Ente e nominare - su proposta di Claudio Scajola - Paganetto commissario straordinario con due vice: lo stesso Clini e il leghista Regis. "A una domanda precisa - commentava con ironia in serata l'ormai ex presidente - si è finalmente data una risposta precisa. Ringrazio il governo per la chiarezza delle sue scelte".
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photoshop Suv Fiat
viva l'italia ha risposto a 126/131 in Fotoritocchi di Automobili e Proposte di Design
sembra la copia dell'hummer ma e' tutto italiano? -
ma se la chiamano uno poi la bmw serie 1 sara' piu' one like no one?
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bellissimo SPUNTO !!!!!!
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vedo se trovo qualcosa su internet
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in Padania lanciale con Cavour (l'ho scritto bene sta volta?)
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Tratto dal corriere: Il mito del comandante riletto da un saggista latinoamericano Così il Che è diventato il logo del capitalismo «La sua faccia è su magliette e accendini, ma molti fan ignorano i misfatti del guerrigliero. Che ordinò centinaia di esecuzioni...» STRUMENTI VERSIONE STAMPABILE I PIU' LETTI INVIA QUESTO ARTICOLO L'icona del Che innalzata dai manifestanti durante una protesta anti G8 a Goteborg (Ansa) Dopo aver fatto così tanto (o così poco?) per distruggere il capitalismo, Che Guevara è diventato un marchio che è la quintessenza del capitalismo stesso. La sua immagine compare su tazze, berretti, accendini, portachiavi, portafogli, bandane, top, blue jeans, confezioni di tè alle erbe e, naturalmente, sulle immancabili t-shirt con la fotografia di Alberto Korda che ritrae l’idolo socialista con il berretto nei primi anni della rivoluzione, l’immagine che a 38 anni dalla morte del Che è ancora il simbolo dello chic rivoluzionario (o capitalista?). Sean O’Hagan ha scritto sull’ Observer che esiste persino un detersivo in polvere con lo slogan «Il Che lava più bianco». Dei prodotti del Che si occupano grandi corporation e piccole ditte, L'immagine del Che sulle magliette di un giovane cinese (Ap) come la Burlington Coat Factory, nel cui spot tv figura un ragazzo in abiti da lavoro e t-shirt del Che, o la Flamingo’s Boutique di Union City, nel New Jersey: il proprietario ha arginato la furia degli esuli cubani locali ricorrendo all’imbattibile argomento del «vendo qualsiasi cosa la gente desideri comprare». Neanche i rivoluzionari sono immuni dalla frenesia del mercato: The Che Store, il negozio del Che su Internet, soddisferà «tutte le vostre esigenze rivoluzionarie»; il giornalista italiano Gianni Minà ha venduto a Robert Redford i diritti del film ispirato al diario del viaggio che il giovane Che fece in Sudamerica nel 1952, in cambio del permesso di accedere al set, sul quale ha potuto girare un proprio documentario. Per non parlare di Alberto Granado, che accompagnò il Che in quel viaggio e oggi fa da consulente ai documentaristi mentre - come riporta El País - tra vino della Rioja e magret d’anatra si lamenta da Madrid di non poter riscuotere i diritti per colpa dell’embargo americano contro Cuba. (...) La trasformazione di Che Guevara in un marchio capitalista non è nuova ma il marchio ha conosciuto un revival piuttosto significativo, poiché giunge anni dopo il collasso politico e ideologico di tutto ciò che Guevara ha rappresentato. Una ripresa insperata, dovuta principalmente a I diari della motocicletta , il film prodotto da Robert Redford e diretto da Walter Salles. (...) Per l’esattezza, questo ritorno di fiamma è iniziato nel 1997, quando, nel trentesimo anniversario della morte del Che, sono comparse nelle librerie cinque biografie e sono stati rinvenuti i resti di Guevara nei pressi di una pista dell’aeroporto boliviano di Vallegrande, in seguito alle rivelazioni fatte, con particolare tempismo, da un generale boliviano in pensione. L’anniversario ha richiamato l’attenzione sulla celebre fotografia di Freddy Alborta al cadavere del Che steso su un tavolo, romantico come il Cristo dipinto da Mantegna. È normale che i fedeli di un culto non conoscano la verità storica sul loro eroe. Non sorprende che gli attuali seguaci di Che Guevara, i suoi nuovi ammiratori postcomunisti, si autoingannino aggrappandosi a un mito - eccezion fatta per i giovani argentini, che hanno coniato l’espressione: «Tengo una remera del Che y no sé por qué», «Ho una maglietta del Che e non so perché». Pensiamo a quanti hanno recentemente brandito o invocato il volto del Che come icona di giustizia e di ribellione agli abusi del potere. In Libano, i dimostranti che protestavano contro la Siria sulla tomba del primo ministro Rafiq Hariri portavano l’immagine del Che. Thierry Henry, un calciatore francese che gioca nell’Arsenal, in Inghilterra, si è presentato a un megagalà organizzato dalla Fifa, la federazione calcistica mondiale, indossando una t-shirt del Che. In una recente recensione del film La terra dei morti viventi di George A. Romero pubblicata sul New York Times , Manohla Dargis ha scritto: «Lo choc maggiore è la trasformazione di un nero zombie in un retto leader rivoluzionario». E ha aggiunto: «Immagino che il Che viva, dopo tutto». In un viaggio in Venezuela, nel corso del quale ha incontrato Hugo Chávez, il campione di calcio Maradona ha esibito un emblematico tatuaggio del Che sul braccio destro. A Stavropol, nel sud della Russia, i manifestanti che denunciavano le concessioni statali a pagamento hanno raggiunto la piazza centrale sventolando bandiere del Che. A San Francisco, la leggendaria City Light Books, tempio della letteratura beat, offre ai visitatori una sezione dedicata all’America latina, nella quale metà degli scaffali regge libri sul Che. José Luis Montoya, un poliziotto messicano che combatte il traffico di droga a Mexicali, indossa un fazzoletto del Che perché lo fa sentire più forte. Nel campo profughi di Dheisheh, in Cisgiordania, i manifesti del Che decorano una parete che celebra l’Intifada. Un domenicale di Sydney, in Australia, elenca i tre ospiti ideali per un party: Alvar Aalto, Richard Branson e Che Guevara. Leung Kwok Hung, il ribelle eletto al Consiglio legislativo di Hong Kong, sfida Pechino indossando una t-shirt del Che. In Brasile, Frei Betto, consigliere del presidente Lula da Silva responsabile del programma «Fame zero», ritiene che «avremmo dovuto prestare meno attenzione a Trotskij e molta di più a Che Guevara». La più famosa: alla cerimonia degli Academy Awards di quest’anno, Carlos Santana e Antonio Banderas hanno interpretato il tema musicale de I diari della motocicletta; Santana portava una t-shirt del Che e un crocifisso. Espressioni del nuovo culto del Che sono ovunque. Ancora una volta, il mito attrae persone la cui causa rappresenta l’esatto opposto di ciò che era Guevara. (...) Nel gennaio 1957, come indicato nel diario della Sierra Maestra, Guevara sparò a Eutimio Guerra, sospettato di aver rivelato delle informazioni: «Ho risolto il problema con una calibro 32, nella parte destra del cervello... Ciò che apparteneva a lui ora era mio». Più tardi sparò ad Aristidio, un contadino che aveva espresso il desiderio di ritirarsi appena i ribelli si fossero spostati. E mentre si domandava se la vittima «fosse colpevole al punto da meritare la morte», non esitava a ordinare l’uccisione di Echevarría, fratello di un compagno, colpevole di crimini imprecisati: «Doveva pagare». In altre occasioni simulava le esecuzioni senza portarle a termine, una forma di tortura psicologica. Luis Guardia e Pedro Corzo, due ricercatori della Florida che stanno lavorando a un documentario su Guevara, hanno ottenuto la testimonianza di Jaime Costa Vázquez, un ex comandante dell’esercito rivoluzionario noto come «El Catalán», secondo il quale molte delle esecuzioni attribuite a Ramiro Valdés, futuro ministro degli Interni cubano, sono invece direttamente imputabili a Guevara, perché sulle montagne Valdés ne eseguiva gli ordini. «In caso di dubbio, uccidete», era la direttiva del Che. Alla vigilia della vittoria, secondo Costa, il Che avrebbe ordinato l’esecuzione di una ventina di persone a Santa Clara, al centro di Cuba. Alcuni furono uccisi in un hotel, come ha scritto Marcelo Fernándes-Zayas, altro ex rivoluzionario poi diventato giornalista, precisando che tra gli uccisi, i casquitos, c’erano contadini che si erano uniti all’esercito solo per non restare disoccupati. Eppure, la «macchina che uccideva a sangue freddo» non mostrò appieno la sua ferocia finché, immediatamente dopo il crollo del regime di Batista, Castro gli affidò la direzione del carcere di La Cabaña. (Castro aveva un talento innato nello scegliere le persone adatte a proteggere la rivoluzione dall’infezione). San Carlos de La Cabaña era una fortezza di pietra utilizzata nel XVIII secolo per difendere l’Avana dai pirati inglesi; più tardi divenne una caserma militare. Guevara ne fu direttore nella prima metà del 1959, in uno dei periodi più neri della rivoluzione. José Vilasuso, avvocato e professore alla Universidad Interamericana de Bayamón di Porto Rico ed ex membro dell’organismo che si occupava dei processi sommari di La Cabaña, mi ha recentemente raccontato: «Il Che presiedeva la Comisión Depuradora. Il processo rispettava la legge della Sierra: c’era una corte militare e secondo le indicazioni del Che dovevamo agire con convinzione, perché erano tutti assassini e procedere in modo rivoluzionario significava essere implacabili. Il mio diretto superiore era Miguel Duque Estrada. Il mio compito consisteva nel sistemare le pratiche prima che fossero inviate al ministero. Le esecuzioni si svolgevano dal lunedì al venerdì, in piena notte, appena dopo l’emissione della sentenza e l’automatica conferma in appello. Nella notte più orribile che io ricordi, furono uccisi sette uomini». Javier Arzuaga, il cappellano basco che recava conforto ai condannati a morte e fu testimone di decine di esecuzioni, mi ha recentemente incontrato nella sua casa di Porto Rico. Ex prete cattolico, oggi settantacinquenne, si definisce «più vicino a Leonardo Boff e alla teologia della Liberazione che all’ex cardinale Ratzinger» e ricorda: «C’erano circa ottocento prigionieri in uno spazio capace di contenerne non più di trecento: ex militari e poliziotti dell’era di Batista, giornalisti, qualche uomo d’affari e alcuni commercianti. Il tribunale rivoluzionario era formato da uomini delle milizie. Che Guevara presiedeva la Corte d’appello. Non ha mai annullato una sentenza. Visitavo il braccio della morte nella Galera de la muerte. Si sparse la voce che ipnotizzavo i prigionieri perché molti restavano calmi, così il Che diede l’ordine che fossi presente alle esecuzioni. Dopo la mia partenza in maggio furono eseguite ancora molte sentenze, io vidi 55 esecuzioni. C’era un americano, Herman Marks, evidentemente un ex carcerato. Lo chiamavamo "il macellaio" perché provava piacere a dare l’ordine di sparare. Difesi davanti al Che la causa di numerosi prigionieri. Ricordo in particolare il caso di un ragazzo, Ariel Lima. Il Che non si smosse. Né cambiò idea Fidel, al quale feci visita. Rimasi così sconvolto che alla fine del mese di maggio 1959 mi fu ordinato di lasciare la parrocchia di Casa Blanca, dove si trovava La Cabaña e dove avevo celebrato la messa per tre anni. Andai a curarmi in Messico. Il giorno che partii, il Che mi disse che ciascuno di noi aveva tentato di portare l’altro dalla propria parte, invano. Le sue ultime parole furono: "Quando ci toglieremo le maschere, ci ritroveremo nemici"». Quante persone furono uccise a La Cabaña? Pedro Corzo propone una stima di duecento vittime, simile a quella calcolata da Armando Lago, un professore di economia in pensione che ha compilato un elenco di 179 nomi. Vilasuso sostiene che tra gennaio e la fine di giugno del 1959 (quando il Che lasciò l’incarico a La Cabaña) furono uccise quattrocento persone. Cablogrammi segreti inviati dall’ambasciata americana dell’Avana al Dipartimento di Stato a Washington parlavano di «oltre cinquecento». Secondo Jorge Castañeda, uno dei biografi di Guevara, padre Iñaki de Aspiazú, cattolico basco vicino alla rivoluzione, avrebbe parlato di settecento vittime. Félix Rodríguez, un agente della Cia che fece parte della squadra incaricata di dare la caccia a Guevara in Bolivia, mi ha raccontato di aver affrontato con il Che la questione delle «circa duemila» esecuzioni delle quali era responsabile. «Disse che erano tutti agenti della Cia e non fornì il numero», ricorda Rodríguez. Le cifre più elevate possono tenere conto di esecuzioni che ebbero luogo nei mesi successivi al termine dell’incarico del Che a La Cabaña. E questo ci riporta a Carlos Santana, al suo abbigliamento chic in stile Che. In una lettera aperta pubblicata su El Nuevo Herald il 31 marzo di quest’anno, il grande musicista jazz Paquito D’Rivera ha criticato Santana per l’abbigliamento esibito agli Oscar e ha aggiunto: «Uno dei cubani di La Cabaña era mio cugino Bebo, rinchiuso perché cristiano. Mi racconta con amarezza infinita di quando dalla sua cella, all’alba, sentiva la voce dei tanti che, senza processo, morivano gridando "Lunga vita a Cristo re!"». Alvaro Vargas Llosa © The New Republic (traduzione di Maria Serena Natale) 15 luglio 2005
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Scusami non ricordo, quale post? Se e' quello sull'immatricolazione pare che tutti lo immatricolino autocarro e nessuno dice niente boh....
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piu' o meno che sconti?
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no e' un vero 4x4 con le ridotte anche... se si imposta il 4x2 ha trazione posteriore. E' lungo circa 5 m e somiglia ad in PU americano (quello nuovo). E' in commercio dal 4 luglio... come tipo di mezzo e' tipo l'l200 ma con 170 hp ed una cabina rifinita simil SUV.
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ecometro o ecoscandaglio e' il nome italiano del "sonar" ma ormai ci si e' inglesizzati quindi ci si meraviglia se si usano dermini italiani... Che un lago di 60 m non ghiacci in profondita' e' scontato non ne vedo il mistero, il ghiaccio infatti e' un isolante termico... lo si chieda agli esquimesi...